Fanfic su artisti musicali > SHINee
Ricorda la storia  |      
Autore: Jong_Key    05/01/2018    1 recensioni
Le parole erano poche, nessuno si sbilanciava a parlare, eppure entrambi avrebbero voluto lasciar fluire fiumi, fiumi di parole. Avrebbero voluto raccontarsi, spiegarsi, avrebbero voluto condividere la propria vita l'uno con l'altro. Avrebbero voluto aprire lo scrigno del proprio cuore perchè l'altra persona ne aveva la chiave.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Key, Taemin
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La vita sbaglia spesso i momenti.






Aveva iniziato il turno da qualche ora, ma già si sentiva stanco. Di solito accusava la stanchezza a fine giornata, mentre quel giorno erano solo le due del pomeriggio e, anche se amava il suo lavoro, avrebbe preferito mollare tutto e prendersi una giornata per sé. Niente di eclatante, un solo giorno in cui pensare unicamente a se stesso, al suo corpo e al suo spirito, magari anche standosene chiuso in casa a leggere un libro e a mangiare schifezze. Un po' gli mancavano quei tempi lì, quelli in cui le uniche cose che gli destavano preccupazione erano lo studio e gli esami. Tutto lì. In quei momenti gli sembravano faccende a volte davvero insormotabili, moltissimi esami gli rubavano tante energie e tanto tempo, alcuni temeva di non essere in grado di affrontarli. Tutto molto difficile, ma... tutto lì.
E ora, invece? Ora non era affatto “tutto lì”. Adesso aveva a che fare ogni giorno con delle vite umane, ogni giorno gli capitava davanti una persona diversa, che fosse una donna, un bambino o un anziano. E non era un medico, ma non era facile ugualmente: aiutare gli altri era bello, tuttavia essere a contatto la maggior parte del tempo con persone che soffrono, che stanno male o che hanno un qualche tipo di disagio, beh... non è facile.
Prese un caffè, alla solita macchinetta posta in quella stanza dalle pareti bianche. Tutto lì era bianco, o quasi tutto, d'altronde. Zuccherò quel liquido scuro e lo buttò giù in un sorso, sperando che gli avrebbe fatto effetto, che lo avrebbe ricaricato un po'.
In quella stanza vi era una grossa finestra, lunga e dai vetri sempre perfettamente puliti e trasparenti, aveva una bellissima visuale, si affacciava sul giardino. Ma ciò che c'era di più bello era il paesaggio che mostrava. Più precisamente il cielo: che fosse l'alba, che fosse il tramonto. Che fosse dipinto di un leggerissimo azzurro, di un tenue rosa o di un arancione carico. Da lì il cielo era perfettamente osservabile e lui lo faceva spesso. Quando poteva, si fermava e osservava tutta quella meraviglia. In genere non pensava a nulla, cercava di sgombrare la testa il più possibile. Però non sempre ci riusciva.
Anche quel giorno il tempo era ristretto: cinque minuti di pausa e poi di nuovo a lavoro. Uscì dalla stanza, immettendosi in un dei tanti corridoi dell'ospedale, infilando le mani nelle tasche della divisa celeste. Come al solito c'era gente ovunque: medici, infermieri, pazienti. Ognuno indaffarato nella propria professione, nella propria giornata, nella propria vita.
Era arrivato un nuovo paziente, era stato piazzato nella stanza 64. 

«Ecco la sua cartella.» gli disse una voce che lui conosceva molto bene, quella del capo reparto. Quella che si occupava degli infermieri.
Taemin sorrise e la afferrò tra le mani. In quella cartella c'era scritto un po' tutto, lo stato generale del paziente, la terapia medica, soprattutto quest'ultima era molto dettagliata. Ogni persona degente aveva una propria cartella personale, di cui una copia era consegnata anche al rispettivo infermiere. Infermieri e medici si trovavano in continua e stretta collaborazione tra di loro.
Fece scorrere lo sguardo velocemente sulla carta.
Devo somministrargli una dose di? ...Semplice Paracetamolo? Sul serio?
Non che non lo avesse mai fatto, ma di solito si trovava a dover preparare e poi far assumere ai pazienti medicinali ben più rilevanti di quello.
Continuò a leggere.
...Oh. Wow.
Si portò le dita quasi sulle sopracciglia, in quello spazio tra i due occhi, e strinse appena, in apprensione.
Wow...

Si mosse subito, recandosi nella camera “della medicina”. Semplice stanza piena di scaffali e ancora di più piena di medicinali di ogni tipo. Medicinali e materiale vario tra cui siringhe, aghi, garze. Di tutto. Prese il necessario e, dopo averlo poggiato su quel carrellino su cui venivano trasportate le cure, si avviò verso la stanza.
Nel letto si aspettava di trovare una persona anziana, o comunque avanti con l'età, invece non fu così: in quel letto d'ospedale vi era una ragazzo, forse addirittura un suo coetaneo. Dormiva, o almeno teneva gli occhi chiusi.
Si avvicinò, prima a passo spedito e poi rallentando sempre di più, finchè non si ritrovò a compiere dei passi piccoli e lenti verso quel corpo.
Quando gli fu di fronte, si prese qualche secondo per guardarlo meglio: era magro, pallido, biondo. I capelli sottili sembravano essere molto curati ma lui presumeva che non lo fossero poi così tanto.
Probabilmente sono proprio così, per sua natura... dubito che...
Che bella pelle che ha. E' proprio tenuto bene..
.
Sospirò, affiancandosi a lui. Si sentiva un po' strano, in realtà aveva una strana sensazione addosso da quando aveva varcato la porta.
Deve essere arrivato proprio da poco dato che non ha ancora nessuna flebo.
Aprì l'ago, bagnò un batuffolo di cotone con dell'alcool. Gli prese una mano, delicatamente e quasi con timore.
Il ragazzo inaspettatamente aprì gli occhi, lentamente. Si voltò piano verso di lui, mostrandogli uno sguardo spaesato. «Hmm...»
«Oh. Salve. Come si sente? Io devo farle un'iniezione, per questo ho...»
Era ancora fresco in quel lavoro, Taemin, ma un po' di esperienza ce l'aveva. Aveva fatto un po' di tutto in quei due anni lì in ospedale, di iniezioni ne aveva fatte decisamente molte, di volti ne aveva visti decisamente molti. Adesso, invece, si sentiva come se fosse il suo primo incontro con un paziente.
«Iniezione...?»
«Ha la febbre.»
Il ragazzo annuì, forse lo sapeva già. Dopotutto era arrivato in ospedale sveglio.
«Dunque...» gli prese nuovamente la mano, afferrando il batuffolo di ovatta. «Va bene sulla mano? O glielo metto nel braccio?» Domanda a cui il ragazzo rispose, o meglio non rispose, accennando solamente il gesto delle spalle che si alzano. Probabilmente non aveva sufficientemente forza. Non gli importava, non faceva alcuna differenza.
«Va bene, ho capito.» strofinò il disinfettante sulla pelle della mano, tenendo le sue dita tra le proprie. Indossava i guanti ma poteva percepire il calore della sua pelle. Prese poi l'ago con l'arto libero, avvicinandolo piano.
Ma che mi prende... possibile che sono stanco fino a questo punto?
«F...Fai piano, per favore.» un sussurro appena udibile, che fece sussultare Taemin. Prese un respiro, sentì la presa aumentare attorno alle proprie dita. Il ragazzo gliele stava stringendo. «Tranquillo, non sentirai nulla.» gli sorrise, proprio mentre quell'oggetto pungente gli pizzicava la pelle.
Il ragazzo dai capelli biondi strinse gli occhi, istintivamente. Non gli aveva fatto male, ma evidentemente era un tipo sensibile e suscettibile in quelle cose.
«Ecco fatto. Adesso inietto il medicinale e poi lascio la flebo in vena, con una sacca di soluzione fisiologica. Ti idraterà.» mentre parlava, già si muoveva. Fece confluire la medicina in quel tubicino sottile, poi attaccò la sacca piena di liquido trasparente.
«Senti...» un altro sussurro, più leggero del primo.
L'infermiere fermò il tutto con del nastro adesivo medico, poi alzò la testa, sorpreso. «Sì?»
«Mi... mi faresti bere? Ho sete. Molta...» e quel ragazzo glielo disse guardandolo negli occhi.
Taemin, per un attimo, perse il contatto con la realtà, perdendosi in quelle iridi scure. Un secondo, forse poco più. «O-Oh. Dovrei chiedere se...»
«Per favore
«Sì.»

Qualche minuto dopo, aveva recuperato una bottiglina d'acqua. Aveva infilato una cannuccia dentro, l'aveva portata alle sue labbra. Il ragazzo stava bevendo, a piccoli sorsi, mentre lui lo guardava. In genere non era compito suo prendere decisioni, neanche quelle semplici e innocue come far bere qualcuno. Doveva sempre chiedere ai suoi superiori. Stavolta, però, non gli importava. Glielo aveva chiesto, e lui a qualsiasi costo gli avrebbe dato dell'acqua.
«Ti ringrazio.»
«Figurati...»
«Come ti chiami?»
«Mi chiamo Taemin. E tu?»
«Kibum.»
Momento di silenzio. Non sembravano più infermiere e paziente, sembravano due semplicissimi ragazzi che si stavano presentando, che si stavano conoscendo.
«Taemin... mi faresti compagnia? So che... ma io... non voglio stare da solo. Per... per favore.»
Taemin strinse le mani, facendo raggrinzire i guanti. Non poteva, lo sapeva, ma non voleva lasciarlo. «Ho altre cose da... ripasserò appena posso, va bene?»
Kibum cambiò lentamente espressione. Dopo una manciata di secondi, su quel viso si poteva scorgere un sorriso. Un sorriso appena accennato e vuoto. «Ma certo, che stupido... neanche ci conosciamo. Scusami, scusa anche che ti sto parlando in modo così confidenziale. Ora riposerò.» Pronunciava le parole con un tono di voce pacato, neanche volendolo con tutto se stesso avrebbe potuto avere un tono deciso o risentito. Non appena l'ultima parola fu scandita, gli occhi si chiusero.
Taemin uscì dalla stanza 64 con l'amaro in bocca e una voragine al centro dello stomaco.

***

Il suo lavoro continuò, accudì altre persone, armeggiò con altri medicinali e altre siringhe. Ma Kibum era nella sua testa, esattamente al centro del cervello. Incontrò il medico che lo seguiva, sentì e capì appieno la sua situazione, apprese velocemente in che modo si doveva agire. 

Ritornò nella stanza 64, Kibum ancora dormiva. Doveva somministrargli una dose di un medicinale, questa volta non paracetamolo per la febbre.
Si avvicinò al letto e deglutì.
Non dovevo lasciarlo solo, non dovevo lasciarlo solo...
«...Kibum?» Lo chiamò, mentre una soluzione giallastra scivolava nel suo debole corpo.
Lo stomaco di Taemin sempre più attanagliato.
Non si stava comportando in modo professionale, come suo solito e soprattutto come doveva. Ma non poteva farci niente. Quel ragazzo gli faceva venire fuori tutto il suo lato umano, involontariamente e prepotentemente.
«Sono vivo...?»
«Sei vivo, sì.» sempre involontariamente, Taemin sorrise. Quella frase lo fece sorridere, ma non di felicità... piuttosto, di malinconia. «Sono venuto presto, hai visto?»
Kibum sbatteva piano gli occhi. Le guance sembravano aver preso un po' di colore. Sembravano averlo preso da quel cielo che si intravedeva dalla piccola finestra della stanza numero 64, da quelle nuvole soffici e rosee. Quel delizioso rosa era finito, in qualche modo, sui suoi zigomi. «Ho dormito, non posso sapere quanto tempo è passato.» rispose secco.
L'infermiere scosse la testa, ridacchiando appena. «Te lo posso assicurare, è passato pochissimo. Il tempo di un fulmine che squarcia il cielo.» Mentì, ovviamente. E quel paragone da dove gli era uscito, poi?
Il ragazzo dai capelli biondi annuì, facendo finta di credergli. «Ti credo. Mi fido.»
E fu Taemin ad annuire, poi. «Adesso misuriamo la febbre.» prese il termometro, quello digitale ospedaliero, e in due secondi la temperatura corporea lampeggiava su quel display. Trentasette e mezzo. Non era passata del tutto, ma si era notevolmente abbassata.
«Ho la febbre alta...?»
Taemin rivide in quel viso e in quella voce, qualcosa di bambinesco. Era un ragazzo completamente formato, ormai, eppure il tono di voce e quegli occhietti lucidi lo facevano sembrare quasi un bimbo. Un bimbo spaventato, timoroso. «Assolutamente no, è scesa. Non preoccuparti, mh?» neanche se ne accorgeva di parlare con dolcezza. Gli veniva naturale, naturale come parlare in quel modo con Kibum.
E Kibum sembrò tranquillizzarsi, la fronte si distese e un piccolo sospiro uscì dalle sue labbra. «Meno male...»
«Meno male, sì.»
Lo stomaco di Taemin sempre più schiacciato.
Come se la febbre fosse così importante... come se fosse la cosa più importante.
«Adesso andrai di nuovo via, non è così?»
«Posso restare dieci minuti qui con te. Poi però devo andare, è vero. Ma torno presto.»
Silenzio.
Il giovane infermiere accostò una sedia, che era lì vicino, accanto al suo letto. Ormai era pomeriggio inoltrato, l'aria fresca di novembre faceva coprire tutti un po' di più. Il cielo cambiava colore, scurendosi appena, le nuvole si muovevano ininterrottamente, inseguendosi senza stancarsi.
Non sapeva perchè si stesse trattenendo. Non sapeva perchè, in quel momento di vuoto, si sentiva in dovere di cercare le parole giuste, di continuare quella sorta di conversazione. Non sapeva per quale motivo fosse legato a lui.
«Kibum, io...»
«Sono stanco, Taemin. Sono così stanco che...»
«Shh...» in un gesto di puro istinto, la sua mano, questa volta priva di guanti, si mosse sulla sua. Fece attenzione all'ago, ma la strinse. La strinse forte e Kibum, con la poca forza che aveva, ricambiò quella stretta.
Stretta di mani che in realtà includeva anche i loro cuori, le loro anime, le loro esistenze.
Il ragazzo dai capelli meravigliosamente biondi sussultò. Lo guardava con un'espressione sorpresa, di chi non si aspettava un gesto del genere. Taemin gli strinse ancora di più le dita, quasi disperatamente. «Andrà tutto bene, Kibum. Fidati di me...»
«Mi fido di te, ma non su questo.» la voce risultava seria e ferma, ora, pur mantenendo la sua morbidezza. In quella stanza, nell'aria, nell'infermiere stesso... c'era agitazione. Tensione.
Le parole erano poche, nessuno si sbilanciava a parlare, eppure entrambi avrebbero voluto lasciar fluire fiumi, fiumi di parole. Avrebbero voluto raccontarsi, spiegarsi, avrebbero voluto condividere la propria vita l'uno con l'altro. Avrebbero voluto aprire lo scrigno del proprio cuore perchè l'altra persona ne aveva la chiave.
Taemin possedeva la chiave di Kibum, e Kibum possedeva la chiave di Taemin.

«Non ti conosco, è vero, e neanche tu conosci me. Ci siamo visti poche ore fa per la prima volta ma io...»
Lo stomaco che faceva addirittura male.
Continuò, con gli occhi un po' sgranati e i muscoli del viso contratti. «Starò con te. Non so nulla della tua famiglia, dei tuoi amici o di qualsiasi altra persona a te cara ma io sarò con te, Kim Kibum! Te lo prometto.»
Parole forti, fortissime, azzardate. Ma così sentite, così prepotenti da venire fuori con foga, quasi con rabbia, come se fossero state strappate dall'anima a mani nude.
«G...Grazie.» la voce flebile, gli occhi velati di lacrime.
«Non piangere.»
Troppo tardi, perchè quelle gocce d'acqua presero a scendere sulle guance di Kibum, rigandole, trovando liberazione. Non poteva trattenerle, erano proprio lì, sul punto di cadere, di precipitare.
Taemin si alzò, gli lasciò la mano per portare le dita sulla sua pelle, cercando di asciugarla. Cercava di nascondere le sue, di lacrime. Lui non poteva permettersi di piangere. Lui non ne aveva motivo. Muoveva le dita freneticamente mentre le palpebre di Kibum si socchiudevano.
«Sei bellissimo.»
Gli soffiò sulla pelle. E i battiti cardiaci di entrambi, improvvisamente, schizzarono alle stelle.

Come un bimbo strappato dalle braccia di una madre, così Taemin si allontanò da Kibum. Doveva. Era il suo lavoro, quello. Lo amava, no? Quindi doveva prendersi tutto il pacchetto. Quel lavoro comprendeva anche questo: distacco, saper dire “ora basta”. Nessun coinvolgimento, nessun attaccamento tale da rendere difficile... beh, il lavoro stesso. Taemin ci riusciva più o meno sempre. Adesso, sembrava essersi scontrato, o meglio schiantato, contro un iceberg. Un pezzo di ghiaccio bello grosso. Gli sbattè contro improvvisamente ed ora si ritrovava in mille pezzi. A fatica cercava di recuperarli tutti, uno ad uno, a fatica cercava di ricomporli perchè lo sapeva: una persona frantumata non va da nessuna parte.
Alla fine, nel corso della giornata, aveva varcato la soglia della stanza numero 64 molte volte. A far visita a Kibum erano stati anche vari medici, ma la situazione non aveva sviluppi, non aveva progressi, era terribilmente statica. D'altronde tutti lo sapevano. D'altronde il destino era segnato. E chi sono gli esseri umani per opporsi ad esso? Il destino non può essere scalfito in alcun modo. Il destino va accettato. Ci si adegua, ci si modella attorno alle sue decisioni, ci si amalgama bene con quella parte della nostra vita che non tocchiamo, non sentiamo, ma sappiamo che c'è. E spesso ci illudiamo di poterlo cambiare, ci illudiamo che il corso della nostra vita lo costruiamo noi, giorno dopo giorno. Ci illudiamo che il destino è nelle nostre mani, quando poi in realtà siamo noi nelle mani del destino. 

Erano ormai le undici di sera e Taemin aveva appena concluso il suo turno. Si sentiva la testa pesante, mentre si spogliava, indossando i suoi abiti. Toglieva quella divisa che lo accompagnava quasi tutto il giorno per indossare dei semplici pantaloni e un semplice maglione, che lo spogliavano un po' da tutto e lo facevano ritornare semplicemente se stesso, semplicemente Taemin. Non Taemin l'infermiere, ma Taemin e basta. Ritornava quel ragazzo semplice, che ha fatto del lavoro la sua vita.
Sapeva che aveva finito, che aveva concluso, per quel giorno. Ma sapeva anche che non aveva concluso affatto.
I passi si susseguivano velocemente, uno dietro l'altro.
Stanza 64.
Questa volta il ragazzo dai capelli biondi era sveglio. Era rivolto verso la finestra, da cui si vedeva poco e niente. Solo buio, e in lontananza si poteva scorgere la luna. Il cielo era pieno di stelle.
«Kibum
«Taemin.»
Due sorrisi nati allo stesso millesimo di secondo.
«Come ti senti?» raggiunse subito il letto, osservando immediatamente i parametri vitali dichiarati da quel monitor lì vicino.
Staticità. Tutto normale e tutto tremendamente fuori posto.
«Non bene...»
Taemin annuì, impotente. Non poteva farci niente e questo lo logorava. Kibum non stava affatto bene, anzi, aveva avuto anche un peggioramento nel corso della giornata. Adesso sembrava un po' più debole, un po' più pallido, un po' più stanco. Un po' più al limite.
Andò a sedersi su quella sedia rimasta lì, esattamente dove l'aveva lasciata. «Posso restare con te?» domandò, quasi chiedendogli il permesso.
Un semplice infermiere di un semplice ospedale di periferia, stava chiedendo ad un paziente il permesso di rimanere in stanza con lui. Buffo, no?
«Tutta la vita.» Kibum sorrise, con una dolcezza disarmante. La stessa dolcezza che aveva negli occhi, quella che aveva sulle guance, quella che riempiva ogni angolo di quella stanza numero 64. «Se solo ne avessi una.» aggiunse dopo qualche secondo, mantenendo intatta quella compostezza che lo caratterizzava. Kibum era così: stremato, sfinito, provato dalla vita e messo con le spalle al muro. Era privato di tutte le risorse che in genere ogni ragazzo della sua età aveva. Era privato di un futuro, era privato della felicità... ma era composto. Tremendamente composto, decoroso, dignitoso. Lo sarebbe stato per sempre, fino alla fine. Un po' era nella sua natura, un po' aveva imparato ad esserlo.
Taemin non rispose.
«Posso prenderti la mano?»
E questa volta no, nessuna iniezione era prevista per lui. Kibum lo capì subito ma, nonostante ciò, fece di sì con la testa. E non ci volle molto prima che quelle due mani si unissero, legandosi di nuovo. E non ci volle molto neanche prima i loro cuori iniziassero a battere un po' più velocemente. I battiti si unirono. Quelli regolari di Taemin e quelli sofferti di Kibum si accavallarono e adesso distinguerli era difficile.
Kibum faceva un effetto piuttosto strano a Taemin. Voleva restargli accanto, voleva stare con lui. Voleva dargli un po' delle sue forze, un po' del suo respiro.
Un po' della sua stessa vita.
E poi, lo trovava così bello... un ragazzo così bello doveva ammettere di non averlo mai visto. Il naso perfetto, disegnato ad opera d'arte così come la bocca. Piena, colorata di un rosa gradevole alla vista, che un tempo forse era più carico. Adesso si mostrava un po' sbiadito, ma le labbra restavano ugualmente belle. Sembravano soffici. Gli occhi, poi... scuri, scuri tanto da perdercisi dentro. Profondi tanto da essere irragiungibili. Affilati. In certi momenti, Taemin li trovava persino taglienti.
Avrebbe voluto conoscere la sua storia. E non quella clinica, quella medica, che tra l'altro avrebbe potuto immaginare. No, voleva conoscere la storia della sua vita. Voleva che Kibum avesse avuto il tempo e la voglia di raccontargliela. Se lo avesse fatto, la avrebbe ascoltata attentamente. Avrebbe udito ogni singola parola, le avrebbe viste scivolare via da quelle bellissime labbra, le avrebbe raccolte una ad una, pazientemente, e ne avrebbe fatto tesoro. Le avrebbe tenute per sempre con sé.
E Taemin, invece, cos'era per Kibum? Sicuramente non un semplice infermiere. Ci aveva visto qualcosa in lui, dal primo momento. Forse è per questo che si era sbilanciato così tanto, forse è per questo che cercava la sua presenza. O forse la cercava per necessità? Forse la cercava perchè aveva oltrepassato una certa soglia e aveva bisogno di qualcuno che gli stesse vicino? Che gli tenesse simbolicamente la mano, in modo da fargli provare meno paura possibile. Forse un miscuglio di tutto questo.
Probabilmente, anche se avesse goduto di ottima salute, avrebbe cercato la sua presenza ugualmente. Probabilmente se non fosse stato un paziente di quell'ospedale, se in generale non fosse stato malato ma fosse stato semplicemente... Kibum... un semplice ragazzo, un semplice studente di letteratura alle prese con la vita, con le faccende di ogni giorno, avrebbe voluto Taemin accanto a sè allo stesso modo in cui lo voleva ora.
E poi, c'è anche da dire che gli piaceva. Oh sì, gli piaceva eccome. Gli piaceva la morbidezza delle sue mani, gli piaceva il castano dei suoi capelli. Gli piacevano i suoi occhi espressivi, gli piaceva anche il suo nome.
Cosa ne sarebbe stato di loro, se solo non fossero stati... loro? Se si fossero incontrati in un altro momento, in un altro luogo, in un altro tempo. Cosa sarebbe successo? Si sarebbero legati, avrebbero legato corpi e anime? Sarebbero diventati un tutt'uno?
Erano entrambi così presi, così coinvolti, così dentro, che lasciarno tutto il resto fuori. Si isolarono letteralmente dal mondo, da ciò che li circondava. Era un momento così intenso, quello, che entrambi ne furono travolti.
E non opposero alcuna resistenza: si lasciarono travolgere fino all'ultimo secondo, fino all'ultimo battito di vita.
«Sai, avrei voluto conoscerti prima. Avrei voluto conoscerti in un altro posto, non qui...» Taemin prese ad accarezzargli il dorso della mano, quello su cui era infilato un piccolo ago, collegato ad una flebo quasi finita.
Kibum sorrise, un sorriso segnato dallo scorrere del tempo ma vero, sentito. «Ti piaccio, per caso?»
E quella frase un po' sfacciata lo fece fermare, il tempo. Lo fece fermare, lo fece ghiacciare per dei lunghissimi secondi e poi lo fece accelerare, tutto d'un colpo. Lo fece accelerare proprio nel momento in cui i battiti cardiaci di Kibum subirono uno scompenso.
Gli occhi di Taemin corsero sul display lì accanto, su cui erano segnati molti parametri vitali, su cui crudamente veniva mostrata la realtà delle cose. E la realtà era che il cuore di quel ragazzo era ormai al capolinea. Stremato da una malattia acuta che ha aggredito quell'organo con violenza, lo ha divorato giorno dopo giorno, logorato, ridotto a pezzetti. Una malattia tanto rara quanto fatale.
E quella realtà la conoscevano tutti: familiari, medici. Quella realtà la conosceva Kibum e la conosceva Taemin. Non c'era più niente da fare. I medici non potevano più fare niente, il mondo intero... non poteva fare più nulla, per Kibum.
Perchè era lì, allora? Perchè quello era l'unico posto. L'unico ad interessarsi a lui era sua zia, l'unica zia materna, con cui ha condiviso gran parte della sua vita. Non aveva nessuno oltre lei, ma lei non stava poi così bene e beh, l'unico posto per Kibum era lì, in quell'ospedale, in quella stanza, in quel letto.
Non poteva essere altrove se non lì, se non con Taemin.
Probabilmente tutta la professionalità di quel giovane infermiere venne messa totalmente da parte. Era come se fosse in trance, non rispondeva più alla realtà, a quell'oggetto elettronico pieno di numeri e lucine che non stava mostrando niente di buono e che sicuramente non poteva essere ignorato. Non la tollerava più, la realtà. Voleva dimenticarsene. Voleva cancellarla con uno schiocco di dita. Odiava la realtà, in quel momento.
«Oh sì che mi piaci, Kibum! Mi piaci da matti.» glielo urlò dritto in faccia, guardandolo dritto negli occhi, gesticolando, colto da un'improvvisa euforia. Euforia mista a rabbia, tristezza, frustrazione. Poteva star mentendo, data la situazione, ma no, Taemin era serio. Faceva sul serio.
«Hmm...» Kibum deglutì, socchiudendo le palpebre, divendando ancora più pallido. Le nuvole, pur essendo scure ora, rivollero indietro quelle sfumature di rosa che Kibum gli aveva rubato. «Cosa... c-cosa ti piace di me?» il respiro inziava a farsi più pesante, la voce più sbiadita.
«Tutto! I tuoi capelli, il tuo viso, le tue mani! Le tue labbra, il tuo naso e gli occhi, Dio, gli occhi! Hai gli occhi più belli che abbia mai visto in tutta la mia vita.» Poteva star mentendo anche ora, ma anche ora era tremendamente serio.
I loro cuori erano letteralmente impazziti. Quello di Taemin, in preda al panico e quindi accelerato, e quello di Kibum, che stava facendo i capricci di nuovo, provocando delle fitte in tutto il corpo del ragazzo, che faceva fatica a tenere gli occhi aperti, che faceva fatica a respirare, a vivere.
«Anche tu m-mi piaci... Taemin.» confessò a sua volta. E quella frase era molte cose al tempo stesso. Era seria, era sofferta. Era dolce. Era facile ed era difficile. Era pesante ed era leggerissima.
Era l'inzio ed era la fine.
Sorrise, Taemin, sorrise mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime. In quel momento non era un infermiere, era solo un essere umano. «Promettimi di aspettarmi. Non so dove, non... non so quando ma aspettami, Kibum. Avremo del tempo, ne sono certo! Sono sicuro che ti rincontrerò prima o poi, forse in un posto... in un posto migliore di questo... e...» le parole che si perdevano, che si facevano confuse. Sembravano quelle di un familiare, di una persona molto stretta... e invece erano quelle di un perfetto sconosciuto.
Perchè quelle due anime si erano perfettamente incastrate tra di loro. Si erano incontrate, si erano accarezzate e in pochissimo tempo si erano indissolubilmente unite. Semplicemente, lo avevano fatto al momento sbagliato.
Perchè si sa, la vita sbaglia spesso i momenti.
Il macchinario ormai stava impazzendo, ma Taemin non lo ascoltava. Era inutile ascoltarlo, ormai. Tutto ciò che poteva fare era parlargli, era raccogliere le sue ultime parole e custodirle in lui per sempre.
Kibum non era destinato a salvarsi, tutti lo sapevano. Forse era destinato a cose migliori, a posti migliori fatti di soffici nuvole e venti leggeri. Questa vita imbrattata di sofferenza non la meritava.
«Tu... tu promettimi di vivere...» gli sussurrò stringendo forte la sua mano. «Vivi a-anche per me, Taemin...» si sforzò di aprire gli occhi. Voleva guardarlo, voleva imprimersi nella mente il viso di quell'infermiere che no, non lo aveva fatto vivere, ma gli aveva fatto battere il cuore. Quel cuore malridotto che si ritrovava. Anche se per poco, aveva fatto risvegliare la sua anima assopita e, soprattuto, ora era lì. Non era tornato a casa come avrebbe dovuto, era lì, in quella stanza, accanto a lui. Non lo aveva lasciato solo. Aveva mantenuto la promessa. Gli aveva poi chiesto di aspettarlo, gli aveva anche detto che gli piaceva! Sì, Kibum voleva imprimersi in testa il viso di quell'infermiere. Per sempre.
Questione di secondi e la camera sarebbe stata invasa da qualche medico di turno e da qualche infermiere. Il tempo stava scadendo, i numeri della vita si stavano rapidamente azzerando. Quei due ragazzi sconosciuti stavano lottando contro il tempo. Stavano lottando contro i secondi.
Taemin non resistette. «Permettimi di baciarti.» 
Un sussurro. «Te lo permetto
Il tempo di un battito di ciglia, e Taemin si abbassò sul suo viso. Gli occhi di Kibum finalmente si chiusero del tutto, stanchi. Le labbra rilassate, la fronte distesa, senza neanche un piccolo segno d'espressione. Quel fastidioso macchinario che scalpitava e dei rumori di passi veloci rimbombavano un po' ovunque, senza però raggiungerli.
Il tempo si congelò.
Le due bocche che si incontrarono, timide ed impaurite. Le labbra appena umide di Taemin incontrarono quelle soffici ma secche di Kibum. E no, non fu un bacio passionale, invadente, profondo, travolgente come quelli che si vedono nei film. Affatto. Quello di Kibum e di Taemin forse non poteva essere definito neanche un bacio. Era molto di più.
Con quel contatto, le loro vite furono mescolate ed incatenate per sempre.
E Kibum decise di andar via proprio in quel momento. Decise che quello era il momento perfetto.
Con le bocche ancora unite, il cuore di Kibum smise di battere e il display smise di smaniare, riducendosi in una lunga e continua linea. Una linea che sapeva di profonda amarezza, ma anche di liberazione e di promesse da mantenere.
Il personale medico sopraggiunse, avevano gli occhi sgranati e un po' di affanno.
Provarono a rianimarlo, ma fu inutile.
Ora del decesso: 23.32.
La luna splendeva maggiormente.
Nel cielo vi era una stella in più.







-------
Storia realizzata in un tempo relativamente breve, dedicata ad una persona speciale, pensata e scritta in piena fase "Grey's Anatomy". Sì, esatto, da quando ho scoperto un canale dedicato solo ad esso... non mi scollo più dalla tv. Dunque ho amalgamato insieme medicina (una mia enorme passione) e amarezza (quella che mi porto dentro da una vita ahah) ed ecco il risultato. Se volete lasciare qualche parolina, la leggerò volentieri.
Alla prossima 

-Paola
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > SHINee / Vai alla pagina dell'autore: Jong_Key