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Autore: Shainareth    07/01/2018    5 recensioni
*** Attenzione! La presente storia si collega direttamente alla shot Verità. Vi consiglio perciò di leggere prima quest'ultima, per comprendere appieno le vicende di ciò che verrà narrato qui di seguito. ***
«A cosa servono, questi poteri, se non possiamo evitare che accadano certe tragedie?» La voce di Ladybug era cupa e rotta dal pianto represso. Era ormai l’alba e i soccorritori avevano lavorato per tutta la notte, sgombrando la zona da ciò che era andato distrutto – o ucciso. I due salvatori di Parigi erano rimasti lì fino a che era stato necessario, ingoiando tutta la sofferenza che i loro occhi e le loro orecchie erano stati capaci di catturare, loro malgrado. E ora, con le membra doloranti e il cuore in pezzi, si erano rifugiati insieme fra i gargoyles di Notre Dame, che con il loro tetro aspetto sembravano riflettere l’umore di entrambi.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Verità'
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CAPITOLO TERZO




La mano di Adrien era gentile e calda. Marinette pensò che non vi fosse nulla al mondo che potesse competere col senso di protezione che le dava quel semplice tocco. Si domandò come avesse fatto, il giovane, a non risentire della caduta causata dal mostro e ad essere accorso in suo aiuto non appena ne aveva avuta la possibilità; sempre ammesso che lui fosse Chat Noir, certo. Alla mente le tornò che Adrien faceva anche karate, il che presupponeva che sapesse come cadere al tappeto senza farsi male. Questo, unito alla spiegazione che lui le aveva dato circa le intenzioni del ragazzo che era stato akumizzato, spinsero Marinette a ritenere davvero possibile che il suo amico fosse anche il suo collega mascherato. Lo sguardo furioso che aveva scorto sul viso di Chat Noir quando l’aveva salvata dalle grinfie del mostro era stato altrettanto chiaro.
   Quel dubbio le serrò il cuore in una morsa capace quasi di soffocarla.
   La suoneria del suo telefono squillò forte e vivace, così Adrien rallentò il passo, consentendole di rispondere. Era Alya. «Ho sentito del disastro che c’è stato al cinema!» esordì agitata, manifestando tutta la propria preoccupazione per i suoi amici. «State bene, vero?!»
   «Sì, tutto si è risolto per il meglio, sta’ tranquilla», la rassicurò Marinette, dimenticando per un momento le proprie elucubrazioni mentali.
   «Ladybug e Chat Noir sono intervenuti subito?»
   «Veloci come un lampo.»
   «Dovevano trovarsi nelle immediate vicinanze, allora.»
   «Ehm…» Esitò, sbirciando in direzione di Adrien, che si era persino fermato e ora aspettava tranquillo che lei finisse di parlare. «Sì… credo di sì…» suppose Marinette, sempre più frastornata dalla consapevolezza di essere andata al cinema con Chat Noir. Diamine, era persino innamorata di lui! Abbassò lo sguardo, sentendosi morire dentro. «A-Alya, posso richiamarti più tardi?»
   «Oh, sei ancora con Adrien, giusto?» sembrò realizzare l’altra in quel momento. «Mi spiace che il vostro primo appuntamento sia stato un disastro… Sono certa che vi rifarete!»
   «Alya… per favore…»
   «Ricevuto! Ma domani raccontami tutti i dettagli! Anche dello scontro! A meno che non abbiate fatto delle riprese di Ladybug e Chat Noir! Perché le avete fatte, vero?»
   «Alya!»
   «Me lo dirai dopo, d’accordo! Un bacio!»
   Chiusa la chiamata, Marinette osservò il display del cellulare con aria rassegnata. «Mi chiedo perché la mia migliore amica sia una fangirl sfegatata.»
   Adrien rise, tornando a richiamare la sua attenzione. «Ti ha chiesto se eravamo riusciti a vedere i due eroi di Parigi?»
   «Se li avessimo filmati, per la precisione», rispose lei, lieta che, nonostante tutto, fosse ancora in grado di mettere insieme due parole in un discorso con il giovane che ancora la teneva per mano. «Adrien… senti…» Avrebbe voluto chiedergli se era vero, se per tutto quel tempo avevano sul serio condiviso tutte le emozioni, le paure e i sorrisi di Ladybug e Chat Noir senza saperlo. Quando però le sovvennero tutti i tentativi di approccio di lui nei suoi confronti, si bloccò; non solo perché il pensiero che Adrien si comportasse davvero in modo tanto sfacciato la stordiva non poco, ma anche e soprattutto perché lei lo aveva respinto ogni santa volta. Il solo ripensarci le faceva venir voglia di mangiarsi i gomiti.
   «Marinette?» la chiamò lui, riportandola di nuovo con i piedi per terra. «Cosa volevi dirmi?»
   Il rifiuto. Fu lì che la ragazza decise di rifugiarsi in attesa di schiarirsi a dovere le idee. «Visto che il nostro appunt… cioè… il nostro… ehm… incontro? Beh, quello che era…» iniziò a tartagliare, senza riuscire a trovare il coraggio di guardarlo negli occhi. «Insomma, mi chiedevo se non ti andasse di…» Tacque. Prese fiato. Continuò. «Rivederci.» C’era riuscita? Sì, sì, ce l’aveva fatta! Avrebbe dovuto festeggiare l’avvenimento, in qualche modo, magari scrivendo un’ode commemorativa.
   «Ne sarei felice», fu la risposta che ricevette e che le mandò il cuore in subbuglio. Trovò infine il coraggio di incrociare lo sguardo di Adrien, che la fissava con la sua innata gentilezza e tutto l’affetto che sentiva di provare per lei in quel momento.
   Fu solo quando tornò a casa, nel silenzio della sua camera, che Marinette realizzò un dettaglio tutt’altro che irrilevante: aveva sì chiesto un appuntamento ad Adrien, ma in quel modo non ne aveva chiesto uno anche a Chat Noir?
   «Credo che impazzirò prima di domani», uggiolò, raggomitolandosi sulla chaise longue, le mani a coprirle il viso rosso per l’imbarazzo.
   «Non è mica detto che le cose stiano così», cercò di farla ragionare Tikki, seduta sulla scrivania a sgranocchiare un biscotto per riprendersi dalle fatiche di quel pomeriggio. «E anche se fosse, che male ci sarebbe?»
   Nessuno, concluse Marinette, trovando finalmente una nuova, e più obiettiva, risposta a quella domanda. Sospirò, stendendosi supina, gli occhi al soffitto. «Mi chiedo se anche lui abbia capito.»
   «Ti ha dato l’idea di averlo fatto?»
   «No… non mi pare.» Rimaneva, però, lo sguardo che si erano scambiati qualche giorno prima, quando Alya e Nino avevano chiesto loro spiegazioni dopo averli visti in giro per le vie di Parigi. «Come dovrei comportarmi, secondo te?»
   «Segui il tuo cuore, come sempre.»
   «Se seguissi il mio cuore, correrei a casa sua e gli salterei addosso», commentò in tutta sincerità, facendo ridere la sua piccola amica. «La cosa divertente, però, è che non saprei se per baciarlo o prenderlo a ceffoni, viste tutte le spacconerie di Chat Noir», scherzò subito dopo, cercando di sdrammatizzare la situazione per farsi coraggio. «In ogni caso», aggiunse poi, mettendosi a sedere, «fino a che lui non mi darà la conferma di aver capito che io sono Ladybug, mi comporterò come se nulla fosse.» Per lo meno, avrebbe provato a farlo, benché non fosse poi troppo sicura di riuscirci. «Preferisco non rischiare. Senza contare che esiste sempre la remota possibilità che io mi stia sbagliando e che Adrien non sia Chat Noir.»
   «Vorresti che lo fosse?» si sentì chiedere da Tikki poco dopo.
   Quella domanda rimase sospesa nel vuoto per una manciata di secondi, prima che Marinette fosse in grado di rispondere un confuso: «Forse.»
   Di tutt’altro umore era invece Adrien che, riordinando i libri di scuola sul tavolino posto davanti al divano della sua camera, lanciò uno sguardo divertito al suo kwami, intento ad abbuffarsi di formaggio come suo solito. «Sarebbe pazzesco, non trovi?»
   «Non mi pare che la cosa ti sconvolga più di tanto», osservò Plagg, troppo preso dal suo brie per prestargli la dovuta attenzione, benché continuasse ad ascoltarlo e a rispondergli in modo appropriato.
   «Se devo essere sincero», prese a spiegare il giovane, tornando ad occuparsi delle sue cose, «un po’ lo fa, sì. Insomma… lo sai anche tu che Marinette è timidissima, anche se alle volte dimostra di avere una gran bella faccia tosta», ragionò fra sé, una piccola ruga fra le sopracciglia bionde a sottolineare la perplessità di quella riflessione.
   «È timida solo con te», gli rivelò il kwami, affondando ancora una volta le fauci nella morbida pasta del formaggio e producendo un suono simile a quello delle fusa.
   «In effetti non mi pare si sia mai messa a balbettare con gli altri…»
   «Indovina un po’ perché…»
   «Le faccio paura?»
   «Perché è logico chiedere un appuntamento a qualcuno che ti fa paura, certo.»
   Adrien ritenne piuttosto legittimo quell’appunto sarcastico, perciò non ribatté preferendo chiudersi in una silenziosa meditazione. Perché Marinette si mostrava timida solo con lui? Avrebbe potuto capire se lo avesse fatto con Chat Noir, vista l’epicità e il coraggio del suo alter ego, ma imbarazzarsi davanti ad Adrien…?
   «Plagg», chiamò all’improvviso, facendo quasi sobbalzare l’amico. «Pensi che Marinette sia una mia fan?»
   «Hai dello champagne?»
   «Eh?» balbettò Adrien, non capendo la ragione di quella domanda che non c’entrava assolutamente nulla con ciò che lui aveva chiesto.
   «Dobbiamo festeggiare l’inaspettato scatto evolutivo del tuo cervello», lo prese ancora in giro il kwami.
   «Cos…?»
   «Ma no, non direi propriamente che Marinette è una tua fan», cercò poi di venirgli incontro. Possibile che avesse uno Chat Noir tanto ottuso?
   «E allora perché, secondo t…»
   «È innamorata di te, sciocco.»
   Cadde il silenzio. Un lungo, interminabile attimo di silenzio, durante il quale nessuno dei due osò muovere muscolo né fiatare.
   Infine, Adrien si lasciò sfuggire una risatina nervosa. «Sei incorreggibile, Plagg. Possibile che non ti passi mai la voglia di scherzare?» Il kwami affondò di nuovo i piccoli denti aguzzi nel brie, soffocando così l’insulto che gli era salito alle labbra: quante altre volte, quella povera ragazza, avrebbe dovuto dirgli in faccia che era persa per lui, prima di farsi prendere sul serio?! Sì, perché fra un tartagliamento e l’altro lei si era dichiarata tante, tantissime volte e quello scemo neanche se n’era reso conto. «E poi di recente mi pare che le cose fra me e Marinette siano migliorate, no? Non balbetta più come prima. Non troppo, per lo meno.»
   «Ti ha chiesto un appuntamento», disse Plagg con la bocca piena, in un secondo, disperato tentativo di aprirgli gli occhi.
   «Sì, beh, gli amici se ne danno diversi.»
   «E non ti sei accorto di avere una cotta per lei.»
   Quell’affermazione fu seguita da un sonoro rumore e Adrien, con la punta delle orecchie rosse per l’imbarazzo, si piegò sulle ginocchia per raccogliere i libri che gli erano caduti dalle mani. «Dici cose senza senso», ribatté, questa volta quasi infastidito da ciò che gli era appena stato rinfacciato. Voleva bene a Marinette, gli piaceva un sacco e… sì, forse se lei fosse stata davvero Ladybug avrebbe potuto innamorarsene facilmente, viste le solide basi sulle quali si sarebbe sviluppato quel sentimento, ma…
   Arrestò i movimenti, fissando il vuoto davanti a sé. A chi voleva darla a bere? Lo realizzò solo in quel momento, ma Marinette gli piaceva. A prescindere dalla possibilità che fosse la sua compagna di battaglia contro i malvagi piani di Papillon. Altrimenti perché aveva accettato di uscire con lei una seconda volta? Da soli, oltretutto. Plagg aveva ragione e, giunti a quel punto, Adrien sperò che il suo kwami non si sbagliasse neanche riguardo al fatto che la ragazza fosse innamorata di lui. Quanto a Ladybug… i suoi sentimenti per lei erano ancora lì, forti e solidi, nonostante tutto. Aveva dunque iniziato a tenere i piedi in due scarpe? Da quando? Perché, a voler essere del tutto onesto con se stesso, Adrien doveva riconoscere che la sua cotta per Marinette risaliva a molto prima che lui venisse colto dal sospetto che fosse lei a nascondersi dietro la maschera di Ladybug.
   Scivolò a sedere sul pavimento della propria camera, il gomito sul ginocchio tirato al petto e la mano fra i capelli in un gesto che esprimeva tutta la sua confusione. «Plagg… vorrei davvero che fossero la stessa persona.»

«Come sarebbe a dire che non avete fatto neanche una foto?!» sbottò Alya quando, nei pressi degli armadietti, Marinette l’aggiornò sullo scontro avvenuto il pomeriggio precedente.
   «Sai com’è… eravamo troppo impegnati a scappare», le fece presente lei. In tutta onestà, se non avesse avuto il miraculous della Coccinella, col cavolo che avrebbe seguito le battaglie con lo stesso entusiasmo mostrato dalla sua migliore amica. «Adrien è stato quasi strangolato e poi tramortito, mentre io sono stata catturata dal mostro e…»
   «Cos’è successo?» volle sapere Alya, questa volta mostrando preoccupazione e dispiacere alle parole della ragazza.
   «Chat Noir mi ha salvata», continuò quindi Marinette, ricordando ancora lo sguardo e il tono della voce dell’eroe, tesi e seri come mai le era capitato di notare prima di allora.
   «Meno male che c’era lui», le sorrise l’altra, sperando che il suo buonumore potesse aiutare l’amica ad abbandonare quell’espressione pensierosa che rabbuiava in parte i tratti graziosi del suo viso.
   Quella stese le labbra verso l’alto. «Sono stata molto fortunata ad averlo avuto lì vicino.»
   «E, dimmi, com’è che hanno catturato l’akuma, stavolta?» tornò quindi alla carica Alya, mentre altri loro compagni di classe si avvicinavano ad ascoltare il racconto, compreso Adrien, che però rimase più indietro. «È vero che è stato Chat Noir a trovarla?»
   Marinette si strinse nelle spalle, poiché in effetti non aveva visto quanto aveva fatto il suo collega – né lei aveva avuto il tempo di chiederglielo. «Ho preferito nascondermi da qualche parte, piuttosto che rimanere a guardare.»
   «Sei una grandissima fifona», la prese in giro Alya, portandosi le mani sulle anche. «Ma preferisco sapervi sani e salvi, piuttosto che all’ospedale.»
   «Impossibile che accadesse», si intromise Adrien, facendosi avanti per avvicinarsi al proprio armadietto. «Se anche fossimo rimasti feriti seriamente, Ladybug avrebbe sistemato tutto come al solito.»
   «Ma non è successo nulla di grave, perché Chat Noir è intervenuto giusto in tempo», aggiunse subito Marinette, decisa a non prendersi alcun merito di quella battaglia.
   Il giovane si volse per lanciarle uno sguardo da sopra la spalla, che lei ricambiò coraggiosamente fino a che la voce esagitata di Chloé non irruppe nel gruppo. «Che diavolo ci facevate voi due insieme?!» pretese di sapere, fronteggiando con rabbia la sua eterna rivale.
   Bella domanda. Cos’avrebbero potuto rispondere? Che avevano un appuntamento? Non sarebbe stata la verità. Inoltre un’affermazione del genere avrebbe sollevato un bel polverone in classe, fra pettegolezzi e battutine varie da parte di tutti gli altri.
   «Dovevamo andare al cinema insieme», intervenne Alya, assumendosi tutta la responsabilità della cosa. «Solo che all’ultimo momento sia io che Nino siamo rimasti bloccati a casa.»
   «Ma che strana coincidenza…» notò Chloé, intrecciando le braccia sotto ai seni con l’aria di non essersela bevuta affatto.
   «Vero?» convenne l’altra, sorniona. Marinette ruotò le iridi azzurre verso l’alto, preferendo non immischiarsi; quando però il suo sguardo tornò su Adrien e notò che la stava fissando con un certo divertimento negli occhi, sorrise a sua volta sia pur con malcelato imbarazzo.
   Mancava poco al suono della campanella, perciò tutti insieme si avviarono verso l’aula, riprendendo le solite chiacchiere che li accompagnavano ogni mattina, prima dell’inizio delle lezioni. Affiancata dalla fida Sabrina, Chloé rimase dov’era, invece, seguendo con fronte accigliata la figura di Adrien che si portava accanto a Marinette e scambiava con lei una battuta di spirito, facendola ridacchiare. «Non mi piace la piega che sta prendendo questa loro malsana amicizia», borbottò fra sé.
   Sabrina la guardò, domandandosi se lei si fosse mai resa conto del fatto che quella fra i due non poteva più chiamarsi soltanto in quel modo, visto che Adrien sembrava avere una predilezione neanche troppo velata per Marinette. Se Chloé fosse stata meno presa da se stessa, lo avrebbe realizzato da sola, ma così…
   Gli occhi chiari di lei saettarono nella sua direzione, facendola sobbalzare. «Che hai da guardare?»
   «N-Niente!» rispose d’istinto Sabrina, mettendosi sulla difensiva e agitando le mani davanti a sé. Non sarebbe certo stata lei a dirle come stavano le cose, soprattutto perché, conoscendo il suo carattere permaloso, sarebbe stato su di lei che la figlia del sindaco avrebbe scaricato tutta la propria frustrazione.
   «Allora sbrigati, la campanella sta per suonare», sbraitò Chloé, avviandosi verso l’aula con passo nervoso. «E non dimenticare i miei libri!»

I giorni passarono senza grosse novità. Fra i numerosi impegni di Adrien, che in quel periodo sembravano improvvisamente aumentati, e il lavoro da babysitter di Marinette, i due ragazzi non furono in grado di concordare un giorno per il loro appuntamento. Solevano definirlo così fra sé e sé, benché non ne facessero parola con l’altro, e l’attesa non faceva che accrescere il desiderio nascosto in fondo al loro cuore. Le sole opportunità che avevano di vedersi erano quelle concesse dalle lezioni scolastiche. Durante quegli incontri, però, pur rivolgendosi più sguardi e sorrisi del consueto, e rimanendo fedeli a se stessi, nessuno dei due diede mai prova di conoscere il segreto dell’altro: era il loro tacito modo di dimostrare tutta l’incrollabile lealtà che li univa sin dal principio.
   Fu dunque con una certa eccitazione che accolsero la notizia di un incidente nei pressi di Notre Dame, dove sembrava infatti che qualcosa fosse saltato per aria, provocando una grossa esplosione. Quando però i due eroi giunsero sul posto, persero ogni voglia di scherzare e, soprattutto, di essere lì: la deflagrazione non era avvenuta vicino Notre Dame, ma allo Shoah Memorial, dove si stavano riversando in gran numero le forze dell’ordine. La cosa peggiore fra tutte fu che non sembrava affatto opera di un akumizzato, quanto un atto terroristico fine a se stesso; se opera di dissidenti politici o religiosi, lì per lì nessuno seppe dirlo. L’unica certezza era che c’erano state diverse vittime e che niente, nemmeno il miraculous della Coccinella, avrebbe potuto fare qualcosa per rimettere a posto le cose. Non stavolta.
   Pur col cuore in gola e l’ansia per quanto stava accadendo attorno a loro, Chat Noir e Ladybug si diedero da fare per aiutare chiunque ne avesse bisogno, a cominciare da chi era rimasto intrappolato fra le macerie. Quando però l’eroina di Parigi si trovò davanti il primo corpo martoriato e senza vita, tutto il suo coraggio parve venir meno e lei s’immobilizzò fra gli altri soccorritori, che invece continuavano a scavare senza sosta. Fu a quel punto che Marinette si rese conto di avere soltanto quattordici anni, e che, a dispetto dei superpoteri e della superforza, quelle scene così diverse dalla realtà a cui era abituata mentre saltava da un tetto all’altro della città, la schiacciarono fino a mozzarle il fiato.
   Due braccia calde e protettive l’avvolsero, e lei nascose il viso contro la spalla di Chat Noir, che non l’aveva persa d’occhio per un solo istante. Rimasero chiusi in quell’abbraccio per diversi minuti, senza dire una sola parola. Poi, quando il respiro della ragazza tornò a farsi regolare e le lacrime smisero di scendere sul suo viso pallido e sporco di fuliggine, si scambiarono uno sguardo profondo quanto il mondo e tornarono da chiunque in quel momento stava aspettando il loro aiuto o anche solo un loro sorriso.
   «A cosa servono, questi poteri, se non possiamo evitare che accadano certe tragedie?» La voce di Ladybug era cupa e rotta dal pianto represso. Era ormai l’alba e i soccorritori avevano lavorato per tutta la notte, sgombrando la zona da ciò che era andato distrutto – o ucciso. I due salvatori di Parigi erano rimasti lì fino a che era stato necessario, ingoiando tutta la sofferenza che i loro occhi e le loro orecchie erano stati capaci di catturare, loro malgrado. E ora, con le membra doloranti e il cuore in pezzi, si erano rifugiati insieme fra i gargoyles di Notre Dame, che con il loro tetro aspetto sembravano riflettere l’umore di entrambi.
   «Credi che sia per cose del genere che Papillon cerca di mettere le mani sui nostri miraculous?» rifletté atono Chat Noir, ricordando le spiegazioni del maestro Fu circa le reali, straordinarie e pericolose capacità dei loro poteri.
   «Non lo so, ma…»
   La voce di Ladybug venne meno e lui completò la frase al suo posto. «…all’improvviso non ci sembra più tanto pazzo, eh?»
   «Non ho detto questo», ribatté la ragazza dopo un attimo, accucciandosi sui talloni. «Continuo a condannare il suo malsano desiderio di impossessarsi di un potere tanto grande.»
   «Forse vuole riportare indietro qualcuno», mormorò quasi fra sé il giovane, provando un’insopportabile sensazione di empatia verso il loro nemico. Davanti ai suoi occhi stanchi comparve come un fantasma il viso gentile di sua madre e lui serrò le palpebre per scacciarlo dalla mente.
   «Se lo facesse… forse qualcun altro perderebbe la vita al posto suo.»
   «Lo so.»
   «Sarebbe orribile.»
   «Lo so.»
   Rimasero in silenzio per alcuni istanti. Poi Ladybug riprese, pur con un filo di voce: «Chat Noir?» Lui si volse a guardarla e realizzò che era di nuovo sul punto di scoppiare in lacrime. «Scusami se sono crollata, prima.»
   Le sorrise con tenera comprensione, si inginocchiò e mosse una mano verso di lei, sfiorandole il viso con il dorso delle dita. «Se anche dovesse succedere di nuovo, mi troverai sempre al tuo fianco.»
   Marinette non disse più nulla, ma si avvicinò ad Adrien, che scivolò a sedere e l’accolse in grembo. Si chiusero così in un silenzioso abbraccio, crogiolandosi in quel calore e nell’amore che provavano l’uno per l’altra, l’unica cosa capace di combattere lo strazio vissuto nelle ultime ore.

«Grazie per avermi coperta con i miei genitori», disse la ragazza non appena salirono in camera sua.
   «Di nulla», rispose la sua amica, sedendo insieme a lei sulla chaise longue e osservandola quasi con timore.
   Quando era esplosa la bomba, si trovavano insieme a casa di Alya. Quest’ultima era quindi scappata in strada con l’intento di documentare ogni cosa, soprattutto perché credevano che si trattasse di un incidente provocato da una delle vittime di Papillon e che quindi Ladybug e Chat Noir avrebbero fatto la loro comparsa di lì a poco. Cosa che in effetti era avvenuta, ma in uno scenario ben più tragico di quanto tutti si erano aspettati. Trovando l’intera zona bloccata, Alya aveva preferito fare marcia indietro; stava ancora osservando il display del proprio cellulare quando Marinette l’aveva chiamata. «Ho bisogno di un favore», le aveva detto col cuore in gola. «Se i miei dovessero interpellarti, rispondi che sono rimasta a dormire da te, stanotte. Non farmi domande, te ne supplico. Non stavolta. È importante.» E senza darle tempo di rispondere, aveva riattaccato.
   Alya si era chiesta e richiesta perché mai Marinette avesse dovuto inventarsi una scusa del genere. Si era forse cacciata in qualche guaio? Parlandone con Nino, era venuto fuori che anche lui aveva ricevuto una telefonata simile da parte di Adrien. A quel punto, non era stato più tanto difficile capire quale fosse il segreto di entrambi.
   «Marinette…» Lei alzò lo sguardo stanco sull’amica, in attesa di sapere cosa volesse dirle. «Lo so che mi hai detto di non farti domande, ma devo chiedertelo.» Marinette trattenne il fiato. Era giunto il momento di essere smascherata anche da Alya? «Tu e Adrien avete una tresca, vero?»
   «Cos…?!» esclamò con voce stridula, gli occhi sgranati e il volto paonazzo. «No!» gracchiò, cercando di contenere l’imbarazzo comportato da quella domanda.
   «E allora perché ieri sera avete dormito entrambi fuori casa, chiedendo a me e Nino di coprirvi?!» volle sapere Alya, sentendosi presa in giro.
   Marinette si portò le mani davanti al volto, respirando a fondo. Ecco l’ennesima prova che Adrien era Chat Noir, pensò fra sé, trovando ora conforto in quell’idea. Non che avesse bisogno di ulteriori conferme, in effetti, non dopo la dolcezza con cui il suo collega l’aveva trattata non più tardi di una decina di ore prima. «È… più complicato, di così», fu l’unica cosa che si sentì in grado di dire.
   Cogliendo tutta la stanchezza nell’aspetto, nei gesti e nel tono di voce dell’amica, Alya desistette: se Marinette non le diceva la verità, era semplicemente perché non poteva. Lei e Adrien avevano un segreto in comune e lei, fidandosi di entrambi, decise di rispettare quel loro silenzio. «Va bene», disse allora, sorridendo con comprensione. «Però sappi che sarò sempre pronta ad ascoltarti, semmai volessi parlarne. E ti aiuterò ancora, se ne avrai bisogno.» Marinette alzò su di lei due occhi pieni di commossa gratitudine. «Non farmene pentire, però», aggiunse Alya a mo’ di scherzo, risollevandole finalmente l’umore.
   «Sei la migliore amica del mondo», le assicurò l’altra, sporgendosi per abbracciarla.
   «Lo so, lo so», convenne lei, ricambiando il gesto con affetto. Il suo sguardo catturò una stoffa rosa fragola in un angolo della scrivania. «Stavi lavorando a qualcosa?» le venne spontaneo chiedere, sciogliendo l’abbraccio e facendo cenno verso la macchina da cucire.
   «Ah», sorrise Marinette, stropicciandosi un occhio. «È per Manon. Tra poco sarà il suo compleanno e le ho promesso un vestito da principessa in regalo. È basato su un suo disegno.»
   «Che cosa carina, da parte tua», commentò Alya, non aspettandosi niente di meno da lei. E quando le venne passata l’opera d’arte che la bambina aveva lasciato lì un paio di settimane prima, sorrise alla vista degli occhiali da sole a forma di cuore: erano uguali a quelli che aveva visto sul naso di Marinette quel giorno, quando lei e Nino l’avevano sorpresa in giro con Adrien. E poco importava che i due continuassero a negare la cosa; alla luce delle loro più recenti e conclamate menzogne, era chiaro che fossero davvero loro la coppietta che passeggiava in Rue Azais. Ciò nonostante, Alya non riprese il discorso, mantenendo la parola appena data alla sua amica del cuore.

«Pont de l'Archevêché. Domani al tramonto.» Ladybug si volse a guardarlo come se avesse parlato una lingua aliena. «È un posto romantico, non trovi anche tu, buginette
   «Ti ho detto mille volte di non chiamarmi in quel modo…»
   «Mi fa piacere sapere che è questa l’unica protesta che muovi al mio invito», sorrise contento Chat Noir. Lei sospirò rassegnata, poggiando il mento sui palmi delle mani, i gomiti sulle ginocchia e lo sguardo annoiato fisso sul Jardin des Tuileries, dove qualcuno aveva lanciato un allarme akuma circa un’ora prima. I due eroi se ne stavano appollaiati sul tetto della Galleria Nazionale dello Jeu de Paume già da un pezzo, ma non avevano visto né sentito nulla di anomalo, tanto da iniziare a sospettare che si trattasse di uno scherzo o, peggio ancora, di un inutile allarme dovuto alla paura che il terribile incidente di due giorni prima aveva instillato nell’animo della gente comune. «Ti aspetterò con ansia», continuò Chat Noir, cercando di attirare in qualche modo l’attenzione della sua partner.
   «Perché dovrei accettare?» fu la legittima domanda che gli venne rivolta a quel punto.
   «Perché mi devi dei grattini dietro alle orecchie, ricordi?»
   «È vero», rise Ladybug, scoccandogli uno sguardo divertito. Adrien era adorabile, eppure quando assumeva le sembianze di Chat Noir era capace di diventare un’autentica peste. Era principalmente questa la ragione per cui le riusciva facile rapportarsi con lui quando si trovavano a calarsi nei panni dei protettori di Parigi. «Ma domani non posso.»
   «Speravo fossi libera», mormorò lui, rattristandosi di colpo.
   «Speravo di vedere un’altra persona», gli rivelò lei, tornando a prestare attenzione all’ambiente circostante e sperando che lui cogliesse il riferimento a se stesso.
   Adrien aggrottò la fronte. «Un’amica?»
   «Un amico.»
   «Ah», si lasciò scappare, come se fosse stato schiaffeggiato all’improvviso. «E mi tradisci così?»
   L’altra gli lanciò un’occhiata stranita. «Tradirti
   «Non puoi negare che ci sia qualcosa fra noi, buginette», insistette lui, recuperando la propria spavalderia. «Non dopo i nostri baci appassionati.»
   Marinette arrossì di colpo. «Non rinfacciarmi certe cose!» borbottò imbarazzata. «E comunque il primo neanche te lo ricordi.»
   «Il secondo sì, però.»
   «Non era appassionato.»
   «Lo sarebbe stato se non me lo avessi praticamente estorto.»
   Urlò esasperata, portandosi le mani fra i capelli. «Non potevo avere un collega meno fastidioso?!» La risata di Chat Noir la contagiò, ma non poté fare a meno di domandarsi come diamine facesse, quel disgraziato, a cambiare atteggiamento soltanto grazie ad uno stupido pezzo di stoffa sul volto. «Per che ora?» si arrese a domandare.
   «Al tramonto, te l’ho detto.»
   «È molto vago, così.»
   «Vorrà dire che ti aspetterò lì sin dalle sei.»
   «Allora magari prima riuscirò a vedere il mio amico», lo provocò per ripicca.
   «Che tipo è?»
   «Che ti importa?»
   «Ho bisogno di conoscere il mio rivale in amore, non trovi?»
   «Non è un tuo rivale.»
   «No?»
   «No.»
   «Perché non ti interessa in quel senso?»
   «Perché tu non mi interessi in quel senso.»
   «Questo è un colpo basso», protestò Chat Noir, avvertendo un improvviso nodo alla bocca dello stomaco e perdendo la voglia di scherzare.
   Accortasi della sua espressione rabbuiata e notando le sue orecchie a punta rivolte verso il basso, Ladybug alzò il braccio e affondò la punta delle dita fra i suoi capelli biondi, proprio dietro uno di quei triangolini neri, iniziando a solleticarlo con tenerezza. Bastò poco e il silenzio sceso fra loro fu colmato da un verso basso e rilassante, che nulla aveva di umano e che ricordava in tutto e per tutto le fusa di un felino. Vide Chat Noir arrossire e agitarsi per l’imbarazzo, rimanendo tuttavia alla sua mercé. La ragazza ridacchiò e gli si fece più vicina. «Anche il Jardin des Tuileries, volendo, può diventare un posto romantico», gli fece sapere con voce sommessa, quasi avesse timore di esprimere quel pensiero a voce alta.
   Adrien sollevò le iridi chiare su di lei. Era un invito ad approfondire quel contatto? Furono i grandi occhi azzurri di lei, che ora lo fissavano con amore, a dargli il coraggio di muovere il capo nella sua direzione. Le frange dei loro capelli si intrecciarono, la punta dei loro nasi si sfiorò, ma come sempre lui non si azzardò ad invadere oltre lo spazio vitale di Marinette. Poteva davvero farlo? Ammaliata dal suo richiamo chimico e dal pensiero che sotto quella maschera potesse davvero nascondersi l’amato, fu lei a decidere per entrambi, schiudendo le labbra e posandole morbidamente sulle sue. Adrien abbassò le palpebre e si godette quel meraviglioso momento, non riuscendo quasi a credere che finalmente stesse accadendo in modo del tutto naturale e senza alcun tipo di sotterfugio o costrizione di sorta.
   Durò appena una manciata di attimi, che a loro parvero infiniti, e quando il bacio si sciolse, Marinette si sentì stordita dalle intense sensazioni provate e dal forte batticuore che le pulsava fin dentro le orecchie. Non appena i loro occhi si incrociarono di nuovo, però, la ragazza tornò del tutto in sé e s’irrigidì senza che potesse evitarlo. Aveva davvero baciato Adrien? E se invece quello accanto a lei era solo e semplicemente Chat Noir? Quel pensiero improvviso la mise in allarme: rimaneva pur sempre la possibilità, seppur remota, che i suoi amici fossero due persone ben distinte e questo le causò un comprensibile senso di colpa. Se nei confronti di Chat Noir, per averlo baciato pensando ad un altro, o se in quelli di Adrien, per aver baciato un altro pur pensando a lui, Marinette davvero non avrebbe saputo dirlo.
   «Ma…»
   Prima che lui avesse la possibilità di continuare, Ladybug scattò in piedi. «Devo andare», disse lapidaria, non riuscendo a reggere più la tensione. Chat Noir stava per pronunciare il suo vero nome? O forse stava soltanto per chiamarla my lady, come al solito? Non volle saperlo, non in quel momento: benché necessitasse di certezze al riguardo, aveva anche e soprattutto un disperato bisogno di rimanere da sola.
   «Aspetta!» esclamò il giovane, alzandosi dritto sulle gambe con l’intento di fermarla.
   «Non seguirmi, per favore», lo implorò lei un attimo prima di fuggire via senza voltarsi indietro.
   Adrien rimase ad osservarla mentre scompariva alla sua vista, un peso non indifferente all’altezza del cuore che ora andava a sovrastare il meraviglioso calore provato appena pochi attimi prima, quando avevano condiviso quel momento di tenerezza e d’amore. Perché Marinette era fuggita in quel modo? Ripensando alla loro conversazione, fu colto dall’improvviso, terribile dubbio che lei non fosse Ladybug. Non avrebbe parlato di lui e di quel suo fantomatico amico come di due entità differenti, in caso contrario. Di più, questo gli faceva temere sul serio che la sua amata buginette frequentasse anche qualcun altro, tenendo così il piede in due scarpe. Sarebbe stato orribile!
   Un istante dopo si lasciò cadere di nuovo seduto sul tetto dell’edificio, dandosi dell’ipocrita: aveva ben poco da rimproverarle, visto che lui per primo si sentiva confuso e diviso fra lei e Marinette. Se solo avesse avuto la certezza che quelle due erano la stessa persona! Sarebbe stato tutto più semplice e, soprattutto, lui non si sarebbe sentito così orribilmente in colpa. Era dura digerire l’eventualità di non essere poi così integro e fedele come aveva sempre pensato; lui, da sempre leale all’idea dell’amore vero, puro e incondizionato. E ora? Era lì, come uno stupido, ad amare due ragazze contemporaneamente.

Nelle sue intenzioni, avrebbe davvero voluto chiedere ad Adrien di uscire con lei il pomeriggio successivo, ma dopo quanto successo quella sera Marinette si sentiva talmente sporca da non riuscire neanche più a pensare in modo lucido. E a niente valevano le parole di Tikki, che le stava consigliando di inviargli comunque un messaggio. «Per dirgli cosa?» protestò la ragazza, sull’orlo delle lacrime, nascondendosi sotto alle coperte nel buio della propria camera. «Che ho baciato qualcun altro prima ancora di avere la possibilità di iniziare qualcosa con lui?»
   «Non ti eri convinta che lui fosse Chat Noir, dopo aver parlato ieri con Alya?»
   «E se così non fosse?!»
   Il kwami non poté ribattere a quella domanda. Sapeva chi si celava dietro la maschera dell’altro eroe di Parigi e le piangeva il cuore a veder soffrire inutilmente la sua amica; ma non poteva rivelarle la verità, poiché il suo ruolo glielo impediva categoricamente. «Marinette…» la chiamò con dolcezza, infilandosi sotto le coperte con lei e strofinando il visetto contro la sua guancia. «Comunque stiano le cose, sono sicura che tutto si risolverà per il meglio.»
   Lei tirò su col naso, confortata dal calore di quella piccola, adorabile creatura, diventata per lei un sostegno prezioso in qualunque situazione. «Grazie, Tikki… anche se… ora come ora… non so davvero in che modo potrebbe accadere…» mormorò, affranta. «Non posso neanche affrontare di petto Adrien e chiedergli se è Chat Noir, perché se non lo fosse finirei soltanto per esporre inutilmente la mia vera identità… cioè, quella di Ladybug… e… potrebbe diventare rischioso soprattutto per lui.» E metterlo in pericolo era l’ultima cosa che voleva. Amava profondamente Adrien. E questo, unito alla consapevolezza di aver provato quelle travolgenti sensazioni baciando Chat Noir, la straziava non poco. Dov’era finita la sua integrità morale? Come poteva asserire di amare davvero una persona e poi rivolgere la propria attenzione verso qualcun altro?












Mi ero ripromessa di aggiornare una volta a settimana, ma dal momento che ho finito anche il decimo capitolo e che non so quando potrò postare ancora, intanto mi porto avanti con il lavoro. Ad ogni modo, confermo: i capitoli dovrebbero essere dodici. E intanto mi sale l'ansia di cimentarmi con il finale. Sigh.
Tornando a noi, come avrete notato, la svolta si è verificata qui. Una doppia svolta, in effetti, perché se da un lato la storia ha abbandonato i toni più leggeri per intraprendere tematiche più serie, dall'altra si è fatta più... romantica? Diciamo così, va'. Ma credo fosse naturale che - avvinta dalla stanchezza, dai momenti difficili vissuti con lui e dalla (quasi) certezza che sotto quella maschera ci sia Adrien - Marinette si sia abbandonata ad un bacio con Chat Noir. Ovviamente noi sappiamo che non è stato un errore, però lei non riesce a ragionare con lucidità a causa di tutto quello che è successo e dei dubbi che ancora ha riguardo all'identità del suo collega.
Al momento ho evitato di descrivere scene troppo crude, perciò forse è stato esagerato da parte mia mettere il bollino arancione a questa fanfiction, tuttavia anche in questo caso, come per l'avviso di OOC, ho preferito mettere le mani avanti (dopotutto devo ancora scrivere gli ultimi due capitoli e non so fino a che punto potrò arrivare con certe descrizioni). Datemi il vostro parere in proposito, se vi va, e anche riguardo a tutta la situazione sentimentale che ha fatto diversi passi avanti in questo capitolo che ha sorpreso me per prima nel momento esatto in cui l'ho scritto. Sappiate che il prossimo sarà più tranquillo e che, come già detto in risposta ad una recensione, è uno dei miei preferiti.
E anche per questa volta è tutto, ma prima di passare ai saluti ne approfitto per ringraziare tutti voi che state continuando a leggere, chi recensisce e chi inserisce questa storia fra le preferite/ricordate/seguite. Sappiate che mi riempite di gioia. ♥
Buona serata!
Shainareth





  
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