«Lasciami
spiegare, Ammë!»
«Lau,
gweriadir!» la robusta coda nera e bluastra le si
abbatté violenta
sulla schiena, il rumore delle ossa rotte che echeggiava sordo.
«La tua lingua
ha già sibilato abbastanza menzogne per i miei gusti,
yeldë, ogni tua ulteriore
parola serve solo a confermare ciò di cui sei accusata:
gweriad. Tradimento». Le
gettò vicino un fiore sgualcito, una rosa secca che ben poco
conservava dei
propri petali multicolore «Manke nae lle? Dove lo hai
preso?»
“Phantasia”
avrebbe dovuto rispondere la naga dalle squame color smeraldo,
ma tacque: non aveva il permesso di uscire da Quetzalli, nessuna
Ophidians lo
aveva.
E lo aveva fatto
comunque.
Fin dal primo istante
in cui il suo sinuoso corpo era strisciato fuori dai
confini del luogo in cui era nata, Myricae era stata consapevole che
né la sua
Ammë né la sua Amìl -il nome con il
quale la sua gente identificava le due madri
di ogni Ophidian, rispettivamente quella che aveva dato il proprio seme
e colei
che invece aveva ospitato nel proprio ventre il frutto della loro
unione-
avrebbero approvato, ma il richiamo della curiosità era
stato troppo forte:
c’era così tanto da esplorare fuori dalle mura
boschive di quel regno, c’era un
intero mondo che aspettava solo lei per schiudersi dinanzi al suo
sguardo
emozionato!
Era sembrata una
bambina, la prima volta in cui aveva osservato le
bellezze fuori da casa sua, una bambina con gli occhi spalancati di chi
scopre
la freschezza dell’erba morbida anziché le fredde
pietra che levigano le squame,
i colori di un tramonto diverso da quelli visibili fra gli immensi
vulcani che
circondavano Quetzalli, anche solo il vedere un fiore prima sconosciuto
l’aveva
fatta squittire dalla gioia!
L’aveva
colta, quella rosa dai vividi colori incredibilmente simili a quelli
di un arcobaleno, per poi conservarla gelosamente nella sua stanza come
un
ricordo indelebile di quell’esperienza, un monito a
promettersi “tornerò”.
Ma una delle sue
madri, la sua Ammë, l’aveva trovata: le aveva
affibbiato
la definizione di gweriadir, “traditrice”, e aveva
tutta l’intenzione di giustiziarla
sulla pubblica piazza.
Precisamente come si
stava accingendo a fare ora.
Si sentì
sollevare per il collo, gli artigli che lo stringevano come se
potessero spezzarlo da un momento all’altro. E potevano farlo
eccome.
«Parla,
yeldë!» le gridò, un’altra
frustata le arrivò dritta alla nuca, il
sangue che colava dalla sua chioma serpentina che si contorceva
agonizzante. «Fallo
prima che estorca la confessione direttamente dal tuo petto insieme al
tuo cuore
da gweriadir! Confessa, oppure-»
Myricae si svegliò di
colpo.
Alzò di scatto la testa
dal letto guardandosi intorno
sospettosa, i muscoli che già fremevano e una mano
sull’elsa della spada
poggiata al muro: era stato solo un sogno, per fortuna.
O meglio, un brutto ricordo, ma lo
scacciò subito
dalla mente.
Erano già due giorni che
vegliava la Regina di
Phantasia in quel suo stato simil comatoso, si era ripromessa che non
avrebbe
chiuso occhio nemmeno un istante, ma -complici le medicazioni e gli
intrugli
per curare la sua ferita, oltre che la stanchezza dopo il feroce
confronto con
Phobos- alla fine la sonnolenza aveva avuto la meglio, e
l’Ophidian si era
lasciata dolcemente cullare dalle braccia di Morfeo.
Non aveva idea di quanto avesse
dormito, forse qualche
decina di minuti o qualche ora o addirittura un giorno intero, ma una
certezza
l’aveva eccome: mai si sarebbe perdonata se fosse accaduto
qualcosa ad Harmonia
mentre lei era impegnata a sonnecchiare. Mai.
Il suo nome le era
risuonò nella mente: Harmonia.
Era stata talmente presa dal suo
brusco risveglio dopo
quell’incubo da non aver fatto caso al vuoto che aveva
improvvisamente sentito
sotto di sé, quando si era svegliata, rendendosi conto solo
adesso che non
c’erano più le gambe della compagna a sostenerle
il suo corpo stanco e
dormiente. Presa dal panico, si rizzò sulla coda
già pronta ad affrontare il
peggio, ma per sua fortuna Myricae venne presto rassicurata: gettando
distrattamente lo sguardo verso la finestra, al limite del suo campo
visivo
apparve anche l’altra donna, seduta ai bordi del letto con
quella sua cascata
di capelli multicolore abbandonata sulle coperte disfate, la magia che
fluiva
lentamente davanti a sé in una nebbia rosata.
Avvicinandosi cauta alle sue
spalle, Myricae iniziò a
distinguere un mormorio incomprensibile provenire dalle sue labbra
color pesca appena
dischiuse, movimenti lenti che accompagnavano ritmicamente il suono
appena
accennato dello stesso carillon che -due giorni prima- lei stessa aveva
azionato.
«“Hey there
little Sunshine, how do you do?”» canticchiò piano la
regina, quasi sussurrando.
Inizialmente l’altra
pensò che stesse parlando con lei,
del resto quella le era sembrata una domanda, ma vedendo come
quell’impercettibile nebbiolina si stesse aggregando in vere
e proprie forme
decise di tacere e stare ad assistere.
Avrebbe potuto semplicemente
avvicinarsi alla sua
donna, abbracciarla e felicitarsi con lei perché finalmente
si era ripresa, ma
dentro di sé Myricae sentì qualcosa che gli
diceva di dover osservare e
nient’altro: non doveva avvicinarsi, non doveva toccarla, non
doveva nemmeno
consolarla, semplicemente il suo compito era limitarsi a guardare e
ascoltare
in silenzio.
E decise di seguire
quell’istinto.
«“There’s
a great kingdom, waiting for you”» continuò
la sovrana alzando una mano.
La magia prese prima le sembianze
di una sfera, poi i
contorni che pian piano andarono delineandosi disegnando pianure e
montagne e
mari e quant’altro: quella palla somigliava ad un pianeta,
adesso, un pianeta rigoglioso
e fertile popolato da una miriade di punti luminosi.
«“as
you lay your tiny head, dream of the world”».
Tre di quei puntini presero forma,
tre figure dalle
fattezze umane che emersero dalla nebbia ora dorata. Myricae si
avvicinò per
guardare meglio, notando come la parte inferiore dei loro corpi non
fosse poi
tanto umana, ma piuttosto equina come la sua regina; erano una coppia,
forse
marito e moglie, e tenevano un fagotto fra le mani, probabilmente il
loro
neonato.
«“they’re
gonna love you”».
Altre figure -tante, troppe, per i
suoi modesti gusti
già sufficientemente confusi- presero forma, seppure in modo
meno definito di
quelle precedenti, ed erano tutte intorno a quella coppia, occupate ad
osservare quel piccolo corno dorato che spuntava dalle coperte.
«“their
sun
will return”».
Un flash bianco acceso
riempì la stanza, costringendo
l’Ophidian a coprirsi gli occhi con le mani per non rimanere
accecata.
Quando li riaprì, le
sembrò quasi di trovarsi da
tutt’altra parte: era consapevole che fosse tutta opera della
sovrana della
fantasia, ma la sua magia riusciva a rendere il paesaggio intorno ad
entrambe
così realistico che -per qualche istante- la naga aveva
creduto veramente che si fossero
teletrasportate
chissà dove.
Myricae trasalì.
Un pizzicore alla coda la fece
girare, gelandole il
sangue nelle vene come poche volte prima era accaduto in vita sua. Se
prima
quelli erano solo ammassi di nebbia, ora poteva chiaramente distinguere
come i
contorni delle stesse si fossero fatti incredibilmente nitidi e solidi,
scolpendo decine e decine, forse centinaia, volti di uomini e donne,
bambini e adulti,
comuni persone insomma. Tranne che per un piccolo dettaglio: il corno
sulla
loro fronte.
“Starequus”,
pensò la naga, sentendo lo stomaco farsi
piccolo piccolo.
Allungò una mano per
toccare una di quelle sagome
umanoidi, passandole attraverso: illusioni, ologrammi, forse ricordi;
qualsiasi
cosa fossero, però, di una cosa la serpentessa era
assolutamente certa: non
erano reali. Non più, almeno.
«“Though
the shadows may close in, you will stay
strong”».
Appena la regina
pronunciò quelle parole, nella stanza
tutto si fece più cupo, persino il Sole fuori dalla finestra
sembrò aver deciso
di nascondersi fra le nubi di fretta e furia.
Non si trattava certo di una
novità che Phantasia
reagisse allo stato d’animo di Harmonia, del resto era sempre
stata lei ad
averla creata, ma un brivido scosse la naga appena alzò la
testa; un’ombra
scura incombeva sulle loro teste, un’enorme nube di pura
oscurità che andava
avvolgendo il paesaggio facendolo morire al solo tocco. Quei tentacoli
neri parevano
risucchiare l’energia vitale da qualsiasi cosa capitasse loro
a tiro: dalle
piante ora secche, dal suolo ora arido, dalle persone ora ridotte a
scheletri
pietrificati nella posizione in cui stavano scappando
dall’Apocalisse.
Le sembrò di distinguere
due figure che ancora si
muovevano, in mezzo a quell’inferno, ma non ebbe il tempo di
metterle a fuoco
per bene.
«“your
little spark of love will cast out the dark”».
Si era fatto tutto cupo,
sì, ma solo per rischiararsi
poco dopo.
Un’esplosione di luce
divorò il macabro spettacolo che
la magia di Harmonia stava offrendo alla naga, facendole tirare un
profondo sospiro
di sollievo, non tanto per sé quanto per l’altra
che continuava a mantenere lo
sguardo basso e sconsolato verso quell’aggeggio infernale.
Lanciò
un’occhiata al carillon: quanto diavolo ci
stava mettendo quella dannatissima melodia ad esaurirsi? Per quanto
tempo
sarebbe andato avanti a torturare la sua regina? Per quanto?!!
«“Know that
you’re not alone, the moon’s at your
side”».
La voce di
quest’ultima si incrinò improvvisamente, come se
le si stesse strozzando in
gola.
In allarme, la
naga le si avvicinò ancora un poco e le si sedette vicino,
sempre senza
sfiorarla: se proprio non poteva disturbarla in un momento tanto
delicato,
allora avrebbe fatto di tutto per farle sentire la propria presenza.
«Ti ho promesso
che mai, mai, ti avrei lasciata da
sola, e intendo mantenere quella promessa» le
sussurrò piano, nel cuore solo la
speranza che quelle parole non fossero andate al vento come tutto
pareva stare
facendo. Il peggio per la centauressa avrebbero dovuto essere quei due
giorni
di stato catatonico, accidenti, non la ripresa!
Myricae non
riusciva ancora a distinguere per bene il paesaggio, c’era un
vero e proprio
polverone che le impediva di vedere oltre il proprio naso, motivo per
cui
iniziò a guardarsi distrattamente intorno girandosi e
rigirandosi.
E prendendosi qualcosa
di molto simile ad un infarto.
Due figure le
facevano muro, una donna ed una bambina che si tenevano per mano; la
prima
guardava la seconda con fare materno, con quello sguardo da
“va tutto bene” che
solo una madre può riuscire ad esibire in tutta calma quando
la situazione
sembra ed è disperata
pur di
rassicurare il proprio figlio, o -in quel caso- la propria figlia.
La donna la
stringeva a sé avvolgendola con una delle due imponenti ali
che spuntavano
sulla sua schiena, un luogo sicuro in cui la piccola si stava
rifugiando
nascondendovisi dentro, premendo il volto sconvolto sulle morbide piume
che la
stavano accogliendo mentre si aggrappava agli abiti di quella che
doveva essere
sua madre. Quest’ultima pareva molto tranquilla rispetto alla
figlia, ma si
vedeva da come non staccava gli occhi rosa pastello da lei che fosse
tremendamente preoccupata, come temesse per la vita di entrambe.
La strinse a sé
mettendole una mano sulla testa e prendendo ad accarezzarla, e fu
allora che
Myricae riuscì finalmente a vedere quella bambina.
Il suo cuore
perse un paio di battiti: nessuno che non fosse uno Starequus poteva
avere un
corno magico in mezzo alla propria fronte, e quei capelli verde acqua
che
sfumavano prima in azzurro poi viola e infine rosa non li aveva certo
chiunque.
Anzi, non li aveva proprio nessuno.
Tranne che
Harmonia.
«“together
you’ll cleanse the world… you’ll always
be my pride”».
La regina si fermò
improvvisamente, il petto che le si alzava e si abbassava velocemente e
la
bocca improvvisamente fattasi secca e al contempo appiccicosa.
Forse la
sovrana di Phantasia non parlava, ma dentro di sé
sentì un brivido che le fece
capire che non sarebbe mai riuscita ad arrivare al termine di quella
canzone
che le riempiva le orecchie, la mente, l’anima, che la stava
trascinando in
quell’agonia senza che potesse impedire a se stessa di dare
corda a tanto,
troppo, dolore.
Quelle parole,
quel “sarai sempre il mio orgoglio” le martellavano
nella testa prepotenti,
violente, incessanti, esattamente come faceva il ricordo di chi le
pronunciò a
suo tempo.
Ed Harmonia era
sola ad affrontare quella battaglia contro i propri ricordi, adesso che
non
riusciva a reagire nemmeno alla presenza della donna che amva: era da
sola non
contro il mondo, non contro la galassia, nemmeno contro
l’universo. Era sola contro
se stessa, se stessa e la mole immensa di rimpianti e rimorsi che si
trascinava
dietro da millenni.
Il che era pure
peggio del combattere l’universo intero, a dirla tutta.
«“I
may not always be here to guide your
way”…».
Passarono
minuti che parvero eterni prima che Harmonia stessa che tornasse a
canticchiare
qualcosa, e la magia -purtroppo- si premurò di seguire
quell’impronta triste che
aveva assunto la sua voce.
Per l’ennesima
volta, quel paesaggio disastrato si ripresentò a Myricae,
facendole lo stesso
macabro effetto di quando lo aveva visto poco prima; questa volta,
però, non
c’erano le miriadi di persone ormai decedute e pietrificate
come in precedenza
e nemmeno le figure di prima, si era tutto semplicemente ridotto ad una
landa
grigiastra desolata senza più nemmeno una roccia ad abitarla.
Non c’era
niente e nessuno, tranne che dei bozzi indistinti, forse qualcuno
chinato.
Strinse gli
occhi per aguzzare la vista: di nuovo, scorse una donna con due immense
ali
coperte di cenere e polvere -il che rendeva impossibile distinguerne il
colore
preciso, motivo per cui non ebbe la certezza che fosse la stessa di
prima- percorse
da ferite profonde, così profonde da farle grottescamente
sanguinare in una
pozza che le inzuppava tanto gli abiti stracciati quanto le soffici
piume;
sulla sommità delle ali stesse, delle pesanti catene
spezzate squarciavano la
carne esposta e carbonizzata.
Non senza poca
fatica, l’Ophidian ricacciò indietro un conato di
vomito, dall’intensità con la
quale l’odore di grasso bruciato le riempì le
narici.
«…
“but I know you’ll be
fine”…».
Harmonia invece
non pareva disturbata per nulla da quella scena.
E, se lo era,
non lo dava affatto a vedere.
La voce le si
fece sempre più tremolante, al punto che in certi momenti
pareva non fosse
nemmeno più in grado di respirare, ma fintanto che il
carillon suonava non
sarebbe stata certo lei a cedere per prima schiacciate dalle emozioni.
Ma stava cedendo,
glielo si leggeva in faccia, glielo si vedeva fin troppo bene in quei
suoi
occhi rosa e azzurro ora ridotti a due fessure bagnate da delle lacrime
che non
voleva, non poteva, versare; era la
regina, la sovrana di Phantasia, la madre di un intero popolo che
contava su di
lei per non cadere nuovamente nell’oscurità che
aveva avvolto quel pianeta
sette secoli or sono, l’ultima volta, ma che aveva conosciuto
il Male da prima,
molto prima.
Non aveva mai
potuto farsi vedere debole, non poteva permetterselo: una regnante non
si deve
far vedere debole, è una regola non scritta che chiunque
segga su di un trono
conosce fin troppo bene, una legge che aveva sentito pesarle sulle
spalle fin
dal primo istante in cui la corona di Exodus si era posata sul suo
capo,
migliaia e migliaia di anni fa.
Tuttavia, una
sensazione di calore la raggiunse.
Non abbassò lo
sguardo, sempre fisso sul carillon, ma non ne aveva bisogno per capire
da cosa
-o meglio, chi- provenisse.
Convenendo che
potessero bellamente andare a farsi fottere i
“però”, i “ma” e
pure gli “e se”,
Myricae le prese una mano, stringendola dolcemente.
«Ti sei trovata
una fidanzata tremendamente testarda, dovresti ormai saperlo»
le sorrise
ridendo la naga, accarezzandole piano il dorso della mano.
“E non potrei né vorrei desiderare nessuno
diverso da
te”, avrebbe voluto risponderle Harmonia.
«…
“ruling the day”».
Ma le parole
che le uscirono dalla bocca furono ben altre, purtroppo per lei.
E facevano un
male tremendo.
«“Dance
among the clouds, my dear… bring in the
light”».
Come anche
faceva un male tremendo all’Ophidian dover assistere a quella
scena a dir poco
raccapricciante, dover vedere lo strazio di una madre che piangeva sul
corpo
esanime della propria e unica figlia, dover rivivere e rivedere e
riprovare quelli
che erano stati gli ultimi minuti di coscienza della Regina della
Fantasia
prima che diventasse… la Regina della Fantasia, appunto,
prima che Harmonia
diventasse tutto ciò che era ora e anche di più.
Era stata la
principessa degli Starequus del pianeta Exodus, Harmonia, lì
era nata e lì era
morta, e sempre lì aveva ricostruito il regno che il
“Male piovuto dal cielo”
-lo “kælikantzoroi th’asteria”,
come lo chiamò ai tempi la sua gente- aveva
raso al suolo, lasciandole come unica eredità dei suoi
defunti genitori solo
una landa nera senza vita.
Lei la luce
l’aveva riportata, in quel luogo di sterilità e
speranze infrante, aveva
mantenuto la silenziosa promessa fatta a sua madre quando
quest’ultima,
cantando, aveva chiesto al suo corpo martoriato di esaudire quel suo
desiderio,
il suo ultimo desiderio.
E la centauressa
l’aveva esaudito, lo aveva fatto per davvero.
Ma sua madre
non c’era stata per vederlo, non c’era stato
nessuno: quel giorno gli Starequus
si erano estinti, e mai più avevano posato i loro zoccoli
sul suolo di Exodus.
«“be good for
me… my dear… as my soul
alights”»
Tranne lei, l’ultima
della sua razza.
“Sindrome del
sopravissuto”, la chiamavano, e Harmonia
aveva fatto l’abitudine pure a quella: lei era viva e gli
altri erano tutti
morti, lei era stata scelta ed il resto della sua gente no, lei era
nell’aldiqua
e qualsiasi altro Starequus era nell’aldilà.
Semplice e chiaro, rapido e
indolore.
In teoria.
In pratica, invece, una
giovanissima Regina di
Phantasia aveva passato anni, decenni, forse secoli, a chiedersi
perché lei sì
e gli altri no. Ai tempi sapeva già bene di non aver certo
chiesto lei una
seconda possibilità, era perfettamente consapevole di non
essere stata la
responsabile dell’estinzione dei suoi simili, era addirittura
cosciente del
fatto che -com’era capitato a lei- tutto ciò
avrebbe potuto capitare a
qualsiasi altra persona.
Ma si era sentita in colpa
comunque, Harmonia,
esattamente come stava succedendo con Phobos adesso:
non era stata colpa sua, non avrebbe potuto fare nulla di
più per salvarlo da Apophis, se lei fosse intervenuta ci
sarebbe stato solo un
morto in più, lo sapeva benissimo
… ma
non riusciva a perdonarselo comunque.
Non aveva potuto salutare lui, come
non aveva potuto salutare
suo padre e sua madre; la sua vita era quello, un rincorrersi di sensi
di colpa
per saluti mancati, ecco cosa.
Quella consapevolezza che le si
agitava nella mente fu
l’ultimo passo, prima che la regina crollasse in un pianto
tanto doloroso
quanto silenzioso: aveva un disperato bisogno di farlo, non poteva
trattenerlo
ancora, non voleva farlo.
«“Little
Sunshine… little Sunshine… let your radiance
show…»
le
parole faticarono a uscirle dalla bocca, fra un singhiozzo e
l’altro, fra una lacrima
che le bruciava il volto come un tizzone di carbone ardente e
l’altra
«…
little Sunshine… little Sunshine…»
ma
Harmonia continuò
a cantare, nonostante sentisse il proprio cuore spaccarsi, ridursi in
cocci e
frammenti e polvere, nonostante la sua voce si riducesse sempre
più ad un
sussurro reso roco dalla gola che le bruciava per quel pianto
trattenuto troppo
a lungo «…
let your kind heart-»
«Glow»,
concluse
Myricae, chiudendo il coperchio
del carillon; delicatamente, glielo sfilò dalle mani e lo
poggiò su di un
mobile lì vicino.
“E speriamo di
non averne bisogno ancora per molto tempo”, pensò
nel mentre.
L’altra non si
era mossa di un millimetro, però, pareva quasi che nemmeno
se ne fosse accorta
a giudicare dallo sguardo sempre fisso dove prima c’era il
prezioso oggetto, continuava
persino a tenere le mani come se lo stesse ancora stringendo fra le
dita.
Harmonia si
guardò i palmi rivolgendoli verso sé, dopo
interminabili minuti di silenzio
assoluto, gli occhi che li osservavano come a perdervisi dentro.
«Ci sono volte
in cui ripenso al mio passato e mi pare di sbagliare qualcosa, di
dimenticare
un dettaglio o due, di non riuscire a ricordare chiaramente come vorrei
e dovrei
delle persone o delle cose o degli eventi
particolari…» mormorò spostando lo
sguardo da una mano all’altra.
«Forse è solo
una mia impressione, forse è solo colpa dello stress, o
forse è perché ho
seimila anni e sono tremendamente vecchia… però a
pensarci bene sei millenni di
vita non sono niente per un immortale, sono solo una pagina in un libro
nel
quale non troverai mai scritta la parola “fine”,
quindi mi sa che l’ultima
opzione va scartata» rise lei, una risata che però
di divertente non aveva
proprio nulla.
Strinse i
pugni.
«Ho paura»
confessò
infine, un misto di tristezza e vergogna colorò le sue
guance di un timido
alone rosato «ho paura di dimenticare il volto di mia madre,
e di mio padre, e
delle persone alle quali volevo più bene; ho paura di
dimenticarmi la sua voce
mentre mi cantava quella canzone, tanto da viva quanto da morta; ho
tanta paura
di svegliarmi pensando a lei e- e-»
Esausta, Harmonia
si gettò fra le braccia della compagna, affondando la testa
nel suo petto come
a cercare un rifugio sicuro.
«E di non
ricordarmela, Myricae. Sono terrorizzata all’idea di
dimenticare tutto, tutto, di
scordarmi chi ero prima di...
di… di questo, prima del diventare l’ultima
Starequus vivente…». Alzando leggermente
il capo si indicò la fronte; fra i capelli ora spuntava il
corno tipico della
sua razza, un lungo corno decisamente più curvo e
attorcigliato su se stesso di
quanto lo fossero solitamente quelli degli Starequus più
vecchi. Riprese fiato «Per
cui ecco, ogni volta che mi pare di perdere colpi in qualche modo
eccomi qui, a
temere di non ricordare più nulla da un momento
all’altro, ad avere il terrore
che mi accada ciò che è accaduto a-»
L’Ophidian le
pose un dito sulle labbra, impedendole di finire la frase.
«Non ti
accadrà
mai ciò che è accaduto a Phobos, mela
en’ coiamin, non lo permetterò mai, mai»
la rassicurò mettendole le mani
sulle spalle, facendogliele poi scivolare fino alle guance
«ciò che è successo a
lui è dovuto solo e soltanto ad Apophis, non è
certo un’amnesia dettata da
cause naturali, né tantomeno è stata colpa tua:
non potevi fare altro,
Harmonia, e -considerando il tremendo prezzo che hai pagato e continui
a pagare-
ciò che hai fatto è stato già troppo.
Per cui» le asciugò le lacrime, attenta a
non farle male mentre le spesse e affilate squame sfioravano quella sua
pelle
morbida «basta pianti, almeno per oggi. Promesso?»
L’altra
la guardò qualche momento, esitante.
«Promesso»
rispose infine accoccolandosi a Myricae «… e
scusami, scusami tanto».
«Scusarti? E di
cosa?»
Harmonia parve
in difficoltà, le mani che iniziarono a sudarle freddo.
«Di…
di… di
averti fatto vedere quelle… cose.
Cose brutte, terribili, che credevo di aver superato tanto tempo fa,
che dovevo aver superato tanto
tempo fa, e
invece…» si interruppe qualche istante, quelli che
le bastarono per ingoiare
l’ennesimo sospiro angosciato. «Non volevo,
Myricae, te lo giuro! È solo che…
che… non so neanche io perché l’ho
fatto, a dirla tutta, non credo nemmeno di
essere stata completamente cosciente, nel mentre. Sentivo tutto, vedevo
tutto, rivivevo tutto, ma una parte
di me era
come-»
«Bloccata
laggiù, anziché quaggiù»
completò la frase la naga.
Lei la guardò
sorpresa.
«Precisamente
quello. Ma tu come- oh, che domande faccio: hai visto tutto, ovvio che
tu lo
sappia» la regina si diede un colpetto sulla testa
«… mi dispiace, comunque: ti
avevo già parlato di cosa successe alla mia gente, non era
niente di nuovo per
te, ma fra il sentirlo dire ed il viverlo c’è una
bella differenza. Una grossa
differenza. Un’immane differenza…» prese
forza, sospirando nuovamente «ti giuro
che non avrei mai voluto che tu-»
Myricae le diede
un bacio, intuendo bene che le proprie labbra fossero in grado di
esprimersi ad
Harmonia meglio di quanto potesse fare lei a voce.
«Va tutto bene,
e vai benissimo anche tu» la rassicurò staccandosi
piano da lei, assaporando
fino in fondo il dolce profumo fruttato della sua pelle. «Ti
ho vista ridotta
peggio di così svariate volte, eppure ti amo ancora, e ti
amerò sempre, a’maelamin.
Sempre, non dubitarne mai»
poggiò la
propria fronte a quella della sua donna «siamo uscite
dall’inferno una volta,
se sarà necessario lo faremo di nuovo. E lo faremo insieme,
come sempre».
«Come sempre»
ripeté la regina, dandole un piccolo bacio sulla fronte
mentre accennava un
timido sorriso.
E questa volta
era un sorriso vero, la naga
riuscì a
distinguerlo senza problemi, un sorriso che -dopo tante lacrime e
dolore- stava
regalando proprio a lei, a lei e nessun’altra, un silenzioso
“grazie” che
valeva tutti gli sforzi fatti fino a quel momento, e che sarebbe valsi
tutti
quelli futuri.
La guardò
qualche istante, per assicurarsi di nuovo che si stesse riprendendo
veramente e
che non fosse solo un’apparente ripresa temporanea.
«Va un po’
meglio, adesso?» le chiese.
Quando la sua
compagna annuì, lei tirò un sospiro di sollievo.
«Bene così,
allora, non avrei sopportato un giorno di più a saperti
incosciente stesa su
questo letto senza poter fare nulla per aiutarti, non ero nemmeno
sicura che mi
sentissi o che…» fece una pausa, deglutendo
«… o che ti saresti mai svegliata.
Ecco».
Sentendo quelle
parole, Harmonia strabuzzò gli occhi dalla sorpresa: per
quanto tempo era
rimasta in stato comatoso, se Myricae -che era solita non farsi piegare
nemmeno
dalle situazioni più disparate e disperate- aveva avuto così tanta paura di perderla?
L’ultima volta in cui l’aveva vista
ridotta in quelle condizioni, in cui le aveva sentito dire di aver
temuto che
non si svegliasse più, era stato quando… no, no,
meglio non riportare a galla
quei ricordi: “ciò che accade sull’orlo
dell’Abisso deve solo caderci dentro e
non tornare mai più in superficie”, si erano dette
di comune accordo quel
giorno, e quella spiacevole vicenda era fra le cose che
nell’Abisso erano state
gettate e che lì dovevano rimanere.
Un po’ come Phobos,
insomma.
«Due giorni»
anticipò la sua domanda l’Ophidian, intuendo
già su cosa si stesse interrogando
la sua regina «due giorni o qualcosina in meno, forse: sono
sempre stata a
vegliarti, puoi chiederlo anche a Naevia e Antares e Alice, ma
purtroppo mi
sono addormentata per non so quanto e-»
«E ti ringrazio
per essermi stata vicino» le sussurrò dolcemente,
abbracciandola «ti amo, ti
amo più di quanto il cielo ami le proprie stelle e di quanto
gli alberi amino
le proprie foglie: ti amo molto più di così,
ricordatelo sempre, e ricordati
che senza di te probabilmente sarebbe durata ben più di due
giorni…» “come
abbiamo già sperimentato”, pensò, ma
decise di tenerselo per sé così da non
rovinare quel loro intimo momento «per cui… grazie, grazie» concluse riempiendo il
collo della naga di baci, i
serpenti sul suo capo che sibilavano entusiasti facendo vibrare le loro
piccole
lingue come cani che fanno la festa al proprio padrone.
“Due giorni…
due giorni solo per averlo rivisto… cosa accadrà
quando dovrò combatterlo? Come
farò a controllarmi? Come?”,
si
domandò mentalmente la centauressa.
Il sussulto
delle braccia forti dell’Ophidian che se la mettevano in
braccio interruppe quel
suo pensiero sul nascere, evitandole seghe mentali talmente profonde
che probabilmente
per uscirne le sarebbe servita una settimana intera, altro che un paio
di
giornate!
No, ora non era
il momento di pensare al futuro: troppe volte lo aveva fatto, salvo
rendersi
conto subito dopo che fare progetti era totalmente inutile -specie
quando
l’oggetto di tali progetti è un disgraziato
psicolabile con cenni di
schizofrenia e misteriose voci nella testa-, se non addirittura dannoso
a lungo
termine.
Avrebbe atteso,
ecco cos’avrebbe fatto: lo scontro con Phobos sarebbe
arrivato comunque, prima
o poi, era solo questione di pazientare e sperare per il meglio.
Guardò Myricae:
era la sua roccia, la sua compagna, il suo porto sicuro, il faro che si
era
fatto breccia nelle tenebre di quei venticinque dannati anni passati a
piangere
un uomo che non era più il suo uomo, lanciandole un
salvagente che aveva
pazientemente trainato fino a riva attraversando un oceano di lacrime
pieno di
ansie e paure e sensi di colpa, facendole scoprire da un momento
all’altro che l’amore
lo poteva trovare tanto in una donna che le era sempre stata vicino
quando in
un uomo che, ormai, non era che l’ombra di se stesso.
Harmonia amava Myricae,
non più Phobos, e se avesse avuto qualche altro attimo di
cedimento, se avesse
dubitato di nuovo di non essere in grado di guardarlo in faccia e
affrontarlo,
allora avrebbe pensato di dovercela fare non per lei, nemmeno per la
naga, ma
per loro, per la loro relazione che mai, mai,
avrebbe permesso venisse danneggiata da un fantasma.
Mai.
«Come lo hai
trovato?»
«“Ubriaco da
fare schifo”, la definizione esatta è
questa» rispose l’Ophidian, sorseggiando
calma dalla propria tazza.
Era decisamente
più rilassate e tranquille entrambe, ora, e l’idea
di Harmonia di far comparire
una teiera di tè al gelsomino per staccare un po’
coronava perfettamente quel
loro quadretto di pace dopo la tempesta.
«Ubriaco,
dici?» commentò sorpresa.
«Beh, hai visto
anche tu l’entrata trionfale che ha fatto quel disgraziato.
Nemmeno gli
adolescenti alle feste delle confraternite puzzano tanto di pessimi
alcolici, patatine
scadute e sbornie tristi» ridacchiò la naga,
dandosi un paio di colpi al petto
quando il liquido le andò di traverso.
«Dì, piccola, davvero in seimila anni
hai visto qualcosa di peggio di un ubriaco che sfonda il soffitto, si
ferisce
con i vetri del suddetto soffitto appena sfondato, barcolla a falce
spiegata
balbettando e sbiascicando minacce incomprensibili e infine, nemmeno
viene
riconosciuto?»
Harmonia ci
pensò qualche istante, poi esplose in una fragorosa risata.
«Direi di no,
assolutamente» convenne, facendosi pensierosa
«… per quanto c’è da dire che
-ubriaco o meno- è riuscito comunque a mettermi in
ginocchio, e non certo per
una decina di minuti». Posò la tazza, osservando i
cerchi concentrici come
ipnotizzata «sapevo di dovermi aspettare che prima o poi
Phobos venisse a farmi
visita di persona, una volta evaso dall’Abisso, ma non
immaginavo che avrei
reagito in quel modo: sono sorpresa, e purtroppo non lo sono
piacevolmente,
Myricae».
L’Ophidian mise
la propria mano sulla sua, accarezzandogliela.
«Mela en’
coiamin, stai a sentire una naga ermafrodita ninfomane: hai rivisto
dopo sette
secoli un uomo che ti ha tormentato con il proprio fantasma per
altrettanto
tempo, sei davvero così
tanto
sorpresa da te stessa e dalla tua reazione?»
«… No, no, non
tanto quanto dovrei… e, a dirla tutta, forse ho peccato io
d’ingenuità: un
conto è saperlo in giro per Phantasia, un altro trovarselo
davanti» asserì
decisa alzando la testa, incontrando lo sguardo della compagna
«anche se
ammetto che mi sfugge come siamo passati dall’una
all’altra cosa così
velocemente, per non parlare di come sia uscito dall’Abisso:
ricordi le magie
che lo sigillavano?»
Myricae annuì.
«Mi ci volle
una mole immane di potere per creare e sigillare quella ferita sulla
pelle di
questo pianeta -del mio pianeta- e
rinchiuderci dentro Phobos, nonostante lo abbia fatto a
malincuore» disse
posando la mano libera sopra la teiera aperta.
«Attinsi ad
incantesimi e conoscenze antichi quanto la mia razza per assicurarmi
che
l’Abisso fosse a prova di evasione, persino per creature del
calibro di quel
bastardo dell’Uomo nella Luna sarebbe stato ben difficile
uscirne»
improvvisamente, il tè si agglomerò a formare una
sfera perfetta. Il suo corno
si illuminò di un bagliore argenteo, e allora un profondo e
lungo solco rosso
brillante apparve sulla superficie.
«Apposi
addirittura il sigillo della Tha’nera Yuvenciæl ,
la Dea Senza Sudditi di
Exodus» una polvere dorata riempì quello squarcio,
sanando pian piano quelle
venature che stavano spargendosi all’interno della sfera semi
trasparente «per
rendere inefficace qualsiasi altro sortilegio o maledizione che potesse
compromettere l’efficacia di un lavoro tanto
minuzioso!»
Sbatté un pugno
sul tavolo, facendo collassare quel globo di tè al gelsomino
nuovamente
all’interno della sua teiera, senza il minimo schizzo fra le
altre cose.
«Ho fatto tutto
questo e anche di più, eppure-»
«Eppure Naevia
ha notato come l’Abisso sia stato aperto in concomitanza con
una curiosa
eclissi lunare totale» la interruppe la naga.
Harmonia
trasalì, incredula «Cosa?»
L’altra le sorrise.
«Quella gatta
frigida mi ha riferito giusto mentre ero qui a vegliarti di
ciò che ti ho
appena detto, non prima. Nel giorno in cui abbiamo supposto sia stato
aperto
l’Abisso, lo stesso in cui anche tu hai sentito che qualcosa
non andava, ha
osservato uno strano e brillante alone color magenta intorno alla Luna;
ha
consultato le proprie tabelle e mappe astronomiche, ma non risultava
nessuna
eclissi prevista per allora» spiegò bevendo un
altro sorso.
«È durata
pochissimi istanti, così ha detto, ma è comunque
riuscita a raccogliere dati
sufficienti per affermare che, in quel preciso istante,
c’è stato come un
trasferimento di un grosso quantitativo di energia da
lassù» con la coda indicò
il soffitto, «a quaggiù» poi il
pavimento, che picchiettò piano.
«Ha idea di
cosa si trattasse, almeno?» domandò fremendo la
regina, in un misto fra
preoccupazione e curiosità.
«Non
precisamente» rispose facendo spallucce la naga «ma
dopo aver visto Phobos in
azione ne abbiamo parlato e beh, ho motivo di pensare che fosse un
qualche tipo
di magia estremamente potente che ora è nelle sue mani: non
ha mai avuto poteri
degni di nota, lui, quindi si tratta certamente di una forza esterna
liberata
durante quell’eclissi lunare. E immagino che ti
farà piacere sapere che è stata
liberata da niente poco di meno che dall’altofuoco cremisi di
Comet E. Halley,
tanto per aggiungere disagio al disagio».
Harmonia parve
sorpresa a quella notizia: non era stata solo un’impressione
che fosse accaduto
qualcosa di grosso sul suo pianeta, allora.
Come aveva
avuto anche ragione a pensare che Comet non si fosse presentata a casa
sua solo
per dirle che si scopava Phobos, tempo prima. Immaginava che fra quei
due ci
fosse sotto ben di più di un’intesa sessuale, ma
dubitava fortemente che
fossero in combutta fino a quel punto, fino ad appoggiarlo
nell’evasione
dall’Abisso appositamente per metterla in ginocchio e
prendersi la sua fetta di
qualsiasi cosa quell’uomo le avesse promesso in cambio del
suo aiuto.
A conti fatti,
probabilmente lo aveva fatto per lo stesso motivo per cui faceva
qualsiasi
altra cosa: puro divertimento.
O almeno
sperava che fosse così, perché -per quanto
sapesse bene di poterla
fronteggiare- l’ultima cosa di cui aveva bisogno era un altro
problema di cui
occuparsi.
«Vuoi che ti
porti la testa di Halley?» le chieste Myricae, interrompendo
il suo dolce
naufragare nelle mille ipotesi che le frullavano nella testa.
«Preferisco dei
biscotti, ad essere sincera» rise la regina, facendone
immediatamente comparire
un vassoio «anche perché trovare Comet
è come cercare un ago in un pagliaio. E
quel pagliaio è grande quanto
l’Universo».
«Se si ha una
calamita dovrebbe essere piuttosto semplice, trovare
quell’ago» contestò
l’Ophidian, borbottando a bocca piena.
«Se non fosse
che quella calamita ne troverebbe un’altra perfettamente
identica e finirebbe
per essere respinta, spingendo al contempo l’ago sempre
più verso mete
sconosciute». Prese un biscotto e se lo mise in bocca,
masticandolo pensierosa «No,
Myricae, Halley non è il pericolo,
ne
sono piuttosto sicura. Quella specie di eclissi è certamente
stata creata da
lei, ma non credo che sia tanto la causa della liberazione di
quell’energia
quanto un… diversivo.
Non
dimentichiamoci che lassù c’è Manny, e
si sa come sono i suoi rapporti con
quella scheggia impazzita di Comet E. Halley».
Harmonia si
lasciò scappare una risata nemmeno tanto contenuta
ripensando ai suddetti
rapporti, conscia com’era che quella donna fosse stata creata
-sotto sotto e molto indirettamente-
solo per “merito”
suo, sette secoli fa.
«Se
c’è una
cosa che so su Halley, è che difficilmente farebbe qualcosa
per fare un favore
a qualcun altro: se ne sbatte altamente di chiunque, Phobos
compreso, per cui non penso proprio che avesse un qualche
interesse nel dargli una mano, lei è più da
“morto un papa se ne fa un altro”,
ecco».
«Perché
dovrebbe averlo fatto, allora?» la
interrogò l’Ophidian, confusa e con un
biscotto che le pendeva dalle labbra.
«Divertimento».
«Divertimento?»
«Quello, sì.
Basta
solo guardare come si sia scomodata per dirmi di persona che si scopava
Phobos
solo per gustarsi la mia faccia, la situazione non è molto
diversa» la mise sul
ridere, non scordando quanto però la cosa le avesse bruciato
sul momento. «Ma non
mi preoccupa lei, mi preoccupa piuttosto ciò che ha
contribuito a liberare:
sulla Luna vivono solo due persone, tre se consideriamo anche
Nightlight, e fra
uno e l’altro non so chi possa volermi più
morta».
A
quell’affermazione, la naga posò il biscotto che
stava mangiando facendosi cupa
in volto.
«Tutto bene?»
le domandò la compagna, notando quell’improvviso
cambio di atteggiamento da
parte della serpentessa.
Myricae si
morsicò il labbro: doveva seriamente dirle
l’ultima cosa che Naevia aveva
notato durante l’osservazione di quell’eclissi, o
forse poteva evitare e andare
oltre? Harmonia aveva davvero così tanto bisogno di una
risposta a quella
domanda, o avrebbe potuto farne a meno? Era già abbastanza
stressata e
preoccupata di suo per Phobos, valeva la pena farla preoccupare anche
per le
minacce che arrivavano dal cielo, oltre a quelle presenti nella sua
stessa
patria?
Forse avrebbe
potuto omettere quel piccolo dettaglio, evitarle altri timori che
avrebbero
finito solo per non farle chiudere occhio la notte nemmeno nelle ore
che
seguivano i momenti in cui facevano l’amore.
E considerando
che già quel tempo era poco, non voleva certo essere lei a
privarla del sonno.
Per cosa, poi?
Per una supposizione come tutte quelle nate quel giorno, senza
fondamento
alcuno se non qualche ipotesi? Per una presunta illuminazione basata su
osservazioni
imprecise, per qualcosa che Naevia aveva visto ma della quale non era
assolutamente certa, per un dubbio?
No, non ne
valeva la pena, non poteva valerla: Harmonia si era appena ripresa, non
poteva
darle un altro dispiacere, magari rischiando pure che cadesse
nuovamente in
quello stato comatoso dal quale si era appena risvegliata.
…
Ma cosa cazzo ci stava pensando sopra a fare? Si era
rincoglionita? Certo che avrebbe dovuto dirglielo, e subito!
Non poteva, non
voleva, mentirle o nasconderle
qualcosa.
Tralasciando
che sarebbe stata scoperta immediatamente, la sola idea di dire una
bugia
proprio ad Harmonia, alla sua compagna di vita, alla Regina di
Phantasia, le mise
in subbuglio lo stomaco: aveva già sentito pronunciare
troppe bugie da quando
era venuta al mondo, non sarebbe stata lei a dirle l’ennesima.
E se proprio le
cose fossero precipitate, allora sarebbe stata al suo fianco. Come
sempre.
Assopita
com’era nei suoi pensieri, Myricae nemmeno si era accorta
della partner che si
era alzata e si era avvicinata a lei, sedendole in grembo.
«Ti va di dirmi
cos’hai non va, mājhē prēma?»
le domandò di nuovo, prendendole il volto fra le mani
accarezzandolo piano.
«Sai che puoi
parlarmi di tutto, sì? Sono qui ad ascoltarti, di qualsiasi
cosa si tratta io
ci sono, lo sai» le sorrise poggiandosi fronte a fronte.
«… Harmonia,
io
non so se-»
L’altra mise
l’indice sulle labbra, anticipandola.
«Qualsiasi
cosa, Myricae. Qualsiasi»
la
rassicurò di nuovo. «Ma dimmelo, te ne prego,
dimmela e basta, perché vederti
così mi spezza il cuore: cosa c’è di
così terribile da dovermelo nascondere a
tutti i costi? Hai litigato con Naevia e siete finite a letto insieme,
forse?»
domandò ridendo. Fingendosi arrabbiata, le toccò
la punta del naso «Avreste
potuto invitarmi, siete state scortesi! Almeno-»
«La barriera
eretta sulla metà oscura della Luna settecento anni fa si
è assottigliata, e le
Costellazioni se ne sbattono il cazzo» sputò tutto
fuori d’un fiato, la
coscienza improvvisamente più leggera.
E Harmonia improvvisamente
più silenziosa.
Inizialmente l’Ophidian
si spaventò non poco a vederla così taciturna e
paralizzata similmente a
com’era stata nei due giorni precedenti, ma poco a poco la
regina tornò a dare
segni di vita stringendosi nelle spalle.
«Naevia ne è
assolutamente certa?», domandò infine.
L’altra scosse
la testa.
«No, non lo
è»
disse con un tono tale da farla sembrare una sottospecie di
rassicurazione «c’è
una buona probabilità che sia così, è
vero, ma non ci sono crepe o punti deboli
in una particolare zona della barriera, sembra semplicemente essersi
assottigliata
nella sua interezza senza riportare un calo delle prestazione magiche
che
offre».
La regina parve
tranquillizzarsi a quelle parole, ma non poteva certo restare
indifferente di
fronte ad una notizia del genere: forse non significava che Apophis se
la
sarebbe fuggita dall’oggi al domani, ma non significava
nemmeno che potessero
abbassare la guardia.
Harmonia la
guardò confusa.
«Se non si è
indebolita, allora da cosa è stato provocato
quell’assottigliamento?»
«Naevia mi ha detto
che è come se la barriera avesse perso massa per un qualche
motivo, come se la
differenza fra lo spessore originario e quello attuale -minima, ma
c’è- si sia
convertita in un qualche tipo di energia o potere o qualsiasi cosa sia,
riversandosi qui a Phantasia».
Restò a pensare
qualche istante «… Anche se ci sono svariate
persone che sorvegliano il lato
oscuro della Luna dove si trova esiliata la pecora nera di casa
Lunanoff, a
dirla tutta: francamente, mi risulta difficile pensare che nessuno
oltre a noi
ci abbia fatto caso».
«Certo, a meno
che chiunque altro abbia visto ciò che abbiamo visto noi
abbia poi preferito non vedere, in
quel caso sarebbe tutto
un altro paio di maniche» precisò però
la centauressa.
«Precisamente
ciò che ho pensato io» convenne Myricae, seccata
«i nobili delle Costellazioni
non sono famosi per mobilitarsi in anticipo in caso di pericolo. Ne
è stata la
dimostrazione la guerra di sette secoli fa: Manny non ha fatto niente
che non
fosse nascondersi tutto il tempo dal suo caro fratello maggiore che
voleva
tagliargli la testa; Mother Galaxy non è uscita dalla sua
gabbia dorata ai
Pilastri della Creazione finché non si è
letteralmente trovata Apophis in casa;
persino quei macellai cosmici dei Chandrasekhar hanno deciso di non
spargere
sangue fino a quando non hanno visto i big money sul tavolo delle
trattative, insieme
a qualche stella da prosciugare e svariati pianeti da razziare e
stuprare fino
al midollo».
«E lo hanno
ottenuto, sottolineo, tutti loro hanno
ottenuto ciò che volevano. E noi l’abbiamo presa
nel didietro più profondamente
di quanto me la metta tu a me, con la differenza che in quest'ultimo
caso lo
ritengo alquanto piacevole» concluse ridendo Harmonia,
sdrammatizzando la
situazione.
Myricae le diede
un bacio sul collo, salendo pian piano fino all’orecchio, che
morsicò
leggermente ridacchiando.
«Sei una
posizione decisamente pericolosa per dire certe cose,
a’maelamin» le sussurrò maliziosa,
indicandole come le si fosse avvinghiata alla vita stringendole le
gambe
intorno ai fianchi e le braccia dietro al collo «stavamo per
caso discutendo di
Apophis, o di come invece tu voglia recuperare due giorni di astinenza,
eh?»
«Una cosa non
esclude l’altra, a mio avviso» rispose tranquilla
Harmonia, le mani che si
muovevano sulla schiena della partner seguendo gli intricati disegni
delle
squame color smeraldo fino a scendere giù, sempre
più giù, fermandosi sulle sue
natiche.
«Ed io non
potrei essere più d’accordo con ciò che
dici».
L’Ophidian
infilò gli artigli sotto le vesti dell’amata fino
ad incontrare la sua pelle
nuda e morbida e completamente inerme, che prese abilmente ad esplorare
in
lungo e in largo mentre continuava a baciarla ed a dedicarle le mille
attenzioni che nei giorni prima erano mancate; a dirla tutta, una
scopata dopo
i due giorni passati non l’aveva proprio prevista, era
più che convinta che la
sua mela en’ coiamin avrebbe preferito riposarsi e niente di
più, e invece!
Quella donna
l’avrebbe sorpresa ogni giorno di più, e
l’adorava anche per questo suo
piccolo, particolarissimo, dettaglio.
Quando Myricae
le strinse i seni fra le mani, Harmonia si morsicò il labbro
per trattenere un
gemito che si trasformò in un mormorio indistinto, soffocato
spingendo la testa
nell’incavo fra il collo e la spalla dell’altra
donna; sentì un’improvvisa
sensazione di freddo attanagliarla dall’inguine a tutto il
corpo, un brivido
che era andato dilaniandole le membra dal piacere quando le squame
fredde e
affilate della coda della serpentessa si insinuarono fra le sue cosce
calde, sfiorandole
l’intimità come la lama di un coltello.
Un coltello che
le era affondato nelle carni, qualche istante dopo.
La regina
crollò letteralmente fra le braccia dell’Ophidian,
sopraffatta com’era da quel piacere
che si fece improvvisamente fatto strada in ogni fibra del suo corpo
tutto d’un
colpo. Si aggrappò alle sue spalle con tutta la forza che
riuscì a trovare, piantandole
le unghie nella schiena come se fossero il suo unico appiglio per non
venire
trascinata via da quel fiume che la stava investendo.
«M-Myr…
Myric-»
tentò di mormorare appena, ma i sottili denti dei piccoli
serpenti sul capo
dell’altra che le stavano suggendo il seno le fecero morire
le parole in gola.
«Sì,
a’maelamin?
Vuoi dirmi qualcosa?» le chiese compiaciuta, senza nemmeno
tentare di
nascondere la soddisfazione nel vedere come
«S-sei… s-sei
u-una… una-»
«Creatura in
tremendo ritardo. Lo siete entrambe, a dire la
verità» le rimproverò Naevia, spuntando
sullo stipite della porta come se fosse uscita dal nulla.
«Non intendo
sorbirmi oltre domande sul perché la mia pelliccia sia
metà a macchie e metà a
strisce, signore mie, né tantomeno sopporterò
ancora Antares che riempie la
stanza di ragnatele da usare come tappeti elastici, quindi vi pregherei
di-».
«Andare a farti
fottere!» ringhiò Myricae, le zanne snudate e la
lingua biforcuta che vibrava
minacciosamente verso la leopardessa.
Quest’ultima
però non parve particolarmente colpita.
«Non concepisco
quelle che voi chiamate “emozioni”, e nemmeno il
curioso desiderio di far
riversare a chicchessia il proprio liquido seminale
all’interno del mio utero,
affibbiandomi il gravoso e spiacevole compito di avere dentro di me una
massa
di cellule che mi privi di nutrienti ed energie per crescere in un
rapporto
facilmente assimilabile al parassitismo. Questa tua imprecazione non mi
tange
in modo alcuno, quindi».
«Vediamo se
questo ti tange!»
Una sedia partì
verso di lei, sfiorandole appena le vibrisse traslucide;
l’unica reazione
dell’altra, però, fu solo di scuotere la testa
rassegnata e per niente
impressionata.
«Cielo, quanta
scena», sospirò annoiata. Si girò per
uscire «Vi aspetto insieme agli altri
nella sala del trono, e vi pregherei gentilmente di cercare di
accelerare le
cose fra voi per fare il prima possibile. Nei limiti di ciò
che la leggendaria
e profonda ninfomania delle Ophidian permette, ovviamente».
«I guardiani si
stanno forse lamentando?»
«No, ma potrei
presto commettere un duplice omicidio. Con permesso» fece un
breve inchino alla
sua regina, poi finalmente si dileguò, uscendo
silenziosamente com’era entrata.
I corpi di
Myricae e Harmonia, nel mentre di tutta quest’amabile
discussione con Naevia,
non si erano staccati nemmeno di un millimetro, forse per lo shock o
forse
perché pure loro -come la felinide- se ne sbattevano
altamente della sua
presenza.
O si sbattevano
e basta, insomma.
Si scambiarono
uno sguardo fugace, quello che bastò ad entrambe per
convenire che sarebbe
stato meglio rimandare quel loro amplesso ad un momento più
consono e
tranquillo per entrambe, accettando quindi il consiglio di Naevia:
vero, forse
i guardiani non si stavano lamentando -né lo avrebbero mai
fatto, considerando
l’intrattenimento e la mole immane di buffet a disposizione
nell’attesa-, ma la
voglia di chiudere almeno la
questione del contratto premeva tanto a loro quando alla sovrana di
Phantasia.
Capendosi al
volo, la naga srotolò il proprio lungo corpo serpentino
dalla compagna,
permettendole di alzarsi e dirigersi verso la finestra per guardare
fuori da
essa; lentamente, Harmonia sciolse il nodo in vita della candida
vestaglia semi
trasparente che indossava, lasciandosela scivolare addosso prima di
ricadere
morbidamente a terra.
Una scintilla
dorato-argentea illuminò le venature del suo corno:
sottilissimi filamenti
dello stesso colore andarono diramandosi su tutto il corpo della
sovrana,
avvolgendole la pelle chiara fino a farla scomparire completamente
sotto quella
coltre d’oro e d’argento che pareva essere stata
distesa direttamente dagli
angeli, da come le aderiva perfettamente. Un impercettibile bagliore di
stella
lungo quella sua chioma colore dell’arcobaleno, e il fragile
ed esile corpo
umanoide di Harmonia lasciò posto al possente fisico equino
che le apparteneva
dall’alba dei tempi.
Quelle erano le
sue vesti di principessa degli Starequus, vesti che portava la con
fierezza a per
non dimenticare mai nemmeno per un istante chi fosse veramente la
Regina di
Phantasia, di Exodus intero, un eterno memoriale della razza a cui
apparteneva,
del luogo dove seimila anni prima tutto era iniziato, e di dove tutto
sarebbe
continuato.
Si toccò il
corno: di solito lo nascondeva rendendo invisibile ed impalpabile a
chiunque
per motivi che lei stessa ignorava, ma questa volta non lo fece. Lo
avrebbe
lasciato lì a svettare sulla propria fronte senza curarsi
della sorpresa o meno
dei guardiani, stupidi com’erano avrebbero creduto fosse
l’ennesima creazione
dei suoi stessi poteri.
Myricae le si
avvicinò, dandole un bacio sulla fronte e allungandole una
mano.
«Che si alzi il
sipario».
Harmonia
gliel’afferrò
volentieri, uscendo a braccetto con lei dalla stanza.
«E che abbia
inizio la pagliacciata».
---
Il solo rumore
della pesante porta di pietra intarsiata che si apriva bastò
a smorzare il
mormorio dei guardiani, che si girarono tutti verso di essa.
Quasi come se
quel cigolio sordo fosse stato un qualche misterioso segnale udibile
solo dalle
loro orecchie, alla vista della sovrana si esibirono tutti in un
vistoso
inchino di accoglienza che perdurò a lungo, per tutto il
tempo in cui la
centauressa attraversò la navata con una grazia tale da far
sembrare che le sue
zampe candide nemmeno sfiorassero il pavimento.
Harmonia entrò
procedendo
a passo lento, Myricae al suo fianco con la mano sull’elsa
della spada legata
in vita e la testa tenuta alta a troneggiare al di sopra degli ospiti,
o -come
li aveva chiamati lei poco prima- delle “seccature
più secche della mia pelle
durante la muta”; il rumore degli zoccoli che si posavano sul
pavimento
riempiva la stanza, accompagnato dall’impercettibile stridio
delle spesse
squame color smeraldo che sfregavano sul marmo come carta vetrata.
Dinanzi a
suddetti ospiti, Harmonia fece un breve inchino.
«Chiedo
umilmente scusa se vi ho fatto attendere più a lungo del
previsto, signori e
signore, ma negli ultimi due giorni mi sono sentita poco
bene» fece ammenda la
regina, trovando che “poco bene” sostituisse
più che meravigliosamente un fin troppo
pomposo “sono rimasta in stato comatoso fino a qualche ora fa
e subito dopo ho
avuto uno splendido momento di collasso mentale durante il quale ho
ricordato
con immensa gioia l’estinzione della mia gente ”.
Getto lo
sguardo verso il lucernario -ormai riparato- al centro del soffitto,
l’intricato mosaico di vetri multicolore che riempiva
l’atrio di raggi
variopinti.
«Mi auguro che
non vi siate annoiati troppo in mia assenza, per quanto noto che avete
trovato
un delizioso modo d’intrattenervi nel mentre»
osservò notando che Naevia,
raccontando di tappeti elastici improvvisati tessuti dalla Sylkes,
diceva il
vero.
Non che certe
uscite da parte di Antares fossero una novità, quella donna
mezza ragno
compensava bene l’aria di estrema formalità che
aleggiava nel suo castello, ma
Harmonia sapeva anche quanto la leopardessa fosse contraria a
“certe
sciocchezzuole talmente inutili che andrebbero vietate”, come
le chiamava lei.
«Spero che le
mie collaboratrici vi abbiano intrattenuto a dovere, in mia assenza, ma
conto
sul fatto che abbiano svolto egregiamente i loro compiti».
«Puoi dirlo
forte!»
Aggrappandosi
ad un filo di seta semi trasparente nemmeno fosse una liana, Frost
raggiunse la
centauressa e il resto dei presenti in perfetto stile Tarzan.
Atterrò davanti
al gruppo con una capovolta, venendo accolto da un applauso scrosciante.
«Questo
posto è uno spasso come non ne esistono altrove! Nemmeno a
Burgess mi sono mai
divertito tanto! E poi lei» indicò Antares, poco
sopra la sua testa «è un
fenomeno, con quelle sue tele! Passato il terrore da uova in posti ci si dimentica completamente
che potrebbe avvolgerti
nella tela come un salame e mangiarti, pensa che-»
«MA
AAAAAAAWWW!!!» squittì la Sylkes, stringendosi con
decisione il guardiano al
petto. «Hai sentito, Harmonia? Ha detto che vuole permettermi
di deporre le mie
uova all’interno del suo stomaco! Il suo adorabile, morbido,
pallido, stomaco
da guardiano! Finalmente potrò avere anche io i miei piccoli
figli ragnetti che
usciranno dalle sue fragili carni squarciandole e dilaniandole e
nutrendosi di
lui alla nascitaaaaa!»
Jack
raggelò «Cosa? Io non ho parlato di-»
tentò di parlare nuovamente, ma il prosperoso
seno dell’altra lo stava ormai letteralmente inghiottendo, a
giudicare da come
lanciasse grida d’aiuto che, ora, erano più simili
a mugolii sommessi e
intraducibili.
La regina
si lasciò scappare una risata.
«Oh, per me non ci sono
problemi davvero,
può venire qui a vivere anche oggi stesso se ci tiene
tanto» sorrise con fare
materno, scompigliando scherzosamente i capelli al giovane «tuttavia…»
improvvisamente, il suo tono
si fece cupo «devo ricordarti che questo dipenderà
solo e unicamente dalla
decisione dei suoi compagni guardiani in merito
all’ospitalità da me offerta ad
uno di loro, come ben sanno tutti i presenti in questa
stanza».
Intorno a lei, i volti prima
sorridenti e
scherzosi si tramutarono in espressioni attonite e contrite nel giro di
mezzo
secondo.
Bingo.
Non lo diede
affatto a vedere, ma -internamente- Harmonia stava già
gongolando nella
consapevolezza di aver colpito il nervo che le interessava con una
singola, innocente
e per niente sospetta frase detta al momento giusto, e cioè
quando tutti i
guardiani avevano ormai abbassato la guardia: si stavano sentendo a
casa loro,
venivano trattati come se fossero a casa loro, avevano tutti i
privilegi che
avrebbero avuto a casa loro.
Eppure ora lei
se ne usciva così spontaneamente -almeno
all’apparenza, dal momento che aveva invece
calcolato ogni singola parola- con quello spiacevole, spinoso,
fastidiosissimo,
argomento che era la scelta dell’ostaggio.
Pardon, dell’ospite.
La regina era
una donna sveglia, “anche troppo”, avrebbe detto
qualcuno: aveva intravisto il
terrore nei loro occhi fin da quando era entrata dalla porta, non aveva
smesso
nemmeno un attimo di respirare a pieni polmoni l’acre odore
dei loro animi
tremendamente agitati, spauriti, confusi, al solo pensiero di dover
affrontare ciò
che lei, ora, si era gentilmente permessa di sbattere loro in faccia in
modo
alquanto scherzoso e al contempo serissimo.
Perché lei lo
era eccome, serissima e incredibilmente decisa: nessuno fa niente per
niente,
la sua filosofia era quella, nemmeno la Luna sorge se il Sole non
tramonta, non
inizia un nuovo giorno se la notte non si dilegua. Prima lo avrebbero
capito, prima
si sarebbero messi il cuore in pace.
E prima se ne
sarebbero andati, soprattutto quello.
Nessuno dei
guardiani proferì più parola per svariati minuti,
preferendo passare quel tempo
a guardarsi in faccia in cerca di un qualche segno sul da farsi e
sull’atteggiamento da adottare, forse sperando invano che uno
di loro si
facesse avanti per primo.
A dispetto
delle aspettative, fu infine Calmoniglio a prendere la parola.
«Non sarebbe
opportuno andare per gradi, prima di discutere di questo?»
tentennò cercando di
prendere tempo: non avevano discusso nemmeno un secondo di chi di loro
dovesse
prendere casa laggiù, a Phantasia, piuttosto avevano
preferito approfittare ampiamente
dell’ospitalità a loro concessa per divertirsi e
staccare la mente dall’attacco
appena subito. E ora il coniglio pasquale -come tutti gli altri- se ne
stava
amaramente pentendo.
«Intendo che
potremmo tutti prendercela con più calma, anziché
correre tanto: non penso
proprio che Phobos -conciato com’è- si
rifarà vivo tanto presto, per cui non ci
sono ragioni di metterci fretta a vicenda»,
precisò, pregando che non ci
fossero fraintendimenti.
Fece una lunga
pausa «E poi così tu avresti il tempo per
riprend-»
«Non mi serve
tempo per riprendermi» lo interruppe lei pestando uno zoccolo
a terra, il tono
improvvisamente fattosi duro e con una punta di aggressività
«sto
splendidamente, come puoi notare tanto tu quanto i suoi compagni, mai
stata
meglio» fece un giro su se stessa, i lunghi capelli che
fluttuavano eterei
mossi da quel solito e impercettibile vento che li manteneva
costantemente in
movimento.
Si avvicinò ai
guardiani, quasi con aria di sfida.
«Non mi serve
tempo per riprendermi, semplicemente perché non ho bisogno
di riprendermi da
nulla. Sono Harmonia, sono la Regina di Phantasia, sono la sovrana
della
fantasia» allargò le braccia «non
esistono pause né vacanze nel mio compito, il
mio ruolo non mi permette di lavorare un giorno l’anno
crogiolando alle isole
Cayman a bere Martini per gli altri trecentosessantaquattro»
continuò sfilando
davanti a loro mantenendo quell’atteggiamento di
superiorità, gli occhi rosa
azzurri che si piantavano prepotenti nelle pupille di ognuno dei cinque
«tantomeno
posso gustarmi il lusso di avere come unico cruccio della mia vita
immortale il
dover accontentare i desideri di una manciata di piccoli umuncoli
bavosi, se
non voglio cessare di esistere».
Infine, si
fermò davanti ad un Calmoniglio visibilmente intimidito.
«Ogni minuto,
ogni ora, ogni giorno, di quello che voi chiamate
“riposo” si traduce in tempo
che va inevitabilmente sprecato, tempo che regaliamo a Phobos e che gli
permette
di essere sempre un passo davanti a noi. Sempre.
Dì, conosci la fiaba della lepre e della
tartaruga?»
Il Pooka girò
il viso senza rispondere, imbarazzato.
«C’era una
lepre che si vantava con gli altri animali di quanto fosse veloce,
sottolineando
con disprezzo come nessuno fosse in grado di batterla in una gara di
velocità.
Una tartaruga, tuttavia, accettò la sfida»
raccontò la regina, la magia che
dalle sue mani fluiva a formare due sagome indistinte che, poco dopo,
presero
le forme degli animali da lei citati.
«Figurati come
reagì la lepre: le scoppiò a ridere in faccia
senza ritegno alcuno,
denigrandola e scherzandola per la sua estrema lentezza, mentre
già pregustava
la propria vittoria con la sfacciataggine che sono una lepre
particolarmente
stupida -o particolarmente fiera di sé- può
avere. La gara iniziò, dunque, e la
lepre partì in quarta: nemmeno il tempo di muovere
faticosamente il proprio
carapace dalla linea di partenza, e l’avversaria era
già fin quasi al traguardo»
proseguì, mentre la lepre eterea scattava da una parte
all’altra della stanza
talmente veloce da essere quasi invisibile, lasciando dietro di
sé una scia
dorata.
«Ma si fermo
poco prima, sicura com’era di vincere» a quelle
parole, anche l’animale magico
si fermò tutto d’un tratto.
«Si fermò a
dormire,
la lepre. “Tanto vincerò sicuramente”,
si diceva. E intanto la tartaruga
continuava a camminare e camminare e camminare, un passo dopo
l’altro,
centimetro dopo centimetro, senza mai darsi per vinta. I centimetri
divennero
metri, i metri decine di metri, le decine centinaia, e sai cosa
successe alla
fine?»
L’altro scosse
la testa.
«Vinse la
tartaruga. “Non è questione di chi correre
velocemente”, disse il rettile, “ma
di partire in tempo”, e la lepre lo capì
tardi» l’animale le saltò in mano,
sfregando il muso sul suo palmo «talmente tardi da essere
sbranata dal leone, o
peggio dal lupo».
Detto fatto, e
Spettro addentò la creatura magica, dissolvendola in una
cascata di polvere
iridescente che lo fece starnutire.
Harmonia si
abbassò fino all’altezza del muso di Calmoniglio,
fissandolo talmente tanto
intensamente che pareva gli volesse guardare fin dentro
l’anima per ghermirla.
«Abbiamo dato a
Phobos un vantaggio di due giorni per causa mia e me ne assumo tutta la
responsabilità, ma le conseguenze di un ulteriore ritardo
nel muoverci e
giocare le nostre carte sarà colpa vostra, guardiani, io me
ne lavo
completamente le mani» asserì imitando il gesto.
«Avete chiesto un’alleanza e
vi è stata concessa, e ora io chiedo la mia garanzia: un
ospite, tutto qui, uno
di voi che si fidi talmente tanto dei suoi compagni da mettere nelle
loro mani
la sua stessa vita».
«Sua vita?» si
intromise Nord, il tono quasi spaventato.
Harmonia
sorrise: oh-oh, altarino svelato.
Con tutta la
calma del mondo, la centauressa si avviò verso il tavolo al
centro della
stanza, prendendo posto davanti ad una teiera fumante.
«La sua vita,
certo, ho anche io le mie precauzioni» con cautela, si verso
l’ennesimo tè di
quell’intensa giornata, questa volta al caramello e vaniglia.
«Conosco troppo
bene voi guardiani, decisamente meglio di quanto vi conosca
l’Uomo nella Luna,
e se so una cosa per certo è che siete pronti a tradirmi
un’altra volta
dileguandovi dallo scontro, se le cose dovessero precipitare in modo
così
gravoso da mettere a repentaglio le vostre vite».
La fronte
dell’uomo si imperlò di sudore. Non per quelle
parole così dure, non per la
poca fiducia che la sovrana dava a loro guardiani, non era nemmeno
perché
parlava di tradimento così tranquillamente e serenamente,
certo che no.
Era perché Nord
sapeva che aveva ragione, a dire ciò che diceva:
l’avrebbero tradita un’altra
volta, se le cose si fossero messe troppo male, e lei li aveva
anticipati con
la firma del contratto.
«I miei
sospetti erano fondati, quindi» asserì lei notando
la sua espressione,
sorridendo come mai prima di quel giorno. Posò la tazza
ancora bollente «Sono
carina e amorevole e materna, ma non sono stupida: credevate di potermi
prendere in giro di nuovo scappando all’ultimo, vero? Beh,
potete farlo senza
problemi e non sarò certo io ad impedirvelo, ma non credo vi
convenga».
«Perché?»
chiese tranquillo Frost.
Harmonia tornò
a sorseggiare il proprio tè, soffiando sulla tazza calda: a
volte quel
poveretto le faceva quasi pena, ignorante com’era stato
cresciuto dai suoi
compagni che si era tanto premurati di mantenerlo puro da tutto quel
marciume
nascosto dalla coltre del titolo di “guardiani”.
«Oh, carissimo,
perché in quel caso io ucciderò il mio ospite.
Una garanzia della vostra
fedeltà, appunto».
Se si avesse
avuto un udito sufficientemente sensibile da percepire i battiti dei
presenti,
allora -in quel preciso istante- si sarebbero sentiti un paio di essi
perdersi
nelle rughe di sconcerto apparse sui loro volti increduli.
“Harmonia è
tanto tenerella e carina e materna con chiunque, figurati se
può mettercelo nel
culo profondo come la fossa delle Marianne”, dovevano aver
sempre pensato
ascoltando la regina della fantasia con quella sua voce angelica, quei
suoi
incantevoli occhi dai delicati colori pastello, il suo manto bianco
brillante
che ricordava il candore dei suoi atti e del suo cuore.
“Rettifico: non
solo ce lo ha messo in culo profondo come la fossa delle Marianne, ma
lo ha
pure fatto uscire dalla gola”, invece, rendeva bene
l’idea di cosa stessero
pensando tutti adesso, dopo che l’altarino -delle loro reali
intenzioni o del
vero scopo del contratto non faceva differenza- era stato scoperto.
«Questo essere
tradimento!»
La voce di Nord
tuonò come un fulmine a ciel sereno nella stanza,
rimbombando fino a creare un
eco che faceva suonare ancora più cupa
quell’accusa. L’uomo si diresse a grandi
passi verso la Regina di Phantasia raggiungendola al tavolo al quale
era
comodamente seduta, sbattendo pesantemente un palmo su di esso
facendolo
tremare.
«Tu averci
preso in giro, Harmonia, in contratto che noi avere firmato non esserci
alcun
riferimento ad omicidio di guardiano, di guardiano!»
inveì col viso rosso dalla
rabbia che stava provando. «Tu come spiegare questa richiesta
folle? Noi venuti
in pace, credevamo che tu fossi da nostra stessa parte e invece ah!
Chiedi vita
di guardiano!»
La donna non
parve per nulla scossa, anzi aspettò di finire quel lungo
sorso di tè che stava
bevendo prima di rispondere.
«Non è
precisamente così» puntualizzò, posando
poi la tazza «io non “chiedo vita di
guardiano”, non chiedo proprio la vita di nessuno. Io non
ucciderò un guardiano,
piuttosto sarete voi a
farlo».
«Noi?»
«Voi, sì.
Rispettate l’accordo senza scappare, e tutto
filerà liscio come l’acqua che
sgorga da una sorgente d’alta montagna. Traditemi come
settecento anni fa
scappando a gambe levate, e strapperò il cuore dal petto del
vostro malaugurato
compagno con queste stesse mani» le alzò per
mostrarle meglio.
La regina
sorrise, quel genere di sorriso tremendamente inquietante di chi sa di
aver già
vinto.
«Io sarò
soltanto un’esecutrice materiale della vostra scelta, diciamo
pure che sarò il
boia che calerà l’ascia sul collo del condannato,
ma la condanna o
l’assoluzione di quest’ultimo dipenderà
solo e unicamente dall’atteggiamento
che voi sceglierete di adottare: restare o fuggire, vita o morte, non
ci sono
vie di mezzo. Semplice semplice, a prova dello scarso comprendonio di
una
creatura scelta da Manny» rise in segno di scherno
«Domande?»
Calmoniglio
alzò una zampa, anche lui visibilmente iracondo.
«Io ne ho una.
Il fatto che due giorni fa ti abbiamo salvato il culo da Phobos proprio
non
conta nulla? Te ne sei improvvisamente dimenticata, o non lo dici solo
perché
non ti fa comodo? Se non fosse stato per noi-»
«I miei
generali se la sarebbero cavata ugualmente» intervenne
Harmonia alzandosi e
andandogli vicino. «Non metto in dubbio che il vostro
contributo sia stato
utile e per questo vi ringrazio, ovviamente,
tuttavia ci tengo a precisare che il nostro contratto è
stato stipulato ben
prima che Phobos attaccasse, ed è stato stilato sulla base
di azioni avvenute
settecento anni fa. Non ritengo che la vostra accusa di tradimento sia
sensata,
visto ciò che ho appena detto, quindi non accetto altre
lamentele su questo
punto».
«Ma questo non
essere-»
«Giusto?» si
chinò per incontrare lo sguardo di Nord. «Non fu
nemmeno giusto che voi
fuggiste nel momento del bisogno, sette secoli fa, ma voi lo faceste
ugualmente
e senza vergogna alcuna. Anzi, adesso avete anche il coraggio e la
sfacciataggine di lamentarvi che la vostra codardia abbia avuto
ripercussioni
sul presente, cercando di far passare me per la cattiva. È
giustissimo, guardiani,
così giusto che ora pretendo mi diciate il nome del
prescelto e poi vi leviate
immediatamente dalla mia vista».
Seguì un
silenzio a dir poco imbarazzante, durante il quale nessun aveva osato
proferire
parola: vuoi perché -alla luce di ciò che avevano
appena scoperto- il fare una
scelta era una mezza condanna, vuoi perché non avessero
pensato nemmeno mezzo
secondo a chi mandare fra tutti, ma dalle loro bocche non
uscì nemmeno un
sospiro.
Sandman, che
per tutto il tempo della discussione se n’era stato in
disparte -probabilmente
sapendo bene che fossero loro in torto- a braccia conserte, decise
infine di
prendere parola, o sabbia dorata insomma; con un paio di gesti, chiese
alla
regina se non potessero avere altro tempo per decidere.
Lei dondolò la
testa, in segno di risposta negativa.
«Ho atteso
anche troppo. Avete avuto tempo più che sufficiente per
parlare fra voi e prendere
una decisione comune, e anche se non vi foste trovati
d’accordo avreste sempre
potuto giocarvela a morra cinese» asserì facendo
spallucce, indifferente. «Non
rifarò la domanda un’altra volta: chi di voi
sarà mio ospite?»
«Harmonia, noi
non-»
«Ho detto che
non rifarò la domanda, né accetterò
ulteriori lamentele» ringhiò la donna verso
il coniglio pasquale «voglio solo un nome, niente di
più. Datemi un nome, e
questa pagliacciata finalmente terminerà: voi potrete
tornare a gongolare fino
a quando i vostri servigi non saranno nuovamente richiesti, io
potrò tornare ad
occuparmi del mio regno e del mio pianeta, tutti felici e contenti
insomma. Ma
mi serve un nome».
“Che noi non
abbiamo”, sottolineò l’uomo dei sogni.
«Non è un mio
problema. Non uscirete da questo castello finché non
avrò quel nome, questo posso
assicurarvelo» sorrise lei schioccando le dita.
La sua magia si
aggregò in sottili filamenti luminosi fin troppo simili a
sbarre, che comparvero
dal nulla ricoprendo finestre, porta e lucernario, chiudendo qualsiasi
via di
fuga ai guardiani.
«Spero che
basti a motivarvi» asserì compiaciuta la regina.
«Allora? Avete deciso chi-»
«Dentolina».
Tutti si
girarono verso il punto dal quale era provenuta la voce che aveva
nominato la
fata, gli sguardi concentrati verso quei capelli bianchi e quegli occhi
colore
del ghiaccio, un ghiaccio percorso da più crepe di quante
avrebbe dovuto averne
alla sua età.
Se prima i guardiani
era increduli di fronte alla rivelazione di Harmonia sul loro patto,
allora
adesso era a dir poco traumatizzati: Jack Frost, il più
giovane fra loro,
l’ultimo arrivato, il dilettante -nonché quello
col compito meno gravoso- aveva
preso in mano la situazione come i suoi colleghi non erano riusciti a
fare
tradendo una di loro senza pudore. E si era pure salvato il culo
evitando di
essere nominato.
Classica
strategia alla “Grande Fratello”, considerando
quale assiduo fan era lui di
quel programma.
Lo sgomento si
poteva leggere sui volti di ognuno, e non si sapeva se fosse
più per la
sorpresa che lui avesse tanta spina dorsale da decidere senza
consultarli o,
con più probabilità, per il trauma di fronte ad
un’infamata del genere.
Tutti erano lì
a guardarlo, a fissarlo, a piantargli quello sguardo accusatorio
addosso con la
speranza che ne venisse trafitto come da un pugnale, ma il giovane
guardiano
pareva del tutto impassibile: aveva la coscienza a posto, Frost, o
almeno così
si stava giustificando mentalmente con se stesso. Non aveva pronunciato
il suo
nome per cattiveria o per dispetto, aveva avuto delle motivazioni e
riteneva
che fossero tutte più che valide, ma -alzando gli occhi sui
visi sbiancati dei
compagni-, iniziò a riflettere sul fatto che tali
considerazioni non sarebbero
state precisamente semplici da spiegare o accettare.
Alla Regina di
Phantasia sarebbe piaciuto tanto stare lì a guardare i
guardiani scannarsi fra
loro, magari aprendo pure il lucernario per mostrarli alla Luna lontana
nel
cielo dicendo a Manny “Ecco, queste sono le tue creazioni:
ottimo lavoro, davvero”,
ma riteneva di non avere tempo da perdere.
Fece un
silenzioso cenno col capo a Myricae, che rispose con un cenno a sua
volta.
«E Dentolina
sia, dunque. Avvicinati».
«No! Certo che
non si avvicina!» si mise in mezzo Calmoniglio, frapponendosi
fra la fata e
l’Ophidian che era andata a prenderla. Si girò
verso Jack «Cosa stracazzo ti
passa per quel tuo cervello congelato? Sei impazzito? Sì,
sì che lo sei! Se
proprio eri voglioso di pronunciare un nome avresti dovuto dire il
tuo!»
Nord andò in
aiuto del fronte “portate una corda per impiccare il bianco
di capelli voglioso
di piselli, che altrimenti la chiediamo a Sandy”.
«Anche se
essere strano, Calmoniglio avere ragione: tuo gesto non essere stato
carino,
Jack! Tu finire in lista di cattivi, anche prima di grande naso di
Pitch!»
«Ma
scherzate?!! Guardate che mica l’ho detto per farle un
dispetto eh!» precisò il
guardiano, imbracciando il bastone nel vedere che lo stesso avevano
fatto gli
altri con boomerang e sciabole. «Ma l’avete vista
durante l’attacco di Phobos?
Ci stava per rimanere secca non solo una volta, ma almeno una decina! E
tutte
di fila! Almeno qui sarebbe al sicuro e non rischierebbe di venire
ammazzata
ogni tre per due!»
A quelle
parole, tutti ritirarono le proprie intenzioni bellicose, osservando
invece la
fatina che tremolava spaventata.
Potevano
tentare di cercare di trovare tutte le scuse del mondo, ma -in fin dei
conti-
Frost aveva ragione: Dentolina non aveva mostrato una particolare
utilità in
quel genere di scontri fisici ad alta pericolosità e tasso
di mortalità, aveva
rischiato la vita più volte creando solo problemi agli altri
che dovevano
pensare a se stessi e pure a lei.
Era stata solo
d’impiccio, ecco.
«Non può
andare
lei!» insistette però il coniglio pasquale, non
ancora convinto. «Non si
possono privare i bambini della fatina dei denti! Chi si
occuperà di loro? Chi
penserà a raccogliere i-»
«Se permettete,
ai bambini posso tranquillamente pensare io».
La voce di
Naevia si fece largo fra i litiganti, la lunga coda che
sfiorò il muso del
Pooka facendoglielo arricciare per il solletico. Lui però
non cambiò affatto
atteggiamento, mantenendo la difensiva.
«E come?
Passando di casa in casa con un paio di ali di carta sulla
schiena?»
«Oh, no di
certo. Piuttosto sventrandoli uno per uno, bambino dopo bambino,
passando un artiglio
sulle loro pallide gole molli e indifese finché non
vomiteranno fuori dalla
carotide e dalla giugulare tutta la vita che hanno in corpo. Sapete
che, una
volta fermatosi il cuore, si ha ancora qualche istante di coscienza?
Dai trenta
secondi fino ai tre o sette minuti, solitamente, ma non sono rari casi
in cui
quest’esperienza post-mortem perduri più a
lungo» spiegò con tutta calma,
tirando fuori gli artigli retrattili e prendendo a osservarseli
distrattamente.
«Sarebbe di
grande aiuto alla scienza studiare quali di quelle da voi comunemente
definite
“emozioni” appaiano sui loro volti
nell’acquisire la consapevolezza di stare per
andare all’altro mondo, magari provando anche a recuperare
l’ultima immagine
che i loro occhi hanno registrato prima del decesso, la cosiddetta
“imago
mortis”. Sarebbe “curioso” -è
l’emozione giusta, vero? La chiamate così
l’impellente
voglia di sperimentare qualcosa?- tentare una cosa del genere su dei
bambini,
dal momento che possiedo solo campioni adulti. Tutto sempre in nome
della
scienza, ovviamente».
Calmoniglio
inorridì, lo stomaco che gli si torceva
nell’impellente bisogno di vomitare: ma
che cazzo di generali si era trovata Harmonia?
La centauressa,
invece, scoppiò in una fragorosa risata.
«Dovete
perdonare Naevia, ma a lei e alla sua razza gli standard socialmente
accettati di
etica e moralità non si applicano in alcun modo»
spiegò indicando la
leopardessa, la quale la fissò come se non capisse cosa
stesse dicendo. «Tuttavia,
non dovete preoccuparvi perché non ci sarà
nessuna necessità di trovare una
sostituta a Dentolina, se rispetterete i patti. Come dicevo, ora
è tutto nelle
vostre mani: sono certa che ci tenete alla vostra amica, quindi non
c’è motivo
di agitarsi tanto».
Con la fata
vicino, la regina allungò un braccio di fianco a
sé.
Tempo qualche
istante, e la magia si aggregò in un lungo bastone, uno
scettro che pareva
essere fatto di un vetro iridescente che lanciava continui bagliori
quando la
luce lo illuminava, la cui sommità era formata dalla sagoma
del busto trasparente
di un unicorno alato con una gemma dorata come occhio, così
com’erano dorati
alcuni sottilissimi fili che ne ricoprivano il corno insieme a delle
appena
visibili schegge colorate.
Dentolina
tremava come una foglia, si vedeva dal terrore sempre crescente nei
suoi occhi
che avrebbe solo voluto fuggire e andarsene, ma non si oppose quando
quello
scettro si posò delicatamente sul suo petto,
all’altezza del cuore. Improvvisamente,
si calmò.
O forse si
prese solo un infarto, quando il corno si conficcò nelle sue
carni spezzandole
il respiro in gola.
Già pronti a
scattare all’attacco per difendere la compagna, i guardiani
vennero trattenuti
dalla possente coda di Myricae che si parò loro davanti,
impedendogli di
avanzare oltre. Notando tanto subbuglio e Dentolina piegata in due, la
sovrana
sospirò annoiata.
«Non le ho
fatto nulla, controllate pure» propose tranquilla, mostrando
loro come
-effettivamente- la fatina non recasse alcuna ferita o sanguinamento.
«Convinti?»
domandò agli altri, che annuirono. Anche perché
non avrebbero potuto fare
altro.
Harmonia
sorrise, osservando compiaciuta l’oggetto che aveva fra le
mani: quello scettro
apparteneva alla sua razza da tempo immemore, da quando il primo
Starequus
aveva posato i propri zoccoli sul suolo di Exodus, era stato passato di
mano in
mano per generazioni e generazione fino ad arrivare a lei, alla Regina
di
Phantasia, che ora lo custodiva insieme ai segreti ed ai tesori di un
popolo
che si era trascinato il proprio sapere nella tomba.
Istintivamente,
una mano le scivolò sulla lunghezza del prezioso bastone, e
la sua mente andò a
vagare in quel passato che la tormentava da seimila anni, un passato
nel quale
il volto di sua madre che impugnava lo scettro era stata
l’ultima cosa che i
suoi occhi avevano visto prima di chiudersi.
«L’Erikepaios
Anænketi…» sussurrò fra
sé e sé, come se avesse l’impellente
bisogno di
parlarne «lo scettro della Dea Senza Sudditi, donato alle
genti di questo
pianeta in un tempo in cui ancora non esistevano parole adatte a
descrivere la
meraviglia ed il potere primigenio di questo artefatto. Qui
dentro» indicò
l’occhio del cavallo «scorre il sue sangue, non
troverai mai nulla di più puro
nemmeno se cercassi fino a consumare ogni centimetro del cosmo a furia
di
scavare nelle sue profondità. Ed è proprio
ciò che mi serve ora».
Prese a
studiare il busto dell’unicorno, osservando in controluce
come all’interno
dell’animale vi fosse un liquido rosso piuttosto denso che
correva sulle pareti
di vetro -o di qualsiasi cosa fosse- di quell’oggetto.
«Cos’è?»
«Sangue,
giovane guardiano. Quello della tua amica, per la precisione»
spiegò mostrandoglielo,
lui che ci mancava poco vi si attaccasse con la faccia da quanto era
incuriosito.
«Se in
qualsiasi caso io non dovessi essere in grado di garantire la morte
della
fatina dei denti in seguito ad un vostro tradimento,
l’Erikepaios lo farà al
posto mio: è come un giuramento solenne, un giuramento che
non può essere
spezzato in alcun modo se non con la morte della persona il cui sangue
è qui
dentro. Niente e nessuno può sfuggire al giudizio della Dea,
non le si può
mentire».
Harmonia
contemplò ancora qualche istante il prezioso bottino, salvo
far dissolvere lo
scettro in una polvere luccicante che pareva più una pioggia
di glitter.
«Bene, direi
che qui abbiamo finito. È stato un piacere fare affari con
voi, signori miei
carissimi, ma ora ho un’ospite della quale devo occuparmi e
voi avete dei
bambini ai quali far credere in voi: direi che siamo tutti molto
occupati, per
cui» tese una mano davanti a sé, evocando gli
stessi portali che -tempo prima-
avevano fatto piombare i guardiani sul suo pianeta
«arrivederci fino a nuovo
ordine».
Furono colti
tutti piuttosto impreparati da tutta quella fretta, Dentolina compresa:
sembrava
più una bambola in balìa degli eventi piuttosto
che una persona consapevole di
ciò che le stesse accadendo, a giudicare dall’aria
assente e dagli occhi vuoti
e acquosi sarebbe legittimo aver dubitato che fosse sotto
l’effetto di chissà
quale droga. O forse, più semplicemente, solo di una
disperazione troppo grande
per essere esternata.
A testa bassa e
improvvisamente ammansiti, i guardiani si avvicinarono piano alla
regina e alla
compagna che ora le stava di fianco, esibendo un breve inchino.
«Non potremmo
avere il tempo di salutarla?» domandò un
Calmoniglio che nulla aveva dell’aria
minacciosa di prima.
Harmonia si
diede ad un facepalm il cui eco si fece strada in tutta la sala del
trono.
«Per la Dea,
parlate di lei come se fosse una condannata a morte!»
sbottò irritata. «Non è
che non la vedrete mai più nella sua intera esistenza, o che
appena vi girate
Naevia la sgozza… anche se su quest’ultima cosa
non garantisco, dovete giusto
pregare che non sia interessata a dei particolari studi
sull’anatomia
dell’ultima abitante di Punjam Hy Loo»,
ridacchiò.
Spinse
leggermente la fatina verso i compagni, invitandola a prendersi tutto
il tempo necessario
per salutarli mentre lei li girava per ritirarsi nelle proprie stanze.
Dopo qualche
passo, però, Harmonia si fermò.
Gettò lo
sguardo dietro di sé, notando i guardiani che si davano a
quel genere di baci e
abbracci riservati ai detenuti che stanno per andare sulla sedia
elettrica,
tutti raggruppati davanti all’amica ad aspettare il proprio
turno.
Immediatamente dietro di loro, il portale per la Terra. Sorrise.
Stiracchiò le
zampe posteriori pestando gli zoccoli a terra, assicurandosi di avere
una buona
presa a terra con quelle anteriori; lanciò uno sguardo a
Myricae: pollice verso,
diceva l’Ophidian. E che pollice verso fosse, allora.
La regina si riempì
i polmoni di tutta l’aria che potevano contenere, inspirando
profondamente.
«QUESTA.
È. PHANTASIA!»
Una zoccolata
in perfetto stile spartano sulle loro schiene indifese, ed il varco si
chiuse dietro
i guardiani che vi caddero dentro mentre imprecavano e bestemmiavano.
Dentolina tentò
di controbattere, ma Harmonia era ormai lontana sulle scale con la
propria
partner facendosi con lei grasse ridate. “Se trattano
così gli ospiti”, pensò
seguendo Naevia nel mentre che l’accompagnava a fare un giro
del castello che
sarebbe stato la sua casa per chissà quanto,
“forse dovrei iniziare a
preoccuparmi”.
Non poteva
ancora immaginare quanto avesse ragione.
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Angolino
dell’autrice
Sì, ci ho messo
più tempo del solito ad aggiornare, ma ultimamente fra
capitoli lunghi
lunghissimi e vacanze le tempistiche si allungano pure loro
:’D
Spero che i
vari altarini scoperti non risultino troppo confusionari, nel caso me
ne scuso,
ma lascio il giudizio ultimo a voi e ad eventuali persiani che vogliono
contestare l’immane figaggine di Leonida
Harmonia; ne approfitto per
ringraziare chiunque stia seguendo la storia e ci tenga a farmi sapere
cosa ne
pensa, ma anche solo a chi la legge ovviamente, anche perché
da un paio di
recensioni ho potuto capire e correggere alcune imprecisioni/eccessi
qua e là,
per cui grazie di cccuore a tutti :3
La canzone che ho utilizzato è "Little Sunshine - An Original MLP Song" di Ink Rose che potete trovare qui, e che è la stessa canzone alla quale fa riferimento il titolo di questa fanfiction.
Vi lascio con un
mio disegno fatto a marzo (COFF COFF non è chissà
cosa e ora non sarebbe certo
meglio COFF COFF) di una piccola Harmonia con sua madre, al quale mi
sono
ispirata per descrivere una delle tante drammatiche scene alle quali ha
assistito
Myricae :)
Alla prossima!