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Autore: Neferikare    09/01/2018    3 recensioni
Dopo l'ultimo delirio di onnipotenza di Pitch Black, per i Guardiani è iniziato un periodo di relativa pace e calma piatta, uno di quelli che fanno pensare al lieto fine delle favole.
Un periodo che non è però destinato a durare, dopo l'improvviso quanto casuale arrivo di una stella cometa fin troppo ubriaca per capire le conseguenze delle proprie azioni tutt'altro che responsabili, conseguenze che hanno il volto di un antico nemico dimenticato in un Abisso da tutti.
O almeno quasi, tutti.
Perché nulla è per sempre, nemmeno la pace.
Nemmeno l'amore.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Altri, I Cinque Guardiani, Manny/L'uomo nella Luna, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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cap12

«Lasciami spiegare, Ammë!»

«Lau, gweriadir!» la robusta coda nera e bluastra le si abbatté violenta sulla schiena, il rumore delle ossa rotte che echeggiava sordo. «La tua lingua ha già sibilato abbastanza menzogne per i miei gusti, yeldë, ogni tua ulteriore parola serve solo a confermare ciò di cui sei accusata: gweriad. Tradimento». Le gettò vicino un fiore sgualcito, una rosa secca che ben poco conservava dei propri petali multicolore «Manke nae lle? Dove lo hai preso?»

“Phantasia” avrebbe dovuto rispondere la naga dalle squame color smeraldo, ma tacque: non aveva il permesso di uscire da Quetzalli, nessuna Ophidians lo aveva.

E lo aveva fatto comunque.

Fin dal primo istante in cui il suo sinuoso corpo era strisciato fuori dai confini del luogo in cui era nata, Myricae era stata consapevole che né la sua Ammë né la sua Amìl -il nome con il quale la sua gente identificava le due madri di ogni Ophidian, rispettivamente quella che aveva dato il proprio seme e colei che invece aveva ospitato nel proprio ventre il frutto della loro unione- avrebbero approvato, ma il richiamo della curiosità era stato troppo forte: c’era così tanto da esplorare fuori dalle mura boschive di quel regno, c’era un intero mondo che aspettava solo lei per schiudersi dinanzi al suo sguardo emozionato!

Era sembrata una bambina, la prima volta in cui aveva osservato le bellezze fuori da casa sua, una bambina con gli occhi spalancati di chi scopre la freschezza dell’erba morbida anziché le fredde pietra che levigano le squame, i colori di un tramonto diverso da quelli visibili fra gli immensi vulcani che circondavano Quetzalli, anche solo il vedere un fiore prima sconosciuto l’aveva fatta squittire dalla gioia!

L’aveva colta, quella rosa dai vividi colori incredibilmente simili a quelli di un arcobaleno, per poi conservarla gelosamente nella sua stanza come un ricordo indelebile di quell’esperienza, un monito a promettersi “tornerò”.

Ma una delle sue madri, la sua Ammë, l’aveva trovata: le aveva affibbiato la definizione di gweriadir, “traditrice”, e aveva tutta l’intenzione di giustiziarla sulla pubblica piazza.

Precisamente come si stava accingendo a fare ora.

Si sentì sollevare per il collo, gli artigli che lo stringevano come se potessero spezzarlo da un momento all’altro. E potevano farlo eccome.

«Parla, yeldë!» le gridò, un’altra frustata le arrivò dritta alla nuca, il sangue che colava dalla sua chioma serpentina che si contorceva agonizzante. «Fallo prima che estorca la confessione direttamente dal tuo petto insieme al tuo cuore da gweriadir! Confessa, oppure-»

 

 

Myricae si svegliò di colpo.

Alzò di scatto la testa dal letto guardandosi intorno sospettosa, i muscoli che già fremevano e una mano sull’elsa della spada poggiata al muro: era stato solo un sogno, per fortuna.

O meglio, un brutto ricordo, ma lo scacciò subito dalla mente.

Erano già due giorni che vegliava la Regina di Phantasia in quel suo stato simil comatoso, si era ripromessa che non avrebbe chiuso occhio nemmeno un istante, ma -complici le medicazioni e gli intrugli per curare la sua ferita, oltre che la stanchezza dopo il feroce confronto con Phobos- alla fine la sonnolenza aveva avuto la meglio, e l’Ophidian si era lasciata dolcemente cullare dalle braccia di Morfeo.

Non aveva idea di quanto avesse dormito, forse qualche decina di minuti o qualche ora o addirittura un giorno intero, ma una certezza l’aveva eccome: mai si sarebbe perdonata se fosse accaduto qualcosa ad Harmonia mentre lei era impegnata a sonnecchiare. Mai.

Il suo nome le era risuonò nella mente: Harmonia.

Era stata talmente presa dal suo brusco risveglio dopo quell’incubo da non aver fatto caso al vuoto che aveva improvvisamente sentito sotto di sé, quando si era svegliata, rendendosi conto solo adesso che non c’erano più le gambe della compagna a sostenerle il suo corpo stanco e dormiente. Presa dal panico, si rizzò sulla coda già pronta ad affrontare il peggio, ma per sua fortuna Myricae venne presto rassicurata: gettando distrattamente lo sguardo verso la finestra, al limite del suo campo visivo apparve anche l’altra donna, seduta ai bordi del letto con quella sua cascata di capelli multicolore abbandonata sulle coperte disfate, la magia che fluiva lentamente davanti a sé in una nebbia rosata.

 

Avvicinandosi cauta alle sue spalle, Myricae iniziò a distinguere un mormorio incomprensibile provenire dalle sue labbra color pesca appena dischiuse, movimenti lenti che accompagnavano ritmicamente il suono appena accennato dello stesso carillon che -due giorni prima- lei stessa aveva azionato.

«“Hey there little Sunshine, how do you do?”» canticchiò piano la regina, quasi sussurrando.

Inizialmente l’altra pensò che stesse parlando con lei, del resto quella le era sembrata una domanda, ma vedendo come quell’impercettibile nebbiolina si stesse aggregando in vere e proprie forme decise di tacere e stare ad assistere.

Avrebbe potuto semplicemente avvicinarsi alla sua donna, abbracciarla e felicitarsi con lei perché finalmente si era ripresa, ma dentro di sé Myricae sentì qualcosa che gli diceva di dover osservare e nient’altro: non doveva avvicinarsi, non doveva toccarla, non doveva nemmeno consolarla, semplicemente il suo compito era limitarsi a guardare e ascoltare in silenzio.

E decise di seguire quell’istinto.

«“There’s a great kingdom, waiting for you”» continuò la sovrana alzando una mano.

La magia prese prima le sembianze di una sfera, poi i contorni che pian piano andarono delineandosi disegnando pianure e montagne e mari e quant’altro: quella palla somigliava ad un pianeta, adesso, un pianeta rigoglioso e fertile popolato da una miriade di punti luminosi.

«“as you lay your tiny head, dream of the world”».

Tre di quei puntini presero forma, tre figure dalle fattezze umane che emersero dalla nebbia ora dorata. Myricae si avvicinò per guardare meglio, notando come la parte inferiore dei loro corpi non fosse poi tanto umana, ma piuttosto equina come la sua regina; erano una coppia, forse marito e moglie, e tenevano un fagotto fra le mani, probabilmente il loro neonato.

«“they’re gonna love you”».

Altre figure -tante, troppe, per i suoi modesti gusti già sufficientemente confusi- presero forma, seppure in modo meno definito di quelle precedenti, ed erano tutte intorno a quella coppia, occupate ad osservare quel piccolo corno dorato che spuntava dalle coperte.

 «“their sun will return”».

Un flash bianco acceso riempì la stanza, costringendo l’Ophidian a coprirsi gli occhi con le mani per non rimanere accecata.

Quando li riaprì, le sembrò quasi di trovarsi da tutt’altra parte: era consapevole che fosse tutta opera della sovrana della fantasia, ma la sua magia riusciva a rendere il paesaggio intorno ad entrambe così realistico che -per qualche istante- la naga aveva creduto veramente che si fossero teletrasportate chissà dove.

Myricae trasalì.

Un pizzicore alla coda la fece girare, gelandole il sangue nelle vene come poche volte prima era accaduto in vita sua. Se prima quelli erano solo ammassi di nebbia, ora poteva chiaramente distinguere come i contorni delle stesse si fossero fatti incredibilmente nitidi e solidi, scolpendo decine e decine, forse centinaia, volti di uomini e donne, bambini e adulti, comuni persone insomma. Tranne che per un piccolo dettaglio: il corno sulla loro fronte.

“Starequus”, pensò la naga, sentendo lo stomaco farsi piccolo piccolo.

Allungò una mano per toccare una di quelle sagome umanoidi, passandole attraverso: illusioni, ologrammi, forse ricordi; qualsiasi cosa fossero, però, di una cosa la serpentessa era assolutamente certa: non erano reali. Non più, almeno.

 

«“Though the shadows may close in, you will stay strong”».

Appena la regina pronunciò quelle parole, nella stanza tutto si fece più cupo, persino il Sole fuori dalla finestra sembrò aver deciso di nascondersi fra le nubi di fretta e furia.

Non si trattava certo di una novità che Phantasia reagisse allo stato d’animo di Harmonia, del resto era sempre stata lei ad averla creata, ma un brivido scosse la naga appena alzò la testa; un’ombra scura incombeva sulle loro teste, un’enorme nube di pura oscurità che andava avvolgendo il paesaggio facendolo morire al solo tocco. Quei tentacoli neri parevano risucchiare l’energia vitale da qualsiasi cosa capitasse loro a tiro: dalle piante ora secche, dal suolo ora arido, dalle persone ora ridotte a scheletri pietrificati nella posizione in cui stavano scappando dall’Apocalisse.

Le sembrò di distinguere due figure che ancora si muovevano, in mezzo a quell’inferno, ma non ebbe il tempo di metterle a fuoco per bene.

«“your little spark of love will cast out the dark”».

Si era fatto tutto cupo, sì, ma solo per rischiararsi poco dopo.

Un’esplosione di luce divorò il macabro spettacolo che la magia di Harmonia stava offrendo alla naga, facendole tirare un profondo sospiro di sollievo, non tanto per sé quanto per l’altra che continuava a mantenere lo sguardo basso e sconsolato verso quell’aggeggio infernale.

Lanciò un’occhiata al carillon: quanto diavolo ci stava mettendo quella dannatissima melodia ad esaurirsi? Per quanto tempo sarebbe andato avanti a torturare la sua regina? Per quanto?!!

 

«“Know that you’re not alone, the moon’s at your side”».

La voce di quest’ultima si incrinò improvvisamente, come se le si stesse strozzando in gola.

In allarme, la naga le si avvicinò ancora un poco e le si sedette vicino, sempre senza sfiorarla: se proprio non poteva disturbarla in un momento tanto delicato, allora avrebbe fatto di tutto per farle sentire la propria presenza.

«Ti ho promesso che mai, mai, ti avrei lasciata da sola, e intendo mantenere quella promessa» le sussurrò piano, nel cuore solo la speranza che quelle parole non fossero andate al vento come tutto pareva stare facendo. Il peggio per la centauressa avrebbero dovuto essere quei due giorni di stato catatonico, accidenti, non la ripresa!

Myricae non riusciva ancora a distinguere per bene il paesaggio, c’era un vero e proprio polverone che le impediva di vedere oltre il proprio naso, motivo per cui iniziò a guardarsi distrattamente intorno girandosi e rigirandosi.

E prendendosi qualcosa di molto simile ad un infarto.

Due figure le facevano muro, una donna ed una bambina che si tenevano per mano; la prima guardava la seconda con fare materno, con quello sguardo da “va tutto bene” che solo una madre può riuscire ad esibire in tutta calma quando la situazione sembra ed è disperata pur di rassicurare il proprio figlio, o -in quel caso- la propria figlia.

La donna la stringeva a sé avvolgendola con una delle due imponenti ali che spuntavano sulla sua schiena, un luogo sicuro in cui la piccola si stava rifugiando nascondendovisi dentro, premendo il volto sconvolto sulle morbide piume che la stavano accogliendo mentre si aggrappava agli abiti di quella che doveva essere sua madre. Quest’ultima pareva molto tranquilla rispetto alla figlia, ma si vedeva da come non staccava gli occhi rosa pastello da lei che fosse tremendamente preoccupata, come temesse per la vita di entrambe.

La strinse a sé mettendole una mano sulla testa e prendendo ad accarezzarla, e fu allora che Myricae riuscì finalmente a vedere quella bambina.

Il suo cuore perse un paio di battiti: nessuno che non fosse uno Starequus poteva avere un corno magico in mezzo alla propria fronte, e quei capelli verde acqua che sfumavano prima in azzurro poi viola e infine rosa non li aveva certo chiunque. Anzi, non li aveva proprio nessuno.

Tranne che Harmonia.

«“together you’ll cleanse the world… you’ll always be my pride”».

La regina si fermò improvvisamente, il petto che le si alzava e si abbassava velocemente e la bocca improvvisamente fattasi secca e al contempo appiccicosa.

Forse la sovrana di Phantasia non parlava, ma dentro di sé sentì un brivido che le fece capire che non sarebbe mai riuscita ad arrivare al termine di quella canzone che le riempiva le orecchie, la mente, l’anima, che la stava trascinando in quell’agonia senza che potesse impedire a se stessa di dare corda a tanto, troppo, dolore.

Quelle parole, quel “sarai sempre il mio orgoglio” le martellavano nella testa prepotenti, violente, incessanti, esattamente come faceva il ricordo di chi le pronunciò a suo tempo.

Ed Harmonia era sola ad affrontare quella battaglia contro i propri ricordi, adesso che non riusciva a reagire nemmeno alla presenza della donna che amva: era da sola non contro il mondo, non contro la galassia, nemmeno contro l’universo. Era sola contro se stessa, se stessa e la mole immensa di rimpianti e rimorsi che si trascinava dietro da millenni.

Il che era pure peggio del combattere l’universo intero, a dirla tutta.

 

«“I may not always be here to guide your way”…».

Passarono minuti che parvero eterni prima che Harmonia stessa che tornasse a canticchiare qualcosa, e la magia -purtroppo- si premurò di seguire quell’impronta triste che aveva assunto la sua voce.

Per l’ennesima volta, quel paesaggio disastrato si ripresentò a Myricae, facendole lo stesso macabro effetto di quando lo aveva visto poco prima; questa volta, però, non c’erano le miriadi di persone ormai decedute e pietrificate come in precedenza e nemmeno le figure di prima, si era tutto semplicemente ridotto ad una landa grigiastra desolata senza più nemmeno una roccia ad abitarla.

Non c’era niente e nessuno, tranne che dei bozzi indistinti, forse qualcuno chinato.

Strinse gli occhi per aguzzare la vista: di nuovo, scorse una donna con due immense ali coperte di cenere e polvere -il che rendeva impossibile distinguerne il colore preciso, motivo per cui non ebbe la certezza che fosse la stessa di prima- percorse da ferite profonde, così profonde da farle grottescamente sanguinare in una pozza che le inzuppava tanto gli abiti stracciati quanto le soffici piume; sulla sommità delle ali stesse, delle pesanti catene spezzate squarciavano la carne esposta e carbonizzata.

Non senza poca fatica, l’Ophidian ricacciò indietro un conato di vomito, dall’intensità con la quale l’odore di grasso bruciato le riempì le narici.

«… “but I know you’ll be fine”…».

Harmonia invece non pareva disturbata per nulla da quella scena.

E, se lo era, non lo dava affatto a vedere.

La voce le si fece sempre più tremolante, al punto che in certi momenti pareva non fosse nemmeno più in grado di respirare, ma fintanto che il carillon suonava non sarebbe stata certo lei a cedere per prima schiacciate dalle emozioni.

Ma stava cedendo, glielo si leggeva in faccia, glielo si vedeva fin troppo bene in quei suoi occhi rosa e azzurro ora ridotti a due fessure bagnate da delle lacrime che non voleva, non poteva, versare; era la regina, la sovrana di Phantasia, la madre di un intero popolo che contava su di lei per non cadere nuovamente nell’oscurità che aveva avvolto quel pianeta sette secoli or sono, l’ultima volta, ma che aveva conosciuto il Male da prima, molto prima.

Non aveva mai potuto farsi vedere debole, non poteva permetterselo: una regnante non si deve far vedere debole, è una regola non scritta che chiunque segga su di un trono conosce fin troppo bene, una legge che aveva sentito pesarle sulle spalle fin dal primo istante in cui la corona di Exodus si era posata sul suo capo, migliaia e migliaia di anni fa.

Tuttavia, una sensazione di calore la raggiunse.

Non abbassò lo sguardo, sempre fisso sul carillon, ma non ne aveva bisogno per capire da cosa -o meglio, chi- provenisse.

Convenendo che potessero bellamente andare a farsi fottere i “però”, i “ma” e pure gli “e se”, Myricae le prese una mano, stringendola dolcemente.

«Ti sei trovata una fidanzata tremendamente testarda, dovresti ormai saperlo» le sorrise ridendo la naga, accarezzandole piano il dorso della mano.

“E non potrei né vorrei desiderare nessuno diverso da te”, avrebbe voluto risponderle Harmonia.

«… “ruling the day”».

Ma le parole che le uscirono dalla bocca furono ben altre, purtroppo per lei.

E facevano un male tremendo.

 

«“Dance among the clouds, my dear… bring in the light”».

Come anche faceva un male tremendo all’Ophidian dover assistere a quella scena a dir poco raccapricciante, dover vedere lo strazio di una madre che piangeva sul corpo esanime della propria e unica figlia, dover rivivere e rivedere e riprovare quelli che erano stati gli ultimi minuti di coscienza della Regina della Fantasia prima che diventasse… la Regina della Fantasia, appunto, prima che Harmonia diventasse tutto ciò che era ora e anche di più.

Era stata la principessa degli Starequus del pianeta Exodus, Harmonia, lì era nata e lì era morta, e sempre lì aveva ricostruito il regno che il “Male piovuto dal cielo” -lo “kælikantzoroi th’asteria”, come lo chiamò ai tempi la sua gente- aveva raso al suolo, lasciandole come unica eredità dei suoi defunti genitori solo una landa nera senza vita.

Lei la luce l’aveva riportata, in quel luogo di sterilità e speranze infrante, aveva mantenuto la silenziosa promessa fatta a sua madre quando quest’ultima, cantando, aveva chiesto al suo corpo martoriato di esaudire quel suo desiderio, il suo ultimo desiderio.

E la centauressa l’aveva esaudito, lo aveva fatto per davvero.

Ma sua madre non c’era stata per vederlo, non c’era stato nessuno: quel giorno gli Starequus si erano estinti, e mai più avevano posato i loro zoccoli sul suolo di Exodus.

«“be good for me… my dear… as my soul alights”»

Tranne lei, l’ultima della sua razza.

“Sindrome del sopravissuto”, la chiamavano, e Harmonia aveva fatto l’abitudine pure a quella: lei era viva e gli altri erano tutti morti, lei era stata scelta ed il resto della sua gente no, lei era nell’aldiqua e qualsiasi altro Starequus era nell’aldilà. Semplice e chiaro, rapido e indolore.

In teoria.

In pratica, invece, una giovanissima Regina di Phantasia aveva passato anni, decenni, forse secoli, a chiedersi perché lei sì e gli altri no. Ai tempi sapeva già bene di non aver certo chiesto lei una seconda possibilità, era perfettamente consapevole di non essere stata la responsabile dell’estinzione dei suoi simili, era addirittura cosciente del fatto che -com’era capitato a lei- tutto ciò avrebbe potuto capitare a qualsiasi altra persona.

Ma si era sentita in colpa comunque, Harmonia, esattamente come stava succedendo con Phobos adesso: non era stata colpa sua, non avrebbe potuto fare nulla di più per salvarlo da Apophis, se lei fosse intervenuta ci sarebbe stato solo un morto in più, lo sapeva benissimo … ma non riusciva a perdonarselo comunque.

Non aveva potuto salutare lui, come non aveva potuto salutare suo padre e sua madre; la sua vita era quello, un rincorrersi di sensi di colpa per saluti mancati, ecco cosa.

Quella consapevolezza che le si agitava nella mente fu l’ultimo passo, prima che la regina crollasse in un pianto tanto doloroso quanto silenzioso: aveva un disperato bisogno di farlo, non poteva trattenerlo ancora, non voleva farlo.

«“Little Sunshine… little Sunshine… let your radiance show…» le parole faticarono a uscirle dalla bocca, fra un singhiozzo e l’altro, fra una lacrima che le bruciava il volto come un tizzone di carbone ardente e l’altra «… little Sunshine… little Sunshine…» ma Harmonia continuò a cantare, nonostante sentisse il proprio cuore spaccarsi, ridursi in cocci e frammenti e polvere, nonostante la sua voce si riducesse sempre più ad un sussurro reso roco dalla gola che le bruciava per quel pianto trattenuto troppo a lungo «… let your kind heart-»

«Glow», concluse Myricae, chiudendo il coperchio del carillon; delicatamente, glielo sfilò dalle mani e lo poggiò su di un mobile lì vicino.

“E speriamo di non averne bisogno ancora per molto tempo”, pensò nel mentre.

 

L’altra non si era mossa di un millimetro, però, pareva quasi che nemmeno se ne fosse accorta a giudicare dallo sguardo sempre fisso dove prima c’era il prezioso oggetto, continuava persino a tenere le mani come se lo stesse ancora stringendo fra le dita.

Harmonia si guardò i palmi rivolgendoli verso sé, dopo interminabili minuti di silenzio assoluto, gli occhi che li osservavano come a perdervisi dentro.

«Ci sono volte in cui ripenso al mio passato e mi pare di sbagliare qualcosa, di dimenticare un dettaglio o due, di non riuscire a ricordare chiaramente come vorrei e dovrei delle persone o delle cose o degli eventi particolari…» mormorò spostando lo sguardo da una mano all’altra.

«Forse è solo una mia impressione, forse è solo colpa dello stress, o forse è perché ho seimila anni e sono tremendamente vecchia… però a pensarci bene sei millenni di vita non sono niente per un immortale, sono solo una pagina in un libro nel quale non troverai mai scritta la parola “fine”, quindi mi sa che l’ultima opzione va scartata» rise lei, una risata che però di divertente non aveva proprio nulla.

Strinse i pugni.

«Ho paura» confessò infine, un misto di tristezza e vergogna colorò le sue guance di un timido alone rosato «ho paura di dimenticare il volto di mia madre, e di mio padre, e delle persone alle quali volevo più bene; ho paura di dimenticarmi la sua voce mentre mi cantava quella canzone, tanto da viva quanto da morta; ho tanta paura di svegliarmi pensando a lei e- e-»

Esausta, Harmonia si gettò fra le braccia della compagna, affondando la testa nel suo petto come a cercare un rifugio sicuro.

«E di non ricordarmela, Myricae. Sono terrorizzata all’idea di dimenticare tutto, tutto, di scordarmi chi ero prima di... di… di questo, prima del diventare l’ultima Starequus vivente…». Alzando leggermente il capo si indicò la fronte; fra i capelli ora spuntava il corno tipico della sua razza, un lungo corno decisamente più curvo e attorcigliato su se stesso di quanto lo fossero solitamente quelli degli Starequus più vecchi. Riprese fiato «Per cui ecco, ogni volta che mi pare di perdere colpi in qualche modo eccomi qui, a temere di non ricordare più nulla da un momento all’altro, ad avere il terrore che mi accada ciò che è accaduto a-»

L’Ophidian le pose un dito sulle labbra, impedendole di finire la frase.

«Non ti accadrà mai ciò che è accaduto a Phobos, mela en’ coiamin, non lo permetterò mai, mai» la rassicurò mettendole le mani sulle spalle, facendogliele poi scivolare fino alle guance «ciò che è successo a lui è dovuto solo e soltanto ad Apophis, non è certo un’amnesia dettata da cause naturali, né tantomeno è stata colpa tua: non potevi fare altro, Harmonia, e -considerando il tremendo prezzo che hai pagato e continui a pagare- ciò che hai fatto è stato già troppo. Per cui» le asciugò le lacrime, attenta a non farle male mentre le spesse e affilate squame sfioravano quella sua pelle morbida «basta pianti, almeno per oggi. Promesso?»

 L’altra la guardò qualche momento, esitante.

«Promesso» rispose infine accoccolandosi a Myricae «… e scusami, scusami tanto».

«Scusarti? E di cosa?»

Harmonia parve in difficoltà, le mani che iniziarono a sudarle freddo.

«Di… di… di averti fatto vedere quelle… cose. Cose brutte, terribili, che credevo di aver superato tanto tempo fa, che dovevo aver superato tanto tempo fa, e invece…» si interruppe qualche istante, quelli che le bastarono per ingoiare l’ennesimo sospiro angosciato. «Non volevo, Myricae, te lo giuro! È solo che… che… non so neanche io perché l’ho fatto, a dirla tutta, non credo nemmeno di essere stata completamente cosciente, nel mentre. Sentivo tutto, vedevo tutto, rivivevo tutto, ma una parte di me era come-»

«Bloccata laggiù, anziché quaggiù» completò la frase la naga.

Lei la guardò sorpresa.

«Precisamente quello. Ma tu come- oh, che domande faccio: hai visto tutto, ovvio che tu lo sappia» la regina si diede un colpetto sulla testa «… mi dispiace, comunque: ti avevo già parlato di cosa successe alla mia gente, non era niente di nuovo per te, ma fra il sentirlo dire ed il viverlo c’è una bella differenza. Una grossa differenza. Un’immane differenza…» prese forza, sospirando nuovamente «ti giuro che non avrei mai voluto che tu-»

Myricae le diede un bacio, intuendo bene che le proprie labbra fossero in grado di esprimersi ad Harmonia meglio di quanto potesse fare lei a voce.

«Va tutto bene, e vai benissimo anche tu» la rassicurò staccandosi piano da lei, assaporando fino in fondo il dolce profumo fruttato della sua pelle. «Ti ho vista ridotta peggio di così svariate volte, eppure ti amo ancora, e ti amerò sempre, a’maelamin. Sempre, non dubitarne mai» poggiò la propria fronte a quella della sua donna «siamo uscite dall’inferno una volta, se sarà necessario lo faremo di nuovo. E lo faremo insieme, come sempre».

«Come sempre» ripeté la regina, dandole un piccolo bacio sulla fronte mentre accennava un timido sorriso.

E questa volta era un sorriso vero, la naga riuscì a distinguerlo senza problemi, un sorriso che -dopo tante lacrime e dolore- stava regalando proprio a lei, a lei e nessun’altra, un silenzioso “grazie” che valeva tutti gli sforzi fatti fino a quel momento, e che sarebbe valsi tutti quelli futuri.

La guardò qualche istante, per assicurarsi di nuovo che si stesse riprendendo veramente e che non fosse solo un’apparente ripresa temporanea.

«Va un po’ meglio, adesso?» le chiese.

Quando la sua compagna annuì, lei tirò un sospiro di sollievo.

«Bene così, allora, non avrei sopportato un giorno di più a saperti incosciente stesa su questo letto senza poter fare nulla per aiutarti, non ero nemmeno sicura che mi sentissi o che…» fece una pausa, deglutendo «… o che ti saresti mai svegliata. Ecco».

Sentendo quelle parole, Harmonia strabuzzò gli occhi dalla sorpresa: per quanto tempo era rimasta in stato comatoso, se Myricae -che era solita non farsi piegare nemmeno dalle situazioni più disparate e disperate- aveva avuto così tanta paura di perderla? L’ultima volta in cui l’aveva vista ridotta in quelle condizioni, in cui le aveva sentito dire di aver temuto che non si svegliasse più, era stato quando… no, no, meglio non riportare a galla quei ricordi: “ciò che accade sull’orlo dell’Abisso deve solo caderci dentro e non tornare mai più in superficie”, si erano dette di comune accordo quel giorno, e quella spiacevole vicenda era fra le cose che nell’Abisso erano state gettate e che lì dovevano rimanere.

Un po’ come Phobos, insomma.

«Due giorni» anticipò la sua domanda l’Ophidian, intuendo già su cosa si stesse interrogando la sua regina «due giorni o qualcosina in meno, forse: sono sempre stata a vegliarti, puoi chiederlo anche a Naevia e Antares e Alice, ma purtroppo mi sono addormentata per non so quanto e-»

«E ti ringrazio per essermi stata vicino» le sussurrò dolcemente, abbracciandola «ti amo, ti amo più di quanto il cielo ami le proprie stelle e di quanto gli alberi amino le proprie foglie: ti amo molto più di così, ricordatelo sempre, e ricordati che senza di te probabilmente sarebbe durata ben più di due giorni…» “come abbiamo già sperimentato”, pensò, ma decise di tenerselo per sé così da non rovinare quel loro intimo momento «per cui… grazie, grazie» concluse riempiendo il collo della naga di baci, i serpenti sul suo capo che sibilavano entusiasti facendo vibrare le loro piccole lingue come cani che fanno la festa al proprio padrone.

“Due giorni… due giorni solo per averlo rivisto… cosa accadrà quando dovrò combatterlo? Come farò a controllarmi? Come?”, si domandò mentalmente la centauressa.

Il sussulto delle braccia forti dell’Ophidian che se la mettevano in braccio interruppe quel suo pensiero sul nascere, evitandole seghe mentali talmente profonde che probabilmente per uscirne le sarebbe servita una settimana intera, altro che un paio di giornate!

No, ora non era il momento di pensare al futuro: troppe volte lo aveva fatto, salvo rendersi conto subito dopo che fare progetti era totalmente inutile -specie quando l’oggetto di tali progetti è un disgraziato psicolabile con cenni di schizofrenia e misteriose voci nella testa-, se non addirittura dannoso a lungo termine.

Avrebbe atteso, ecco cos’avrebbe fatto: lo scontro con Phobos sarebbe arrivato comunque, prima o poi, era solo questione di pazientare e sperare per il meglio.

Guardò Myricae: era la sua roccia, la sua compagna, il suo porto sicuro, il faro che si era fatto breccia nelle tenebre di quei venticinque dannati anni passati a piangere un uomo che non era più il suo uomo, lanciandole un salvagente che aveva pazientemente trainato fino a riva attraversando un oceano di lacrime pieno di ansie e paure e sensi di colpa, facendole scoprire da un momento all’altro che l’amore lo poteva trovare tanto in una donna che le era sempre stata vicino quando in un uomo che, ormai, non era che l’ombra di se stesso.

Harmonia amava Myricae, non più Phobos, e se avesse avuto qualche altro attimo di cedimento, se avesse dubitato di nuovo di non essere in grado di guardarlo in faccia e affrontarlo, allora avrebbe pensato di dovercela fare non per lei, nemmeno per la naga, ma per loro, per la loro relazione che mai, mai, avrebbe permesso venisse danneggiata da un fantasma.

Mai.

 

 

«Come lo hai trovato?»

«“Ubriaco da fare schifo”, la definizione esatta è questa» rispose l’Ophidian, sorseggiando calma dalla propria tazza.

Era decisamente più rilassate e tranquille entrambe, ora, e l’idea di Harmonia di far comparire una teiera di tè al gelsomino per staccare un po’ coronava perfettamente quel loro quadretto di pace dopo la tempesta.

«Ubriaco, dici?» commentò sorpresa.

«Beh, hai visto anche tu l’entrata trionfale che ha fatto quel disgraziato. Nemmeno gli adolescenti alle feste delle confraternite puzzano tanto di pessimi alcolici, patatine scadute e sbornie tristi» ridacchiò la naga, dandosi un paio di colpi al petto quando il liquido le andò di traverso. «Dì, piccola, davvero in seimila anni hai visto qualcosa di peggio di un ubriaco che sfonda il soffitto, si ferisce con i vetri del suddetto soffitto appena sfondato, barcolla a falce spiegata balbettando e sbiascicando minacce incomprensibili e infine, nemmeno viene riconosciuto?»

Harmonia ci pensò qualche istante, poi esplose in una fragorosa risata.

«Direi di no, assolutamente» convenne, facendosi pensierosa «… per quanto c’è da dire che -ubriaco o meno- è riuscito comunque a mettermi in ginocchio, e non certo per una decina di minuti». Posò la tazza, osservando i cerchi concentrici come ipnotizzata «sapevo di dovermi aspettare che prima o poi Phobos venisse a farmi visita di persona, una volta evaso dall’Abisso, ma non immaginavo che avrei reagito in quel modo: sono sorpresa, e purtroppo non lo sono piacevolmente, Myricae».

L’Ophidian mise la propria mano sulla sua, accarezzandogliela.

«Mela en’ coiamin, stai a sentire una naga ermafrodita ninfomane: hai rivisto dopo sette secoli un uomo che ti ha tormentato con il proprio fantasma per altrettanto tempo, sei davvero così tanto sorpresa da te stessa e dalla tua reazione?»

«… No, no, non tanto quanto dovrei… e, a dirla tutta, forse ho peccato io d’ingenuità: un conto è saperlo in giro per Phantasia, un altro trovarselo davanti» asserì decisa alzando la testa, incontrando lo sguardo della compagna «anche se ammetto che mi sfugge come siamo passati dall’una all’altra cosa così velocemente, per non parlare di come sia uscito dall’Abisso: ricordi le magie che lo sigillavano?»

Myricae annuì.

«Mi ci volle una mole immane di potere per creare e sigillare quella ferita sulla pelle di questo pianeta -del mio pianeta- e rinchiuderci dentro Phobos, nonostante lo abbia fatto a malincuore» disse posando la mano libera sopra la teiera aperta.

«Attinsi ad incantesimi e conoscenze antichi quanto la mia razza per assicurarmi che l’Abisso fosse a prova di evasione, persino per creature del calibro di quel bastardo dell’Uomo nella Luna sarebbe stato ben difficile uscirne» improvvisamente, il tè si agglomerò a formare una sfera perfetta. Il suo corno si illuminò di un bagliore argenteo, e allora un profondo e lungo solco rosso brillante apparve sulla superficie.

«Apposi addirittura il sigillo della Tha’nera Yuvenciæl , la Dea Senza Sudditi di Exodus» una polvere dorata riempì quello squarcio, sanando pian piano quelle venature che stavano spargendosi all’interno della sfera semi trasparente «per rendere inefficace qualsiasi altro sortilegio o maledizione che potesse compromettere l’efficacia di un lavoro tanto minuzioso!»

Sbatté un pugno sul tavolo, facendo collassare quel globo di tè al gelsomino nuovamente all’interno della sua teiera, senza il minimo schizzo fra le altre cose.

«Ho fatto tutto questo e anche di più, eppure-»

«Eppure Naevia ha notato come l’Abisso sia stato aperto in concomitanza con una curiosa eclissi lunare totale» la interruppe la naga.

Harmonia trasalì, incredula «Cosa?»

L’altra le sorrise.

«Quella gatta frigida mi ha riferito giusto mentre ero qui a vegliarti di ciò che ti ho appena detto, non prima. Nel giorno in cui abbiamo supposto sia stato aperto l’Abisso, lo stesso in cui anche tu hai sentito che qualcosa non andava, ha osservato uno strano e brillante alone color magenta intorno alla Luna; ha consultato le proprie tabelle e mappe astronomiche, ma non risultava nessuna eclissi prevista per allora» spiegò bevendo un altro sorso.

«È durata pochissimi istanti, così ha detto, ma è comunque riuscita a raccogliere dati sufficienti per affermare che, in quel preciso istante, c’è stato come un trasferimento di un grosso quantitativo di energia da lassù» con la coda indicò il soffitto, «a quaggiù» poi il pavimento, che picchiettò piano.

«Ha idea di cosa si trattasse, almeno?» domandò fremendo la regina, in un misto fra preoccupazione e curiosità.

«Non precisamente» rispose facendo spallucce la naga «ma dopo aver visto Phobos in azione ne abbiamo parlato e beh, ho motivo di pensare che fosse un qualche tipo di magia estremamente potente che ora è nelle sue mani: non ha mai avuto poteri degni di nota, lui, quindi si tratta certamente di una forza esterna liberata durante quell’eclissi lunare. E immagino che ti farà piacere sapere che è stata liberata da niente poco di meno che dall’altofuoco cremisi di Comet E. Halley, tanto per aggiungere disagio al disagio».

 

Harmonia parve sorpresa a quella notizia: non era stata solo un’impressione che fosse accaduto qualcosa di grosso sul suo pianeta, allora.

Come aveva avuto anche ragione a pensare che Comet non si fosse presentata a casa sua solo per dirle che si scopava Phobos, tempo prima. Immaginava che fra quei due ci fosse sotto ben di più di un’intesa sessuale, ma dubitava fortemente che fossero in combutta fino a quel punto, fino ad appoggiarlo nell’evasione dall’Abisso appositamente per metterla in ginocchio e prendersi la sua fetta di qualsiasi cosa quell’uomo le avesse promesso in cambio del suo aiuto.

A conti fatti, probabilmente lo aveva fatto per lo stesso motivo per cui faceva qualsiasi altra cosa: puro divertimento.

O almeno sperava che fosse così, perché -per quanto sapesse bene di poterla fronteggiare- l’ultima cosa di cui aveva bisogno era un altro problema di cui occuparsi.

 

«Vuoi che ti porti la testa di Halley?» le chieste Myricae, interrompendo il suo dolce naufragare nelle mille ipotesi che le frullavano nella testa.

«Preferisco dei biscotti, ad essere sincera» rise la regina, facendone immediatamente comparire un vassoio «anche perché trovare Comet è come cercare un ago in un pagliaio. E quel pagliaio è grande quanto l’Universo».

«Se si ha una calamita dovrebbe essere piuttosto semplice, trovare quell’ago» contestò l’Ophidian, borbottando a bocca piena.

«Se non fosse che quella calamita ne troverebbe un’altra perfettamente identica e finirebbe per essere respinta, spingendo al contempo l’ago sempre più verso mete sconosciute». Prese un biscotto e se lo mise in bocca, masticandolo pensierosa «No, Myricae, Halley non è il pericolo, ne sono piuttosto sicura. Quella specie di eclissi è certamente stata creata da lei, ma non credo che sia tanto la causa della liberazione di quell’energia quanto un… diversivo. Non dimentichiamoci che lassù c’è Manny, e si sa come sono i suoi rapporti con quella scheggia impazzita di Comet E. Halley».

Harmonia si lasciò scappare una risata nemmeno tanto contenuta ripensando ai suddetti rapporti, conscia com’era che quella donna fosse stata creata -sotto sotto e molto indirettamente- solo per “merito” suo, sette secoli fa.

«Se c’è una cosa che so su Halley, è che difficilmente farebbe qualcosa per fare un favore a qualcun altro: se ne sbatte altamente di chiunque, Phobos compreso, per cui non penso proprio che avesse un qualche interesse nel dargli una mano, lei è più da “morto un papa se ne fa un altro”, ecco».

«Perché dovrebbe averlo fatto, allora?»­ la interrogò l’Ophidian, confusa e con un biscotto che le pendeva dalle labbra.

«Divertimento».

«Divertimento?»

«Quello, sì. Basta solo guardare come si sia scomodata per dirmi di persona che si scopava Phobos solo per gustarsi la mia faccia, la situazione non è molto diversa» la mise sul ridere, non scordando quanto però la cosa le avesse bruciato sul momento. «Ma non mi preoccupa lei, mi preoccupa piuttosto ciò che ha contribuito a liberare: sulla Luna vivono solo due persone, tre se consideriamo anche Nightlight, e fra uno e l’altro non so chi possa volermi più morta».

A quell’affermazione, la naga posò il biscotto che stava mangiando facendosi cupa in volto.

«Tutto bene?» le domandò la compagna, notando quell’improvviso cambio di atteggiamento da parte della serpentessa.

 

Myricae si morsicò il labbro: doveva seriamente dirle l’ultima cosa che Naevia aveva notato durante l’osservazione di quell’eclissi, o forse poteva evitare e andare oltre? Harmonia aveva davvero così tanto bisogno di una risposta a quella domanda, o avrebbe potuto farne a meno? Era già abbastanza stressata e preoccupata di suo per Phobos, valeva la pena farla preoccupare anche per le minacce che arrivavano dal cielo, oltre a quelle presenti nella sua stessa patria?

Forse avrebbe potuto omettere quel piccolo dettaglio, evitarle altri timori che avrebbero finito solo per non farle chiudere occhio la notte nemmeno nelle ore che seguivano i momenti in cui facevano l’amore.

E considerando che già quel tempo era poco, non voleva certo essere lei a privarla del sonno.

Per cosa, poi? Per una supposizione come tutte quelle nate quel giorno, senza fondamento alcuno se non qualche ipotesi? Per una presunta illuminazione basata su osservazioni imprecise, per qualcosa che Naevia aveva visto ma della quale non era assolutamente certa, per un dubbio?

No, non ne valeva la pena, non poteva valerla: Harmonia si era appena ripresa, non poteva darle un altro dispiacere, magari rischiando pure che cadesse nuovamente in quello stato comatoso dal quale si era appena risvegliata.

… Ma cosa cazzo ci stava pensando sopra a fare? Si era rincoglionita? Certo che avrebbe dovuto dirglielo, e subito!

Non poteva, non voleva, mentirle o nasconderle qualcosa.

Tralasciando che sarebbe stata scoperta immediatamente, la sola idea di dire una bugia proprio ad Harmonia, alla sua compagna di vita, alla Regina di Phantasia, le mise in subbuglio lo stomaco: aveva già sentito pronunciare troppe bugie da quando era venuta al mondo, non sarebbe stata lei a dirle l’ennesima.

E se proprio le cose fossero precipitate, allora sarebbe stata al suo fianco. Come sempre.

 

Assopita com’era nei suoi pensieri, Myricae nemmeno si era accorta della partner che si era alzata e si era avvicinata a lei, sedendole in grembo.

«Ti va di dirmi cos’hai non va, mājhē prēma?» le domandò di nuovo, prendendole il volto fra le mani accarezzandolo piano. «Sai che puoi parlarmi di tutto, sì? Sono qui ad ascoltarti, di qualsiasi cosa si tratta io ci sono, lo sai» le sorrise poggiandosi fronte a fronte.

«… Harmonia, io non so se-»

L’altra mise l’indice sulle labbra, anticipandola.

«Qualsiasi cosa, Myricae. Qualsiasi» la rassicurò di nuovo. «Ma dimmelo, te ne prego, dimmela e basta, perché vederti così mi spezza il cuore: cosa c’è di così terribile da dovermelo nascondere a tutti i costi? Hai litigato con Naevia e siete finite a letto insieme, forse?» domandò ridendo. Fingendosi arrabbiata, le toccò la punta del naso «Avreste potuto invitarmi, siete state scortesi! Almeno-­»

«La barriera eretta sulla metà oscura della Luna settecento anni fa si è assottigliata, e le Costellazioni se ne sbattono il cazzo» sputò tutto fuori d’un fiato, la coscienza improvvisamente più leggera.

E Harmonia improvvisamente più silenziosa.

Inizialmente l’Ophidian si spaventò non poco a vederla così taciturna e paralizzata similmente a com’era stata nei due giorni precedenti, ma poco a poco la regina tornò a dare segni di vita stringendosi nelle spalle.

«Naevia ne è assolutamente certa?», domandò infine.

L’altra scosse la testa.

«No, non lo è» disse con un tono tale da farla sembrare una sottospecie di rassicurazione «c’è una buona probabilità che sia così, è vero, ma non ci sono crepe o punti deboli in una particolare zona della barriera, sembra semplicemente essersi assottigliata nella sua interezza senza riportare un calo delle prestazione magiche che offre».

La regina parve tranquillizzarsi a quelle parole, ma non poteva certo restare indifferente di fronte ad una notizia del genere: forse non significava che Apophis se la sarebbe fuggita dall’oggi al domani, ma non significava nemmeno che potessero abbassare la guardia.

Harmonia la guardò confusa.

«Se non si è indebolita, allora da cosa è stato provocato quell’assottigliamento?»

«Naevia mi ha detto che è come se la barriera avesse perso massa per un qualche motivo, come se la differenza fra lo spessore originario e quello attuale -minima, ma c’è- si sia convertita in un qualche tipo di energia o potere o qualsiasi cosa sia, riversandosi qui a Phantasia».

Restò a pensare qualche istante «… Anche se ci sono svariate persone che sorvegliano il lato oscuro della Luna dove si trova esiliata la pecora nera di casa Lunanoff, a dirla tutta: francamente, mi risulta difficile pensare che nessuno oltre a noi ci abbia fatto caso».

«Certo, a meno che chiunque altro abbia visto ciò che abbiamo visto noi abbia poi preferito non vedere, in quel caso sarebbe tutto un altro paio di maniche» precisò però la centauressa.

«Precisamente ciò che ho pensato io» convenne Myricae, seccata «i nobili delle Costellazioni non sono famosi per mobilitarsi in anticipo in caso di pericolo. Ne è stata la dimostrazione la guerra di sette secoli fa: Manny non ha fatto niente che non fosse nascondersi tutto il tempo dal suo caro fratello maggiore che voleva tagliargli la testa; Mother Galaxy non è uscita dalla sua gabbia dorata ai Pilastri della Creazione finché non si è letteralmente trovata Apophis in casa; persino quei macellai cosmici dei Chandrasekhar hanno deciso di non spargere sangue fino a quando non hanno visto i big money sul tavolo delle trattative, insieme a qualche stella da prosciugare e svariati pianeti da razziare e stuprare fino al midollo».

«E lo hanno ottenuto, sottolineo, tutti loro hanno ottenuto ciò che volevano. E noi l’abbiamo presa nel didietro più profondamente di quanto me la metta tu a me, con la differenza che in quest'ultimo caso lo ritengo alquanto piacevole» concluse ridendo Harmonia, sdrammatizzando la situazione.

Myricae le diede un bacio sul collo, salendo pian piano fino all’orecchio, che morsicò leggermente ridacchiando.

«Sei una posizione decisamente pericolosa per dire certe cose, a’maelamin» le sussurrò maliziosa, indicandole come le si fosse avvinghiata alla vita stringendole le gambe intorno ai fianchi e le braccia dietro al collo «stavamo per caso discutendo di Apophis, o di come invece tu voglia recuperare due giorni di astinenza, eh?»

«Una cosa non esclude l’altra, a mio avviso» rispose tranquilla Harmonia, le mani che si muovevano sulla schiena della partner seguendo gli intricati disegni delle squame color smeraldo fino a scendere giù, sempre più giù, fermandosi sulle sue natiche.

«Ed io non potrei essere più d’accordo con ciò che dici».

L’Ophidian infilò gli artigli sotto le vesti dell’amata fino ad incontrare la sua pelle nuda e morbida e completamente inerme, che prese abilmente ad esplorare in lungo e in largo mentre continuava a baciarla ed a dedicarle le mille attenzioni che nei giorni prima erano mancate; a dirla tutta, una scopata dopo i due giorni passati non l’aveva proprio prevista, era più che convinta che la sua mela en’ coiamin avrebbe preferito riposarsi e niente di più, e invece!

Quella donna l’avrebbe sorpresa ogni giorno di più, e l’adorava anche per questo suo piccolo, particolarissimo, dettaglio.

Quando Myricae le strinse i seni fra le mani, Harmonia si morsicò il labbro per trattenere un gemito che si trasformò in un mormorio indistinto, soffocato spingendo la testa nell’incavo fra il collo e la spalla dell’altra donna; sentì un’improvvisa sensazione di freddo attanagliarla dall’inguine a tutto il corpo, un brivido che era andato dilaniandole le membra dal piacere quando le squame fredde e affilate della coda della serpentessa si insinuarono fra le sue cosce calde, sfiorandole l’intimità come la lama di un coltello.

Un coltello che le era affondato nelle carni, qualche istante dopo.

La regina crollò letteralmente fra le braccia dell’Ophidian, sopraffatta com’era da quel piacere che si fece improvvisamente fatto strada in ogni fibra del suo corpo tutto d’un colpo. Si aggrappò alle sue spalle con tutta la forza che riuscì a trovare, piantandole le unghie nella schiena come se fossero il suo unico appiglio per non venire trascinata via da quel fiume che la stava investendo.

«M-Myr… Myric-» tentò di mormorare appena, ma i sottili denti dei piccoli serpenti sul capo dell’altra che le stavano suggendo il seno le fecero morire le parole in gola.

«Sì, a’maelamin? Vuoi dirmi qualcosa?» le chiese compiaciuta, senza nemmeno tentare di nascondere la soddisfazione nel vedere come

«S-sei… s-sei u-una… una-­­»

«Creatura in tremendo ritardo. Lo siete entrambe, a dire la verità» le rimproverò Naevia, spuntando sullo stipite della porta come se fosse uscita dal nulla.

«Non intendo sorbirmi oltre domande sul perché la mia pelliccia sia metà a macchie e metà a strisce, signore mie, né tantomeno sopporterò ancora Antares che riempie la stanza di ragnatele da usare come tappeti elastici, quindi vi pregherei di-».

«Andare a farti fottere!» ringhiò Myricae, le zanne snudate e la lingua biforcuta che vibrava minacciosamente verso la leopardessa.

Quest’ultima però non parve particolarmente colpita.

«Non concepisco quelle che voi chiamate “emozioni”, e nemmeno il curioso desiderio di far riversare a chicchessia il proprio liquido seminale all’interno del mio utero, affibbiandomi il gravoso e spiacevole compito di avere dentro di me una massa di cellule che mi privi di nutrienti ed energie per crescere in un rapporto facilmente assimilabile al parassitismo. Questa tua imprecazione non mi tange in modo alcuno, quindi».

«Vediamo se questo ti tange!»

Una sedia partì verso di lei, sfiorandole appena le vibrisse traslucide; l’unica reazione dell’altra, però, fu solo di scuotere la testa rassegnata e per niente impressionata.

«Cielo, quanta scena», sospirò annoiata. Si girò per uscire «Vi aspetto insieme agli altri nella sala del trono, e vi pregherei gentilmente di cercare di accelerare le cose fra voi per fare il prima possibile. Nei limiti di ciò che la leggendaria e profonda ninfomania delle Ophidian permette, ovviamente».

«I guardiani si stanno forse lamentando?»

«No, ma potrei presto commettere un duplice omicidio. Con permesso» fece un breve inchino alla sua regina, poi finalmente si dileguò, uscendo silenziosamente com’era entrata.

 

I corpi di Myricae e Harmonia, nel mentre di tutta quest’amabile discussione con Naevia, non si erano staccati nemmeno di un millimetro, forse per lo shock o forse perché pure loro -come la felinide- se ne sbattevano altamente della sua presenza.

O si sbattevano e basta, insomma.

Si scambiarono uno sguardo fugace, quello che bastò ad entrambe per convenire che sarebbe stato meglio rimandare quel loro amplesso ad un momento più consono e tranquillo per entrambe, accettando quindi il consiglio di Naevia: vero, forse i guardiani non si stavano lamentando -né lo avrebbero mai fatto, considerando l’intrattenimento e la mole immane di buffet a disposizione nell’attesa-, ma la voglia di chiudere almeno la questione del contratto premeva tanto a loro quando alla sovrana di Phantasia.

Capendosi al volo, la naga srotolò il proprio lungo corpo serpentino dalla compagna, permettendole di alzarsi e dirigersi verso la finestra per guardare fuori da essa; lentamente, Harmonia sciolse il nodo in vita della candida vestaglia semi trasparente che indossava, lasciandosela scivolare addosso prima di ricadere morbidamente a terra.

Una scintilla dorato-argentea illuminò le venature del suo corno: sottilissimi filamenti dello stesso colore andarono diramandosi su tutto il corpo della sovrana, avvolgendole la pelle chiara fino a farla scomparire completamente sotto quella coltre d’oro e d’argento che pareva essere stata distesa direttamente dagli angeli, da come le aderiva perfettamente. Un impercettibile bagliore di stella lungo quella sua chioma colore dell’arcobaleno, e il fragile ed esile corpo umanoide di Harmonia lasciò posto al possente fisico equino che le apparteneva dall’alba dei tempi.

Quelle erano le sue vesti di principessa degli Starequus, vesti che portava la con fierezza a per non dimenticare mai nemmeno per un istante chi fosse veramente la Regina di Phantasia, di Exodus intero, un eterno memoriale della razza a cui apparteneva, del luogo dove seimila anni prima tutto era iniziato, e di dove tutto sarebbe continuato.

Si toccò il corno: di solito lo nascondeva rendendo invisibile ed impalpabile a chiunque per motivi che lei stessa ignorava, ma questa volta non lo fece. Lo avrebbe lasciato lì a svettare sulla propria fronte senza curarsi della sorpresa o meno dei guardiani, stupidi com’erano avrebbero creduto fosse l’ennesima creazione dei suoi stessi poteri.

Myricae le si avvicinò, dandole un bacio sulla fronte e allungandole una mano.

«Che si alzi il sipario».

Harmonia gliel’afferrò volentieri, uscendo a braccetto con lei dalla stanza.

«E che abbia inizio la pagliacciata».

 

 

---

 

 

Il solo rumore della pesante porta di pietra intarsiata che si apriva bastò a smorzare il mormorio dei guardiani, che si girarono tutti verso di essa.

Quasi come se quel cigolio sordo fosse stato un qualche misterioso segnale udibile solo dalle loro orecchie, alla vista della sovrana si esibirono tutti in un vistoso inchino di accoglienza che perdurò a lungo, per tutto il tempo in cui la centauressa attraversò la navata con una grazia tale da far sembrare che le sue zampe candide nemmeno sfiorassero il pavimento.

Harmonia entrò procedendo a passo lento, Myricae al suo fianco con la mano sull’elsa della spada legata in vita e la testa tenuta alta a troneggiare al di sopra degli ospiti, o -come li aveva chiamati lei poco prima- delle “seccature più secche della mia pelle durante la muta”; il rumore degli zoccoli che si posavano sul pavimento riempiva la stanza, accompagnato dall’impercettibile stridio delle spesse squame color smeraldo che sfregavano sul marmo come carta vetrata.

Dinanzi a suddetti ospiti, Harmonia fece un breve inchino.

«Chiedo umilmente scusa se vi ho fatto attendere più a lungo del previsto, signori e signore, ma negli ultimi due giorni mi sono sentita poco bene» fece ammenda la regina, trovando che “poco bene” sostituisse più che meravigliosamente un fin troppo pomposo “sono rimasta in stato comatoso fino a qualche ora fa e subito dopo ho avuto uno splendido momento di collasso mentale durante il quale ho ricordato con immensa gioia l’estinzione della mia gente ”.

Getto lo sguardo verso il lucernario -ormai riparato- al centro del soffitto, l’intricato mosaico di vetri multicolore che riempiva l’atrio di raggi variopinti.

«Mi auguro che non vi siate annoiati troppo in mia assenza, per quanto noto che avete trovato un delizioso modo d’intrattenervi nel mentre» osservò notando che Naevia, raccontando di tappeti elastici improvvisati tessuti dalla Sylkes, diceva il vero.

Non che certe uscite da parte di Antares fossero una novità, quella donna mezza ragno compensava bene l’aria di estrema formalità che aleggiava nel suo castello, ma Harmonia sapeva anche quanto la leopardessa fosse contraria a “certe sciocchezzuole talmente inutili che andrebbero vietate”, come le chiamava lei.

«Spero che le mie collaboratrici vi abbiano intrattenuto a dovere, in mia assenza, ma conto sul fatto che abbiano svolto egregiamente i loro compiti».

«Puoi dirlo forte!»

Aggrappandosi ad un filo di seta semi trasparente nemmeno fosse una liana, Frost raggiunse la centauressa e il resto dei presenti in perfetto stile Tarzan. Atterrò davanti al gruppo con una capovolta, venendo accolto da un applauso scrosciante.

«Questo posto è uno spasso come non ne esistono altrove! Nemmeno a Burgess mi sono mai divertito tanto! E poi lei» indicò Antares, poco sopra la sua testa «è un fenomeno, con quelle sue tele! Passato il terrore da uova in posti ci si dimentica completamente che potrebbe avvolgerti nella tela come un salame e mangiarti, pensa che-»

«MA AAAAAAAWWW!!!» squittì la Sylkes, stringendosi con decisione il guardiano al petto. «Hai sentito, Harmonia? Ha detto che vuole permettermi di deporre le mie uova all’interno del suo stomaco! Il suo adorabile, morbido, pallido, stomaco da guardiano! Finalmente potrò avere anche io i miei piccoli figli ragnetti che usciranno dalle sue fragili carni squarciandole e dilaniandole e nutrendosi di lui alla nascitaaaaa!»

Jack raggelò «Cosa? Io non ho parlato di-» tentò di parlare nuovamente, ma il prosperoso seno dell’altra lo stava ormai letteralmente inghiottendo, a giudicare da come lanciasse grida d’aiuto che, ora, erano più simili a mugolii sommessi e intraducibili.

La regina si lasciò scappare una risata.

«Oh, per me non ci sono problemi davvero, può venire qui a vivere anche oggi stesso se ci tiene tanto» sorrise con fare materno, scompigliando scherzosamente i capelli al giovane «tuttavia…» improvvisamente, il suo tono si fece cupo «devo ricordarti che questo dipenderà solo e unicamente dalla decisione dei suoi compagni guardiani in merito all’ospitalità da me offerta ad uno di loro, come ben sanno tutti i presenti in questa stanza».

Intorno a lei, i volti prima sorridenti e scherzosi si tramutarono in espressioni attonite e contrite nel giro di mezzo secondo.

 

Bingo.

Non lo diede affatto a vedere, ma -internamente- Harmonia stava già gongolando nella consapevolezza di aver colpito il nervo che le interessava con una singola, innocente e per niente sospetta frase detta al momento giusto, e cioè quando tutti i guardiani avevano ormai abbassato la guardia: si stavano sentendo a casa loro, venivano trattati come se fossero a casa loro, avevano tutti i privilegi che avrebbero avuto a casa loro.

Eppure ora lei se ne usciva così spontaneamente -almeno all’apparenza, dal momento che aveva invece calcolato ogni singola parola- con quello spiacevole, spinoso, fastidiosissimo, argomento che era la scelta dell’ostaggio.

Pardon, dell’ospite.

La regina era una donna sveglia, “anche troppo”, avrebbe detto qualcuno: aveva intravisto il terrore nei loro occhi fin da quando era entrata dalla porta, non aveva smesso nemmeno un attimo di respirare a pieni polmoni l’acre odore dei loro animi tremendamente agitati, spauriti, confusi, al solo pensiero di dover affrontare ciò che lei, ora, si era gentilmente permessa di sbattere loro in faccia in modo alquanto scherzoso e al contempo serissimo.

Perché lei lo era eccome, serissima e incredibilmente decisa: nessuno fa niente per niente, la sua filosofia era quella, nemmeno la Luna sorge se il Sole non tramonta, non inizia un nuovo giorno se la notte non si dilegua. Prima lo avrebbero capito, prima si sarebbero messi il cuore in pace.

E prima se ne sarebbero andati, soprattutto quello.

 

Nessuno dei guardiani proferì più parola per svariati minuti, preferendo passare quel tempo a guardarsi in faccia in cerca di un qualche segno sul da farsi e sull’atteggiamento da adottare, forse sperando invano che uno di loro si facesse avanti per primo.

A dispetto delle aspettative, fu infine Calmoniglio a prendere la parola.

«Non sarebbe opportuno andare per gradi, prima di discutere di questo?» tentennò cercando di prendere tempo: non avevano discusso nemmeno un secondo di chi di loro dovesse prendere casa laggiù, a Phantasia, piuttosto avevano preferito approfittare ampiamente dell’ospitalità a loro concessa per divertirsi e staccare la mente dall’attacco appena subito. E ora il coniglio pasquale -come tutti gli altri- se ne stava amaramente pentendo.

«Intendo che potremmo tutti prendercela con più calma, anziché correre tanto: non penso proprio che Phobos -conciato com’è- si rifarà vivo tanto presto, per cui non ci sono ragioni di metterci fretta a vicenda», precisò, pregando che non ci fossero fraintendimenti.

Fece una lunga pausa «E poi così tu avresti il tempo per riprend-»

«Non mi serve tempo per riprendermi» lo interruppe lei pestando uno zoccolo a terra, il tono improvvisamente fattosi duro e con una punta di aggressività «sto splendidamente, come puoi notare tanto tu quanto i suoi compagni, mai stata meglio» fece un giro su se stessa, i lunghi capelli che fluttuavano eterei mossi da quel solito e impercettibile vento che li manteneva costantemente in movimento.

Si avvicinò ai guardiani, quasi con aria di sfida.

«Non mi serve tempo per riprendermi, semplicemente perché non ho bisogno di riprendermi da nulla. Sono Harmonia, sono la Regina di Phantasia, sono la sovrana della fantasia» allargò le braccia «non esistono pause né vacanze nel mio compito, il mio ruolo non mi permette di lavorare un giorno l’anno crogiolando alle isole Cayman a bere Martini per gli altri trecentosessantaquattro» continuò sfilando davanti a loro mantenendo quell’atteggiamento di superiorità, gli occhi rosa azzurri che si piantavano prepotenti nelle pupille di ognuno dei cinque «tantomeno posso gustarmi il lusso di avere come unico cruccio della mia vita immortale il dover accontentare i desideri di una manciata di piccoli umuncoli bavosi, se non voglio cessare di esistere».

Infine, si fermò davanti ad un Calmoniglio visibilmente intimidito.

«Ogni minuto, ogni ora, ogni giorno, di quello che voi chiamate “riposo” si traduce in tempo che va inevitabilmente sprecato, tempo che regaliamo a Phobos e che gli permette di essere sempre un passo davanti a noi. Sempre. Dì, conosci la fiaba della lepre e della tartaruga?»

Il Pooka girò il viso senza rispondere, imbarazzato.

«C’era una lepre che si vantava con gli altri animali di quanto fosse veloce, sottolineando con disprezzo come nessuno fosse in grado di batterla in una gara di velocità. Una tartaruga, tuttavia, accettò la sfida» raccontò la regina, la magia che dalle sue mani fluiva a formare due sagome indistinte che, poco dopo, presero le forme degli animali da lei citati.

«Figurati come reagì la lepre: le scoppiò a ridere in faccia senza ritegno alcuno, denigrandola e scherzandola per la sua estrema lentezza, mentre già pregustava la propria vittoria con la sfacciataggine che sono una lepre particolarmente stupida -o particolarmente fiera di sé- può avere. La gara iniziò, dunque, e la lepre partì in quarta: nemmeno il tempo di muovere faticosamente il proprio carapace dalla linea di partenza, e l’avversaria era già fin quasi al traguardo» proseguì, mentre la lepre eterea scattava da una parte all’altra della stanza talmente veloce da essere quasi invisibile, lasciando dietro di sé una scia dorata.

«Ma si fermo poco prima, sicura com’era di vincere» a quelle parole, anche l’animale magico si fermò tutto d’un tratto.

«Si fermò a dormire, la lepre. “Tanto vincerò sicuramente”, si diceva. E intanto la tartaruga continuava a camminare e camminare e camminare, un passo dopo l’altro, centimetro dopo centimetro, senza mai darsi per vinta. I centimetri divennero metri, i metri decine di metri, le decine centinaia, e sai cosa successe alla fine?»

L’altro scosse la testa.

«Vinse la tartaruga. “Non è questione di chi correre velocemente”, disse il rettile, “ma di partire in tempo”, e la lepre lo capì tardi» l’animale le saltò in mano, sfregando il muso sul suo palmo «talmente tardi da essere sbranata dal leone, o peggio dal lupo».

Detto fatto, e Spettro addentò la creatura magica, dissolvendola in una cascata di polvere iridescente che lo fece starnutire.

Harmonia si abbassò fino all’altezza del muso di Calmoniglio, fissandolo talmente tanto intensamente che pareva gli volesse guardare fin dentro l’anima per ghermirla.

«Abbiamo dato a Phobos un vantaggio di due giorni per causa mia e me ne assumo tutta la responsabilità, ma le conseguenze di un ulteriore ritardo nel muoverci e giocare le nostre carte sarà colpa vostra, guardiani, io me ne lavo completamente le mani» asserì imitando il gesto. «Avete chiesto un’alleanza e vi è stata concessa, e ora io chiedo la mia garanzia: un ospite, tutto qui, uno di voi che si fidi talmente tanto dei suoi compagni da mettere nelle loro mani la sua stessa vita».

«Sua vita?» si intromise Nord, il tono quasi spaventato.

Harmonia sorrise: oh-oh, altarino svelato.

Con tutta la calma del mondo, la centauressa si avviò verso il tavolo al centro della stanza, prendendo posto davanti ad una teiera fumante.

«La sua vita, certo, ho anche io le mie precauzioni» con cautela, si verso l’ennesimo tè di quell’intensa giornata, questa volta al caramello e vaniglia. «Conosco troppo bene voi guardiani, decisamente meglio di quanto vi conosca l’Uomo nella Luna, e se so una cosa per certo è che siete pronti a tradirmi un’altra volta dileguandovi dallo scontro, se le cose dovessero precipitare in modo così gravoso da mettere a repentaglio le vostre vite».

La fronte dell’uomo si imperlò di sudore. Non per quelle parole così dure, non per la poca fiducia che la sovrana dava a loro guardiani, non era nemmeno perché parlava di tradimento così tranquillamente e serenamente, certo che no.

Era perché Nord sapeva che aveva ragione, a dire ciò che diceva: l’avrebbero tradita un’altra volta, se le cose si fossero messe troppo male, e lei li aveva anticipati con la firma del contratto.

«I miei sospetti erano fondati, quindi» asserì lei notando la sua espressione, sorridendo come mai prima di quel giorno. Posò la tazza ancora bollente «Sono carina e amorevole e materna, ma non sono stupida: credevate di potermi prendere in giro di nuovo scappando all’ultimo, vero? Beh, potete farlo senza problemi e non sarò certo io ad impedirvelo, ma non credo vi convenga».

«Perché?» chiese tranquillo Frost.

Harmonia tornò a sorseggiare il proprio tè, soffiando sulla tazza calda: a volte quel poveretto le faceva quasi pena, ignorante com’era stato cresciuto dai suoi compagni che si era tanto premurati di mantenerlo puro da tutto quel marciume nascosto dalla coltre del titolo di “guardiani”.

«Oh, carissimo, perché in quel caso io ucciderò il mio ospite. Una garanzia della vostra fedeltà, appunto».

 

Se si avesse avuto un udito sufficientemente sensibile da percepire i battiti dei presenti, allora -in quel preciso istante- si sarebbero sentiti un paio di essi perdersi nelle rughe di sconcerto apparse sui loro volti increduli.

“Harmonia è tanto tenerella e carina e materna con chiunque, figurati se può mettercelo nel culo profondo come la fossa delle Marianne”, dovevano aver sempre pensato ascoltando la regina della fantasia con quella sua voce angelica, quei suoi incantevoli occhi dai delicati colori pastello, il suo manto bianco brillante che ricordava il candore dei suoi atti e del suo cuore.

“Rettifico: non solo ce lo ha messo in culo profondo come la fossa delle Marianne, ma lo ha pure fatto uscire dalla gola”, invece, rendeva bene l’idea di cosa stessero pensando tutti adesso, dopo che l’altarino -delle loro reali intenzioni o del vero scopo del contratto non faceva differenza- era stato scoperto.

 

«Questo essere tradimento!»

La voce di Nord tuonò come un fulmine a ciel sereno nella stanza, rimbombando fino a creare un eco che faceva suonare ancora più cupa quell’accusa. L’uomo si diresse a grandi passi verso la Regina di Phantasia raggiungendola al tavolo al quale era comodamente seduta, sbattendo pesantemente un palmo su di esso facendolo tremare.

«Tu averci preso in giro, Harmonia, in contratto che noi avere firmato non esserci alcun riferimento ad omicidio di guardiano, di guardiano!» inveì col viso rosso dalla rabbia che stava provando. «Tu come spiegare questa richiesta folle? Noi venuti in pace, credevamo che tu fossi da nostra stessa parte e invece ah! Chiedi vita di guardiano!»

La donna non parve per nulla scossa, anzi aspettò di finire quel lungo sorso di tè che stava bevendo prima di rispondere.

«Non è precisamente così» puntualizzò, posando poi la tazza «io non “chiedo vita di guardiano”, non chiedo proprio la vita di nessuno. Io non ucciderò un guardiano, piuttosto sarete voi a farlo».

«Noi?»

«Voi, sì. Rispettate l’accordo senza scappare, e tutto filerà liscio come l’acqua che sgorga da una sorgente d’alta montagna. Traditemi come settecento anni fa scappando a gambe levate, e strapperò il cuore dal petto del vostro malaugurato compagno con queste stesse mani» le alzò per mostrarle meglio.

La regina sorrise, quel genere di sorriso tremendamente inquietante di chi sa di aver già vinto.

«Io sarò soltanto un’esecutrice materiale della vostra scelta, diciamo pure che sarò il boia che calerà l’ascia sul collo del condannato, ma la condanna o l’assoluzione di quest’ultimo dipenderà solo e unicamente dall’atteggiamento che voi sceglierete di adottare: restare o fuggire, vita o morte, non ci sono vie di mezzo. Semplice semplice, a prova dello scarso comprendonio di una creatura scelta da Manny» rise in segno di scherno «Domande?»­

Calmoniglio alzò una zampa, anche lui visibilmente iracondo.

«Io ne ho una. Il fatto che due giorni fa ti abbiamo salvato il culo da Phobos proprio non conta nulla? Te ne sei improvvisamente dimenticata, o non lo dici solo perché non ti fa comodo? Se non fosse stato per noi-»

«I miei generali se la sarebbero cavata ugualmente» intervenne Harmonia alzandosi e andandogli vicino. «Non metto in dubbio che il vostro contributo sia stato utile e per questo vi ringrazio, ovviamente, tuttavia ci tengo a precisare che il nostro contratto è stato stipulato ben prima che Phobos attaccasse, ed è stato stilato sulla base di azioni avvenute settecento anni fa. Non ritengo che la vostra accusa di tradimento sia sensata, visto ciò che ho appena detto, quindi non accetto altre lamentele su questo punto».

«Ma questo non essere-»

«Giusto?» si chinò per incontrare lo sguardo di Nord. «Non fu nemmeno giusto che voi fuggiste nel momento del bisogno, sette secoli fa, ma voi lo faceste ugualmente e senza vergogna alcuna. Anzi, adesso avete anche il coraggio e la sfacciataggine di lamentarvi che la vostra codardia abbia avuto ripercussioni sul presente, cercando di far passare me per la cattiva. È giustissimo, guardiani, così giusto che ora pretendo mi diciate il nome del prescelto e poi vi leviate immediatamente dalla mia vista».

Seguì un silenzio a dir poco imbarazzante, durante il quale nessun aveva osato proferire parola: vuoi perché -alla luce di ciò che avevano appena scoperto- il fare una scelta era una mezza condanna, vuoi perché non avessero pensato nemmeno mezzo secondo a chi mandare fra tutti, ma dalle loro bocche non uscì nemmeno un sospiro.

Sandman, che per tutto il tempo della discussione se n’era stato in disparte -probabilmente sapendo bene che fossero loro in torto- a braccia conserte, decise infine di prendere parola, o sabbia dorata insomma; con un paio di gesti, chiese alla regina se non potessero avere altro tempo per decidere.

Lei dondolò la testa, in segno di risposta negativa.

«Ho atteso anche troppo. Avete avuto tempo più che sufficiente per parlare fra voi e prendere una decisione comune, e anche se non vi foste trovati d’accordo avreste sempre potuto giocarvela a morra cinese» asserì facendo spallucce, indifferente. «Non rifarò la domanda un’altra volta: chi di voi sarà mio ospite?»

«Harmonia, noi non-»

«Ho detto che non rifarò la domanda, né accetterò ulteriori lamentele» ringhiò la donna verso il coniglio pasquale «voglio solo un nome, niente di più. Datemi un nome, e questa pagliacciata finalmente terminerà: voi potrete tornare a gongolare fino a quando i vostri servigi non saranno nuovamente richiesti, io potrò tornare ad occuparmi del mio regno e del mio pianeta, tutti felici e contenti insomma. Ma mi serve un nome».

“Che noi non abbiamo”, sottolineò l’uomo dei sogni.

«Non è un mio problema. Non uscirete da questo castello finché non avrò quel nome, questo posso assicurarvelo» sorrise lei schioccando le dita.

La sua magia si aggregò in sottili filamenti luminosi fin troppo simili a sbarre, che comparvero dal nulla ricoprendo finestre, porta e lucernario, chiudendo qualsiasi via di fuga ai guardiani.

«Spero che basti a motivarvi» asserì compiaciuta la regina. «Allora? Avete deciso chi-»

«Dentolina».

 

Tutti si girarono verso il punto dal quale era provenuta la voce che aveva nominato la fata, gli sguardi concentrati verso quei capelli bianchi e quegli occhi colore del ghiaccio, un ghiaccio percorso da più crepe di quante avrebbe dovuto averne alla sua età.

Se prima i guardiani era increduli di fronte alla rivelazione di Harmonia sul loro patto, allora adesso era a dir poco traumatizzati: Jack Frost, il più giovane fra loro, l’ultimo arrivato, il dilettante -nonché quello col compito meno gravoso- aveva preso in mano la situazione come i suoi colleghi non erano riusciti a fare tradendo una di loro senza pudore. E si era pure salvato il culo evitando di essere nominato.

Classica strategia alla “Grande Fratello”, considerando quale assiduo fan era lui di quel programma.

Lo sgomento si poteva leggere sui volti di ognuno, e non si sapeva se fosse più per la sorpresa che lui avesse tanta spina dorsale da decidere senza consultarli o, con più probabilità, per il trauma di fronte ad un’infamata del genere.

Tutti erano lì a guardarlo, a fissarlo, a piantargli quello sguardo accusatorio addosso con la speranza che ne venisse trafitto come da un pugnale, ma il giovane guardiano pareva del tutto impassibile: aveva la coscienza a posto, Frost, o almeno così si stava giustificando mentalmente con se stesso. Non aveva pronunciato il suo nome per cattiveria o per dispetto, aveva avuto delle motivazioni e riteneva che fossero tutte più che valide, ma -alzando gli occhi sui visi sbiancati dei compagni-, iniziò a riflettere sul fatto che tali considerazioni non sarebbero state precisamente semplici da spiegare o accettare.

Alla Regina di Phantasia sarebbe piaciuto tanto stare lì a guardare i guardiani scannarsi fra loro, magari aprendo pure il lucernario per mostrarli alla Luna lontana nel cielo dicendo a Manny “Ecco, queste sono le tue creazioni: ottimo lavoro, davvero”, ma riteneva di non avere tempo da perdere.

 

Fece un silenzioso cenno col capo a Myricae, che rispose con un cenno a sua volta.

«E Dentolina sia, dunque. Avvicinati».

«No! Certo che non si avvicina!» si mise in mezzo Calmoniglio, frapponendosi fra la fata e l’Ophidian che era andata a prenderla. Si girò verso Jack «Cosa stracazzo ti passa per quel tuo cervello congelato? Sei impazzito? Sì, sì che lo sei! Se proprio eri voglioso di pronunciare un nome avresti dovuto dire il tuo!»

Nord andò in aiuto del fronte “portate una corda per impiccare il bianco di capelli voglioso di piselli, che altrimenti la chiediamo a Sandy.

«Anche se essere strano, Calmoniglio avere ragione: tuo gesto non essere stato carino, Jack! Tu finire in lista di cattivi, anche prima di grande naso di Pitch!»

«Ma scherzate?!! Guardate che mica l’ho detto per farle un dispetto eh!» precisò il guardiano, imbracciando il bastone nel vedere che lo stesso avevano fatto gli altri con boomerang e sciabole. «Ma l’avete vista durante l’attacco di Phobos? Ci stava per rimanere secca non solo una volta, ma almeno una decina! E tutte di fila! Almeno qui sarebbe al sicuro e non rischierebbe di venire ammazzata ogni tre per due!»

A quelle parole, tutti ritirarono le proprie intenzioni bellicose, osservando invece la fatina che tremolava spaventata.

Potevano tentare di cercare di trovare tutte le scuse del mondo, ma -in fin dei conti- Frost aveva ragione: Dentolina non aveva mostrato una particolare utilità in quel genere di scontri fisici ad alta pericolosità e tasso di mortalità, aveva rischiato la vita più volte creando solo problemi agli altri che dovevano pensare a se stessi e pure a lei.

Era stata solo d’impiccio, ecco.

«Non può andare lei!» insistette però il coniglio pasquale, non ancora convinto. «Non si possono privare i bambini della fatina dei denti! Chi si occuperà di loro? Chi penserà a raccogliere i-»

«Se permettete, ai bambini posso tranquillamente pensare io».

La voce di Naevia si fece largo fra i litiganti, la lunga coda che sfiorò il muso del Pooka facendoglielo arricciare per il solletico. Lui però non cambiò affatto atteggiamento, mantenendo la difensiva.

«E come? Passando di casa in casa con un paio di ali di carta sulla schiena?»

«Oh, no di certo. Piuttosto sventrandoli uno per uno, bambino dopo bambino, passando un artiglio sulle loro pallide gole molli e indifese finché non vomiteranno fuori dalla carotide e dalla giugulare tutta la vita che hanno in corpo. Sapete che, una volta fermatosi il cuore, si ha ancora qualche istante di coscienza? Dai trenta secondi fino ai tre o sette minuti, solitamente, ma non sono rari casi in cui quest’esperienza post-mortem perduri più a lungo» spiegò con tutta calma, tirando fuori gli artigli retrattili e prendendo a osservarseli distrattamente.

«Sarebbe di grande aiuto alla scienza studiare quali di quelle da voi comunemente definite “emozioni” appaiano sui loro volti nell’acquisire la consapevolezza di stare per andare all’altro mondo, magari provando anche a recuperare l’ultima immagine che i loro occhi hanno registrato prima del decesso, la cosiddetta “imago mortis”. Sarebbe “curioso” -è l’emozione giusta, vero? La chiamate così l’impellente voglia di sperimentare qualcosa?- tentare una cosa del genere su dei bambini, dal momento che possiedo solo campioni adulti. Tutto sempre in nome della scienza, ovviamente».

Calmoniglio inorridì, lo stomaco che gli si torceva nell’impellente bisogno di vomitare: ma che cazzo di generali si era trovata Harmonia?

La centauressa, invece, scoppiò in una fragorosa risata.

«Dovete perdonare Naevia, ma a lei e alla sua razza gli standard socialmente accettati di etica e moralità non si applicano in alcun modo» spiegò indicando la leopardessa, la quale la fissò come se non capisse cosa stesse dicendo. «Tuttavia, non dovete preoccuparvi perché non ci sarà nessuna necessità di trovare una sostituta a Dentolina, se rispetterete i patti. Come dicevo, ora è tutto nelle vostre mani: sono certa che ci tenete alla vostra amica, quindi non c’è motivo di agitarsi tanto».

Con la fata vicino, la regina allungò un braccio di fianco a sé.

Tempo qualche istante, e la magia si aggregò in un lungo bastone, uno scettro che pareva essere fatto di un vetro iridescente che lanciava continui bagliori quando la luce lo illuminava, la cui sommità era formata dalla sagoma del busto trasparente di un unicorno alato con una gemma dorata come occhio, così com’erano dorati alcuni sottilissimi fili che ne ricoprivano il corno insieme a delle appena visibili schegge colorate.

Dentolina tremava come una foglia, si vedeva dal terrore sempre crescente nei suoi occhi che avrebbe solo voluto fuggire e andarsene, ma non si oppose quando quello scettro si posò delicatamente sul suo petto, all’altezza del cuore. Improvvisamente, si calmò.

O forse si prese solo un infarto, quando il corno si conficcò nelle sue carni spezzandole il respiro in gola.

Già pronti a scattare all’attacco per difendere la compagna, i guardiani vennero trattenuti dalla possente coda di Myricae che si parò loro davanti, impedendogli di avanzare oltre. Notando tanto subbuglio e Dentolina piegata in due, la sovrana sospirò annoiata.

«Non le ho fatto nulla, controllate pure» propose tranquilla, mostrando loro come -effettivamente- la fatina non recasse alcuna ferita o sanguinamento.

«Convinti?» domandò agli altri, che annuirono. Anche perché non avrebbero potuto fare altro.

Harmonia sorrise, osservando compiaciuta l’oggetto che aveva fra le mani: quello scettro apparteneva alla sua razza da tempo immemore, da quando il primo Starequus aveva posato i propri zoccoli sul suolo di Exodus, era stato passato di mano in mano per generazioni e generazione fino ad arrivare a lei, alla Regina di Phantasia, che ora lo custodiva insieme ai segreti ed ai tesori di un popolo che si era trascinato il proprio sapere nella tomba.

Istintivamente, una mano le scivolò sulla lunghezza del prezioso bastone, e la sua mente andò a vagare in quel passato che la tormentava da seimila anni, un passato nel quale il volto di sua madre che impugnava lo scettro era stata l’ultima cosa che i suoi occhi avevano visto prima di chiudersi.

«L’Erikepaios Anænketi…» sussurrò fra sé e sé, come se avesse l’impellente bisogno di parlarne «lo scettro della Dea Senza Sudditi, donato alle genti di questo pianeta in un tempo in cui ancora non esistevano parole adatte a descrivere la meraviglia ed il potere primigenio di questo artefatto. Qui dentro» indicò l’occhio del cavallo «scorre il sue sangue, non troverai mai nulla di più puro nemmeno se cercassi fino a consumare ogni centimetro del cosmo a furia di scavare nelle sue profondità. Ed è proprio ciò che mi serve ora».

Prese a studiare il busto dell’unicorno, osservando in controluce come all’interno dell’animale vi fosse un liquido rosso piuttosto denso che correva sulle pareti di vetro -o di qualsiasi cosa fosse- di quell’oggetto.

«Cos’è?»

«Sangue, giovane guardiano. Quello della tua amica, per la precisione» spiegò mostrandoglielo, lui che ci mancava poco vi si attaccasse con la faccia da quanto era incuriosito.

«Se in qualsiasi caso io non dovessi essere in grado di garantire la morte della fatina dei denti in seguito ad un vostro tradimento, l’Erikepaios lo farà al posto mio: è come un giuramento solenne, un giuramento che non può essere spezzato in alcun modo se non con la morte della persona il cui sangue è qui dentro. Niente e nessuno può sfuggire al giudizio della Dea, non le si può mentire».

Harmonia contemplò ancora qualche istante il prezioso bottino, salvo far dissolvere lo scettro in una polvere luccicante che pareva più una pioggia di glitter.

«Bene, direi che qui abbiamo finito. È stato un piacere fare affari con voi, signori miei carissimi, ma ora ho un’ospite della quale devo occuparmi e voi avete dei bambini ai quali far credere in voi: direi che siamo tutti molto occupati, per cui» tese una mano davanti a sé, evocando gli stessi portali che -tempo prima- avevano fatto piombare i guardiani sul suo pianeta «arrivederci fino a nuovo ordine».

Furono colti tutti piuttosto impreparati da tutta quella fretta, Dentolina compresa: sembrava più una bambola in balìa degli eventi piuttosto che una persona consapevole di ciò che le stesse accadendo, a giudicare dall’aria assente e dagli occhi vuoti e acquosi sarebbe legittimo aver dubitato che fosse sotto l’effetto di chissà quale droga. O forse, più semplicemente, solo di una disperazione troppo grande per essere esternata.

A testa bassa e improvvisamente ammansiti, i guardiani si avvicinarono piano alla regina e alla compagna che ora le stava di fianco, esibendo un breve inchino.

«Non potremmo avere il tempo di salutarla?» domandò un Calmoniglio che nulla aveva dell’aria minacciosa di prima.

Harmonia si diede ad un facepalm il cui eco si fece strada in tutta la sala del trono.

«Per la Dea, parlate di lei come se fosse una condannata a morte!» sbottò irritata. «Non è che non la vedrete mai più nella sua intera esistenza, o che appena vi girate Naevia la sgozza… anche se su quest’ultima cosa non garantisco, dovete giusto pregare che non sia interessata a dei particolari studi sull’anatomia dell’ultima abitante di Punjam Hy Loo», ridacchiò.

Spinse leggermente la fatina verso i compagni, invitandola a prendersi tutto il tempo necessario per salutarli mentre lei li girava per ritirarsi nelle proprie stanze.

Dopo qualche passo, però, Harmonia si fermò.

Gettò lo sguardo dietro di sé, notando i guardiani che si davano a quel genere di baci e abbracci riservati ai detenuti che stanno per andare sulla sedia elettrica, tutti raggruppati davanti all’amica ad aspettare il proprio turno. Immediatamente dietro di loro, il portale per la Terra. Sorrise.

Stiracchiò le zampe posteriori pestando gli zoccoli a terra, assicurandosi di avere una buona presa a terra con quelle anteriori; lanciò uno sguardo a Myricae: pollice verso, diceva l’Ophidian. E che pollice verso fosse, allora.

La regina si riempì i polmoni di tutta l’aria che potevano contenere, inspirando profondamente.

«QUESTA. È. PHANTASIA

Una zoccolata in perfetto stile spartano sulle loro schiene indifese, ed il varco si chiuse dietro i guardiani che vi caddero dentro mentre imprecavano e bestemmiavano.

Dentolina tentò di controbattere, ma Harmonia era ormai lontana sulle scale con la propria partner facendosi con lei grasse ridate. “Se trattano così gli ospiti”, pensò seguendo Naevia nel mentre che l’accompagnava a fare un giro del castello che sarebbe stato la sua casa per chissà quanto, “forse dovrei iniziare a preoccuparmi”.

Non poteva ancora immaginare quanto avesse ragione.

 

 

 

 

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Angolino dell’autrice

 

Sì, ci ho messo più tempo del solito ad aggiornare, ma ultimamente fra capitoli lunghi lunghissimi e vacanze le tempistiche si allungano pure loro :’D

Spero che i vari altarini scoperti non risultino troppo confusionari, nel caso me ne scuso, ma lascio il giudizio ultimo a voi e ad eventuali persiani che vogliono contestare l’immane figaggine di Leonida Harmonia; ne approfitto per ringraziare chiunque stia seguendo la storia e ci tenga a farmi sapere cosa ne pensa, ma anche solo a chi la legge ovviamente, anche perché da un paio di recensioni ho potuto capire e correggere alcune imprecisioni/eccessi qua e là, per cui grazie di cccuore a tutti :3

La canzone che ho utilizzato è "Little Sunshine - An Original MLP Song" di Ink Rose che potete trovare qui, e che è la stessa canzone alla quale fa riferimento il titolo di questa fanfiction.

Vi lascio con un mio disegno fatto a marzo (COFF COFF non è chissà cosa e ora non sarebbe certo meglio COFF COFF) di una piccola Harmonia con sua madre, al quale mi sono ispirata per descrivere una delle tante drammatiche scene alle quali ha assistito Myricae :)

Alla prossima!

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