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Autore: Shainareth    15/01/2018    5 recensioni
*** Attenzione! La presente storia si collega direttamente alla shot Verità. Vi consiglio perciò di leggere prima quest'ultima, per comprendere appieno le vicende di ciò che verrà narrato qui di seguito. ***
«A cosa servono, questi poteri, se non possiamo evitare che accadano certe tragedie?» La voce di Ladybug era cupa e rotta dal pianto represso. Era ormai l’alba e i soccorritori avevano lavorato per tutta la notte, sgombrando la zona da ciò che era andato distrutto – o ucciso. I due salvatori di Parigi erano rimasti lì fino a che era stato necessario, ingoiando tutta la sofferenza che i loro occhi e le loro orecchie erano stati capaci di catturare, loro malgrado. E ora, con le membra doloranti e il cuore in pezzi, si erano rifugiati insieme fra i gargoyles di Notre Dame, che con il loro tetro aspetto sembravano riflettere l’umore di entrambi.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Verità'
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CAPITOLO QUARTO




«Tu e Adrien vi state di nuovo evitando», constatò Alya a tradimento, facendola sussultare e facendole dare una passata di troppo sul pannello che stavano verniciando. Di lì a pochi giorni, infatti, ci sarebbe stata una sfilata di moda organizzata dalla scuola con il patrocinio di Gabriel Agreste e loro erano al lavoro sulla scenografia nel cortile interno dell’edificio. Era la seconda volta che il padre di Adrien si interessava a cose di questo genere e ciò, oltre a far accrescere la fama dell’istituto, rendeva felice suo figlio, che finalmente riusciva a sentirsi più vicino a lui.
   «Evitando?» ripeté Marinette, ridacchiando nervosamente e cercando di rimediare all’errore commesso. «Non è mai successo. Né prima né adesso», chiarì senza aver bisogno di mentire. Quello che era calato fra loro era soltanto un goffo silenzio che nessuno dei due sapeva esattamente come gestire.
   Alya incrociò le braccia sul petto formoso. «E allora com’è che quasi non vi rivolgete la parola? Credi che non lo abbia notato?»
   «È solo una tua impressione», le assicurò l’altra, preferendo tenere gli occhi ben incollati sul lavoro pur di non incrociare quelli dell’amica.
   «So che ho promesso di non intromettermi, ma… sono preoccupata», confessò lei, sentendola più distante di quanto entrambe avrebbero voluto ammettere. Era forse questo a farle più male in assoluto, insieme all’idea di non poter fare nulla per risollevare il morale di quell’amica che nel giro di pochi mesi le era diventata cara quanto una sorella.
   Marinette le rivolse uno sguardo mortificato, ma sulle sue labbra aleggiava l’ombra di un sorriso che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere rassicurante. «Grazie, Alya, però non ne hai motivo.»
   «Avete litigato?»
   «Non potrei mai litigare con Adrien! Lo sai che è…»
   «…il grande amore della tua vita, sì», concluse Alya per lei.
   «Sssh! Abbassa la voce!» la pregò Marinette, guardandosi attorno con fare ansioso, dal momento che tutta la classe era al lavoro insieme a loro – ad eccezione di Chloé, che preferiva perdere il suo tempo seduta su una panchina a smanettare con il cellulare, infischiandosene di tutto il resto.
   «Marinette, posso disturbarti un momento?»
   La voce di Adrien la fece scattare come una molla e lei lanciò un urletto buffo che riuscì finalmente a far sorridere Alya. «A-Adrien!» balbettò con la sua solita aria impacciata, nascondendo dietro la schiena il pennello sporco di vernice come se fosse stato qualcosa di cui vergognarsi. «Certo, dimmi pure!»
   Il giovane tirò un sospiro di sollievo. Dopo quella sera, quella in cui lui e Ladybug si erano scambiati il loro primo, vero bacio, Adrien non era stato più in grado di rivolgersi a Marinette come prima e lei sembrava fare altrettanto, quasi come se tutti i progressi fatti nel loro rapporto negli ultimi mesi fossero solo un lontano ricordo. Per questo, pur provando ancora delle remore nel parlare a tu per tu con lei, Adrien aveva deciso che fosse giunto il momento di mettere da parte gli indugi e affrontare di nuovo una conversazione con lei, sia pure in presenza di una terza persona – in questo caso Alya. «Volevo comunicarti che uno dei membri della squadra di scherma ha deciso di abbandonare le lezioni alla fine del mese», prese a dire, felice di essere riuscito ad apparire piuttosto naturale. «Perciò, nel caso tu fossi ancora interessata, potresti tentare di nuovo le selezioni. L’altra volta non ce l’hai fatta per un soffio, perciò penso che tu abbia buone possibilità.»
   In un altro momento, Marinette avrebbe fatto i salti di gioia per quella proposta. Adesso che però non si sentiva più sicura di nulla, riguardo ad Adrien, si domandò se lui le avesse dato quell’informazione perché voleva averla al suo fianco anche dopo le lezioni scolastiche o se, più semplicemente, per mera gentilezza. «Io… in realtà non lo so», rispose con un groppo in gola. Davvero voleva gettare alle ortiche la possibilità di entrare all’accademia di scherma di monsieur D’Argencourt, e di passare così più tempo con il suo adorato Adrien, solo perché non riusciva più a capire da che parte volgesse il suo cuore? «Ho troppe cose da fare… troppi impegni… con… ehm… sai, la sfilata, il mio lavoro da babysitter… aiutare i miei al negozio…»
   «D’accordo, non preoccuparti», la interruppe gentilmente lui per trarla d’impaccio e cercando di non dare a vedere di esserci rimasto male. Non che si aspettasse davvero una risposta diversa da quella, ma un po’ ci aveva sperato. «In ogni caso, puoi decidere con calma. C’è ancora tempo prima della fine del mese e la sfilata sarà solo fra pochi giorni.»
   «Giusto», commentò la ragazza, trovando comunque un certo conforto in quelle parole. Forse per allora avrebbe fatto chiarezza con se stessa, benché non ci contasse troppo. «Ti farò sapere, allora.»
   «Quando vuoi», rispose lui, un sorriso di circostanza sulle labbra. Alzò gli occhi al pannello che le sue amiche stavano verniciando e gli venne spontaneo domandare: «Avete bisogno di aiuto?»
   «No, no, non preoccuparti!» si affrettò a dire Marinette, lieta di essere riuscita comunque ad articolare un discorso di senso compiuto con lui, nonostante il nervosismo. Tuttavia, non era certa di reggere ancora a lungo, perciò negò con tutte le sue forze di aver bisogno di qualcosa. «Siamo perfettamente in grado di usare un pennello!» buttò lì senza un perché, agitando per aria quello che aveva in mano e schizzando vernice dappertutto. «Io di sicuro meglio di una sciabola!» straparlò poi come suo solito, mimando un affondo che colpì Adrien all’altezza del petto e gli imbrattò inevitabilmente gli abiti.
   «Figurarsi come usi quella, allora…» non poté fare a meno di commentare Alya, portandosi i pugni sulle anche e sospirando per la goffaggine dell’amica.
   Quest’ultima arrossì tantissimo e mulinò le braccia davanti a sé, osservando con occhi sbarrati quel che aveva appena combinato. «Adrien, mi spiace tremendamente! Sono un disastro ambulante! Giuro che non l’ho fatto apposta! Non potrei mai dipingerti di rosa!»
   «Di azzurro sì?» ci tenne ad informarsi il giovane, ridendosela sotto ai baffi, nonostante tutto. Marinette era adorabile e se solo lui avesse potuto, l’avrebbe abbracciata e stretta a sé fino a che non gli fossero venuti i crampi.
   «Di nero!» lo corresse d’istinto lei, ormai nel pallone. «Risalterebbe quei tuoi magnifici occhi verdi!» Sentendo Alya ridacchiare alle sue spalle, si rese conto di ciò che aveva appena detto e sprofondò il viso fra le setole del pennello. «Gah!» esclamò un attimo dopo in tono lamentoso. «Mi è entrata la vernice negli occhi!»
   «Ed ecco perché, nonostante la nostra età, abbiamo preferito usare quella atossica e lavabile…» cantilenò Alya, togliendole di mano il pennello prima che quell’imbranata combinasse qualche altro guaio. «Va’ subito a lavarti la faccia, sbadatella.»
   «Sì, corro», obbedì lei. Poiché però non vedeva granché, inciampò nel sostegno sul quale avevano poggiato il barattolo di vernice, che cadde sul pavimento, creando una pozzanghera proprio dove lei aveva i piedi e attirando l’attenzione di chiunque si trovasse lì con loro.
   «Marinette!» la richiamò esasperata la sua amica, mentre lei farfugliava parole senza senso e muoveva in modo goffo le gambe, rischiando così di scivolare a terra.
   «Ci penso io», si offrì volontario Adrien, sempre più divertito dai disastri combinati dalla sua compagna di classe. «Pronta, Marinette?»
   «Eh? Per cosa?» chiese lei, completamente spaesata. L’istante successivo qualcuno le passò un braccio attorno alle spalle e un altro sotto le ginocchia, sollevandola da terra come una graziosa sposina. D’istinto, la ragazza soffocò un’esclamazione e si aggrappò al collo del giovane, arrossendo fino alla punta delle orecchie. «A-Adrien! Mettimi giù!» lo implorò, avvertendo lo sguardo dell’intera classe su di sé, benché fosse costretta a tenere gli occhi chiusi e non riuscisse a vedere molto.
   «Col rischio che tu possa cadere e farti male? Non se ne parla», le assicurò lui, iniziando a portarla via di lì. «Ti accompagno a casa, così potrai darti una ripulita come si deve.»
   «Fino a casa?!» stentò a crederci Marinette, non riuscendo a muovere muscolo per l’imbarazzo e la gioia. «Ti peserò!»
   «Sono più forte di quanto sembri», le assicurò Adrien, felice della situazione in cui erano andati a cacciarsi e di poterla stringere a sé senza necessariamente abbracciarla. «E poi abiti solo dall’altro lato della strada.»
   «Ma…!»
   «Ragiona, hai le scarpe inzaccherate e non vedi nulla. Hai una soluzione migliore?»
   L’altra si arrese e tacque, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo e provocandogli inconsapevolmente tanti, piccoli piacevoli brividi. Adrien inspirò a fondo, deciso a mantenere intatta la propria lucidità mentale nonostante quell’insperata vicinanza. Più indietro, fra le risatine e i borbotti del resto della classe, Alya recuperò il cellulare dalla tasca e compose un numero. «Madame Cheng?» iniziò poco dopo. «Sono Alya. Volevo annunciarle che fra non molto Adrien vi porterà un pacchetto sporco di vernice a domicilio.»
   «Marinette, eh?» sentì rispondere con un sospiro rassegnato. «Preparo degli asciugamani, grazie per avermi avvisata.» Chiusa la chiamata, Sabine diede voce a suo marito, che rimase da solo in negozio, e subito si adoperò per recuperare dei teli da bagno e aspettò Adrien davanti alla porta di casa. «Mi dispiace immensamente per l’incomodo», gli disse non appena lui arrivò a destinazione con il suo bel fagottino tra le braccia.
   «Nessun problema», le assicurò il giovane, entrando nell’edificio e aspettando che la donna togliesse le scarpe a sua figlia e le asciugasse i piedi prima di metterla giù.
   «Mi spieghi perché sei tutta sporca di vernice?» s’informò Sabine, cercando di portare pazienza. «Anzi, lascia perdere quella parte e dimmi solo perché ti sei data al bricolage anziché al cucito. Non dovevi occuparti tu dei modelli della sfilata?»
   «Solo di uno», rispose Marinette, poggiando finalmente i piedi sul pavimento e alleggerendo il povero Adrien del suo peso. Sbirciò nella sua direzione, ma non osò fiatare.
   Fu lui a parlare, allora, intuendo già quale fosse il problema. «Il mio, immagino.» Lei non rispose, prendendo dalle mani della madre un asciugamano pulito per togliersi parte della vernice dal volto. «Perché non me lo hai detto prima?»
   «Mi mancano le tue misure», borbottò con imbarazzo, nascondendosi nella spugna che stringeva fra le dita.
   «E non potevi chiedere?»
   Mugugnò qualcosa di indecifrabile e, da brava mamma, Sabine venne in suo aiuto. «Ti ha macchiato i vestiti, Adrien, mi dispiace… Ti pagheremo il conto della tintoria.»
   «Oh, no, non ce n’è bisogno, davvero.»
   «Insisto», continuò lei, passandogli un altro asciugamano. «Intanto tieni questo, Marinette ti ha sporcato anche il collo. Sembra che ti abbia fatto delle mèches rosa sulla nuca.»
   «Dovrei esserle riconoscente, dopotutto: ha esaudito un mio ambiguo, recondito desiderio», scherzò allora il giovane, pur di riuscire a risollevare il morale della sua amica. La sentì ridere contro la spugna e la vide occhieggiare di nuovo nella sua direzione. «Me le prenderai, ora, le misure?» le domandò con dolcezza.
   Lei annuì timidamente e, intenerita da quella scena, Sabine si allontanò con discrezione. «Preparo un po’ di tè», disse a mezza voce a tutti e nessuno, decisa a ringraziare la gentilezza di Adrien con qualche leccornia della loro pasticceria e al tempo stesso a lasciare ai due lo spazio necessario per dirsi o non dirsi ciò che lei aveva capito sin dall’inizio.
   Dopo essersi data una rapida rinfrescata in bagno, Marinette tornò in soggiorno, sperando con tutta se stessa di non tremare o arrossire nel prendere le misure ad Adrien. Trovò quest’ultimo seduto sul divano a gustarsi uno dei deliziosi croissant che Sabine gli aveva servito pochi minuti prima insieme ad una tazza di tè, e nell’attesa stava raccontando alla donna dei preparativi per il nuovo progetto scolastico. Quando lei vide arrivare Marinette, finse di ricordarsi di qualcosa e si allontanò per la seconda volta verso l’angolo cucina.
   Col metro a nastro fra le mani e un taccuino nella tasca posteriore dei jeans, la ragazza esitò qualche istante, perciò toccò di nuovo ad Adrien fare la prima mossa, alzandosi in piedi e allargando le braccia ai lati del corpo. «Iniziamo?» Lei abbozzò un sorriso e gli si fece vicino, passando il metro attorno al suo torace e pregando di riuscire a mantenere il sangue freddo nonostante l’imbarazzo di avvertire il respiro dell’amato sulla pelle del viso. Le tornò alla mente il bacio con Chat Noir e quasi le si intrecciarono le dita. Così non andava bene, c’era anche sua madre con loro, non poteva davvero perdere la testa in quel modo. Inspirò a fondo e tentò di placare i furiosi battiti del cuore che le scuotevano il petto, rimbombandole nelle orecchie così forte da farle temere che Adrien potesse sentirli. Decise di concentrarsi sul proprio lavoro e passò a misurare la lunghezza delle maniche e l’ampiezza delle spalle, lo spazio compreso fra l’ascella e il punto vita e infine quest’ultimo. Annotò tutto sul taccuino in assoluto silenzio e Adrien non poté fare a meno di ammirare la destrezza e la professionalità con cui la sua amica si stava dedicando a quel lavoro.
   Durò poco, comunque, perché qualche istante dopo la vide di nuovo insicura su come procedere. Dopo aver passato il metro attorno ai suoi fianchi e aver misurato la lunghezza della gamba fino alla caviglia, Marinette sembrò cedere ancora una volta il passo all’ansia, poiché Adrien la vide torturarsi il labbro inferiore e ostinarsi a tenere lo sguardo basso, senza riuscire a spiegargli cos’altro le servisse conoscere. Per sua fortuna, il padre del giovane era uno stilista e lui era cresciuto nel campo della moda, nel quale oltretutto lavorava, e questo le consentì di ricevere un aiuto insperato. «Occupati della parte inferiore del metro», la rassicurò Adrien in un sussurro complice, provando tenerezza nei suoi confronti. «All’estremità superiore ci penso io.»
   Marinette gli rivolse uno sguardo di disperata gratitudine e subito si chinò sulle ginocchia per misurare insieme a lui l’altezza del cavallo, mentre Sabine assisteva alla scena da lontano e ridacchiava fra sé. Fu distratta dallo squillo del telefono, al quale rispose subito. Alla fine della chiamata, fu costretta ad interrompere i ragazzi, suo malgrado. «Marinette, era madame Chamack. Dice che passerà fra due minuti per prendere le cose che Manon ha dimenticato qui ieri pomeriggio. Dove sono?»
   «In camera mia», disse l’altra, finendo di appuntare le ultime cifre sul taccuino e lasciando così Adrien libero di tornare ai suoi croissant.
   Sabine salì di sopra e loro rimasero soli per la prima volta, avvertendo di colpo tutto l’imbarazzo della cosa. Il giovane osservò l’amica mentre sedeva rigidamente sul divano, lontana da lui, tenendo di nuovo gli occhi bassi, le mani strette a pugno poggiate sulle ginocchia unite. Si domandò se ciò che gli aveva detto Plagg fosse vero, e cioè se tutta quella timidezza che assaliva Marinette quando lui era nei paraggi era dovuta al fatto che lei lo amava. Soprattutto, facendo scivolare lo sguardo sul viso della ragazza, si domandò se erano davvero quelle le labbra che aveva potuto baciare con amore appena poche sere prima. Sperò con tutto se stesso di sì.
   «Credi di fare in tempo?» esordì dopo una manciata di secondi, non tollerando più quell’assordante silenzio sceso fra loro. Finalmente Marinette trovò il coraggio di guardarlo, questa volta con espressione stupita, chiaro segno che non aveva capito ciò a cui lui si stava riferendo. «A cucire il modello, intendo…» continuò allora Adrien. «Non manca molto, alla sfilata.»
   «Sono piuttosto veloce a cucire», gli assicurò la ragazza, in uno di quei pochi sprazzi di autostima che mostrava di rado in sua presenza. «Ci lavorerò nel fine settimana, ma… temo che dovrò chiedere ancora il tuo aiuto… sai, per le prove.»
   L’altro le sorrise, felice per quella nuova opportunità di passare altro tempo con lei. «Chiamami pure tutte le volte che ne avrai bisogno.»
   Quella risposta le fece sobbalzare il cuore di gioia, tanto da indurle a rilassare finalmente i muscoli del corpo e ad inarcare le labbra verso l’alto. «Grazie», mormorò. «Per tutto.» Sabine li raggiunse poco dopo con la bacchetta da fatina di Manon in una mano e nell’altra un paio di occhiali da sole con le lenti a forma di cuore. Non appena Marinette li vide, scattò in piedi e li prese fra le dita, mettendoli in tasca. «Dalli a me», disse alla madre, agitando per aria anche la bacchetta magica affinché Adrien fosse distratto da quella piuttosto che da altro. «Glieli restituirò io non appena madame Chamack sarà qui.»
   Lanciò un’occhiata furtiva alle proprie spalle e vide l’amico intento ad alzarsi dal divano. «Sarà meglio che vada», le disse affiancandosi a lei. «State anche per avere ospiti, non mi sembra il caso di disturbarvi ancora.»
   «Nessuno disturbo», gli assicurò Sabine con uno di quei sorrisi da mamma capaci di sciogliere il cuore. Adrien ne fu conquistato e desiderò di cuore di potersi imparentare con quella donna. Resosi conto di quel pensiero audace e avvertendo perciò un comprensibile calore salirgli al volto, fece saettare lo sguardo su Marinette, che però sembrava nervosa per un qualche motivo che a lui sfuggiva. Cos’altro era successo, ora?
   «Ti… Ti accompagno di sotto», si offrì la ragazza, facendogli strada.
   «Arrivederci, madame Cheng», salutò il giovane, ricevendo in cambio un altro di quei sorrisi che tanto amava.
   «Grazie ancora per avermi aiutata», disse Marinette quando furono in strada, davanti al portone dell’edificio. «E… mi spiace di averti sporcato di vernice.»
   «Il rosa mi dona», replicò lui strizzandole l’occhio e facendola ridere.
   Qualcuno lì vicino chiamò la ragazza e un attimo dopo la piccola Manon fu fra le braccia di lei per darle un bacio. «Manon, dalle tregua…» sospirò Nadja non appena li raggiunse. «Buonasera, Marinette», salutò poi, accorgendosi solo dopo della presenza di Adrien – e chiedendosi perché fosse sporco di vernice. Riconobbe in lui il giovane con cui si era accompagnata Marinette qualche tempo prima, quando lei e Manon li avevano incrociati per strada mentre si scambiavano un bacio inequivocabile. Sorrise sorniona. «Tu sei Adrien Agreste», commentò soltanto, convinta che Marinette avesse fatto il colpaccio, conquistando nientemeno che il figlio del più famoso stilista di Parigi.
   «Buonasera, madame Chamack», rispose lui con un galante cenno del capo. Era divertente pensare che quella donna, così affamata di notizie e gossip di vario genere, ignorasse di trovarsi ora a tu per tu con i migliori ospiti che avesse mai ricevuto nel suo programma televisivo in prima serata.
   «Purtroppo ora vado un po’ di fretta, ma mi piacerebbe invitare te e tuo padre a Faccia a faccia, una di queste volte», iniziò Nadja, che non si lasciava mai sfuggire l’occasione di mettere per prima le mani su un qualsivoglia scoop.
   «Ehm…» prese tempo Adrien, massaggiandosi la nuca con un certo imbarazzo. «Non posso parlare a nome di mio padre, ma… potremmo discutere della mia presenza, se le va.»
   «Molto volentieri», annuì la donna, lanciando poi un’occhiata a Marinette, che subito comprese dove volesse andare a parlare con quello sguardo complice e s’irrigidì tutta. «Vado a salutare i tuoi genitori», disse allora, prima di sparire dentro il negozio.
   «La mia bacchetta!» esclamò Manon, rubandola dalla tasca posteriore dei jeans della sua babysitter. «E i miei occhiali?»
   La ragazza sudò freddo. «Ah… ehm… eccoli…» balbettò, infilando la mano nella stoffa della giacca che indossava. Esitò, sbirciando in direzione di Adrien che fissava la scena senza capire.
   «Marinette!» sbuffò la bambina, protestando per quel ritardo. «Non vuoi darmeli?» domandò, facendole gli occhioni da gattina come ogni qual volta voleva ottenere qualcosa.
   L’altra uggiolò davanti a quell’espressione e si costrinse a trattenere il fiato e a tirare fuori dalla tasca gli occhiali giocattolo, senza però avere più il coraggio di guardare l’amico. Non appena Manon inforcò le lenti a forma di cuore sul nasino all’insù, Adrien spalancò le orbite, riconoscendole al volo: erano davvero quelle che Ladybug aveva indossato quel giorno? Spostò la sua attenzione su Marinette che ora, rossa in volto, cercava di sfuggire alla sua vista.
   «Come sto?» volle sapere Manon, tirandolo per un lembo della camicia.
   Pur sopraffatto dalle tumultuose emozioni che gli stavano scombussolando il battito cardiaco, Adrien sorrise – come gli veniva facile, farlo! – e si chinò sui talloni per essere quasi alla stessa altezza della bambina. «Bene, ma… a me starebbero meglio.»
   Lei lo fissò contrariata. «Sono occhiali da femmina e tu sei maschio.»
   «Scommettiamo?» la provocò lui, porgendole il palmo della mano. Manon accettò la sfida e gli passò gli occhiali, che un attimo dopo Adrien indossò con gran faccia tosta, facendola scoppiare a ridere. «Non sono bellissimo?» si pavoneggiò, puntando il naso in aria. «Guarda, si intonano anche alle mie nuove mèches», aggiunse, mostrandole le ciocche bionde di capelli che, all’altezza della nuca, erano rimaste incrostate di vernice rosa. Alle orecchie gli arrivò una risatina divertita e lui alzò lo sguardo su Marinette che, con il viso ancora scaldato dall’imbarazzo, lo fissava ora con quella che gli parve essere gratitudine.
   Un attimo dopo, Nadja uscì dalla pasticceria con una busta fra le mani. «Manon, andiamo?» chiamò, prima che le parole le morissero in bocca per quella visione.
   Adrien balzò in piedi, togliendosi gli occhiali e restituendoli alla bambina. «Ehm… le sarei grato se non mi ponesse domande al riguardo, semmai dovessi essere ospite della sua trasmissione», pregò la donna, mentre Marinette si mordeva le labbra per non ridere più forte di quanto già non stesse facendo.
   «Non ti prometto nulla», lo prese in giro la giornalista, strizzandogli l’occhio. «Ma intanto vi auguro buona serata.»
   «Ciao, Marinette!» salutò Manon, agitando la manina a mezz’aria, mentre si allontanava insieme alla sua mamma.
   «Vuoi davvero partecipare alla sua trasmissione?» chiese Marinette, quando lei e Adrien rimasero nuovamente da soli.
   «Perché no?» rispose lui, facendo spallucce. «Potrebbe essere divertente.»
   «E…» Tentennò, ma poi fece appello a tutto il proprio coraggio e proseguì: «Non hai paura di eventuali domande scomode?» Dopotutto, Nadja li aveva visti mentre si baciavano.
   «Quali domande scomode?» ribatté Adrien, facendole dono di un sorriso sghembo e di uno sguardo inconfondibile: quella era senz’ombra di dubbio un’espressione alla Chat Noir.
   Pur col cuore che le batteva in petto all’impazzata, Marinette si convinse che il giovane avesse capito tutto e che ora volesse stuzzicarla. «Fa’ finta che non abbia detto nulla», borbottò, rossa in volto.
   Preferendo non provocarla oltre, e ritenendo che entrambi necessitassero di tempo per riflettere sull’intera faccenda, Adrien decise di lasciarla in pace. «Ci vediamo domani», la salutò in tono gentile, tornando a guardarla con affetto.
   Lei abbozzò un sorriso timido e imbarazzato. «A domani.»












Perdonate l'attesa, ma ho avuto una settimana infernale e non sono riuscita a scrivere molto (appena mezzo capitolo, sigh). Di più, ho iniziato a farmi prendere dai dubbi su tutta la storia, il che è un male, ne sono consapevole, però credo di aver superato queste insicurezze e pertanto spero di riuscire a concludere almeno l'undicesimo capitolo entro oggi.
Tornando a ciò che avete appena letto, finalmente c'è stato un punto di svolta. Non che prima non ve ne fossero stati, in effetti, ma almeno adesso i nostri due belli addormentati hanno avuto la conferma che sì, hanno strati e strati di prosciutto sugli occhi e che d'ora in poi potranno giocare a carte scoperte. Pur con i loro tempi, si intende, ché lo sappiamo tutti quanto sono lenti... sigh. Ma io li trovo adorabili anche per questo.
A parte tutto, non so se qualcuno di voi ha visto l'episodio uscito ieri sulla TV francese, perciò taccio. Dico solo che sono due giorni che non ho parole per descrivere la meraviglia. ♥ E anche che sto elargendo cuoricini a destra e a manca, per questo. ♥ Più del solito, intendo. ♥ E io già ne uso un sacco. ♥
Chiudo qui e, ringraziandovi per essere sempre così adorabili con me e le mie storie, vi do appuntamento al prossimo capitolo. ♥
Shainareth





  
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