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Autore: Pisquin    18/01/2018    2 recensioni
Noemi aveva avuto da sempre grossi problemi a relazionarsi con i suoi coetanei di sesso maschile in quegli anni di Liceo e le cose, con il passare del tempo, non erano che peggiorate. Il suo studio matto e disperatissimo in biblioteca per recuperare quelle carenze in Inglese, però, la fa imbattere in qualcuno che trova nel silenzio di Noemi una sfida personale. Quando, poco dopo quell'incontro, Noemi farà una spiacevole scoperta, chi la aiuterà in quella sorta di investigazione all'ultimo appostamento? Forse proprio la persona a cui rifiutava di proferire parola.
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Library Pictures

1. Incontri ravvicinati
 

Me ne stavo tranquillamente seduta sul muretto fuori dalla biblioteca scolastica. Era appena finita l'ora di pranzo e stavo aspettando la bibliotecaria che a quanto pareva era in un ritardo assurdo. Per pranzo avevo sbocconcellato un trancio di pizza dal bar fuori dalla scuola, non avendo poi molta fame. Vidi il cielo scurirsi, segno che tra poco sarebbe iniziato a piovere. Meglio per me. Tenevo tra le braccia dei libri di Letteratura Inglese che dovevo restituire alla bibliotecaria. Li avevo presi il giorno prima per avvantaggiarmi nello studio per la verifica dell'indomani. 

Come al solito la mia compagna di classe Grazia mi aveva dato buca dopo che la settimana precedente mi aveva assicurato di esserci. Sì, come no! Elisa e Giulia, le mie migliori amiche, frequentavano un'altra classe e l'unica altra compagna con cui avevo fatto amicizia era Rossella che però aveva deciso di fare ripetizioni con il suo ragazzo, Antonio. Immaginavo come avessero studiato Romeo e Giulietta: teoria o pratica?

Mi soffermai ad osservare l'etichetta incollata sul mio quaderno degli appunti; riportava scritto con una calligrafia tondeggiante 'Noemi Mancini – IVC – Liceo Virgilio'. Mi ero iscritta in quella scuola quattro anni prima e quello era il primo anno che collezionavo delle insufficienze. I miei genitori confidavano nelle mie capacità e scommettevano che le avrei recuperate in un batter d'occhio. Io non ne ero poi così sicura.

Visto che la bibliotecaria tardava ad arrivare, decisi di tirare fuori dal mio zaino di camoscio un romanzo e ripresi la lettura da dove era stata interrotta la sera precedente. Continuavo, però, a ripassare mentalmente la storia inglese e le correnti letterarie medievali. Tenevo gli occhi fissi sulla pagina del libro ma in realtà stavo lavorando di testa: sussurravo cautamente le date, pregando di non sbagliarle.

Mi ridestai quando udii un colpo di tosse provenire dalla mia destra. Scossi la testa e la voltai di scatto. La prima cosa che vidi furono due occhi castani intenti a guardare nella mia direzione. Spostai poi lo sguardo sui suoi capelli mossi, scuri come l'ebano, scossi leggermente dal venticello tardo autunnale. Mi scoprii a fissare i libri che teneva in mano, e la cinghia di uno zaino che pendeva oltre le sue spalle. Se ne stava appoggiato contro la parete, tinteggiata di un orrendo giallo. La porta di entrata della biblioteca troneggiava accanto a lui, facendolo sembrare più piccolo di quanto non fosse in realtà.

Mi fece un sorriso e mi ridestai. Lo avevo fissato per troppo tempo. Arrossii e, più che un sorriso, mi uscì una smorfia. Quando credetti di star per svenire dalla vergogna, sentii un rumore di tacchi in lontananza. Erano gli inconfondibili passi della bibliotecaria nelle sue scarpette dal tacco 10. Spuntò quasi subito nel mio raggio visivo, affrettandosi verso la porta con un mazzo di chiavi stretto nell'ossuta mano destra.

"Scusate ragazzi" esordì la donna, Anna, aprendo con un sonoro fragore la grande porta dell'edificio.

Aspettai pazientemente che, sia la bibliotecaria che il ragazzo carino, entrassero prima di riporre nel mio zaino il libro che avevo cercato di leggere. Mi alzai, lisciai il maglione e i miei capelli castano chiaro per poi afferrare la borsa e fare il mio ingresso nell'atrio della grande biblioteca della scuola. Da subito il profumo di carta stampata mi invase le narici, inebriandomi.

Adoravo i libri. Se ne stavano lì, placidi, ad aspettarti. Potevi sempre trarre conforto da loro; potevi abbandonarli, potevi dimenticarli, ma restavano fermi in quell'angolo, dove li avevi lasciati ad aspettare il tuo inevitabile ritorno.

Gli scaffali, addossati ai muri, li contenevano, straripanti; delle mensole si trovavano anche nei corridoi, che serpeggiavano nell'enorme edificio. I cartellini con le varie categorie di libri che poteva offrire la biblioteca erano appesi ad intervalli regolari vicino alla sezione interessata.

Sorrisi alla bibliotecaria, un'amica di mia madre e, dopo aver restituito i libri che avevo preso in prestito, firmai la presenza e mi incamminai verso la sezione dedicata alla letteratura. Girai a destra immettendomi nel già familiare corridoio che recava l'etichetta 'Letteratura inglese'.

Iniziai a perlustrarlo lungo tutta la lunghezza quando sentii dei passi al di là dello scaffale verso il quale ero rivolta. Mi sorpresi a scoprire tra i libri la chioma mora del ragazzo che mi aveva sorriso cordiale all'entrata. Mi voltai di scatto, spaventata dall'eventualità che mi riconoscesse. Iniziai a cercare uno dei tanti manuali che avrebbe potuto aiutarmi nel tentativo di recuperare la mia insufficienza durante il fatale esame del giorno seguente. Scorrevo con le dita i grandi volumi rilegati e mi immergevo nelle inscrizioni dei titoli stampate in rilievo sul loro dorso.

I colori scuri delle copertine di quegli antichi scritti mi piacevano. Non ero mai stata un'amante delle tinte accese, delle pareti delle camere sfregiate da colori tenui, dai capi d'abbigliamento per bambini con quei casti e scialbi toni pastello. Da sempre adoravo le sfumature scure, piene, a tratti tetre: nero pece, blu notte, bordeaux, viola vinaccia, verde bosco e così via. I miei vestiti, ovviamente scuri, facevano risaltare l'incarnato della mia pelle. Mi piaceva il mio colorito bianco latte, quasi vampiresco. Almeno non parevo sporca come quelli che si cospargono da dicembre a maggio di autoabbronzante; più che baciati dal sole sembrano arancione leone.

Presi alcuni libri, che mi sarebbero potuti servire per le prime due ore, ed entrai nella piccola sala adiacente, dedicata alla consultazione dei manuali della sezione sulla letteratura. Vi erano disposti ordinatamente cinque tavoli, i primi quattro ad ogni angolo della stanza ed il quinto era posizionato al centro, sul grosso tappeto blu. Scrutai la sala e stavolta non mi stupii per niente di trovare seduto al primo tavolo sulla destra il ragazzo dai capelli scuri. Non mi aveva notato – grazie al Cielo – poiché se ne stava chino su un grosso volume dalle pagine sottilissime, con un quaderno accanto al braccio destro; si rigirava lentamente una matita verde nella stessa mano, mordendosi il labbro inferiore, probabilmente il suo modo per concentrarsi.

Avanzai lentamente nella stanza, chiudendomi la porta di legno scuro alle spalle. Mi sedetti al primo tavolo sulla sinistra, di fronte a quello già occupato dal ragazzo. Sistemai lo zaino sulla sedia accanto alla mia e mi lisciai il maglione di lana rosso scuro che avevo deciso di indossare quella mattina. Tirai fuori dalla borsa un quaderno per gli appunti e il mio astuccio blu notte, che tutti definivano con un banale 'nero', che mi accompagnava dal primo anno di scuola superiore.

Presi una matita e una gomma e aprii il quaderno ad una pagina bianca, posizionandolo subito dopo accanto al grande libro che avevo davanti, preso dalla pila di manuali che dovevo consultare al più presto. Iniziai così il mio fantastico pomeriggio chiusa in quella stanza, in compagnia di un ragazzo che mi aveva troppo sorriso, mille appunti disordinati e la mia solita mania di torturarmi i capelli quando ero nervosa, affranta e confusa.




 

Sentii una sedia muoversi e dei passi avanzare verso di me. Alzai lo sguardo e notai che il ragazzo aveva raggiunto il mio tavolo.

"Ehm, scusa" iniziò, con una mano in tasca e l'altra nei capelli. Lo osservai confusa, aspettando che continuasse. Guardai le sue dita tra le ciocche scompigliate dei – sembravano sofficissimi – capelli d'ebano.

"Volevo chiederti se potessi prestarmi un evidenziatore. Sai, ho dimenticato il mio a casa e senza non riesco a studiare" concluse, sorridendomi imbarazzato. Beh, se lui in quel momento fosse stato imbarazzato quanto me io sarei stata vergine tanto quanto la regina Elisabetta I. Ovviamente ero arrossita come un peperone e continuavo a contorcermi le mani sotto la superficie del tavolo.

Annuii e cominciai a cercare freneticamente nell'astuccio il mio evidenziatore verde. Continuavo a frugare ma sembrava che, improvvisamente, l'ampiezza del mio piccolo astuccio fosse aumentata a dismisura, tanto da diventare la borsa di Mary Poppins. Alzai la testa e gli feci un sorriso alquanto imbarazzato, sapendo di stare per scoppiare dalla vergogna e che probabilmente gli sembravo una povera deficiente.

"Deve essere qui" farfugliai a fatica, cercando di giustificarmi per la mia goffaggine. Stavo per iniziare a tirare fuori tutto quando sentii la sua voce.

"Ehi, un evidenziatore è affianco al quaderno" mi suggerì, sorridendomi. Sbattei le palpebre varie volte, volgendo poi lo sguardo verso il quaderno e trovando 'magicamente' quello che stavo cercando come una disperata. Afferrai il pennarello porgendoglielo subito dopo con una smorfia imbarazzata ed una mano esageratamente tremante.

"Scu-scusami per averti fatto aspettare" cercai di giustificarmi, lisciandomi nervosamente i capelli con le mani sudate; da lì iniziai a sorridere come un'ebete, sperando non notasse la mia faccia da peperone.

"Tranquilla. Anzi, grazie mille." rispose 'capelli mori' tornando poi al suo tavolo. Abbassai repentinamente lo sguardo sul libro che avevo davanti agli occhi, anche se in quel momento mi sarei voluta sotterrare dieci metri sotto terra.

Da sempre – e molto probabilmente per sempre – è stato un mio problema parlare con qualsiasi esponente dell'altro sesso della mia stessa fascia d'età. Non avevo problemi ad esporre le lezioni ai professori uomini, a conversare con i miei zii o con il bottegaio anziano da cui andavo a fare spesa due volte la settimana. Il vero problema era rapportarmi con i ragazzi, non con gli uomini. Mi metteva a disagio solamente l'idea che mi volessero parlare, figuriamoci il fatto che qualche ragazzo potesse provarci con me o, addirittura, toccarmi – in quel caso probabilmente gli avrei vomitato in faccia. Sembravo davvero una bambinetta alle prese con l'Uomo Nero e quando quel tipo mi aveva chiesto un semplice evidenziatore ero entrata in iperventilazione. Non mi aveva mica invitata a scaldargli il letto, dannazione!

"Comunque io sono Alessandro, ma puoi chiamarmi Alex" affermò, sorridendo, il ragazzo davanti a me, mentre se ne stava tranquillo a giocherellare con il mio evidenziatore – sì, il mio. Ci stava mica provando con me?! Gli feci un sorrisetto imbarazzato e annuii come una stupida, spostando una ciocca di capelli, che avevo davanti agli occhi, dietro l'orecchio destro. Sorrise e io arrossii ancora di più, stringendo tre le dita sudate la mia matita spuntata. Continuò a guardarmi come se stesse aspettando qualcosa.

"E tu?" incalzò lui "Come ti chiami?" Sbiancai, qual tanto che potessi fare con la mia pelle già bianca di suo.

"Oh, certo. Che stupida" farfugliai, facendo un risolino nervoso. Asciugai le mani sudate sul maglione che indossavo. "Io sono Noemi, Noemi Mancini." Annuì e sorrise, stappando l'evidenziatore.

"Tanto piacere, Noemi" disse, articolando lentamente il mio nome. Feci di sì con la testa, da vera sciocca quale ero, e chinai di nuovo il capo sul libro. I miei capelli scesero sul mio viso, difendendolo dagli occhi di Alessandro come una tendina bucata della doccia.

Perfetto, non avevo mai visto quel tizio prima ed in quel momento non solo sapeva il mio nome, ma anche il cognome. Sbuffai prendendomela, come al solito, con me stessa e con il mio imbarazzo incontrollato per i rapporti con il genere maschile. Poco dopo sentii Alessandro schiarirsi la voce.

"Noemi?" mi chiamò, con la sua voce profonda, fin troppo mascolina. Alzai lo sguardo su di lui, che come al solito mi sorrise.

"Tu hai per caso come prof di francese la Chiari?" chiese sicuro, appoggiandosi con il gomito sul libro dalla copertina violacea che aveva davanti. In quel momento mi ritrovai ufficialmente in trappola.

Annuii rassegnata, aspettando che mi domandasse cose assurde sugli argomenti studiati, dato che per la Chiari ero la più brava della classe. Sfortunatamente non lo avevo mai notato a scuola, impegnata com'ero a seguire attentamente le lezioni e costringermi a non guardare i ragazzi. Quella lingua così elegante e sofisticata mi attirava, e non poco; sin da quando ero piccola volevo studiarla a tutti i costi.

"Ecco dove ti avevo già visto, la tua classe è accanto alla mia, la IVC, no?" domandò lui, battendo le mani. Annuii alla sua constatazione e realizzai che doveva frequentare la classe che sostava sul mio stesso piano, la IVA. Sorrise soddisfatto e si alzò, armato di matita e quaderno. Raggiunse il mio tavolo con pochi passi e si sedette sulla sedia di fronte alla mia, senza che io gli avessi dato o meno il permesso di farlo. Restai ad osservarlo mentre si ravvivava i capelli castano scuro, tendenti al nero, e si sistemava coi gomiti poggiati sul tavolo. Trovai coraggio e mi schiarii la voce.

"Cosa ti serve?" gli chiesi esitante, dopo che avevo sbirciato sul suo quaderno e avevo notato, scritto in una calligrafia disordinata, il nome 'Pierre de Ronsard', famoso poeta francese che avevamo studiato il mese precedente, e su cui la professoressa avrebbe fatto una verifica scritta l'indomani - almeno nella mia classe; probabilmente anche nella sua. Evidentemente Alessandro non aveva avuto né la voglia né il coraggio di rivolgersi ad uno dei tanti studenti che si erano proposti come tutores per aiutare i loro compagni a recuperare qualche materia. Aveva quindi sperato di poter leggere e studiare tutte le opere dell'autore, che avevamo analizzato per un intero mese, il pomeriggio prima della suddetta verifica di recupero. Povero illuso.

Fece un sorrisino imbarazzato, indicandomi il suo quaderno. Abbassai per poco lo sguardo, avendo già letto di cosa si trattava.

"Beh, la Chiari non fa altro che dire quanto è brava la Mancini della IVC perciò, quando ti sei presentata, non ho potuto non cogliere l'occasione, quindi mi chiedevo se potessi aiutarmi per il recupero di domani" chiese cauto, accompagnando il tutto con uno dei suoi soliti sorrisi. Arrossii alla richiesta di Alessandro.

Se avessi accettato sarei dovuta rimanere con lui a poca distanza da me tutto il pomeriggio, con il rischio di fare una figuraccia dietro l'altra e di confonderlo ancora di più, date le mie scarse capacità di spiegare le cose. Ingenua e ignara di tutto questo annuii, togliendo quasi meccanicamente i miei volumi sulla letteratura inglese davanti a lui, spostandoli sull'altro tavolo.

Il ragazzo sorrise ancora andando a recuperare le sue cose nel posto che occupava precedentemente; tornò subito dopo e le poggiò proprio di fronte a me che boccheggiavo confusa, tenendo ancora la matita spuntata tra le dita.




 

"Non, il n'est pas juste" iniziai a commentare le sue risposte, letteralmente esausta. Per un'ora e mezza Alessandro non aveva fatto altro che raccontare cose assurde sul conto di quel poveraccio di Ronsard. Lo vidi sbuffare e alzare gli occhi al cielo mentre si passava, nervoso, una mano tra i capelli. I suoi occhi indugiarono sul mio viso, aspettando che gli facessi le correzioni.

"Okay, adesso non parliamo in francese. Dimmelo nella nostra lingua. I temi della poesia di Ronsard sono l'amore, la bellezza e cos'altro?" lo incitai a continuare, arrossendo quando vidi che accennava ad un sorriso.

"Allora" iniziò Alessandro, dopo aver poggiato i gomiti sul tavolo e la testa sul palmo delle mani. "In poche parole Ronsard pensava che le ragazze sono belle solo da giovani." Lo guardai alzando criticamente un sopracciglio.

"Cioè, credeva che la bellezza fosse sinonimo di giovinezza" si corresse subito dopo; annuii e aspettai che continuasse. I suoi occhi castani, color cioccolato, si illuminarono e ricominciò ad espormi il pensiero del poeta. Parlò per un po' dei concetti filosofici ai quali si inspirava con tono calmo e tranquillo, sicuro di quello che stava dicendo. Articolò le parole lentamente, sorridendo di tanto in tanto. Accompagnava la sua esposizione del concetto gesticolando animatamente.

La sua voce profonda mi colpiva le orecchie come il rombo del motore di una supercar; guardai la sua bocca muoversi accompagnando il suono delle sue parole. Mi ritrovai ad annuire pur non ascoltando nulla di tutto ciò che diceva. Fissavo l'angolo della sua bocca e il modo in cui si increspava quando pronunciava determinate parole. La sua corta barba era appena visibile eppure lo faceva sembrare più maturo di quanto sembrasse. In quel momento se mi avesse raccontato la vita di Jay-Z io avrei annuito comunque. Tenevo il viso sul palmo della mia mano sinistra e nella destra continuavo a rigirare la matita. Sembravo – ergo, ero – intontita.

Quando vidi la sua bocca smettere di parlare e allargarsi per lasciarsi andare ad una risata di gusto, mi ricomposi. Evidentemente aveva capito che per gli ultimi cinque minuti non avevo fatto altro che fissargli la bocca. Fantastico. Arrossii non appena il suo sguardo si posò su di me. Lo guardai negli occhi, ancora ferma in quella posizione, e iniziai a boccheggiare non sapendo cosa dire o fare per giustificarmi. Le mie mani iniziarono meccanicamente a districare i nodi dei miei lunghi capelli e i miei occhi si spalancarono.

"Hai sentito quello che ho detto?" mi domandò divertito, giocherellando con la sua matita verde. Divenni più rossa di quanto già ero e scossi la testa. Cercai di asciugarmi le mani sudate sul maglione, ottenendo solo che quest'ultimo si stropicciasse ancora di più.

"Noemi, stai tranquilla." Mi sorrise e aprì il libro delle poesie che aveva davanti come se niente fosse successo appena un attimo prima. Annuii – perché continuavo ad annuire? – e mi spostai i capelli dagli occhi con una mano tremante. Evidentemente notò il tremore delle mie dita perché poco dopo mi fece una proposta.

"Facciamo così. Io leggo un po' di poesie e cerco di tradurle, mentre tu fai quello per cui eri venuta oggi. Tra un po' te le faccio vedere e me le correggi, va bene?"

"Va bene" risposi cauta, impugnando la matita e lasciando con lo sguardo la sua espressione rassicurante per abbassarlo sulla pagina del mio quaderno, piena per metà. Guardai l'orario sul mio iPhone e constatai che era ancora primo pomeriggio e sarei dovuta andare a fare la spesa tre ore più tardi; in seguito sarei tornata a casa a preparare la cena. Quella sera, come tutte le sere, non avrei potuto studiare poiché dovevo aiutare la mia sorellina Rachele con i compiti. Ed in quel momento, da brava stupida qual'ero, avevo accettato di aiutare Alessandro precludendomi la possibilità di studiare decentemente per l'esame del giorno dopo. Sbuffai e stetti ferma lì, a fissare il quaderno.

Mi metteva in soggezione la sua presenza e non riuscivo ad aprire neanche il libro. Sentivo il respiro regolare di Alessandro ed il rumore del tratto della sua matita sulla carta. Il ticchettio delle sue dita sul tavolo mi distraeva particolarmente ma non volevo parlare e quindi gli lasciai fare ciò che voleva. Alessandro era l'unico ragazzo adolescente con cui avevo parlato nell'ultimo mese – a ottobre Andrea Fimiani mi aveva chiesto scusa dopo che mi aveva accidentalmente spinto in corridoio.

Il mio comportamento era assurdamente anormale, soprattutto per una ragazza della mia età. Essendo un'adolescente avrei dovuto vivere per i ragazzi, interessarmi alle faccende amorose, spettegolare sulle relazioni altrui e cose così. Mettiamo in chiaro che non sono lesbica e ne sono realmente sicura. Ero solo determinata a trovare quello giusto, a costo di lanciare occhiatacce a qualunque altro ragazzo mi avesse guardata quel tantino in più. Sicuramente avrei avuto il desiderio di baciare qualcuno e magari anche di essere toccata da quello che poteva diventare il mio ragazzo. Solo non in quel momento, non era proprio il periodo giusto.

"Noemi?" sentii chiamarmi. Alzai gli occhi su Alessandro che mi osservava confuso. Il suo sguardo mi analizzava come uno scanner ed io non facevo altro che arrossire.

"Dimmi" lo incitai a parlarmi cercando di sorridergli in qualche modo.

"Perché non scrivi niente?" mi domandò inclinando la testa di lato. Guardai la pagina mezza bianca e poi lui. Accennai un piccolo sorriso imbarazzato.

"Sono indecisa su quali argomenti siano oggetto del compito di domani, tutto qui" mentii spudoratamente, pettinandomi i capelli con le dita. Stavolta fu lui ad annuire per poi alzarsi dalla sedia. Lo guardai stralunata e si portò una mano ai capelli, arruffandoli un po'.

"Che materia stai studiando?" mi chiese, iniziando a muoversi qua e là per la stanza, curiosando tra gli scaffali disseminati lungo le pareti. Lo seguii con lo sguardo mentre prese un libro e ne saggiò il numero di pagine, per poi riporlo nella nicchia dove si trovava.

"Non badare a me, piuttosto, rispondimi." disse lui, spezzando la tranquillità e facendomi sobbalzare. Girai il busto verso la sua direzione e mi schiarii cauta la voce.

"Letteratura inglese" risposi. Sorrise e si voltò verso di me, incrociando le braccia al petto. Era alto tanto quanto uno scaffale – credo circa un metro e ottanta – e sapevo che se mi fossi messa accanto a lui gli sarei arrivata a malapena all'altezza delle spalle. Non che fossi una nana, era lui che aveva il fisico di un giocatore di football.

"È il tuo giorno fortunato. Ho il massimo dei voti in Inglese e se hai la Bonanno so esattamente quali saranno gli argomenti." Lo vidi sorridere sicuro di sé e del suo evidente nove nella materia che più odiavo al mondo.

"Sì, purtroppo ce l'ho da due anni." Mi fece un sorriso – con tanto di fossette – e si riavvicinò al tavolo, poggiandovi sopra le mani. Lo guardai e lui fece lo stesso. Con quel suo sorriso stampato in faccia mi faceva venire voglia di vomitare. Ma in che razza di situazione mi ero cacciata? Afferrò il suo cellulare dal tavolo e se lo mise in tasca. Quei jeans scuri gli fasciavano magnificamente le gambe e io mi stavo maledicendo mentalmente per i pensieri poco sani che stavo facendo sul suo conto. Si allontanò dal tavolo per incamminarsi verso la porta. Continuai a guardarlo, ignara di quello che stesse facendo. Arrivato all'entrata della saletta si voltò per incontrare i miei occhi confusi.

"Che fai, non vieni?"

"Venire dove?"

"Come 'dove'? A cercare i libri giusti per il tuo compito" si rispose da solo sorridendo, facendomi cenno con la mano di raggiungerlo. Era impazzito e io non volevo assolutamente andare in giro con lui. Farmi vedere insieme ad un ragazzo, che scandalo! I muscoli delle mie gambe sembravano involontari, come il cuore, quando mi fecero alzare dalla sedia e camminare verso Alessandro. Arrossii appena la mia distanza di sicurezza venne infranta. Le mani mi continuavano a sudare e il suo sorriso non faceva altro che far peggiorare le cose.

Infilai l'iPhone nella tasca posteriore dei miei pantaloni neri e con mio immenso orrore iniziai a seguirlo lungo il corridoio. Come diavolo avevo fatto a ritrovarmi qui con lui? Dovevo restare ferma, arrangiarmi in qualche modo e, ovviamente, non offrigli il mio aiuto con Ronsard. Aveva ragione, mio padre, quando diceva che ero troppo buona. Mi sistemai il maglione osservando gli scaffali che stavamo velocemente superando. Le sue falcate erano il doppio delle mie e io mi dovevo affrettare a seguirlo.

Alessandro camminava con le mani in tasca e mi sorpresi quando riuscii ad affiancarlo, portandomi alla sua destra. Mi invase l'odore della sua colonia e non potei fare a meno di notare il leggero aroma di sandalo. Lo vidi con la coda dell'occhio guardarmi mentre stavamo svoltando nel corridoio dedicato a ciò che dovevo a tutti i costi studiare. Si fermò al centro, dirigendosi sicuro verso la scaffalata di destra.

Quei mobili erano molto più alti dei loro cugini nella sala di studio e delle scale erano sistemate lungo tutta la lunghezza, per poter consultare anche i libri posizionati più in alto. Le sue dita affusolate si posarono sul dorso di diversi volumi, scorrendo pazientemente i titoli. Regnava un completo silenzio e io me ne stavo tranquilla, seduta sul gradino più basso di una delle scale in legno. Osservavo la figura di Alessandro, i suoi tratti marcati, le linee fluide del suo corpo. Riuscii ad intravedere sotto il suo maglioncino come i muscoli del suo braccio si fletterono mentre afferrava un libro poco più in alto. Me ne stetti per un po' lì, ferma, e la mia mente vagò mentre con gli occhi lo analizzavo. Probabilmente doveva essersi accorto di essere osservato quando si voltò e mi vide lì seduta a fissarlo. Le sue labbra si distesero in un sorriso quando mi vide arrossire per l'imbarazzo.

"Ragazza chiacchierona, mi dicono" scherzò, raggiungendomi con pochi passi. Sotto il braccio teneva due libri che sembravano veri e propri mattoni per quanto erano grandi. Avevano anche l'aria di essere pesanti benché Alessandro li mantenesse disinvoltamente con una sola mano. Cercai di accennare un sorriso, fallendo miseramente. Si addossò con una spalla allo scaffale a cui ero appoggiata anch'io e continuò a studiarmi.

"Sei bravissima in francese e hai un'insufficienza in inglese; come mai?" domandò. Insisteva nella ricerca delle mie parole, parole che io, invece, non avevo per niente voglia di pronunciare.

"La letteratura inglese non è appassionante come quella francese" mi giustificai io, alzando le spalle.

"Non ti va di parlare con me, vero?" incalzò, facendo una risata sconsolata. Ci rimasi quasi male per il fatto che se ne fosse accorto. Dopotutto non volevo far vedere al mondo la mia repulsione verso i ragazzi.

Arrossii comunque alla sua constatazione e mi limitai ad annuire, abbassando lo sguardo sui miei stivali imbottiti. Vidi di fronte a me le sue sneakers nere, consumate, e sorrisi tra me e me costatando che non ero l'unica a possedere quel modello di scarpe. Dopotutto si era reso disponibile ad aiutarmi e io, ovviamente, non riuscivo neanche a chiedergli quali fossero gli argomenti del compito.

Mi lambiccavo con l'idea di poter conversare normalmente con un ragazzo, senza i miei soliti complessi e le mie papabili insicurezze. Non li guardavo nemmeno, i maschi, quando passavo per i corridoi e durante le lezioni. Era probabile che avessi già visto Alessandro una miriade di volte di sfuggita, per sbaglio ed io, ovviamente, non lo avevo notato, impegnata com'ero ad evitare i ragazzi.

"Sai, Noemi, a me non importa proprio niente!" esclamò – con molta sorpresa da parte mia. Alzai di scatto la testa e lo guardai stupita. Aveva un sorrisetto stampato in faccia e un'espressione alquanto impertinente.

"Vedrai che riuscirò a farti parlare con me, so che in realtà non sei timida" mi sfidò, accompagnando il tutto con un audace occhiolino. Arrossii per l'ennesima volta e mi ritrovai ad accennare un piccolo sorriso, sapendo che aveva ragione.

In realtà ero tutt'altro che timida. Con le mie amiche tendevo ad essere piuttosto logorroica e a straparlare. Mi piaceva esporre la mia opinione e non trovavo nulla di male nell'esternare ciò che pensavo. Tutto questo, ovviamente, in compagnia di chi volevo io. E in questa categoria non erano ammessi i ragazzi per più che note ragioni.

"Okay" gli risposi, in un sussurro. Sul viso gli comparve un sorrisetto divertito e tornò a posare gli occhi su di me, scrutando il mio viso. Sapevo di essere rossa e che probabilmente, dopo quella mattinata, la metà del trucco che avevo era già scomparsa. Eppure, anche solo con l'eye-liner, mi incuriosì il pensiero che aveva Alessandro di me. Che ne pensava di una povera ragazza restia a parlargli? Quando i suoi occhi iniziavano ad osservarmi mi sentivo analizzata da un'equipe di medici specializzati in malattie mentali. Mi metteva in un dannato stato di agitazione. Stetti ferma lì come avrei fatto se fossi stata davvero ad una visita medica. Il silenzio non sembrava un peso, piuttosto una di quelle leggere pioggerelline primaverili: piacevole e rivitalizzante, ricco di novità. Non sembrava farmi pressioni sul fatto che me ne stavo zitta e io lo lasciavo parlare, cosa che non avevo mai fatto con nessun ragazzo.

Si staccò dallo scaffale e si rimise dritto in piedi, sorreggendo ancora i libri sotto il braccio sinistro. Ricominciò a camminare verso la sala dove avevamo lasciato le nostre cose e io mi alzai e lo seguii. Lo affiancai e me ne stetti zitta mentre lui iniziava a fischiettare un motivetto allegro.

Quando arrivammo al nostro tavolo ci sedemmo esattamente dove eravamo prima e Alessandro prese uno dei libri dalla pila che aveva portato e lo aprì proprio davanti ai miei occhi. Guardai la stampa ordinata delle pagine e la rilegatura blu, consunta. Mise un gomito sul tavolo, e si appoggiò con la testa sul palmo della mano. I suoi occhi castani mi scrutarono mentre io osservavo l'impaginatura, rifiutandomi di iniziare a leggere quello che vi era scritto sopra.

"La Bonanno ti chiederà sicuramente la vita di Shakespeare. Eccola qui, completa di tutte le opere." Sbuffai, alzando lo sguardo su di lui. Ammiccò e alzò le spalle, come per dire 'Questo è, non ci sono molte alternative.'

"C'è qualcosa di assurdo che devo assolutamente sapere su William Shakespeare?" gli domandai, calcando la voce sulla parola 'assurdo'. Amavo studiare per prime le particolarità degli autori. Quelle storie che nessuno trova sui libri, curiosità e aneddoti che avrei ricordato sicuramente anche dopo la scuola.

"In che senso 'qualcosa di assurdo'?" mi chiese, aggrottando la fronte confuso.

"Un aneddoto divertente o un mistero che lo contraddistingue. Qualcosa che non molti sanno."

"Oh" commentò lui, iniziando a pensare a cosa potesse dirmi. Iniziai a giocherellare con le pagine del libro, spiando qualche data qua e là.

"Ce l'ho!" esclamò, sorridendo soddisfatto. Attesi che parlasse, volendo sapere a tutti i costi cose strane sul conto di Shakespeare. "Nessuno sa con certezza com'è morto. C'è, però, chi sostiene che all'età di 52 anni, niente male per un'epoca in cui l'età media di vita era tra i 30 e i 40 anni, si sia ammalato dopo una notte furiosa di bevute con il drammaturgo Ben Jonson" sciorinò, facendo un sorrisetto soddisfatto non appena ebbe finito.

"Figo" commentai, sorridendo. Quindi anche Shakespeare era un ubriacone. Nulla di nuovo, ma molto stimolante. Alessandro era evidentemente fiero di aver soddisfatto le mie richieste.

"Vedi come parli quando vuoi sapere qualcosa" concluse, tornando sul suo libro di poesie di Ronsard. Arrossii e abbassai anch'io lo sguardo sulla storia della vita del Bardo. Prima di riprendere lo studio aspettai qualche secondo per concedermi un sorriso.

Mi stava davvero facendo parlare, ed era un ragazzo! Cose da pazzi.





 

Guardai fuori dalla finestra della sala e constatai che aveva smesso di piovere. Il cielo era grigio e i nuvoloni neri si stavano spostando lontano da Roma. Sbuffai, tornando al mio libro di letteratura, conscia che Alessandro, davanti a me, stava per addormentarsi sulle pagine di 'Quand vous serez bien vieille'. Battei ritmicamente la matita sul tavolo mentre ripetevo sussurrando la trama di Macbeth.

Vidi il ragazzo chiudere gli occhi e battere la testa sul libro. Si svegliò di soprassalto. Una piccola risata riuscì ad uscire dalla mia bocca e mi scoprii divertita dal suo sonnellino ronsardiano. Rise anche Alex e si stiracchiò, come per risvegliarsi da un coma popolato di poesie in francese antico. Guardò l'ora sul suo orologio e riuscii a sbirciarla anch'io. Tra poco sarei dovuta andare via. Sembrò leggermi nel pensiero.

"Tu quando devi andartene?" mi chiese con voce roca, confuso dalla stanchezza. Arrossii quando lui tornò a guardarmi, dopo essersi sistemato i capelli. Si era letteralmente addormentato sui libri e mi sembrava molto buffo.

"Tra mezz'ora. Devo andare a fare la spesa" mi giustificai, chiudendo il volume che stavo consultando e riponendolo nel mio zaino. Me lo sarei portato a casa, trovando, in qualche modo, un po' di tempo per finire di leggere quel capitolo. Il giorno seguente lo avrei riportato in biblioteca, dato che dovevo studiare chimica. I suoi occhi saettarono dalla mia borsa al mio viso. Si passò le mani sugli occhi e si ritrovò a sbadigliare.

"Allora anch'io me ne vado tra mezz'ora." Annuii e presi il quaderno per cercare di riordinare gli appunti che avevo preso.

"Ti serve un passaggio?" chiese Alex, passandosi ancora la mano tra i capelli mossi. Arrossii a quella sue proposta e ricominciarono a sudarmi le mani, che prontamente asciugai sui miei pantaloni.

"N-no, grazie" trovai il coraggio di rispondergli, stampandomi un imbarazzante sorrisino sul viso. Se, invece della sottoscritta, davanti ad Alex ci fosse stata un'altra delle quattrocento studentesse di quella scuola, probabilmente avrebbe colto la palla al balzo per passare un po' di tempo in sua compagnia. Io, invece, non vedevo l'ora di tornare a casa, anche se non mi era dispiaciuto poi così tanto il suo aiuto in letteratura. Beh, almeno aveva ricambiato il favore.

"Domani torno, ho da studiare chimica" esordì di nuovo, facendomi destabilizzare. Anch'io dovevo studiare chimica, dannazione. Questo significava che avevamo un altro professore in comune. Che lo dovessi incontrare ancora a scuola era ben accetto, ma troppe volte in biblioteca non ce l'avrei fatta. A scuola potevo evitare di parlargli, ma qui se non lo avessi fatto mi avrebbe preso per un'ingenua ragazzina tanto cotta di lui da non spiccicare parola in sua presenza. Ed io, ovviamente, non ero quel genere di ragazza. Per niente.

Annuii, come al solito rossa in viso. Probabilmente neanche con l'acqua fredda si sarebbe tolto quel rossore sulle guance. "Anch'io" risposi poco dopo, vedendo i suoi occhi sorridermi non appena sentì quelle parole. Ammiccò nella mia direzione.

"Allora domani parliamo un po'" affermò, facendomi l'occhiolino. Il mio imbarazzo era palpabile. Non avevo intenzione di conversare con lui come fosse un pomeriggio passato con la mia amica Elisa. Non ne vedevo il motivo. Ero impacciata, scorbutica, noiosa e non spiccicavo parola e lui aveva deciso così, di punto in bianco, di parlare con me. Mi sentivo a disagio nel vederlo così disinvolto quando io non riuscivo ad esserlo.

Il mio corpo reagì alle sue parole sudando – come al solito – e la mia faccia divenne più rossa che mai. I suoi occhi mi scrutarono, attendendo una risposta che tardava ad arrivare. Se ne stava lì a braccia conserte, con il telefono in una mano e tentava di farmi credere che fosse davvero interessato a me. Ovviamente mi dava corda perché gli servivo per le ripetizioni. Era tanto ovvio da sembrare abbastanza evidente.

Annuii sconsolata, alzandomi dalla sedia. Iniziai a riporre nella borsa le mie cose e lui fece lo stesso con la sua roba. Quando chiusi la zip dello zaino mi fermai sul posto. E Alessandro fece lo stesso. E stemmo lì ad osservarci, lui con lo zaino in spalla e io con il giaccone in mano. La prima mossa la fece lui riposizionando la sedia, che aveva precedentemente occupato, al suo posto. Mi sistemai per uscire dalla sala, infilandomi il giacchetto.

"Allora ciao, ci vediamo domani" concluse lui, salutandomi con la mano. Mi sorrise quando vide che mi stavo dondolando sul posto, incapace persino di salutare una persona. Patetica. Mi sistemai i capelli e spostai lo sguardo dalle sue scarpe al suo viso. E lui ancora sorrideva! Che faccia tosta.

"Ciao" risposi monocorde, girando i tacchi e incamminandomi spedita verso l'uscita. Sentii uno sbuffo alle mie spalle ma non me ne curai più di tanto. Pensai che prima o poi me lo sarei tolto di torno e avrei continuato con la mia vita.

Quello che non sapevo era che Alessandro era determinato a starsene lì, nella mia testa, a farmi parlare e a propormi tutte le sue pazze idee. Non ne sarei uscita così presto. 

 

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Amici, è questa la storia che alla fine ho eletto per la pubblicazione nell'attesa di finire il prossimo capitolo di "Keglevich". E' una sorta di esperimento che ho intrapreso circa due anni fa e che ho ripreso anche quest'anno, quindi un po' più vicino al mio stile attuale, quel tanto da poterla continuare per bene in futuro, a differenza, per esempio, delle altre che, comunque, sono ancora sul mio profilo.

Spero che possa invogliarvi a recensire e visualizzare in tanti, per farmi sapere cosa ne pensate, di quanto sia strana Noemi e di quanto sia pazzo Alessandro nell'assecondarla. So che non è una storia troppo usuale e mano a mano che andrà avanti lo sarà ancora di meno!

Grazie mille per un futuro riscontro e alla prossima, se tutto va bene!

Un abbraccio, 

 

Sara xo

 
  
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