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Autore: Himenoshirotsuki    29/01/2018    3 recensioni
[Seguito di "Fuoco nelle Tenebre"] [La stori è un pausa un mesetto, ma non sospesa. Finisco Fighting Fire e riprendo ad aggiornare!]
Dopo gli ultimi eventi, il destino di Esperya sembra ancora più incerto. Lyssandra muove i fili da dietro le quinte, Mirya e i bambini sono rintanati ad Alabastria, mentre Ledah è stato catturato. Sembra che il ritorno di Aesir e della sua era dell'oscurità sia inevitabile, ma c'è ancora qualcuno che si oppone, qualcuno che ha pagato un prezzo di sangue per diventare ciò che è. Con un nuovo corpo e un solo anno a disposizione, Airis dovrà adempiere al suo compito di Guardiano affinchè i drow e il dio dell'oscurità non facciano di nuovo piombare Esperya in un caos di morte e distruzione.
Battaglia dopo battaglia, incontro dopo incontro, in un lungo viaggio attraverso lande desolate e città e regni meravigliosi, Airis scoprirà così i dettagli di una macchinazione destinata a cambiare le sorti del mondo, ma, soprattutto, la verità sul suo passato, una verità che potrebbe distruggerla.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Guardiani'
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Fuoco 2

21

Messaggero

 Nonostante non facesse molto freddo, il camino era comunque acceso. La legna era ridotta a una brace annerita dai contorni rosseggianti che si allargavano in un'aureola d'arancio sfumata. Talvolta una spolverata di scintille si elevava in un guizzo fulmineo, per poi ricadere sui tizzoni ardenti in grigi petali di cenere.
Lyssandra fissava quel gorgoglio di faville ammantata da una vestaglia di chermes, chiusa sulla vita da una cintura di seta, che ricadeva morbida fin quasi a sfiorarle i piedi nudi. Il calore trattenuto dalla lana del tappeto e quello che si protendeva dal camino erano più che sufficienti per non farle patire gli spifferi che si intrufolavano da sotto la porta e la finestra.
- Lyssandra. -
La regina si voltò e gattonò sul letto, sopra il corpo nudo e solo parzialmente coperto dalle lenzuola di Aesir. Era bello, in quel nuovo corpo di Drow, giovane e perfetto come ci si aspetterebbe da un dio. Si abbandonò a un mugolio compiaciuto quando le accarezzò la guancia e poi la mano si spinse tra i suoi capelli, dividendo le ciocche tra le dita e stringendole con la stessa prepotenza con cui le aveva afferrate durante tutto il rapporto.
- Quando inarchi la schiena in questo modo sembri proprio una gatta... - le soffiò Aesir all'orecchio e si appropriò del suo lobo, mordicchiandolo appena con i canini sporgenti, - O una tigre, vista la tua ferocia. -
- Posso essere quello che desideri, lo sai... -
- Lo so. - passò le mani sulla schiena e si soffermò sui fianchi, sui segni che disegnavano una trama di graffi rossi e sanguinanti, - Hai la grazia e l'aggressività silenziosa di una tigre. Bella, sensuale e paziente... tutte doti che si addicono a una regina. -
Lyssandra annuì e si distese al suo fianco, la mano sul dorso di quella di Aesir. Allacciò il suo sguardo a quegli occhi di bragia, più scuri di quelli di un Drow normale, con l'iride screziata da pagliuzze dorate che si irradiavano da due onici nere e incandescenti, solcate da crepe vermiglie.
- Manca poco all'allineamento. -
- Non sei ancora riuscita a rompere la volontà del mio ricettacolo, però. -
Lysandra abbozzò un mezzo sorriso: - Lo sarà ben presto. L'odio di Brandir e la morte di Airis basteranno a logorarlo quel che basta perché si inchini al tuo volere. -
- Mi sembra abbia digerito molto bene il lutto per quella donna. - commentò il dio, prendendole il mento con pollice e indice, - Forse hai commesso un errore di valutazione, mia cara. -
- Ti posso assicurare che l'amore che provava per lei era reale. -
- Più di quello che tu provi per me? -
La risposta le morì in gola, inghiottita dalla bocca vorace di Aesir. L'artigliò per la nuca e le schiuse le labbra in un bacio pretenzioso per impadronirsi della sua lingua. Quando la prostrò, la avvolse con la propria e poi la morse forte, tanto che Lyssandra percepì il sapore del proprio sangue sul palato. Si azzardò ad accarezzargli il viso, l'accenno di barba che gli punteggiava le guance, ma Aesir le ghermì il polso e lo schiacciò sul materasso, le unghie conficcate nella carne viva.
- Detesto i contrattempi, Elladan. Più di tutto, odio quando mi si mente. Avevi detto che per l'allineamento il mio contenitore avrebbe perso ogni sua volontà, eppure ancora mi sfida con gli occhi. Avevi detto che il corpo era abbastanza forte da resistere fino al rituale, eppure già dopo una settimana ha cominciato a decadere. Quante ulteriori inesattezze pensi di poterti permettere? Sono un dio molto paziente e magnanimo, ma vedo che stai disilludendo molte delle mie aspettative. -
La regina deglutì. Rilassò tutti i muscoli e smise di lottare, mentre Aesir le lasciava una scia di morsi lungo tutto il collo.
- Io... ci sono cose che non avevo previsto, ma son certa che tutto andrà per il verso giusto. Ho predisposto ogni cosa e non c'è nulla che... -
Lui le torse un capezzolo a tradimento, lo schiacciò tra le unghie appuntite stroncando le ultime parole in un rantolo sommesso.
- Non ho chiesti spiegazioni, me ne hai date già abbastanza. Finora hai recitato bene la parte della regina degli uomini, ma la politica non è tutto in questa partita. Hai volto lo sguardo altrove, senza curarti delle serpi che covi in seno alla tua stessa città. -
Allentò la presa e spostò la vestaglia, titillando il capezzolo ferito con la punta della lingua, mentre con la sinistra le palpava l'altro appena coperto dal tessuto. Le mani del Drow erano lisce, senza alcuna imperfezion,e se non nelle dita lunghe e troppo affusolate. Quelle stesse dita, appartenute a un giovane mago, vibravano sul corpo di Lyssandra e lo percorrevano con l'accuratezza di un acrobata, suonando le note nascoste sotto la sua pelle e negli anfratti più intimi, i più nascosti, quelli che le sue dame menzionavano a bassa voce, con la pudicizia propria delle giovani vergini, non ancora avvezze al piacere. Sussultò appena quando Aesir le tolse la cintura. La vestaglia scivolò via, lasciandola nuda, esposta e vulnerabile alle sue mani e alla sua bocca. Mentre il suo braccio calava, inarrestabile, tra le pieghe del suo corpo, Lyssandra si stese e dischiuse le gambe.
- Hai un piano? -
- Sì, ho già in mente come stroncare i loro. -
Seguì il viso del dio che scivolava tra le sue cosce. Il suo respiro le solleticava la pelle, la riempiva di brividi. Le venne quasi istintivo affondare le unghie tra le ciocche scompigliate quando l'aria calda si infranse sulle sue labbra umide.
- Ho messo tutti i Cavalieri dell'Aquila alle calcagna dei più facinorosi. È Kvothe a dirigere le azioni e sono più che certa che farà un ottimo lavoro. -
Aesir inspirò il profumo del suo fiore, la corolla esterna, e ne profilò il contorno con la lingua.
- Ti fidi di lui? -
- È il più bravo. - sospirò.
- Non sempre il segugio col naso migliore è il più leale. Non per altro, la sua vita è finita appesa su una forca. - puntualizzò, mentre la apriva e saggiava i suoi umori con la punta del dito, affondando il necessario da sporcare solo la prima falange.
- Lo tengo sott'occhio... conosco i suoi trascorsi, so anche come tenerlo a bada. -
Aesir sorrise nell'incavo della coscia, distratto dal tessuto soffice e caldo in cui affondava il dito.
- Sai, non ho mai capito i mortali che strappano il piacere alle donne con la forza. Cosa ci troveranno mai di eccitante nell'infliggere dolore durante il sesso? -
Infilò due dita tra le grandi labbra, le aprì del tutto e le immerse nell'intimità di Lyssandra, tastando le pareti interne. Lyssandra rilasciò un piccolo gemito. Si puntellò sulle punte dei piedi, alzò il bacino e inarcò appena la schiena, percorsa da una scarica di piacere che pervase ogni angolo del suo corpo. Aesir non le permise di chiudere le gambe: le afferrò da sotto il ginocchio e le piegò contro il suo petto.
- Kvothe non sa godere delle vere gioie della vita con una donna. - affermò con un tono che era già di per sé una sentenza, - Però concordo che sia un uomo semplice: una bella dama di compagnia con cui giocare ogni notte è sufficiente perché resti al suo posto. In fin dei conti, è un buon cane. Non trovi? -
Lyssandra si umettò le labbra secche e agguantò le prime parole che le vennero in mente, le uniche che era in grado di pronunciare.
- Sì... sì, basta che possa soddisfare le sue voglie. -
Aesir si erse sopra di lei e la ispezionò con una meticolosità chirurgica. La mangiava con gli occhi, Lyssandra ne scorse il desiderio in fondo alle pupille dilatate per l'eccitazione, ma preservava ancora il controllo su se stesso. La reazione fisica, quella di qualsiasi uomo davanti al suo corpo, era disgiunta da quella mentale, psichica. Se c'erano istinti in lui, non erano abbastanza forti da indurlo in tentazione.
- Per quello che riguarda Ledah, invece? -
- Ci devo pensare. - ammise, sapendo che sarebbe stata punita.
Aesir accennò un sorriso e Lyssandra scorse la punta dei canini spuntare dal labbro superiore. Lunghi, affilati e lucenti nella luce ovattata della camera da letto.
- No... no, ci andrò a parlare. Vedrò di farlo cedere. - si corresse subito.
Udire la propria voce sconvolta dall'irrequietezza, sentire le parole schiantarsi contro la fila dei denti e strisciare tra i loro spazi stretti con una nota di supplica sibilante, era una sensazione a cui era ormai avvezza, ma a cui non riusciva ad accettarla.
- Bene. Ora guardami. -
Lyssandra obbedì. Raddrizzò la testa, si spostò i capelli dal viso – ora neri, come quelli della vera Wecilia Mallus – e ricercò i suoi occhi al di là della vista appannata dall'ebbrezza del momento.
- Anche con queste fattezze riesco a vederti. - le sussurrò con un sorriso complice.
Appoggiò una delle gambe della donna sulla propria spalla, a un soffio dal mento. Gli bastò inclinare la testa per posare il primo bacio, proprio poco sotto la piega del ginocchio,
- Torna normale. O maschera l'aspetto insignificante di questa mortale. È te che voglio. -
In un battito di ciglia la magia livellò le rughe intorno agli occhi e alla bocca, schiarendo il colorito olivastro e le ciocche scure. Era un banale trucco di prestigio, semplice come tagliare un foglio di carta teso su tutto il corpo. Quando tornava a essere lei, Lyssandra percepiva la pellicola dell'incantesimo distaccarsi dal proprio corpo come se fosse stata reale.
Aesir appoggiò le mani ai lati del suo viso. Aveva assunto quell'espressione impassibile che non lasciava trasparire nulla. Al di là poteva celarsi la rabbia più profonda o la passione più travolgente. Vivere in quel margine d'incertezza, subirlo sulla propria pelle, la agitava tutte le volte.
- Hlodyn. - proferì a bassa voce, passò un dito sulla clavicola e vi adagiò un bacio a stampo, - Ogni volta che ti guardo, me la ricordi. Hai il suo aspetto. Come Elladan la somiglianza era maggiore, ma anche ora che sei la mia serva più devota la rivedo sempre in te. -
- Non sono lei. - dichiarò secca, travolta da una lieve scarica di gelosia.
- E non lo sarai mai. Nessuna donna potrà mai eguagliarla. - le avvolse la vita con il braccio e le si avvicinò finché Lyssandra non fu costretta a inarcare la schiena, - Voglio che tu te lo imprima nella memoria, Elladan: tu non sei che un sostituto, una bella copia. Quando rinascerò, rimarrai al mio fianco, ma non ti illudere che tu possa prendere il suo posto. -
- Non l'ho mai pensato. -
La girò come se non avesse peso, le afferrò i capelli, li strinse in una coda abborracciata e li tirò finché la spina dorsale di Lyssandra non descrisse una conca perfetta, con la testa riversa all'indietro e i glutei ben in alto.
- Giusto... tu vuoi solo vendetta e potere. - sogghignò il dio e si fece largo tra le sue natiche, strusciando il suo membro su e giù soltanto per provocare, - Come ogni regina che si rispetti, l'amore non fa per te. -
Lyssandra si morse il labbro inferiore, le palpebre a mezz'asta sugli occhi adombrati dal piacere. I ricordi di quando era viva, di quando era Elladan, ribollivano in fondo alla sua coscienza, pronti a risalire a galla, ma il loro calore non scioglieva che la superficie del lago ghiacciato al di sotto della quale erano reclusi.
- Amavi Haldamir? - le domandò Aesir.
- No. -
Il dio ritrasse il bacino e spinse un gluteo verso l'esterno.
- Amavi Haldamir? - le chiese ancora, più severo.
Lyssandra scosse la testa. Con la gola così esposta, si sentiva come una puledra al macello. Soltanto che, in questo caso, il suo aguzzino non impugnava un coltello.
- Sii sincera. -
- Elladan... lei lo amava. -
- E tu no? -
- No. -
La punta del membro di Aesir era leggermente umida, sporca di qualche goccia di sperma. Lo strusciò ancora un istante, prima di affondare due dita dapprima nella sua apertura fradicia, poi tra i suoi glutei. Entrò e uscì varie volte, cospargendo le sue pareti con i suoi stessi umori. A volte spingeva dentro fino all'ultima falange, le piegava all'interno e riprendeva come se non si fosse mai fermato.
Lyssandra fremeva, ogni nervo del suo corpo teso nei muscoli rigidi. Gemeva, gemeva per lui, in un cantico di piacere che era dedicato solo alle sue orecchie, esclusivamente alla sua persona.
Un tocco leggero al di là della porta. Cinque colpi, uno dietro l'altro, scanditi in una isocronia perfetta.
- Fallo entrare. - ordinò Aesir, dolce come miele.
L'ansito che Lyssandra represse le gonfiò appena il labbro inferiore.
- Avanti. - disse con fermezza, fiera che le corde vocali non avessero tremato.
Kvothe scivolò all'interno in un elegante fruscio di seta. Indossava una colombina diversa, sempre bianca, ma senza alcuna decorazione. Quando si tolse il cappuccio, i capelli corti e mossi gli ricaddero poco sopra le sopracciglia bionde. Furono l'unica cosa che si mosse su un volto altrimenti imperturbabile.
- Spero tu abbia novità per la nostra regina, Kvothe. - scandì il dio, continuando a massaggiare la carne di Lyssandra con un sorriso che non aveva nulla di innocente.
- Sì, porto notizie importanti. - rispose Kvothe, impassibile quanto una statua.
- Attendi pure lì. Quando la regina sarà libera, potrai riferirle tutto quello che sai. -
Detto ciò, si piegò e imprigionò il lobo dell'orecchio tra le labbra, i denti tra la pelle e l'orecchino di perla.
- Sbaglio, Elladan? -
- No... -
La donna non incrociò lo sguardo di Kvothe, non serviva: aveva visto nei suoi ricordi recessi l'increspatura perversa, il piacere malato che ammantava le iridi ambrate quando sottometteva una donna. O un altro uomo lo faceva al suo posto.
- E sia. - Kvothe fece un lieve inchino e si spostò adiacente al muro, - Attenderò. -
Aesir sorrise apertamente e ridacchiò appena. Lyssandra esalò un gemito simile a un ringhio quando lui la penetrò.
Oh, sì, lei gli apparteneva e così sarebbe sempre stato. Nella vita e nella morte. Nel corpo e nell'anima.
 
Ledah chiuse gli occhi e tese l'orecchio verso la porta. C'era soltanto silenzio.
"Che se ne siano andati?"
Scosse la testa e si tirò in piedi. L'azione, però, si rivelò uno sforzo immenso, più doloroso di quanto avesse immaginato. Nonostante lo costringessero a mangiare, il suo corpo era deperito. I muscoli si erano indeboliti e assottigliati, perdendo forza e tono. Persino assunse una posizione eretta, non riuscì a tenere le ginocchia dritte come avrebbe voluto.
"Non arrenderti."
Aprì gli occhi e si guardò intorno, studiando la circonferenza del cerchio di rune. Ogni simbolo sfavillava nel buio, rilasciando un barlume violaceo che si arrampicava sulle catene fino a toccare il soffitto. Ledah non aveva idea di quanto fosse alto, ma era quasi certo che tutto quel buio nascondesse molto meno spazio di ciò che poteva sembrare. Soltanto una runa emetteva meno luce delle altre, quella che era stata in parte sbiadita da Brandir. Al pensiero, avvertì una stretta al cuore.
"Non distrarti."
Il battito regolare rintoccava sommesso nel suo petto. Ne seguì l'oscillazione e lasciò che lo cullasse nella sua semplice ripetizione. La magia scorreva sul fondo del proprio essere, una corrente di potenza che si irradiava e serpeggiava nel suo corpo, irrorandolo attraverso le ramificazioni. La magia intrinseca al cerchio di rune ne diminuiva il flusso, una frana continua e impetuosa che ne tappava la sorgente.
Ledah si inginocchiò e spostò i detriti a fatica, più in fretta che poté, prima che un nuovo crollo la seppellisse. La corrente aveva conservato la sua iridescenza sporca, intorbidita da un nero diluito. Osservandola, sembrava inchiostro annacquato. Ledah la raccolse nelle mani a coppa e bevve.
“Vieni da me.”
La frana lo travolse, crudele e inaspettata. I ciottoli gli finirono nel naso, in bocca, in gola: lo aveva sepolto vivo. Chili e chili di terra gli comprimevano il petto e gli ostruivano le narici e la gola, impedendogli di respirare o gridare aiuto. Ma, anche se avesse potuto parlare, nessuno sarebbe giunto in suo soccorso: la sua mente era intrappolata sotto le macerie e il suo corpo incatenato.
Rimase così per ore, o così gli parve. Nel buio di quella prigione il tempo si disgregava, era la maschera di sabbia ruvida che gli aderiva al viso.
Riemerse che il respiro gli raschiava la gola arida e sospingeva il sangue dalle ferite lungo la curva del labbro inferiore. Le catene che gli avevano torto le braccia si stavano pian piano allentando. Fu un sollievo quando riuscì a toccare il pavimento con tutta la pianta dei piedi.
Non dovevi chiamarmi. Sei di nuovo senza forze.
L'elfo fece una smorfia all'udire quella voce autoritaria, seppur non fisica, che sovrastava tutte quelle che gli infestavano il cervello. Era più reale di loro e dalla goccia che stillava in lontananza. Nella follia di pallini neri che gli sfarfallavano davanti agli occhi, Ledah distinse la figura dello spirito di Aasterian.
"Dovevo fare qualcosa. Se mi arrendessi, loro mi schiaccerebbero."
Ora che sei così debole, sarà una lotta impari.
"Lo so, ma meglio questo che rimanere qui senza fare niente. Airis... Airis è viva? Tu puoi trovarla?"
Aasterian non rispose. Lo spirito del capobranco dei Lycos lo fissava da oltre il cerchio di rune, un'essenza dai contorni instabili e trepidanti come le fiamme di un camino. Scintille blu si staccavano dagli arti o dalla lunga coda e poi svanivano nell'aria senza alcun rumore. Negli occhi luminosi, Ledah non scorgeva altro che il bianco infinito e opalescente dell'eternità.
Potrei, ma perché io possa continuare a manifestarmi devo attingere energia da te. E poi... lei non te lo permetterà.
"Fosse per lei, io dovrei essere già morto."
Potrebbe essere una ricerca vana.
"Non mi interessa."
Arawan sarebbe fiero di te.
Fu il turno di Ledah di raccogliere i pensieri. Sua madre era di sangue reale, una discendente del Re, l'unico che aveva unificato gli elfi del nord e del sud in un unico regno. Elladan – o quello che rimaneva di lei – sua sorella e lui erano gli ultimi della sua genia. Se le divergenze non li avessero portati a un'altra separazione, se gli elfi di Llanowar non fossero ritornati alle vecchie usanze, ora il trono sarebbe stato suo. Una pesante eredità che non avrebbe voluto, appartenente a un antenato che conosceva solo dai racconti di suo padre e dalle storie della sua gente.
Non era il tuo posto, quello.
"Lo so. Riflettevo solo sul fatto che adesso le cose sarebbero diverse."
Aasterian si sedette sulle zampe posteriori e guardò in alto, scrollando la folta criniera attorno al collo.
Non ci è dato conoscere il futuro.
"Non mi è mai interessato conoscerlo. È che a volte mi viene spontaneo domandarmelo."
Lo so. Tutti i vivi lo fanno.
Ledah prese un profondo respiro. La magia che li teneva uniti era un filo sottilissimo e liquido che riverberava di una luce blu. Sarebbe bastata la forbice di un Arcanes inesperto per reciderlo, ma era la sua unica possibilità per trovare Airis. Si era aggrappato all'idea che fosse ancora viva, l'aveva coltivata e cullata dentro di sé assieme a quella persistente sensazione che lo aveva portato a maturare quella speranza, e non l'avrebbe mollata nemmeno se fosse stato in punto di morte.
"Attingi a quanta più magia puoi. Lyssandra potrebbe scoprirmi e interrompere il legame prima che tu riesca a rintracciarla."
Se prendessi troppa energia, non riusciresti più a respingere le voci.
L'elfo inspirò rumorosamente dal naso.
"Prendi ciò che devi e lasciami quel che basta per non crollare." strinse i denti, sollevò la testa e legò il suo sguardo a quello di Aasterian. "Trovala."
Se è ancora viva, la troverò.
Il Lycos alzò di scatto le orecchie e si voltò di tre quarti, piegando il capo di lato.
Vado. Lei sta arrivando.
Svanì e in quel momento il rumore di passi che si avvicinavano giunse chiaro anche a Ledah. Come svuotato, la testa gli ricadde sul petto e le ginocchia cedettero alla stanchezza. Anche se piccola, quella nuova deviazione della corrente principale già lo logorava. Poteva sentire ogni goccia che usciva dalle sue ramificazioni, percorreva il filo e si riversava in Aasterian. Il dolore germogliò dal nulla e invase tutto: la pelle, i muscoli, le ossa, ogni singola fibra del suo essere si rattrappì. Il suo corpo smise di appartenergli. Non avrebbe dovuto cedere alla magia. Non era sicuro nemmeno che avrebbe resistito fino a quando Aasterian avesse trovato Airis.
Non puoi fidarti di lei.
Era una serva di Lyssandra.
Traditrice!
Ti avrebbe consegnato nelle sue mani!
Ledah strinse i denti. Combatté l'istinto di urlare, schiacciò la disperazione contro la cassa toracica e la raschiò contro lo sterno finché non rimase altro che un gorgogliante grumo di sangue, che fluì tra le sue dita. Le grosse gocce pesanti di quel sentimento viscoso si depositarono sul fondo della sua anima in un lago ghiacciato, abbacinante nel suo bianco mortale.
“Zitte. Silenzio.”
Le voci risero tutte insieme, un coro irridente di folletti maligni. Lo afferrarono con le loro mani prive di consistenza e lo trascinarono in basso. Anche schiacciato con la schiena contro la lastra gelida, Ledah combatté con le unghie e con i denti. Urlò, scalciò, tirò pugni finché l'incubo in cui era stato trascinato non si dissolse in un crepuscolo arido e popolato da sogni informi, abbozzati nella loro essenza, ma troppo stanchi anch'essi per dominare la sua mente inquieta.
Quando si svegliò, ore o minuti dopo, si accorse subito di non essere solo.
- Guardami - gli ordinò Lyssandra.
Ledah obbedì. Anche se non glielo avesse imposto, si rifiutava di rimanere prostrato ai suoi piedi.
La donna che lo fissava non aveva l'aspetto di sua madre, ma lui intuiva dal suo sguardo che quelle sembianze non erano altro che un costume di scena.
- Vedo che le ferite sono guarite. - commentò indifferente, per poi ripulirsi una sbavatura del rossetto all'angolo della bocca con il pollice, - Sarebbe stato un problema se Brandir ti avesse danneggiato troppo. -
- Sei stata tu a mandarlo qui? -
- Ci teneva molto a rivederti. -
Ledah scrollò il capo in modo da spostare le ciocche dagli occhi. Così sciolti, senza nulla a trattenerli, erano una folta criniera nera e liscia che gli copriva tutta la schiena e gli tarpava il respiro.
- Come puoi fare tutto questo? -
- A cosa ti riferisci? -
- Servire Aesir. Posso capire il tuo rancore nei miei confronti, ho vissuto la guerra e ho visto coi miei stessi occhi cosa significa lo stupro per una donna. -
Serrò le palpebre, ma non servì a niente: i Ferirael, i bambini mezzosangue, gli si erano impressi a fuoco nella memoria. Lasciati a morire di fame, freddo e stenti appena nati. Perché ogni vita andava accolta, ma che fosse la foresta a decidere del loro destino.
- Dopo tutto quello che ti ha fatto, come puoi anche solo concepire di stargli accanto? - continuò e i suoi occhi divennero delle piccole fessure, - Perché non mi hai ucciso quando potevi? -
Non si aspettava una risposta. Quello che aveva detto era solo ciò che si era sempre domandato. Si stupì quando Lyssandra si avvicinò fino a sfiorare con la punta delle scarpe il perimetro del cerchio di rune.
- Elladan avrebbe voluto abortire. Considerava ogni vita sacra, così come Haldamir, ma quello che le stava crescendo dentro le ricordava il dolore che aveva provato durante tutto il rapporto. Ha provato a cancellarti dalla sua esistenza. Ha usato i semi di trifoglio, prezzemolo e tutte le erbe che è riuscita a procacciarsi. Che stolta: non si può uccidere il figlio di un dio con radici di tannino o coriandolo. - sorrise e si lisciò la gonna con un sorriso saputo, - Sei cresciuto e alla fine sei nato. Elladan non voleva nemmeno toccarti. Hanno provato a darti a lei dopo il parto, ma non ha voluto. Ti osservava, mentre la levatrice ti puliva gli occhi e la bocca. Se avessi pianto, forse avrebbe ceduto, ma tu ti limitavi a guardarla. L'unica che si è azzardata ad avvicinarsi è stata sua figlia, Aiwen. Le sue sono state le prime braccia che ti hanno stretto. -
La sua mano andò a un ciondolo che portava al collo, una sfera blu perfetta, e lo fece scivolare sotto il vestito.
- “Colui che distrugge”, è il significato del tuo nome. È stato lei a sceglierlo. -
- Lo so. È stata anche lei a risvegliare l'eredità di Aesir latente in me. -
Lyssandra scosse la testa: - No, a quel punto della storia Elladan non c'era più. Era morta poco a poco. Più tu crescevi, più lei moriva. Si può dire che sia stata la tua prima vittima. È stata una lunga agonia. A volte ha creduto di poterti amare, ci ha pure provato, ma poi si ricordava di come eri stato concepito. Bastava anche solo un lampo di quei momenti per farla desistere. In ogni caso, prima di morire ha sfruttato bene il suo tempo. Ha letto tutti i libri di Haldamir sulla guerra degli dei, su Aesir, Yggrasil, tutte le leggende tramandate dai popoli da loro creati. Ti stupiresti se sapessi cosa ha scoperto. -
Si innalzò di qualche spanna in aria e lo inchiodò con gli occhi.
- Dicono che la storia la scrivano i vincitori, ma non è vero. Non basta l'autorità di un bardo o di un re per radicare una credenza nella realtà. Quella è solo la prima di una lunga serie di passi, l'inizio, ma non l'essenziale. Perché la storia diventi tale, bisogna ricercare un motivo di odio. Disumanizzare il popolo che si ha appena sconfitto, rendere i loro martiri dei folli, i loro soldati dei nemici. Era sufficiente un solo dito puntato, qualcuno che accusasse qualcun altro di essere l'artefice delle sue disgrazie. Da lì era solo una strada in discesa: morte, sangue, dolore, rabbia e furore si accumulavano e sommergevano la realtà oggettiva, la seppellivano sotto un cumulo di macerie fumanti e, alla fine, ciò che restava non era altro che una visione distorta della verità. E le cose non sono mai cambiate, ancora oggi va così. -
La risata di Ledah sibilò tra i denti simile a un ringhio: - Stai provando a farmi credere che Aesir sia il protagonista buono e incompreso? -
Lyssandra non rispose subito e a Ledah venne da ridere al pensiero che quello fosse il loro primo discorso madre-figlio, il massimo dell'intimità che avessero mai condiviso.
- Se quella notte Haldamir non avesse fermato Elladan, se non l'avesse uccisa prima di terminare il rituale, a quest'ora la verità sarebbe emersa. Tutti voi vi opponete a ciò che millantate di conoscere. Uomini, nani, orchi, elfi, tutti pensate di avere in mano un diamante, quando in realtà stringete solo un insulso zircone. Nonostante tutto ciò che hai subito nel corso della tua vita, nemmeno tu riesci a capire, Ledah. -
L'elfo sussultò. Era la prima volta che pronunciava il suo nome. E non era venato di rabbia od odio, come si era aspettato.
- Gli elfi si pensa siano la razza più bella e armoniosa del mondo, eppure ne esistono molti che, pur essendo alti, sono brutti e sgraziati, peggio degli uomini. I Drow sono conosciuti per la loro spietatezza, per aver ridotto tutta Esperya in schiavitù, eppure ci sono madri che amano i figli più di loro stesse. - gli arrivò vicino e gli sfiorò la guancia con una carezza quasi materna, - È conoscenza comune che le persone coi capelli rossi siano i servi corrotti di Aesir, ma tu non hai esitato a fidarti di una di loro quando sei rimasto solo. -
- Perché gli uomini sono superstiziosi. -
- Gli orchi credono che mangiare la carne degli animali uccisi doni loro la forza, mentre gli elfi di Llanowar si scambiavano il primo bacio sotto il vischio perché così l'amore sarebbe stato eterno. Cosa sono queste, se non superstizioni? Non hanno una logica se non la cieca fede in ciò che gli antenati tramandano, eppure nessuno dubita. Sono verità sacrosante e imprescindibili. È sufficiente guardarsi intorno per accorgersi di quanto siano fallaci: le persone e i fatti smentiscono il passato. Ma non basta, non basta mai ed è per questo che è necessario un sacrificio, un'immolazione affinché tutti sappiano. Affinché anche tu sappia. - gli prese il mento e lo avviluppò nel suo sguardo di fuoco, - Airis era una mia creatura. Io l'ho resa una mia Risvegliata, io l'ho trascinata nel fango, io le ho strappato la sua dignità. Ma sei stato tu, quando l'hai uccisa, a consegnarla nelle mie mani. -
Fu come se gli avessero tolto la terra sotto i piedi. La voci gli assalirono le orecchie, feroci, predatorie
L'hai uccisa.
Mostro!
- Non è vero... -
Lyssandra gli spostò una ciocca dietro l'orecchio, le labbra coperte di rossetto aperte su un sorriso crudelmente sincero.
“È una bugiarda.”
No, lei non mente mai.
Hai le mani lorde di sangue.
Del suo sangue, di Airis!
- Non è vero! Non l'avevo mai vista, io... -
Uno squarcio bianco occupò tutto il suo campo visivo. Brandir a terra, il petto sfondato. I suoi compagni a terra, bambole di carne dagli occhi di vetro, ancora caldi, coperti da tanti, troppi altri. Alcuni non avevano nemmeno le orecchie a punta.
- La verità è un cristallo di ghiaccio. Se lo stringi troppo forte, potresti tagliarti. - sussurrò Lyssandra e uscì dal cerchio di rune per andarsene dalla cella.
- Non l'ho uccisa io, non sono stato io! - gridò Ledah strattonando le catene, ma esse lo tirarono indietro e lo sollevarono da terra, - Non sono stato io! Non sono stato io! -
Lyssandra ghignò e la porta si chiuse nel buio con un tonfo secco.
- Non sono stato io... -
Ledah voleva piangere, ma gli occhi erano asciutti. La voce si frantumò in un singulto e le parole, le stesse che aveva ripetuto al nulla, si persero nelle tenebre.
Sei solo un assassino.
 
Lyssandra entrò a grandi falcate nella Camera del Consiglio. I dieci consiglieri si alzarono in sincrono e attesero che la regina prendesse il suo posto al tavolo. Luce calda bagnava la sala, ammantandola con il chiarore ambrato del primo mattino. Il camino in fondo era spento e l'unica cosa che bruciava erano gli incensieri, dai quali si innalzavano volute della fragranza intensa dei ciclamini e dei fiori d'acanto.
Un paggio, un ragazzo di sedici anni con i capelli legati in una coda da guerriero e il naso a patata, accorse alle spalle dello scranno e lo spostò per far sì che la regina potesse sedersi, prima di defilarsi a un suo cenno.
- Buongiorno, consiglieri. -
- Salute a voi, mia regina. - Kitiara Azlan prese la parola, - Spero che abbiate dormito bene stanotte. Dall'ultima volta che ci siamo riuniti, mi si riempie il cuore di gioia a vedervi meno afflitta. -
- Anche se è difficile da sopportare, Voren ha scelto me per tenere le redini del regno e non posso permettere al dolore di sopraffarmi. Sono comunque felice che la mia salute vi stia a cuore, consigliera – rispose, giunse le mani in grembo e le rivolse un sorriso affettato.
La donna strinse appena le labbra. Nonostante fosse un'umana, Lyssandra doveva riconoscere che aveva un ottimo sangue freddo. Sarebbe potuta essere un'ottima pedina, se solo non avesse giocato dalla parte opposta della scacchiera.
- Siamo qui per portare alla vostra attenzione alcuni nostri... dubbi. Come ben sapete, la guerra dura da molto tempo e voi, così come il nostro re, avete scelto di perseguire la sua causa. Nonostante le altre città, umane e naniche, appoggino la vostra volontà, desiderano sapere come intendete muovere l'esercito e come e dove si svolgerà la celebrazione in memoria dei caduti. -
- Considerando l'andamento delle ultime battaglie, reputo opportuno indire un consiglio di guerra con i nostri comandanti. Llanowar è caduta, ma le scorrerie dei suoi abitanti non sono cessate. Il motivo dell'esplosione ci è ancora ignoto ed è rischioso mandare degli esploratori a raccogliere delle prove con questo tempo così instabile. Tuttavia, reputo anche necessario capire qual è l'arma che gli elfi stavano costruendo, affinché i nostri maghi possano essere preparati: non sappiamo in quanti fossero coinvolti, se quello che è accaduto è stato un vero e proprio suicidio o se hanno perso il controllo della forza che stavano maneggiando. Questa è nostra priorità. Il fronte a Sheelwood sta avanzando, anche se la nuova alleanza con gli orchi è stata improvvisa e inaspettata, ma i nostri uomini non cedono terreno. -
- E le città del nord? Sono rimaste in poche, tutte addossate sulla costa sud-est. Il governatore di porto Eamone è molto preoccupato, teme che gli elfi possano attaccare la sua città. -
- Dubito che i nostri nemici si spingeranno mai così lontani dalla loro amata foresta. Comunque avevo già preventivato di inviare altri uomini. Anche se poche, non possiamo perdere quelle città: sono dei porti, abbandonarli a se stessi significherebbe cedere il nord agli elfi e questo non possiamo permetterlo. -
- Io vi appoggio, ovviamente. - intervenne Caitriona Zagaloth.
Era una donna del sud, appesantita dal tempo, ma che manteneva ancora il fascino della gioventù nelle curve disegnate dalla tunica viola, con le due asce dorate della spilla che parevano pretendere l'attenzione di tutti. I lunghi capelli ondulati erano sciolti sulle spalle e conservavano qualcosa del loro riflesso violaceo. I magnetici occhi scuri erano ombreggiati da lunghe ciglia nere, abilmente curvate all'insù.
- La mia lealtà e quella della mia famiglia è indiscussa. Abbiamo servito la casata reale per generazioni, senza mai mettere in discussione il vostro sacro diritto di governare. Tuttavia, per quanto io vi possa seguire, non posso non notare un certo scontento tra le nobili famiglie delle province. Percepiscono il nord come una terra lontana e distante, i più non si sono mai spinti al di là dei Monti Neri. Non sto mettendo in discussione la loro lealtà, ma non credo sia cosa nuova che molti si stiano domandando per quanto dovranno ancora combattere. -
- Per il tempo che sarà ancora necessario. Purtroppo, non ho incominciato io questa guerra, ma in onore dei miei predecessori non posso deporre le armi ora: Llanowar è caduta e adesso anche il dominio di Sheelwood sta scricchiolando. Voren era un uomo lungimirante, ma non ha fatto in tempo a veder terminare la sua muraglia. -
Era stata una sua idea: torrette di segnalazione non solo nelle città, ma anche e soprattutto lungo tutta la costa e fin nell'interno del continente, una rete capillare che innervava tutto il Nord. Erano sempre esistite, ma solo negli ultimi anni erano state spostate delle importanti somme di denaro per la loro ricostruzione, gestione e manutenzione.
"Tutto merito mio."
- E Alabastria? - Kitiara Azlan la trafisse con uno sguardo di ghiaccio, - Come pensate di gestire la ritirata di re Balor dall'alleanza? -
La porta si spalancò e il paggio che le aveva spostato lo scranno venne quasi travolto da un messaggero. Aveva gli abiti sporchi, gli stivali e i pantaloni strappati e il capello di feltro stretto in mano. Si inginocchiò rapidamente e fissò Lyssandra dritta negli occhi.
- Mia regina... Alabastria è caduta. - disse tutto d'un fiato.
Un mormorio spaventato serpeggiò tra i consiglieri. Lyssandra trattenne il sorriso dietro le labbra.
- Com'è possibile? - obiettò Reynridan Cal'doran con una nota isterica nella voce.
- Parla, ragazzo. - lo esortò Ynyr Fellmoor.
Il messaggero deglutì e prese un respiro profondo: - Alabastria è caduta, consiglieri. Non appena hanno visto i fumi alzarsi verso il cielo, l'esercito è stato mobilitato. Le pattuglie che sono state mandate hanno solo trovato cenere e macerie. Non sappiamo ancora nulla di Lotka, ma temiamo che... -
Ynyr si lasciò ricadere sulla sedia e Kitiara Azlan allungò le braccia, intrecciando le dita davanti a sé. Un silenzio sepolcrale invase la sala.
- Guardie. - enunciò Lyssandra.
Bastò quell'unica parola e i soldati entrarono.
- Assicurate un bagno caldo, cibo e un letto a questo messaggero. - ordinò.
Quindi appuntò lo sguardo sui consiglieri al tavolo, atterriti dalla notizia. Nascose la soddisfazione dietro il velo del lutto, quello che portava da quando suo marito era morto, e si schiarì la gola.
- Non disturbateci finché non avremo finito. - aggiunse mentre la porta si chiudeva.
I contorni delle piume dorate sulle ali che circondavano una spada istoriata con l'effige di un lupo, incise nel centro del tavolo, parvero svanire nella luce.

Angolo Autrice:

Hello folks! Eccomi a rapporto. Stavolta non vi dico nulla se non che mancano solo 3 recensioni per il giveaway ** Orsù, fatevi sotto! Per seguire poi l'andamento del giveaway il link è
QUI Un bacione e grazie mille a tutti!
Hime

  
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