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Autore: Son of Jericho    29/01/2018    1 recensioni
Sequel di "How can I know you, if I don't know myself?"
Sono trascorsi due anni da quando il sipario è calato sullo spettacolo alla Hollywood Arts. La vita per i ragazzi sta andando avanti, tante cose sono cambiate, e sta arrivando per tutti il momento di affrontare responsabilità, problemi e sorprese.
E mentre impareranno cosa significa crescere, si troveranno faccia a faccia con il tormento più profondo: i sentimenti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andre Harris, Beck Oliver, Cat Valentine, Jade West, Tori Vega
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bade - Cuori tra le fiamme'
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XVIII – 09.12

 

Los Angeles, 09 Dicembre

 

Non le era mai piaciuto farsi tirare in mezzo dalle vicende degli altri, un po’ per istintivo distacco, un po’ per la sua totale incapacità di dare una mano.

Eppure, ultimamente stava accadendo sempre più spesso. Si sentiva coinvolta, interessata, quasi in obbligo di controllare i suoi amici. Era come se le sue percezioni si fossero affinate, e tra tutti, lei fosse quella più matura.

Si sorprendeva ogni volta che ripensava a questo. Forse era un naturale processo di crescita, o forse stare per anni in mezzo a gente così strana l’aveva fatta andare fuori fase.

Quella mattina, Jade decise di prendere di nuovo il toro per le corna e, così come aveva fatto per Cat, intervenire.

Tra Tori e Andre qualcosa non andava. Non era facile per lei ammetterlo, ma le dispiaceva vedere il loro rapporto cadere in rovina. In fin dei conti, teneva davvero ad ognuno di loro.

Uscì di casa di prima mattina, sotto un cielo plumbeo che nascondeva il sole e prometteva acqua per il resto della giornata.

Si fermò di fronte all’ingresso della biblioteca. Era lì che avrebbe trovato il suo miglior alleato, purtroppo.

Non poteva fare certo tutto da sola, e magari, due chiacchiere con Beck avrebbero portato a qualcosa.

Salì la breve scalinata e, appena entrata, si ritrovò in un ambiente che non aveva nulla a che fare con l’esterno. Neppure ricordava quando era l’ultima volta che era stata in una biblioteca che non fosse quella della scuola.

Aria chiusa, odore di carta stantia, e una dozzina di nerd che la fissavano insistentemente, come se non avessero mai visto una ragazza.

Jade scosse il capo e passò oltre, alla ricerca del suo vecchio ragazzo.

Era arrivata alla sezione dei libri storici, quando si bloccò dietro lo scaffale.

Eccolo là, Beck, con i suoi occhiali da studioso e la camicia dalle maniche arrotolate. Non da solo e immerso nella lettura, come era lecito aspettarsi, ma in compagnia di una ragazza, che aveva sì un libro, ma chiuso e sotto il braccio.

Li osservò da lontano, sbirciando dalla mensola. Lei, capelli biondo platino raccolti in una coda e fisico atletico, dava l’impressione di essere più giovane di loro. Una studentessa, forse.

Conversavano amabilmente, e ogni tanto, Beck le indicava qualcosa su un volume e ridevano.

Jade non volle andare oltre. Ritrasse la testa e, con un sorriso sardonico dipinto in volto, riprese la strada per l’uscita.

Difficile spiegare se in quel momento si sentisse infastidita o divertita. Impossibile restare indifferente.

Era stato come toccare gratuitamente un nervo scoperto, e in più, c’era qualcosa di vagamente familiare in quella scena.

Sulla soglia, capì cosa avrebbe dovuto ricordarle quella ragazza bionda.

Seattle.

Sonja.

 

*****

 

Sdraiato sul letto, Robbie guardò l’ora sullo smartphone: le 9.20. Ci sarebbe stata lezione di fotografia, cominciata venti minuti fa.

Spense lo schermo e chiuse gli occhi. Fa niente, avrebbe portato una fantomatica giustificazione al professore, tanto si fidava di lui.

Non aveva alcuna voglia di alzarsi. Trascorrere la giornata a dormire gli sembrava ancora una buona idea, lontano da tutto e tutti.

Ma poco dopo, sentì dei colpi decisi alla porta della camera. Si portò una mano alla fronte, rassegnato.

Le teste di Stefan e Kendra fecero capolino dalla soglia.

- Ehi, amico! – fece il ragazzo, entrando per primo. – Che cavolo stai facendo? –

Robbie incrociò le mani dietro la nuca, sorridendo. – Niente. –

- Ti aspettavano in classe. –

- E soprattutto - aggiunse Kendra – sono due giorni che non ti fai vedere in giro. –

Robbie girò la testa verso di lei. Non disse una parola, ma si limitò ad un’arrendevole occhiata.

- Amico, che ti prende? – gli chiese Stefan, sorpreso e preoccupato.

In risposta, Robbie tornò a fissare il soffitto.

Di fronte a quella reazione, Kendra si fece avanti e posò una mano sulla spalla di Stefan. – Lascia che provi a parlarci io. – gli sussurrò.

- Ok, ti aspetto fuori. Anche tu, Robbie. – gli lanciò un’ultima occhiata, prima di richiudersi la porta alle spalle.

Rimasta sola con l’amico, Kendra posizionò una sedia accanto al letto e ci si sedette al contrario, con le braccia sullo schienale. Lo sguardo era duro ma apprensivo. – Avanti, spiegalo a me cos’è successo. –

Ancora niente.

- Te ne stai qui, chiuso in camera, non ti sei nemmeno vestito. –

Robbie scattò a sedere sul materasso con le gambe incrociate. – Davvero? Sono di nuovo nudo? –

Scoppiarono a ridere. – Ma no, scemo! E’ che hai ancora il pigiama! –

- E’ una tuta dei grandi magazzini, in realtà. E non l’ho pagata neppure poco. –

I due si scambiarono una lunga occhiata, in silenzio, col sorriso sulle labbra. Al termine, però, quello di Robbie si spense nella malinconia.

- Non ne abbiamo mai parlato. -

Kendra sollevò un sopracciglio, presa alla sprovvista. – Di… ok, è vero. Ma andiamo, non starai mica così per… -

- Quella sera. – finì la frase, credendo di farle un favore.

- Stavo solo aspettando il momento giusto, non pensavo fosse un problema per te. – il tono tradiva una lieve incertezza. – Insomma, avevano bevuto un po’ troppo, ma nonostante questo, io credo che sia successo perché lo volevamo entrambi. -

Robbie distolse lo sguardo. Non si era pentito di quello che aveva fatto. Gli era piaciuto, e dopo tanto tempo, un bacio aveva di nuovo significato qualcosa per lui.

Non era più accaduto dal suo primo, e unico, bacio con Cat.

Eppure, la voce di Jade continuava a tormentarlo, e lui non riusciva a levarsela dalla testa.

Te lo dico io cosa farai. Io terrò la bocca chiusa. Ma tu sparirai, e non ti farai più sentire.”

Comunque fosse andata, avrebbe deluso qualcuno.

Intanto, Kendra aveva ripreso a parlare. – Non so quale sia il nostro prossimo passo, ma non voglio che la nostra amicizia si rovini per questo. –

Robbie si voltò verso di lei, per guardarla negli occhi.

- Abbiamo commesso un errore. –

- Non è vero. –

- Sì, invece. Io ho commesso un errore. –

Lo ammise, in realtà senza sapere quale.

 

*****

 

Era una strana sensazione, quella che stava provando Andre.

Se si guardava intorno, era come se si sentisse ospite nella sua stessa casa. Si lasciava trascinare dall’inerzia di una giornata come le altre, senza sussulti, senza un particolare scopo. Apparentemente, senza più nemmeno la sua migliore amica.

Si era alzato tardi, quella mattina, e alle 10 passate stava ancora facendo colazione. Se ne stava a tavola, davanti ad un giornale aperto e con una tazza di caffè in mano, come un infelice disoccupato.

Stava distrattamente scorrendo l’inserto sportivo, quando udì una serie di rumori provenienti prima dalla camera di Tori, e poi dal bagno.

Andre alzò il capo, e poco dopo, la ragazza comparve sulla soglia della cucina.

Posò la borsetta sul tavolo, quasi incurante della presenza dell’altro, e la aprì per cercare qualcosa all’interno.

- Non vai allo studio, stamattina? – gli chiese, senza nemmeno sollevare lo sguardo.

- No, non ho la giusta ispirazione. – buttò giù un sorso e la osservò perplesso. - E tu? Stai uscendo? –

- Sì. –

- Posso chiederti dove? –

- Ho il turno al supermarket, lo sai. –

Lui annuì. I toni erano aspri e affranti, e ancora resisteva un muro di ghiaccio tra loro. C’erano punte di imbarazzo e rancore, e c’erano l’orgoglio e la presunzione di voler avere ragione a tutti i costi.

Forse avevano solo bisogno di un po’ di tempo per superarlo. Prima o poi, qualcuno avrebbe messo da parte la propria testardaggine e le cose sarebbero tornate a posto.

Forse, se ci avessero pensato bene, lo avrebbero capito.

Tori richiuse la cerniera della borsa e si avviò verso l’attaccapanni all’ingresso.

- Ah, e più tardi… - si fermò per aggiungere, mentre si infilava il cappotto. – Quando stacco, faccio un salto da Cat e Jade. Probabilmente rimarrò a mangiare là e passerò la serata con loro. Ok? –

- Ok. –

Inutile gettare altra benzina sul fuoco. Ne aveva abbastanza di litigare.

Ne aveva abbastanza di sentire quanto fosse stronzo Thomas, e quanto fosse stupida la sua storia con lui. Ne aveva abbastanza di sentirsi rinfacciare tutti gli errori passati, e di essere trattata come una bambina che non sa che fare con i propri sentimenti.

Adesso, tutto quello che voleva, era evitare l’ennesimo rimprovero per una serata trascorsa con il ragazzo di cui era innamorata.

Afferrò la maniglia e spalancò la porta.

- Non aspettarmi alzato, Andre. Farò tardi. –

 

*****

 

Quando tornò a casa, Jade aveva soltanto voglia di rilassarsi. Staccare la spina, dopo gli ultimi giorni fin troppo movimentati.

Non le capitava spesso, di ritrovarsi così spossata a livello fisico e mentale. Evidentemente, chi le stava intorno la stava mettendo a dura prova, e lei non riusciva più a mantenere le distanze.

Forse faceva davvero parte della crescita dai tempi della scuola, ma la cosa non le piaceva affatto.

Si sedette sul divano e accese il portatile. Navigò svogliatamente per un po’ su Internet, tra notizie di cronaca, attualità e spettacolo, prima di tornare alla sua cartella personale.

File, grafici, 3D e design, tutto il materiale che lei custodiva gelosamente e che, era convinta, un giorno sarebbe stato la sua fortuna.

Ne parlava di rado e non lo dava molto a vedere, ma anche lei sembrava aver trovato il suo sogno nel cassetto. Lei non era mai stata il tipo da fantasie ad occhi aperti e testa fra le nuvole, e forse proprio per questo, aveva un gusto particolare.

Andava al di là del cantare una canzone o di partecipare ad un film. Si trattava di possedere la sua casa di moda, la sua personale linea di abbigliamento. Lasciare che la sua creatività si sfogasse senza restrizioni, e avere finalmente il controllo su tutto.

Era un’immagine bella, che sapeva di libertà, e ciò che le piaceva di più, era la convinzione che prima o poi si sarebbe realizzata.

In quel momento, Cat uscì dalla camera.

- Ciao, Cat. – le fece, continuando a scrivere sulla tastiera.

Ma dall’amica non giunse reazione. Con passo svelto, attraversò il soggiorno per andare nel cucinino, fiondandosi sul frigo per prendere da bere.

Jade si voltò verso di lei. – Cat? –

Cat continuava a non dire niente. I movimenti erano rigidi come quelli di un automa, e lo sguardo era fisso di fronte a sé, come se avesse la testa altrove. Si scolò l’intero bicchiere d’acqua e lo appoggiò sul tavolo.

- Cat, tutto ok? –

La rossa aggrottò la fronte e andò a sedersi sul bracciolo del divano.

- Cat, che c’è? – le domandò per l’ennesima volta, al limite della pazienza. – Sento che vorresti dirmi qualcosa. –

- Robbie. –

Jade si appiattì contro lo schienale e si passò una mano tra i capelli. – Sì. –

- Non riesco più a parlarci. Sul telefono è irraggiungibile, ai messaggi non risponde… sono giorni che non si fa più sentire! Ho paura che gli sia successo qualcosa! –

La mora scosse il capo. – Non gli è successo nulla, stai tranquilla. Forse è solo molto impegnato in questo periodo. –

- Ma il tempo per chiamarmi l’ha sempre trovato. –

– Evidentemente non può più farlo. –

- Perché? –

Jade dovette mordersi un labbro. – Non lo so. –

Cat la fissò inquisitoria per un paio di secondi, poi si sporse verso di lei. – L’altro pomeriggio hai detto che ci avresti pensato tu. Ci sei riuscita? -

Dal silenzio dell’amica capì che la risposta era affermativa. – Che ti ha detto? –

Jade sospirò. Eccola, l’immensa difficoltà nel tenersi dentro i segreti, nel manipolare le emozioni, nel mentire alle persone care. Le minacce non sarebbero servite a niente. Era sicura che, se Robbie avesse avuto la possibilità di parlarle, avrebbe rovinato tutto, ancora più di quanto non lo fosse già.

– Non c’è stato niente da fare. –

Bastarono poche parole, e negli occhi dolci di Cat Valentine si spense la scintilla. L’iride iniziò a farsi lucida, il collo a tremare, e la bocca a contorcersi in una smorfia di tensione.

Qualcosa si era spezzato, e non sarebbe stato sufficiente un abbraccio per ricostruirlo.

Jade lasciò che Cat saltasse con uno scossone giù dal divano, e che, ad un passo dalle lacrime, corresse a chiudersi in camera.

Richiuse il portatile, lo appoggiò sul cuscino accanto a sé e si portò una mano alla fronte.

Era appena a metà di una giornata come tante altre, ai piedi delle colline di Hollywood. L’ennesima giornata in cui, a quanto pare, faceva tutto schifo.

 

*****

 

Era tutta la mattina che la vedeva strana.

Era ancora più scostante del solito, si rivolgeva con nervosismo ai colleghi e con indisponenza ai superiori, e pareva aver rinunciato a qualsiasi forma di sarcasmo. Non si erano rivolti la parola, ma questo non gli aveva impedito di continuare ad osservarla.

A dire il vero, non si erano più parlati dalla sera della cena aziendale.

Era a questo che ripensava Freddie, mentre rientrava dalla pausa pranzo. Inutile cercare una spiegazione a ciò che era successo, così come era inutile sperare che qualcuno andasse a ringraziarlo.

In fondo, esattamente come aveva previsto, nessuno si ricordava un accidente.

Dopo aver timbrato il cartellino, Freddie decise di passare dall’ufficio marketing. Si presentò con la scusa di controllare che l’ultimo computer riparato fosse a posto, mentre ovviamente, ciò che voleva controllare era Sam.

Appena entrato, però, notò che lei non c’era. La postazione era vuota, in disordine, come se l’avesse abbandonata nel bel mezzo di un lavoro.

Fece comunque un rapido giro tra le scrivanie, poi salutò le altre impiegate e fece per tornare nella tana degli informatici.

Mentre saliva, la sua attenzione fu attirata dal portellone dell’uscita d’emergenza, rimasto inspiegabilmente aperto. Si avvicinò per chiuderlo, e fu allora che la vide.

Sam era seduta sul primo scalino, con la spalla e la testa appoggiate al corrimano, e i capelli sferzati dal vento.

Freddie esitò un istante. Lei non lo aveva visto, per cui sarebbe stato facile proseguire oltre senza fermarsi. Ma sapeva di non poterlo fare. Superò la soglia e si sedette accanto a lei.

Sembrava assorta nei propri pensieri, tanto da non accorgersi della sua presenza.

Gli serviva un motivo per rompere il ghiaccio.

- Sam, che ne è stato di quella famosa pubblicità? Non mi hai fatto sapere più nulla. La Windsor che ne pensa? –

Nessuna risposta, e lo sguardo della ragazza rimaneva perso nel vuoto.

Freddie trasse un profondo respiro e unì le mani. Non importava dove arrivasse la sua buona volontà, semplicemente, certe cose non sarebbero mai cambiate.

- Ok, ascolta. So che probabilmente ci sono migliaia di persone con cui parleresti più volentieri che con me, ma voglio che tu sappia che per qualsiasi cosa, io ci sono. Altrimenti, possiamo restare in silenzio fino a quando vorrai. –

Avrebbe potuto trascorrere un giorno, un anno, un secolo.

Sam non si mosse, ma qualcosa mutò nella sua espressione. Annuì in maniera impercettibile, prima di socchiudere le palpebre.

Era stato uno shock.

- Non credo che tu voglia saperlo. –

- Mettimi alla prova. –

- Ho un ritardo di dieci giorni. –

Freddie si voltò di scatto, gli occhi sbarrati e la bocca spalancata. – Hai… - il fiato gli si mozzò in gola.

Lei sorrise. Il classico sorriso alla Sam Puckett.

- Già… forte, vero? Ho fatto il test. Sono incinta. –

 

*****

 

Aveva finito per trascorrere l’intera giornata chiuso in casa. Aveva scambiato qualche messaggio con Beck, ma alla fine aveva declinato l’invito ad andare a trovarlo in biblioteca per passare del tempo insieme. Aveva trovato una telefonata persa da Freddie, ma aveva rinunciato a richiamarlo. Aveva inviato un messaggio a Cat, ma lei non gli aveva risposto.

La sera, dopo aver cenato da solo a base di sandwich, si era steso sul divano e aveva finito per addormentarsi davanti ad un film piuttosto noioso.

Era mezzanotte passata, quando l’insistente squillo del cellulare lo svegliò. A fatica, Andre si tirò su scostando il cuscino, e si sporse per afferrare lo smartphone sul tavolino.

Si stropicciò gli occhi e guardò lo schermo: Cat.

Si concesse uno sbadiglio, prima di rispondere. – Ehi, Cat! Non mi aspettavo una tua chiamata a quest’ora. Che mi dici? –

Dopo un attimo di silenzio, quella che udì fu una complicata sinfonia di singhiozzi, sospiri e suoni incomprensibili. La voce che dall’altra parte cercava di parlare era squillante e spezzata.

Cominciava a preoccuparsi. – Cat! Cat, stai bene? –

L’amica sembrava senza fiato, e le parole le uscivano appena abbozzate.

- … Tori … - balbettò alla fine, insieme ad altro che il ragazzo non capì.

Andre fu preso dal panico e balzò in piedi. – Tori? Le è successo qualcosa? State tutti bene? –

Cat respirava affannosamente tra le lacrime, ma riuscì in qualche modo a recuperare il controllo. Almeno, quanto bastava per formulare una frase intera.

- Lo so che è tardi, ma ho bisogno di Tori. E’ con te? Puoi chiederle di venire qua? –

Andre si sentì colpire da un potente pugno allo stomaco. Qualcosa non tornava.

- Come hai detto? –

- Ho provato a chiamarla sul cellulare, ma sembra staccato, non mi risponde. Per favore! -

- E… e Jade? – chiese con cautela, quasi timore.

- E’ qui, fuori dalla porta. Non vuole vedermi piangere. –

Il ragazzo si portò il palmo davanti alla bocca e deglutì a forza. Era impossibile.

Nel frattempo, qualunque cosa fosse successa, Cat sembrava aver davvero bisogno della sua migliore amica. - Andre? Ci sei ancora? –

D’istinto, strinse il pugno e serrò la mascella. Era persino in difficoltà a rispondere. – Mi dispiace… Tori non c’è. E’… è uscita. –

L’amica suonò sinceramente delusa. – E sai quando torna? –

A quel punto, non ne aveva la più pallida idea.

Resistette alla tentazione di lanciare via lo smartphone, ma un moto di rabbia aveva già iniziato a consumarlo. - Credimi, mi dispiace sul serio, Cat. –

Si rimise seduto, con la faccia tra le mani.

Ovunque e con chiunque lei fosse quella notte, e Andre era sicuro di saperlo, c’era una cosa ancora più importante, che lo stava facendo impazzire.

Tori gli aveva mentito.

 

   
 
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