Anime & Manga > Death Note
Segui la storia  |       
Autore: sofimblack    02/02/2018    1 recensioni
Dal II capitolo:
«Vuoi una caramella?»
Lui la guardò con attenzione ancora maggiore. Non si erano mai presentati, non si conoscevano, eppure lei non si era presentata né gli aveva chiesto il suo nome. No, lei gli aveva sorriso offrendogli una caramella. Una caramella. Anche lei studiava le persone, non si era sbagliato, ma aveva l’impressione che i loro studi si muovessero su due piani diversi.
[...]Quando però lei gliela porse, e lui allungò la mano per prenderla, accaddero due cose contemporaneamente.
Si sfiorarono appena, e una lieve scossa attraversò entrambi... probabilmente pure questo è un cliché, eppure tramite quel tocco leggero presero effettivamente la scossa, era decisamente così, non ci si poteva sbagliare.
La seconda cosa fece invece cadere Rae nello sgomento. L’atmosfera, da tranquilla e rilassata, si era fatta per lei tesissima. Una sensazione terribile, sconvolgente e in qualche modo triste la attraversò, velandole per un momento gli occhi di panico. 5 novembre, 5 novembre, 5 novembre.

Cosa sarebbe potuto accadere se Rae, una ragazza molto "intuitiva" e dal passato difficile, avesse incontrato Elle durante il caso Kira? Forse il finale sarebbe stato diverso...
Beh, spero di avervi sufficientemente incuriositi! Buona lettura ^^
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

XXIII

Epilogo - pt.2

 

Aprile

 

Alla fine aprì la porta, perché stava imparando a non comportarsi più da vigliacca e ad affrontare le cose e perché il bisogno di aprirla si era fatto intollerabile.
Rivederlo fu per lei come tornare a respirare.
Rivederla fu per lui come mettere a posto l’ultimo tassello di un puzzle complicatissimo.
Eppure, fecero finta di nulla. Fecero finta che tutto fosse normale, lui la sfiorò appena quando entrò nell’appartamento disseminato di libri togliendosi le scarpe, lei lo salutò con un tono di voce indecifrabile.

«Ciao.»
«Ciao, Rae.»

 

 

 

R

 

Oddio, la sua voce, quella sua voce morbida, bassa… no, dai, doveva darsi un contegno, non poteva capitolare per così poco. Ma ritrovarselo davanti così, dopo mesi, mentre la guardava e le parlava… Cavolo. Doveva decisamente darsi una bella calmata.

«Vuoi un po’ di tè?»

Ovviamente aveva centinaia di domande pronte a fuggirle dalle labbra - ce n’erano molte pure ragionevoli - ma alla fine aveva deciso che non gli avrebbe dato la soddisfazione di rendergli le cose facili. Gli aveva soltanto chiesto se volesse del tè, come se la sua presenza lì fosse stata la cosa più normale del mondo. Come se non fossero passati mesi interi dall’ultima volta che si erano visti. Eppure, dal vago sorrisetto che le rivolse, avrebbe giurato di avergli dato molta più soddisfazione con quella domanda rispetto che con una qualsiasi altra. Già, a lui piacevano le sfide. Dio quanto lo odiava. E quanto gli piaceva. E quanto la irritava, stimolava, affascinava, emozionava.

«Sì.»

«Vedo che sei sempre molto educato» commentò lei ironica, leggera, andando a riempire il bollitore con dell’acqua del rubinetto. Mise sul tavolo la sua teiera preferita. Uno, due, tre cucchiaini di tè nero in foglie. L’acqua già bolliva perciò ce la versò dentro con attenzione. Era così strano vederlo lì nel suo appartamento. Così strano eppure così… giusto.
Si era accoccolato sul suo divano, esattamente nel punto dove poco prima era seduta lei, nella solita posizione raggomitolata che aveva scolpito nella mente. Quando il tè fu pronto lo versò nelle tazze, per poi appoggiarle con grande attenzione sul tavolino di fronte al divano. Prese lo zucchero - molto zucchero -, i cucchiaini, due tovaglioli. E poi finì le cose da fare e dovette sedersi per forza, sul divano accanto a lui.

«Sei riuscita a ricomporti, dunque?»

E che cavolo.
Davvero non era cambiato nulla, né la sua facilità nel leggerle dentro, né il suo stupirsi per questo. Certo, stare per conto suo per mesi per poi ritrovarsi ad avere a che fare con lui era piuttosto impegnativo, sotto innumerevoli punti di vista.
Elle - come leggendole nella mente - aveva perfettamente capito che tutto quel tempo le era servito per riprendersi, per calmarsi e dare un tono vagamente più pacato ai propri pensieri irruenti.
Non che ci fosse riuscita granché, comunque.
Decise di non rispondere, limitandosi a versare nel suo tè un po’ di zucchero… in fondo non c’era realmente bisogno di una risposta. Lui pareva del tutto a suo agio, di cucchiaini di zucchero ne aveva versati otto e adesso se ne stava lì, tranquillo, senza avere la benché minima intenzione di portare avanti il discorso. Il modo in cui la guardava la metteva in agitazione, tanto che alla fine Rae si arrese, decidendosi a parlare per smorzare la tensione. Avrebbe fatto ciò che lui si aspettava e la cosa la infastidiva terribilmente, ma al contempo aveva davvero bisogno di sapere cosa volesse da lei.

«Sai, sono mesi che non ci vediamo e ovviamente ci sarebbero mille domande che vorrei farti. Cosa hai fatto in tutto questo tempo? Come stai? Eppure… non so, mi sembra che non sia passato nemmeno un secondo dall’ultima volta che ci siamo visti. Dubito che ti interessi cosa io abbia fatto ultimamente, perciò in realtà c’è soltanto una domanda della quale voglio sapere la risposta. Cosa ci fai qui?»
Dopo averlo detto si sentì sollevata, decisamente più leggera.

«Te l’ho detto. C’è una questione in sospeso.»
Rae iniziò a giocherellare coi propri capelli, vagamente irritata con se stessa. Davvero si aspettava che le avrebbe detto subito quel che lei voleva sapere?
«Beh, il caso Kira è concluso, Yagami si è ucciso, tutto è tornato come prima» replicò lei, sempre più determinata ad avere risposte «Cos’altro manca?»
«Mi pare di averti già detto come la penso sul mentire a se stessi.»
Fu questa cosa a farla definitivamente sbottare.
«Sì, peccato che a quanto pare ciò non si applichi a te, né riguardo al mentire a se stessi né, tantomeno, sul mentire agli altri. Mi sembra che questo metodo “due pesi due misure” sia un filo incoerente sai?»

 

 

 

L


Qualcosa si era riacceso in lui, qualcosa che non provava da mesi. Era il gusto per la sfida. Non c’era colpo che lui non rendesse, come aveva lui stesso detto a Yagami molto tempo prima… ma lo stesso valeva per lei. Aveva ragione, neppure lui era stato totalmente sincero con se stesso. Eppure ci aveva riflettuto bene prima di andare lì, prima di rivederla. Aveva compreso che era davvero insensato contrastare se stesso e, per quanto la cosa continuasse a spiazzarlo un po’, adesso aveva le idee chiare. D’altronde lui era così. Una volta individuato il problema aveva trovato soltanto due soluzioni: tentare di reprimere ciò che provava oppure accettarlo. Aveva cercato di attuare la prima soluzione già durante il caso Kira, fallendo, ma pensando che se non l’avesse più rivista avrebbe tranquillamente dimenticato, sopprimendo qualsiasi cosa fosse nata in lui. Di nuovo aveva fallito, nonostante fossero passati mesi. Era stato perfettamente logico per lui a quel punto decidere di arrendersi, di seguire quelle cose che capiva a malapena e che si erano aggrappate a lui con così tanta forza. Aveva strumentalizzato le parole di Watari, usandole come una sorta di legittimazione che lo aveva portato ad essere lì, su quel divano, in quel preciso momento, senza un briciolo di rimorso. Come sempre aveva bisogno di risposte, di capire. Voleva sapere se il tempo avesse agito almeno su di lei, facendo scomparire ciò che le aveva visto negli occhi ogni volta che avevano parlato.

«Perché credi che io sia qui?»
«Sai che non ne ho idea» sbuffò lei, prendendo un sorso di tè.
«Allora o sei molto meno intelligente di quanto io ti ritenga, ed in tal caso ti ho decisamente sopravvalutata, oppure stai mentendo perché ti spaventa anche solo pensare quello che potrei dirti. Personalmente propendo per la seconda ipotesi ma sono aperto anche ad opzioni alternative.»

Le vide uno scintillio di rabbia negli occhi e quando appoggiò con forza la tazza sul tavolino,  cominciando a parlare, il suo tono aveva decisamente perso qualsiasi pacatezza avesse finto fino a quel momento.
«Sei venuto fin qui per insultarmi? Per caso ti diverti a...»
«Credi che Yagami si sia ucciso?»


Rae rimase per un attimo con la bocca ancora aperta: il repentino cambio d’argomento l’aveva lasciata visibilmente spiazzata.
«Beh… Che vuoi dire?» chiese dopo un po', diffidente «Certo, è morto, hanno trovato il suo corpo e…»
«Non era questa la mia domanda, ma probabilmente mi sono espresso male. Riformulo. Credi davvero che Light Yagami abbia scelto di uccidersi di sua spontanea volontà?»

Finalmente aveva pronunciato ad alta voce quella domanda che continuava da mesi a solleticargli la mente.

«Io…»
Rae si bloccò, stavolta riflettendoci seriamente.
«Non saprei… alla fine, senza il potere di Kira, era tornato ad essere un normalissimo ragazzo e sicuramente il peso delle accuse… anzi no, la consapevolezza delle proprie azioni, deve aver avuto un impatto molto forte su di lui»

«È questo il punto. Lui non ne era realmente consapevole. Non ha avuto il tempo di comprendere a fondo l’entità della sua condanna, non era logorato come forse sarebbe accaduto dopo giorni, mesi, anni di convivenza con quel pensiero. Yagami era una persona intelligente, sveglia, ed ha sempre agito per preservare la propria vita, sempre. Certo, non era più condizionato dal potere di Kira, ma l'istinto di autoconservazione non può certo cancellarsi così, pertanto mi chiedo... perché mai avrebbe dovuto uccidersi? No, io penso che c’entrino in qualche modo gli Shinigami ed il Death Note. Ritengo che nessun essere umano possa continuare a vivere dopo aver posseduto un potere omicida di quel tipo, anche se non se lo ricorda… Credo che si sia condannato a morte da solo nel momento in cui ha scritto il primo nome su quel quaderno» concluse pensieroso, riecheggiando senza saperlo le parole di Watari.

«Ma Misa è ancora viva…»

«Sì, perché Rem era affezionata a lei, e ciò ha reso possibile quella che è senz’altro un’anomalia. Probabilmente non c’è una regola ferrea a proposito, ma gli Shinigami sono dei della morte, pertanto non ritengo plausibile che chi entra a così stretto contatto con loro poi non subisca conseguenze. Rem non avrebbe mai permesso la sua morte, come ben sai, ed è per questo che si è reso necessario agire secondo il mio piano. Ryuk invece non era così. Era super partes, non gli interessava della vita di Light, me lo hai detto tu stessa. Probabilmente è stato lui a far sì che si uccidesse, avrebbe molto più senso, soprattutto considerando il legame che si instaura tra lo Shinigami ed il possessore del quaderno. Oltretutto Misa sarà sicuramente infelice per la morte di Yagami, eppure noi siamo ancora vivi e ciò vuol dire che il piano ha funzionato, che la morte di Yagami e dunque l’infelicità di Misa sono dipese da una variabile successiva, che non ha nulla a che vedere con noi. Sono solo supposizioni, certo, eppure le ritengo più plausibili dell'idea di uno spontaneo suicidio di Light Yagami.»
Fece una piccola pausa, sorridendo amareggiato.
«Alla fine hanno fregato pure me. Questa sarà un’incognita della quale non conoscerò mai la soluzione.»



 

R
 

Suo malgrado, durante il lungo discorso di Elle, un inopportuno senso di sollievo aveva cominciato a diramarsi per tutto il suo corpo. Se fosse stato davvero così… se era stato Ryuk ad ucciderlo… se l’ipotesi di Elle fosse stata fondata - e lui non aveva forse sempre ragione? - beh… in quel caso lei avrebbe potuto fare qualsiasi cosa ma ciò non avrebbe impedito a Ryuk di prendersi ugualmente la vita di Light.

Si disprezzò per aver formulato un simile pensiero, così egoista, così meschino. Eppure… non era forse così che lei faceva in quelle situazioni? Era riuscita a superare il senso di colpa per la morte di sua madre soltanto nel momento in cui aveva inconsciamente trovato qualcun altro da incolpare. In questo caso il colpevole era addirittura un dio della morte, un’entità sulla quale lei non aveva alcun controllo. Ebbene, lei era anche questo. Era un essere umano, debolezze e pensieri ignobili compresi, ed era del tutto naturale cercare di perdonarsi, di liberarsi dai sensi di colpa.
Possibile che mesi di tormenti interiori trovassero così facilmente una conclusione?
Un po’ se ne vergognava, certo, ma lo spirito di accettazione verso se stessa era decisamente più forte.
Guardò Elle, concedendosi una speranza che non provava da mesi.
«Sembri piuttosto sollevata» osservò lui distrattamente, perforandola con lo sguardo.

«Io…»

«Non devi pensare che ciò che è successo sia colpa tua. Anzi. Per merito tuo io sono qui, sono vivo. Per merito tuo abbiamo catturato Kira relativamente in fretta, gli abbiamo impedito di continuare ad uccidere, e siamo riusciti a salvare delle vite umane.»

Rae si sentì improvvisamente avvampare. Non l’aveva mai vista da quel punto di vista. Da quel banale e del tutto ovvio punto di vista. Era talmente concentrata nell’accusarsi che le era sfuggito di essere riuscita nel proprio intento.

 

«Hai ragione.»

Lo disse con un tono talmente stupito che vide un raro sorriso distendersi sul volto del ragazzo seduto accanto a lei.

«Come sempre del resto. Bene, adesso che abbiamo risolto pure questa faccenda, se non ti spiace, gradirei tornare a noi.»
Il vago sorriso scomparve e lui tornò a guardarla col solito sguardo attento, concentrato, studiando ogni sua espressione.
«Te lo chiedo di nuovo. Perché credi che io sia qui?»

Il modo in cui aveva detto quel “noi” l'aveva fatta rabbrividire e certo non in senso negativo, anzi. Si era sciolta all’istante, ma questo non cambiava le cose. Toccava a lui parlare, glielo doveva.
«Mi sono rotta dei tuoi giochetti psicologici. Dimmelo tu perché sei qui».
Lo vide sospirare, come se si fosse aspettato quella risposta, ma lo vide anche lanciarle uno sguardo duro, affilato, sincero. Non come quando risolveva un caso: quella che gli leggeva negli occhi era una determinazione tutta nuova.
«Come desideri, Rae. Te lo dirò, anche se forse non ti farà piacere la mia risposta e probabilmente queste parole giungono troppo tardi. Sono qui perché negli ultimi mesi non riesco a concentrarmi. Sono in grado di fare tutto come sempre ovviamente, le mie capacità deduttive ed intellettuali sono immutate, la mia vita non è cambiata, ma è come se non avessi il controllo della mia mente al 100%. Riesco a pensare a più cose contemporaneamente, ma una di queste è sempre incentrata su di te, nonostante io abbia provato in tutti i modi ad evitarlo. Mio malgrado sono cambiato anche se sono perfettamente consapevole di quanto io rimanga il solito egoista, e ne è una prova il fatto che io sia qui a dirti tutto questo. Tu hai una vita perfettamente tranquilla, normale, una vita della quale non faccio parte. E vale lo stesso per te. Tu non fai parte della mia vita. Eppure, contro la mia volontà, sei entrata a far parte di me. Mio malgrado sono cambiato, è vero, ma sei stata tu a farmi cambiare, a farmi intravedere qualcosa su cui mai mi ero soffermato. Inizialmente la cosa mi ha dato fastidio, perché andava a disturbare il mio lavoro e perché ho sempre ritenuto impossibile che qualcuno potesse influenzarmi in tale maniera, che io potessi provare tali… sentimenti. Eppure adesso non lo trovo più così irritante, anzi, credo che la cosa mi piaccia. Dopotutto il mutare fa parte dell’essere umano e solo gli stupidi non cambiano mai idea, non trovi?»
Calmo. Pacato. Sicuro di sé.
Prese un sorso di tè.

 

Rae dal canto suo era a dir poco sconvolta.
Quello era un evento che aveva dell’incredibile. Nonostante le sue premonizioni, l’intuito, i sogni, mai si sarebbe aspettata una cosa del genere. MAI.
proprio mai? le chiese allora una vocina piccola piccola nella sua testa. Tentennò per un momento, cercando di chiarirsi le idee per poi finalmente arrendersi a se stessa, demolendo ogni dubbio, ogni paura. Ripensò a tutte le volte in cui lui le si era mostrato per davvero, in cui le aveva permesso di sbirciare oltre tutte le corazze con cui si proteggeva. Quando aveva voluto vederla dopo la morte di uno degli ispettori con cui lavorava, come bisognoso di conforto. Quando aveva imprigionato Misa, mostrandosi a lei anche nei suoi aspetti più ignobili, come a chiederle aiuto.
Il loro primo abbraccio. Il suo sguardo. Il suo tocco. Il loro addio.
No, forse lei non aveva voluto vedere per non illudersi, per non soffrire.
Ma adesso lui era lì, a dirle ciò che sentiva.
Era lì, aveva abbassato le sue difese, per lei.
Era lì, e aspettava che lei dicesse qualcosa.


«Contro la tua volontà, eh? Beh, mi spiace essere una simile scocciatura per te.»

Quelle parole galleggiarono per un po’ nell’aria.
Già. Lui si era aperto a lei e l’unica cosa che le era venuto in mente di rispondere era quella. Si era aggrappata all’unica parte di quel discorso che sentiva di poter affrontare razionalmente, finendo per dire un qualcosa di assolutamente sciocco.
Lui però non si scompose e Rae, sorpresa, non vide lo sguardo freddo che si era aspettata, quello che aveva imparato a temere. No, lui le stava… sorridendo?!
Era come se lei, con le sue parole brusche e tutto sommato stupide, gli avesse dato chissà come la risposta che cercava. La conferma che, nonostante il tempo e le cose avvenute, i sentimenti di lei non erano cambiati.

«Esattamente. Contro la mia volontà. Ma vedi Rae, anche tu provi quello che provo io e anche tu lo fai contro la tua volontà» le rispose infatti, serafico e quasi compiaciuto.

Lei rimase per un attimo senza parole.
No, no, no. Come aveva fatto a capirlo? Si costrinse ad assumere un’espressione neutrale, senza accorgersi che tutto in lei mostrava quanto Elle fosse nel giusto, perché lui aveva imparato a decifrare i suoi gesti, le sue fughe davanti a discorsi che non voleva affrontare.
«Forse. Prima. Ma adesso è tutto cambiato.»
A quel punto però lui, con estrema lentezza, si avvicinò pericolosamente al suo volto e, come aveva fatto tanto tempo prima, raccolse con la punta delle dita una ciocca di capelli che le era finita davanti agli occhi, sistemandogliela dietro l’orecchio. Non l’aveva neppure toccata ma bastò quel piccolo gesto a farla arrossire, il cuore in subbuglio, le pupille lievemente più dilatate.
«Non sei mai stata un granché a mentire» commentò lui pacatamente, come se stesse constatando che fuori era nuvoloso.
Accidenti al suo corpo traditore! Non era giusto, non…

Elle si allontanò, tornando ad accovacciarsi con le ginocchia strette al petto, mettendo di nuovo distanza tra loro.


«Ti nascondi dietro muri del tutto simili ai miei, Rae, per questo mi è così facile intuire ciò che pensi. Ma chi rifiuta di capire se stesso, chi decide di non essere autoconsapevole, è soltanto un debole.»

Quel commento le fece male. Quindi lui pensava che lei…
«No. Tu non sei debole. Tu hai paura, e questa cosa ti fa credere di esserlo, ti fa chiudere a riccio per difenderti.»

Calò un pesante silenzio su di loro, mentre nel petto di Rae qualcosa si scioglieva. Qualcosa che era lì da anni, duro, congelato. Qualcosa che da quando aveva scoperto della malattia di suo padre l’aveva fatta rallentare, e che l’aveva bloccata del tutto quando aveva visto sua madre su quel letto. Quell’istinto di autoconservazione che le faceva pensare di essere arida, di non poter provare amore né riceverlo, senza farle capire che in realtà proprio perché era in grado di provarlo in modo totalitario ed intenso era necessario che se ne tenesse lontana, per non ritrovarsi a soffrire terribilmente.
Era vero, aveva paura.
Spostò l’attenzione su di lui. Come faceva ad essere così calmo? Rifletté sotto il suo sguardo attento. Aveva avuto modo di conoscerlo durante il caso Kira, un caso eccezionale, difficile, in cui c’erano in ballo centinaia di vite. Anche le loro. Era ovvio che non si era potuto permettere di mostrarle ciò che pensava, probabilmente non avuto modo di mostrarlo neppure a se stesso. Pure lui era ferito, pure lui si difendeva dal resto del mondo, e vista la situazione era stata senz’altro la scelta più logica allontanarla. La cosa su cui adesso doveva realmente concentrarsi era che lui era lì, davanti a lei, adesso. La cosa importante erano loro due nel presente.
«E tu no? Tu non hai paura?» gli chiese infine con voce debole, quasi in un sussurro.

«Sì. Certo che ho paura.»

Il modo noncurante con cui glielo aveva detto faceva pensare che non ne avesse affatto, ma Rae sapeva che non era così. “Ti nascondi dietro muri del tutto simili ai miei”… era vero. Era tutto tremendamente vero. Lui aveva capito tutto, come sempre, e come sempre ci era arrivato un’infinità di tempo prima di lei. Si sentiva una vera sciocca.

Rae allora si girò verso di lui, trapassandolo con lo sguardo. Alzò una mano e delicatamente, con la punta delle dita, gli sfiorò una guancia. Elettricità. La solita scossa, quella da cui era partito tutto. E seppe che l’aveva sentita anche lui.

 

***

 

Rae si alzò in piedi.
Esitante, delicata, afferrò il bordo della sua maglietta come aveva fatto lui con la sua in quel lontano pomeriggio a Shibuya, quando si erano detti addio. Ma questa volta lei non lo stava trattenendo. Questa volta lei lo stava guidando, perché quella era probabilmente l’unica cosa in cui era lei a poterlo fare. La mente perfetta di Elle, quel meccanismo ineccepibile che riusciva a capire e a produrre cose stupefacenti, era del tutto inservibile davanti ad una cosa simile. Non davanti alle emozioni, no. Perché Elle comprendeva se stesso e per questo si accettava e certo, da una cosa del genere deriva per forza una grande sicurezza che agli occhi degli altri può sembrare freddezza. Ma lui non era freddo, lui comprendeva l’animo umano meglio di chiunque altro e per fare questo era ovvio che avesse provato un’infinità di emozioni: rabbia, dolore, soddisfazione, impotenza, felicità, solitudine, insicurezza, determinazione e mille altre ancora.
Qui però si trattava di un qualcosa di diverso, un qualcosa di cui lui non aveva la benché minima esperienza. Esperienza che lei invece aveva, perché sebbene l’avesse nascosto per anni sotto strati di ostinazione, rabbia e delusione, lei conosceva… l’amore. Non l’amore infantile, soffice, idealizzato e quasi dimenticato che probabilmente Elle aveva provato una vita prima nei confronti dei propri genitori. No. Rae aveva vissuto sentimenti torbidi, terribili, intensi, e conosceva bene quello da cui scappava.
Adesso però sapeva che non sarebbe più fuggita ma anzi, che avrebbe camminato a testa alta nella direzione che l'aveva così a lungo spaventata, e non sarebbe stata sola.
Lei doveva guidarlo.
E lui era disposto a farsi guidare da lei.


Lo portò in camera sua e poi si girò verso di lui, guardandolo con la testa leggermente piegata di lato, come per chiedergli il permesso. Elle allora fece un passo verso di lei.
Poi un altro, ed un altro ancora.
Rae si sedette sul letto, improvvisamente insicura, aspettandolo mentre le si avvicinava. Lui le tolse la matita dai capelli facendo sì che le ricadessero sulle spalle in lunghe ciocche disordinate, ed a quel punto ogni traccia di incertezza gli scomparve dagli occhi. Le sfilò delicatamente la felpa e poi fece lo stesso con la propria maglietta bianca, la pelle bollente finalmente a contatto con quella morbida ed invitante di lei. Rae lo guardava con un’espressione indescrivibile. Fiera, timorosa, splendente. Allungò il viso verso il suo collo, sfiorandogli il petto coi capelli, annusandolo, ritrovando il suo odore. Percorse con la punta delle dita le sue spalle, le sue braccia, il tocco leggero affinché lui si abituasse ad esso. Affinché entrambi familiarizzassero l’uno con l’altra, come se una mossa troppo brusca e avventata avesse potuto rompere la fragilità di quel momento.
Lui si limitava ad osservarla come ipnotizzato, lasciandosi guidare, affidandosi a lei. La mente che elaborava il tutto così velocemente da rendersi inutilizzabile.
Finalmente, dopo mesi, le loro labbra si ritrovarono, con una naturalezza che quasi li spaventò, che quasi li costrinse ad interrompersi per la sciocca paura di scoprire cosa sarebbe accaduto dopo. Quasi. Perché non c’era nulla di cui aver paura, ormai l’avevano capito.
E poi si persero, completamente.

 

 

R

 

In tutto quel groviglio di sensazioni, tanto intense da farle quasi male, di una cosa Rae era certa. Già, perché anche se si stava irrimediabilmente perdendo, anche se per la prima volta in vita sua non aveva davvero la più pallida idea di cosa sarebbe accaduto da lì in avanti, aveva capito che finalmente l’aveva trovata.
Aveva trovato casa sua.

 

 

 

 

 

 

Fine.

 

 

 

 

 

E con questo eccoci qua, ci siamo. Dopo un anno preciso siamo arrivati alla fine, quella fine che da una parte davvero non vedevo l’ora di farvi leggere, perché quell’ultima frase io già l’avevo scritta mesi fa, ma dall’altra… beh. Come già vi ho detto mi sono affezionata a questi personaggi, tanto che è difficile adesso lasciarli andare (anche se forse loro ne saranno contenti dopo tutto ‘sto penare! xD). Rae, a volte così contraddittoria, forte e fragile al contempo. Watari, con la sua calma e le sue pillole di saggezza. Sachiko, breve comparsa che però mi ha permesso un po’ di leggerezza. Light, un ragazzino spietato con manie di onnipotenza, che in fondo era un essere umano contagiato da un potere malvagio e terribile. Ed infine lui, Elle, la mia sfida personale, personaggio difficilissimo che ho tentato di non stravolgere - a volte riuscendoci, altre un po’ meno - e che ho cercato di “completare”, donandogli una dimensione più… umana ecco, che però secondo me è sempre stata lì, per quanto non descritta. Ma che fatica tentare di descriverla senza andare eccessivamente OOC! (Che poi mica sono sicura di esserci riuscita eh…).
Ovviamente le mie paranoie per questo finale si sprecano… poteva starci? è stato troppo? Magari banale? Inoltre il finale col punto di vista esterno, il cavolo di narratore onnisciente… gaaah aiuto! Ero tentata di tenermi questo epilogo per me, perché sicuramente l’happy ending è terribilmente scontato, però sotto sotto sono una romanticona e ho pensato che magari vi faceva piacere leggere questo “secondo finale”... spero vi sia piaciuto.


Scrivere questa storia è stata una cosa lunga (e soprattutto voi che mi seguite dall’inizio lo sapete perfettamente, oh miei poveri lettori), a volte tormentata, a volte divertente, e ci ho versato molto di me nelle parole che scrivevo, diventando un po’ Rae pure io più spesso di quanto non avessi previsto. Che dire, spero che vi sia piaciuta, io sono davvero contenta di avervi avuti accanto in questi lunghi mesi.  :)
E quindi ok, sarò ripetitiva, ma questa sarà l’ultima volta che me lo sentirete ripetere perciò portate pazienza e… GRAZIE!
Grazie davvero, tantissimo, ad ognuno di voi.
Grazie a chi ha messo la storia tra le seguite, le preferite, le ricordate.
Grazie a chi ha recensito, condividendo con me i suoi pensieri. Non sapete quanto è stato importante <3.
Grazie anche a chi mi ha seguita per un po’ e poi mi ha “abbandonata”, scegliendo di non proseguire con la lettura… è giusto che ci siate pure voi tra i ringraziamenti :)
Grazie - davvero grazie - a chi ha speso qualche minuto per scrivermi in privato, dicendomi cosa pensava della storia, mostrandomi sostegno, facendomi sorridere o ridere, a volte preoccupandosi per le mie lunghe assenze.
Siete stati speciali e sappiate che in quei momenti in cui l’ispirazione era inesistente siete stati in gran parte voi il motivo per cui mi sono tanto impegnata a concludere questa storia.
Per finire plagerò un po’ la cara zia Rowling ma insomma… ‘sticazzi :

Grazie a te, che hai letto tutta la mia storia strampalata arrivando fin qui, proprio in questo punto preciso, proprio alla fine.

Vi abbraccio tantissimo e fortissimo.
Sofia

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Death Note / Vai alla pagina dell'autore: sofimblack