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Autore: Sameko    03/02/2018    1 recensioni
Una Genocide rimasta incompleta.
Una Pacifist che si prospetta essere quella definitiva, quella che assicurerà il lieto fine a lungo sperato.
Ma gli ingranaggi erano già stati messi in moto da tempo. Fili che dal passato tendono verso il presente aspettano di intrecciarsi con un futuro ancora incerto. Ed è ora che iniziano le sfide più difficili, in cui anche una mano amica in più può fare la differenza.
L’importante è non perdere mai la propria determinazione.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Chara, Frisk, Sans, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 26: Perché sono ciò che sono - Parte Due




 
Aveva incontrato il re nel suo giardino privato, ritenuti da molti uno degli scorci più incantevoli dell’Underground grazie alla cura che i reali vi avevano sempre dedicato. Era stato solo grazie ai rapporti che suo padre consegnava mensilmente al sovrano che aveva potuto fare la conoscenza di Asgore, a detta di molti il re più buono, mansueto ma giusto fra quelli che si erano succeduti dopo la fine della guerra, capace di continuare a guidare i mostri nonostante gli anni di crisi a cui il crescente sovrappopolamento e la scarsità di risorse stavano portando.
Asgore sembrava sorpreso di vederlo, ma quella sorpresa mista ad una percettibile confusione non minò la natura accogliente del regnante, che si rivelò altro che contento di ricevere una visita tanto inaspettata da lui. Non aveva idea il re che, oltre ad inaspettata, non sarebbe stata piacevole.
« Non sono qui per una visita di cortesia purtroppo, Asgore. » Interruppe così Sans il loro cordiale scambio di saluti, cercando di sbrigare la faccenda velocemente e, soprattutto, senza fare errori. « Mio padre vi presenterà la sua lettera di dimissioni domani e ha mandato me ad avvisarvi della decisione presa. »
Gli occhi di Asgore lo scrutarono stupiti, l’annaffiatoio con cui stava annaffiando i suoi fiori cessò di emettere acqua dai fori del beccuccio. Un silenzio sbigottito calò fra di loro e Sans deglutì internamente, sforzandosi di guardare il re con quanta più fermezza fu capace di radunare mentre il regnante lo fissava smarrito.
« Oh… non credevo tuo padre avesse simili piani in mente, ragazzo. Non me ne ha mai fatto cenno prima d’ora. » Replicò quest’ultimo, con aria mortificata. « Da cosa è dipeso questa sua decisione? »
Lo scheletro saggiò per l’ennesima volta la risposta che avrebbe fornito nel caso quella domanda gli fosse stata posta. Doveva essere convincente, sicuro, forte. Se solo fosse riuscito ad essere impenetrabile, qualunque parola da lui espressa sarebbe suonata veritiera – suo padre glielo aveva sempre detto e ripetuto fino allo stremo
« Io e mio fratello. Noi. » Rispose, provando uno strano orgoglio nel constatare che la sua voce non aveva tremato nemmeno per un istante. « È questa la ragione. »
Asgore lo osservò a lungo, i suoi occhi verdi sotto la luce del sole erano un caleidoscopio di emozioni che si susseguivano tutte chiare e facili da identificare: prima sorpresa, stupore, poi perplessità, confusione e… e tristezza, alla fine.
Sans sentì la propria espressione sfaldarsi sotto quello sguardo, che sembrava comprendere, che sembrava capire, che era quanto di più vicino avrebbe voluto vedere negli occhi del genitore che, adesso, stava tentando con tutto sé stesso di riportare indietro.
« Non posso aiutarti, Sans. Mi dispiace tanto, davvero tanto… se potessi fare qualcosa per la vostra situazione, ti assicuro che non esiterei. »
Il giovane si sentì impietrire di fronte a quelle parole. Il re aveva visto attraverso la sua farsa, aveva… gli aveva anche detto che non poteva fare nulla?!
Gettata via la maschera che si era forzatamente imposto di mantenere, il suo volto si accese di indignazione, di irritazione, di incredulità.
« Vostra Maestà, Asgore, p-perché? Perché non potete?! »
Le labbra del re si piegarono in una smorfia mesta, piena di un’empatia troppo dolorosa per Sans da osservare.
« Non dipende da me, purtroppo… i miei funzionari non acconsentirebbero un vuoto di potere simile, non… adesso. » Rispose affranto Asgore, lo sguardo del mansueto mostro distolto, basso nel fissare senza particolare attenzione i ranuncoli che rivestivano il terreno. « L’Underground è retto da pochi, ma importanti pilastri… uno di questi sono io, il re… un altro, è lo scienziato reale, ruolo che il Dottor Wing Ding Gaster al momento ricopre... e l'ultimo, è quello del Capitano della Guardia Reale. È sufficiente la mancanza di uno di essi per causare squilibrio… loro lo sanno bene… come lo so bene io. Tuo padre è uno dei più valenti scienziati che il regno abbia mai avuto e questa è la ragione per cui… »
« Non è giusto. » Sussurrò tra i denti Sans, incapace di ascoltare una parola di più con la frustrazione che stava cominciando a montare dentro di lui. Era perché non si dedicava ad altro nella vita all’infuori delle sue ricerche che suo padre era ‘il più valente scienziato che il regno avesse mai visto’, avrebbe voluto rispondere inacidito. Era nel suo egoismo, nella sua noncuranza, che risiedeva il segreto della sua tanto decantata genialità, e Sans si sentì sempre più sdegnato man mano che quel pensiero si sedimentava nel suo animo.
Dunque era destinato a vivere ancora così, in questo modo, a raccontare storielle, a coprire gli occhi di Papyrus mentre i suoi restavano inesorabilmente aperti, a soffocare ancora questa incolmabile delusione e rabbia? No… no. Non doveva essere questa la sua vita, non poteva continuare a ricoprire ruoli che non gli competevano, non ne era in grado, non era un adulto! Lui era… era poco più che un ragazzo
La zampa del re si posò consolante sulla sua spalla, calda confronto al freddo che gli stava imperversando dentro, e il giovane quasi trasalì in risposta a quel contatto.
« Sans, so perfettamente quanto può essere difficile accettare una cosa del genere… ma è l’unico modo per andare avanti… » Gli disse Asgore, con la voce tanto calma e placida, come i bracieri quieti di un caminetto. « Farà male a lungo, ma passerà prima o poi… »
Fu allora che Sans sentì le lacrime pizzicargli gli occhi, raccogliersi fastidiose e brucianti nelle sue orbite, nate dalla frustrazione e dall’amarezza.
« Q-quando…? » Sussurrò, con voce debole, stanca.
Aveva percepito il piegarsi del re, ma solo alzando lo sguardo si accorse anche del suo abbassarsi al livello dei suoi occhi, solo per potergli parlare faccia a faccia, da pari a pari.
« Dipende da te, Sans. Ognuno di noi vive il dolore in modo diverso, lo affronta in modo diverso… quando arriverà il momento, riuscirai a lasciarlo andare. »
E Sans, in quel momento, avrebbe solo voluto chiedergli se lui aveva lasciato andare il suo di dolore, quello che a volte poteva leggere nei suoi occhi gentili quando si recava a palazzo con suo padre, quello che lo aveva spinto a dichiarare guerra agli esseri umani, quello che gli aveva fatto perdere la sua di famiglia
Ma non disse, né chiese nulla, si limitò ad accettare quella risposta con un cenno del capo, distogliendo lo sguardo da quello di Asgore, troppo a disagio per continuare a sostenerlo.
Il dolore se ne sarebbe andato prima o poi, a detta del re… ma il non sapere né come, né quando ciò sarebbe accaduto gettò un velo d’ansia nella sua anima. Era solo un’incertezza in un mare di deludenti e quotidiane certezze, una metafora triste di una vita che, seppur giovane, era già stata disillusa parecchie volte.
« Sans, ti prometto che farò il possibile per far ammorbidire tuo padre. Non so se te lo ha mai detto, ma noi siamo amici stretti, c'è una certa confidenza tra me e lui. » Gli promise Asgore, poggiandogli una delle sue zampe paffute sulla spalla… come aveva sempre usato fare suo padre quando Sans credeva di valere ancora qualcosa come figlio, quando suo padre era stato ancora apertamente orgoglioso di lui, quando suo padre gli aveva chiesto di commettere uno dei crimini più atroci di cui ci si potesse macchiare e per cui la sua coscienza non gli avrebbe mai dato pace.
E chiuse gli occhi, perché non ce la faceva ad angustiarsi ancora, perché volle solamente quei ricordi fuori dalla sua testa.
« Grazie… per il favore, Asgore... » Si forzò a rispondere, sperando che tornando a concentrarsi sul re e non sui suoi stessi e sconsolati pensieri potesse aiutare.
Il pollice del sovrano strofinò rassicurante contro la sua clavicola, con l’intento evidente di offrirgli un barlume di rassicurazione.
« Se avrai mai bisogno di un aiuto, un consiglio, o anche solo di goderti una tazza di tè con qualcuno, la mia casa sarà sempre aperta per te e Papyrus. Vi farò conoscere qualcuno di nuovo se ci sarà occasione, così farete nuove amicizie, sarebbe positivo per entrambi di voi»
Per pochi secondi soltanto, mentre le parole di Asgore divenivano una nebbia di suoni indistinti, volle fingere che quella fosse la mano di suo padre, volle perdersi nell’illusione che trasformò il pelo morbido in ossa lisce e conosciute, per riappropriarsi un po’ di quell’affetto che non era più riuscito ad avere né per sé, né per il suo fratellino…
Quando non udì più il vociare ai margini della sua percezione della voce di Asgore, si ricordò che avrebbe almeno dovuto rispondere.
« Me ne ricorderò… » Mormorò, mentre la zampa del re scivolava via dalla sua spalla, la sua anima già sentiva il desolante vuoto di una spiacevole mancanza. « Grazie… »
« Di nulla, Sans. »
Il tono di voce di Asgore, ben più corale e profondo rispetto a quello di Gaster, fece disperdere gli ultimi frammenti dell'illusione che si era così troppo impegnato per costruirsi… e, alla fine, era durata troppo poco
 
Il giorno seguente, si era presentato al laboratorio, facendo del suo meglio per non riportare eccessivi minuti di ritardo – Gaster odiava vedere uno dei suoi dipendenti in ritardo, lui soprattutto, visto che riusciva a presentarsi dopo tutti gli altri persino sfruttando le sue scorciatoie.
Quella volta, tuttavia, lo scienziato non aveva alzato il capo dai fogli che stava compilando per rimproverarlo.
Pensò allora che il suo saluto non fosse stato udito e stava già per andarsene con una leggera smorfia amareggiata. Fu la voce di suo padre a farlo fermare sul posto, a metà strada tra l’ingresso del suo ufficio e la scrivania.
« Sans. » Il suo nome, pronunciato con un’inflessione tendente ad una calcata durezza. « Vieni qui un momento, per favore. »
Il giovane scheletro si voltò, internamente stupito da quel tono di voce, ma fece come gli era stato detto.
Si avvicinò alla scrivania di suo padre, chiedendosi cosa avesse spinto lo scienziato a rivolgerglisi in quel modo un po’ più brusco del solito. Avendo adesso possibilità di osservarlo più da vicino, sembrava davvero di pessimo umore.
Quando il suo genitore mise da parte i progetti delle sue ricerche, il suo atteggiamento possedeva ancora una parvenza di calma. Quando aprì un cassetto e tirò fuori il foglio al suo interno, quella calma era caduta in pezzi, come se uno specchio fosse stato buttato a terra e ridotto ad mucchio di schegge proprio davanti ai suoi occhi… e lo stesso destino lo subì la sua di calma quando quel foglio gli fu quasi sbattuto in faccia – e anche se così suo padre non avesse fatto, Sans sarebbe stato capace di riconoscere quel pezzo di carta anche ad un miglio di distanza.
« Ti dispiacerebbe spiegarmi cosa.è.questo? »
Si sentì mancare ogni parola di bocca in quel frangente, si sentì sbiancare anche se il concetto in sé era assolutamente ironico per uno scheletro, poteva solo fissare raggelato la lettera di licenziamento che aveva trascorso così tanto tempo a falsificare con la calligrafia di suo padre. E quella lettera non avrebbe dovuto essere nelle mani dello scienziato, lui non la aveva lasciata in un posto che Gaster era solito frequentare, lui la aveva nascosta a… a casa.
« Allora? » La domanda inquisitoria del suo genitore fece tremolare per un istante la sua smorfia sconcertata.
« C-come…? »
Lo strisciare rumoroso della sedia quando suo padre si alzò lo fece sobbalzare.
« Come ho fatto a trovarla? » Sussurrò quest’ultimo con un suggerito ringhio, la mano con cui stava stringendo quella lettera falsificata era un pugno tremante di rabbia. « Naturale fare determinate scoperte, se il re mi viene a riferire delle cose che trami alle mie spalle. »
E Sans a stento era in grado di capacitarsi di quanto stava succedendo, non poteva credere che suo padre fosse tornato a casa solo per rovistare tra le sue cose!
L’incredulità e l’indignazione che stava provando doveva essere trasparita sul suo volto, perché l’espressione di Gaster si rabbuiò considerevolmente mentre faceva il giro della scrivania e avanzava verso di lui.
« Sono curioso, tuttavia… cosa avevi intenzione di fare dopo avermi rovinato con successo la carriera, Sans? Qual era il tuo piano completo, mh? » Chiese quest’ultimo, la lettera ridotta ormai ad un grumo di carta informe. Il giovane non riuscì a mantenere intatta la sua espressione sdegnata, non quando aveva inavvertitamente preso ad indietreggiare in risposta all’avvicinarsi del genitore. Un sorriso piatto e innaturale si delineò sul volto di Gaster, un sorriso che non raggiunse le sue orbite, perché quelle erano ferocemente assottigliate e ricolme di un’ira contenuta a malapena. « Ebbene? Dove è andata a finire tutta la tua sagacia, giovanotto? Nulla da dire? »
« Io, io » Balbettò lui, cercando di non lasciarsi intimidire, di reggere quello sguardo senza vacillare – ma stava già vacillando tanto, le mani gli stavano tremando lungo i fianchi. « Volevo solo che tutto tornasse come prima--! »
Lo schiaffo che gli fece voltare la testa da un lato fu una batosta per la sua anima, lo fece rimanere per un attimo immobile, a fissare il muro ad occhi spalancati con la guancia percossa da un sordo pizzicore.
« Non mi interessano le tue scuse. La mia domanda era un’altra. »
Sans strinse i denti del suo sorriso, resistendo all’impulso di massaggiarsi il punto colpito per far acquietare il dolore.
« Non… non c’era altro. E-era tutto lì il mio piano... » Fu in grado di dire, abbassando le spalle tese in un gesto di sconfitta. Il ridursi del sorriso di suo padre in una linea arida, consapevole, lo fece sentire preso in giro, umiliato solo per il gusto di farlo.
« Come sospettavo. » Commentò con tono incolore lo scienziato, dandogli spietata conferma di quello che era stato il volere del suo genitore di fargli ammettere apertamente quanto le sue pianificazioni fossero state incoscienti e superficiali. « Lascia che ti dica una cosa, ragazzo: i problemi si risolvono sfruttando le nostre stesse doti e capacità, non andando ad elemosinare aiuto dagli altri. Meno debiti contrai con altra gente, meglio ti troverai in futuro. Chiaro il concetto? »
Sans annuì, non fidandosi in questo momento della sua stessa voce.
Gaster lo afferrò per una spalla, forzandolo ad incontrare lo scrutare inacidito dei suoi occhi, e lui si sentì scoperto nel momento in cui li incontrò, perché non c’era modo che avesse potuto nascondere in tempo la ferita emotiva che quello schiaffo gli aveva lasciato… erano anni che suo padre non gli tirava nemmeno una piccola sberla, e anche quelle erano state rare quando era bambino, perché aveva sempre cercato di essere ubbidiente e di comportarsi bene… era come se stesse venendo trattato di nuovo come tale.
« Che non si verifichi mai più una cosa del genere, se soltanto vengo a sapere che sei venuto ad importunare il re un’altra volta, ci saranno conseguenze, Sans. »
Aveva annuito anche in risposta a quelle ultime parole, dando silenziosa garanzia a suo padre che non avrebbe più anche solo pensato di compiere simili azioni… ma, di nascosto, aveva continuato a fare visita ad Asgore, a lasciargli qualche volta Papyrus cosicché suo fratello non dovesse trascorrere un pomeriggio intero da solo quando gli orari giù al laboratorio non gli consentivano di rientrare a casa prima di cena. Non era certo la supervisione di un adulto ciò che mancava a Paps, era ormai un teenager ai tempi… era la compagnia ciò che Sans non aveva voluto fargli mancare, e quando aveva sentito Papyrus nominare Undyne e raccontare di lei e degli allenamenti che la ragazza stava tenendo insieme ad Asgore per la prima di tante volte successive, sempre con entusiasmo, sempre con ammirazione, si era sentito ripagato per i rischi che continuava a prendersi. Aveva sempre saputo di non poter essere un modello da seguire per Papyrus ed era stato grato allora ed era grato tutt’oggi che il destino avesse affidato quel ruolo a qualcuno di più... meritevole.
 
E tu, Sans…? “ Gli chiese Frisk, tanto quietamente che ci mancò poco che non si accorgesse dell’intervento della piccola. “ Tu hai mai avuto qualcuno… un modello a cui ispirarti?
Io…? ” Domandò lo scheletro, sinceramente preso in contropiedi da quell’interrogativo che sembrava, tuttavia, avere una certa importanza per la giovane.
Sì, sai… qualcuno come un amico, un conoscente, qualcuno come… tua… madre…? ” Qualcosa di molto chiassoso parve scattare nei pensieri di Frisk. “ Sans… tu, fino ad ora… non ho ancora visto la tua mamma… ”
Sans restò per un istante perplesso dal rammarico della ragazzina, non intuendo inizialmente da cosa fosse stato originato, ma si accinse subito a risponderle prima che potesse rattristarsi per la perdita di una persona che, fondamentalmente, non era mai esistita nella sua vita.
Non angosciarti, piccola. Io e Papyrus non abbiamo mai avuto una mamma, solo… solo lui.
Il rammarico di Frisk si placò in parte, sostituito invece da una crescente confusione.
Ma… aspetta… vorresti dirmi che gli scheletri non hanno bisogno di una compagna per avere dei figli…?
Direi di no… non più ormai. ” Percependo tuttavia il mancato appianarsi della confusione della ragazzina, si convinse a darle qualche altra nozione per spiegarle qualcosa che per lei, ovviamente, appariva estraneo, se non addirittura bizzarro. “ Non è stato sempre così. Prima della guerra, funzionavamo biologicamente come qualunque altra specie, ma quando i mostri sono stati rinchiusi qua sotto… beh… la nostra specie era destinata all’estinzione senza più nessuna femmina rimasta in vita. Gli scheletri producono naturalmente grandi quantità di magia, magia molto più versatile rispetto a quella di molte altre specie di mostro, e i nostri antenati si sono dovuti arrangiare con quella per avere dei discendenti.
Trascorsero pochi momenti di silenziosa riflessione prima che potesse tornare a sentire Frisk.
Quindi, un solo scheletro ne può generare altri? ” Suppose lei e Sans annuì immediatamente, contento che non avesse avuto poi tante difficoltà ad afferrare quel concetto. “ E non è mai nata una femmina?
Boys only. ” Replicò lo scheletro, con un velo di nonchalance che suscitò una leggera ilarità da parte della ragazzina.
Voi scheletri siete delle amebe in pratica... ” Commentò quest’ultima… e nessuno dei due fu in grado di trattenere una lieve risata nasale. Quanto ingegnosa era a volte la sua piccola, lei era… era davvero una persona fuori dal comune, per riuscire ad assecondarlo persino dopo quanto le aveva mostrato.
Era difficile, così difficile tirar fuori dal suo bagaglio mentale tutti quei ricordi, che quanto più prossimi diventavano al suo presente tanto più si ingrigivano, ma lei stava cercando di aiutarlo dove poteva, quando poteva e quando lui glielo consentiva… lasciando anche in sospeso quelle domande che possedevano una risposta intuibile, ma non per questo meno desolante: il suo modello di riferimento era sempre stato Gaster, aveva voluto diventare come lui sin da quando ne aveva memoria… ironico quanto, adesso, il solo pensiero lo disgustasse.
 
Nel momento della venuta del sesto umano, l’ultimo prima della caduta di Frisk, Gaster lo aveva spedito in solitario ad occuparsi della faccenda, perché impegnato in qualche assurda ricerca o esperimento dei suoi, che considerava sicuramente più importante del dedicare almeno una misera ora al giorno ai suoi due figli.
« Sono più che certo che riuscirai ad occupartene da solo. Portamelo una volta che hai finito. » Gli disse il maledetto da sopra una spalla, mentre armeggiava chinato sul suo tavolo da lavoro, tono vuoto di qualunque simpatia, come se avesse voluto mandare in fumo velocemente qualunque possibilità di protesta. Se era stato quello l’intento, beh, Gaster non lo aveva raggiunto, perché non era riuscito a rimanere in silenzio, ad essere obbediente esattamente come gli veniva sempre richiesto di fare.
« Pa’, per favore, non p-posso andare da solo… » Balbettò, ad occhi sgranati.
Non poteva chiedere a lui di fare una cosa simile, di farsi carico dell’intera, lacerante colpa che lo avrebbe piegato dopo, non riusciva nemmeno a dormire la notte tra poco, non quando si svegliava urlando come un disperato ed era suo fratello ogni volta a farsi carico della sua paura e provare a calmarlo, pur non sapendo di cosa trattassero i suoi incubi, perché Sans non gliene aveva mai parlato, nemmeno accennato.
« Ancora terrorizzato alla tua età da un paio di umani, Sans? » Lo interrogò Gaster, insinuando, disprezzandolo con la sola voce.
Ed era vero, lui era terrorizzato, ma non per il motivo che lo scienziato aveva toccato: lui aveva paura per loro, aveva paura per l'umano che avrebbe affrontato, aveva paura che sarebbe stato un bambino il suo avversario, aveva paura di quello che le sue capacità gli permettevano di fare ad un innocente, lui e-era… non poteva parlare adesso, la sua voce sembrava essere sparita, non riusciva a richiamare la magia per tramutare il pensiero in suono.
Le palpebre di Gaster si abbassarono sempre più inesorabilmente sulle luci torve dei suoi occhi, mentre lui abbassava i suoi, smarrito, pieno di vergogna. Non poteva f-farlo, n-no, no…!
« Questo è un test per te, Sans. E lo devi passare, ci siamo capiti? »
« I-io… » Balbettò il giovane scheletro, prima di essere ridotto al silenzio con un gesto snervato della mano di Gaster.
« Basta repliche. Tu farai come ti dico. » Sentenziò definitivo, con l’emergere di una palese ed irritata impazienza nella voce, cattivo segnale che lui non doveva assolutamente ignorare. « Osa tornare senza quell'umano e puoi considerarti licenziato. »
Sans deglutì, le mani avevano preso a tremargli ai lati del corpo, i suoi arti erano divenuti stecchi di legno. Non poteva fare q-questo, non p-poteva, non ne era in grado! M-ma suo padre lo avrebbe licenziato, lo avrebbe licenziato e tolto dal suo incarico se non lo faceva… ed era lo stesso padre a cui non sembrava interessare che suo figlio, non un mostro qualunque, ma proprio suo figlio stesse tremando dalla paura davanti a lui – non dava segno che gliene importasse minimamente.
Strinse con forza le palpebre, con così tanta forza che le ossa al di sotto delle sue orbite si raggrinzirono, ingoiando a fatica le sottili lacrime che si erano accumulate all’interno dei suoi occhi.
« S-sì… »
La scorciatoia in cui sparì dall’aura opprimente del suo genitore lo portò nel bel mezzo di Waterfall, fra i sussurri delle cascate, fra la penombra e il chiarore dei Fiori dell’Eco. Tutta quella calma rese ancora più assordante il tremolio delle sue ossa, i battiti della sua anima che parevano forti singhiozzi
Si portò le mani contro il volto, respirando attraverso le falangi, cercando di calmarsi, stava iperventilando e la testa gli girava.
Si costrinse a prendere respiri lenti, a respirare fino a riempire d’aria la sua cassa toracica, concentrandosi solo sull’allargarsi e restringersi delle sue stesse costole.
Dentro e fuori dentro e fuori, dentro e fuori, dentro e fuori, dentro, fuori… dentro, fuori… dentro… f-fuori
Cercò disperatamente di razionalizzare con sé stesso, convincersi che nessuna quantità di ansia, nessuna quantità di angoscia avrebbe potuto evitargli questo… era una cosa che doveva fare, che gli era stata ordinata di fare… o suo padre non gli avrebbe lasciato tenere il lavoro, e quella era una delle poche cose che potevano distrarlo, che potevano distogliere la sua attenzione almeno per qualche ora dalla colpa che aveva dentro quando non c’era Papyrus c-con lui… e magari era meglio così per quell’umano, perché suo padre era spietato, Sans aveva visto personalmente quanto potesse essere violento e incapace di compassione quando si trattava di dare la caccia agli umani, e magari lui… lui sarebbe stato meno spietato, lui sarebbe stato un avversario più caritatevole
Si strofinò con forza le mani contro il volto, ricacciando ancora indietro le lacrime, il groppo nella sua gola che era soffocante quanto un sasso. Doveva andare, doveva iniziare a cercare quell’umano, o questo incubo non sarebbe mai finito – e sapeva che nemmeno così avrebbe risolto qualcosa, perché gli incubi reali potevano finire, ma quelli nella sua testa, quelli che lo tenevano sveglio la notte e che lo tormentavano di giorno… quelli non se ne sarebbero mai andati completamente.
Quando incontrò il bambino, quando finalmente lo vide, ogni suo proposito di mantenere la calma finì quasi per crollare. Quel piccolo aveva un viso paffuto, due occhi curiosi che lo osservavano dalle lenti di un paio di occhiali, reggeva sotto mano un notebook dalla copertina leggermente logora.
« Ehi, sei un mostro anche tu, vero? » Lo sentì chiedergli, tono analitico ma velato da una leggera sorpresa. « Non ho incontrato specie simili alla tua fino ad ora, sei il primo scheletro che vedo. »
Il giovane scheletro lo fissò tremando, a stento in grado di astenersi dall’ansimare. Era troppo innocente, troppo, troppo curioso, troppo p-piccolo… O-oh dio
Le mani ai lati del suo corpo così inverosimilmente rigido divennero pugni agitati. Non p-poteva farlo, non poteva fargli del male, era un bambino, era solo un bambino troppo curioso per il suo stesso bene, perché non era potuto venire suo padre insieme a lui, non ce la poteva fare d-da solo
Ma suo padre si era detto certo che lui se la sarebbe potuta cavare da solo. E-e… e se c’era una cosa che aveva ormai inchiodata nel cranio, era che raramente Gaster faceva errori di alcun genere.
« Va tutto bene lì? »
Il risentire la voce del bambino fu un campanello nella sua testa, un promemoria per ricordargli dov’era e in che posizione si trovava… ed infine un segnale, per la sua mente, che qualcosa di conosciuto e incredibilmente temuto si stava di nuovo per ripetere.
Come se si fosse alzata una barriera impenetrabile intorno alla sua anima, estrema angoscia, ansia, pensieri di incapacità e di nervosismo vennero bloccati, lasciati ad agitarsi in un angolo buio di cui sapeva che, in quel momento, non avrebbe dovuto preoccuparsi.
Quando risollevò le palpebre, aveva un sordo vuoto dentro di sé, intorno a sé, un vuoto che lui accolse con benevolenza, con lo spettro di una tranquillità innaturale e piatta… era una promessa di lucidità e di controllo di cui aveva avuto disperatamente bisogno. Gaster gli avrebbe detto, in seguito, che quel vuoto che aveva sentito era il LOVE, quello che aveva accumulato quando lo scienziato aveva lasciato a lui il ‘privilegio’ di uccidere il secondo umano che avevano affrontato assieme… e più ne avrebbe accumulato, più sarebbe stato semplice per lui compiere le azioni che era tanto terrorizzato alla sola idea di portare a termine.
Alzò un braccio, il muoversi delle ossa, delle giunture e lo spostarsi del tessuto della felpa fu un insieme di sensazioni nebulose e distanti.
Il Blaster si materializzò, l’ombra enorme del teschio oscurò l’area di terreno intorno a lui, il suo avversario guardò con occhi sbigottiti ad una simile apparizione, Frisk stava faticando a mantenersi concentrata abbastanza su quella scena e lui non poteva proprio biasimarla
Il cannone fece fuoco con un ruggire di magia rovente come magma, ma l’umano fu in grado di schivarlo finendo carponi a terra, i suoi occhiali scivolati via da qualche parte quando si era mosso per evitare il fascio d’energia.
Eh… si era reso conto che quel cannone non era un giocattolo…
 
Lo sbigottimento di Frisk di fronte alla fredda ilarità del suo sé passato lo addolorò, ma il dolore non superò la vergogna di essere stato lui, e non qualcun altro, a pensare una cosa del genere. Era un pensiero espresso troppo a cuor leggero, stonato, carico di un sottile cinismo, e lui se ne vergognava profondamente. Avrebbe tanto voluto tralasciare alcuni pezzi della sua vita, ma si era tuttavia ripromesso di mostrarle ogni cosa, ogni suo lato per quanto riprovevole fosse, e non voleva rimangiarsi la parola, non più… Frisk, d’altronde, non gli aveva nascosto nulla quando le parti erano state invertite – e anche lei si era vergognata di sé stessa più volte di quante Sans fosse stato capace di contare.
E, proprio per questo motivo, non permise a quel ricordo di interrompersi
 
« Sei più intelligente di quanto credessi, piccolo. L’umano prima di te non lo aveva intuito in tempo, eh eh. » Si sentì commentare, con un sorriso sottilmente snervante in volto. Quella considerazione scanzonata fece disperdere ogni colore sul viso dell’umano, che scelse di correre via invece che affrontarlo – scelta saggia quella di non consentire alla curiosità di provare ad ucciderti un’altra volta. Lo perse di vista per pochi secondi a quel punto, ma gli fu fin troppo semplice rintracciarlo nuovamente per mezzo delle scorciatoie.
Da lì in poi, fu solo una questione di capacità d’osservazione, di attenzione nel cogliere un breve sguardo consapevole, un movimento arrestato prematuramente, un cambio di strategia insolito, il ‘singhiozzare’ dell’ambiente intorno a lui, tutti particolari che suo padre gli aveva insegnato a riconoscere e che, se notati, erano la chiara indicazione che l’umano aveva ricaricato in precedenza in quel medesimo punto e che lui, da parte sua, avrebbe dovuto rendersi imprevedibile al momento opportuno.
E Sans impedì a Frisk di vedere anche il trascinarsi di questa battaglia, quella che aveva costituito l’ultimo, disperato tentativo del bambino di opporsi a lui e che, proprio per questo, era l’unico che la sua memoria aveva stabilmente memorizzato. E le risparmiò, anche, la vista di quello sfortunato piccolino crollare sulle proprie ginocchia a fine scontro, piangente e ferito, supplicandolo di fermarsi, di avere pietà, di non ucciderlo più.
Lo portò al laboratorio subito dopo per darlo in consegna a suo padre, già in attesa all’ingresso con le braccia incrociate contro il petto.
Sans evitò il suo sguardo per quelli che avrebbero potuto essere minuti, mentre al suo fianco l’umano stava malamente tremolando sotto la mano che gli aveva poggiato sopra la spalla, in un segno di rassicurazione vuoto, falso ed ignobile – esattamente come si sentiva lui in quel preciso momento.
« Ottimo lavoro, Sans. » Udì Gaster complimentarsi, il tono impersonale permise allo stato apatico del giovane scheletro di durare ancora, di non spezzarsi sotto lodi genuine rivoltegli per azioni tanto imperdonabili. « Puoi andare. »
Percepì l’umano tendersi al di sotto delle sue falangi, ma ignorò quel movimento, ed ignorò persino il lieve serrarsi di quella mano ferita attorno alla sua felpa quando suo padre prese il piccolo per un braccio per condurlo via.
Fu sul punto di imboccare la scorciatoia per casa, quando sentì la voce di quell’umano raggiungerlo in un sussurro colmo di disperazione e terrore.
« A-aiutami… »
Un angolo del suo sorriso si tese fino allo stremo, mentre uno stralcio di pentimento e angoscia tornò ad affliggerlo. L’umano si era rivolto a lui per un soccorso, per un aiuto, allo stesso essere che gli aveva fatto passare le pene dell’inferno prima di concedergli una pietà che era stata, in realtà, una condanna definitiva, come se avesse compreso che solo con lui avrebbe potuto avere una speranza di salvezza, mentre con suo padre avrebbe trovato unicamente la morte.
Non appena quel briciolo di emozioni riaffiorò, la sua mente lo represse per lui, forzandolo a restare inalterato, totalmente incurante verso il destino di quell’umano. Il lavoro era stato portato a termine. Poteva tornare a casa, solo questo contava.
Quando uscì dalla scorciatoia, davanti ai suoi occhi insensibili si aprì la vista familiare dell’appartamento suo e di Papyrus.
« Paps, sei in casa? » Chiamò, il suo tono di voce reso allegro dall’abitudine, ma troppo palesemente forzato per i suoi gusti – si augurava, almeno, che non sarebbe suonato forzato a suo fratello.
Non ci fu risposta. Papyrus era ancora a scuola e sarebbe tornato solo a distanze di ore. Se n'era momentaneamente dimenticato.
Appena quella considerazione venne elaborata dalla sua mente, le ginocchia gli cedettero e il suo sorriso plastico si trasformò in un urlo lancinante, tutto l’orrore represso tornato indietro con la violenza di una martellata sulle costole, e solamente per riversarsi in quel suono disumano che scosse ogni osso del suo corpo – nemmeno riconobbe quella voce come propria, troppo acuta, inorridita, per essere la sua voce.
Quando le ginocchia toccarono terra, si piegò su sé stesso, le dita delle sue mani andarono a scavare nei suoi avambracci, tirando, graffiando spietatamente il tessuto della felpa, mentre il suo urlare sempre più roco veniva consumato dal pavimento. Aveva ripetutamente ammazzato un bambino, doveva aver fatto tutto quello che di orrendo Gaster gli aveva insegnato avrebbe dovuto fare, perché solo le cose orribili spezzano le persone in quel modo, non lo aveva nemmeno aiutato quando gli aveva chiesto aiuto, si era voltato, voltato, VOLTATO, lo aveva i-ignorato
Era davvero una bestia anche lui – una bestia che si pentiva di tutte le azioni mostruose che aveva compiuto.
Non c’era nient’altro che lacerante, dolorosa agonia nella sua anima, al punto che pensò si sarebbe spezzata in due di lì a breve e lui con lei – e sperò sarebbe accaduto, così quell’inferno sarebbe stato finalmente costretto a lasciarlo andare. Ma non successe, la sua anima rimase insopportabilmente intera, un pezzo di terra nella sua gabbia toracica, e le sue urla si ridussero infine a ruvido ed ansimante pianto.
Sollevò lentamente la fronte dal pavimento, le sue mani lasciarono il tessuto della sua felpa con la rigidità di un paio di artigli e finirono a ciondolare lungo i suoi fianchi, a sfiorare leggermente la moquette.
Sbatté le palpebre, nel tentativo di schiarire la propria vista annebbiata, due righe di lacrime lasciarono le sue orbite scavate dal tanto piangere. La testa gli pulsava lungo tutto il lobo frontale, stava ancora tremando come una foglia umida e strappata, e si sentiva orrendamente stanco, ed era stanco, esausto
Appena i suoi occhi si posarono sul divano del salotto, non tanto lontano da dove si trovava, si mise indolentemente a carponi e lo raggiunse quasi strisciando durante l’ultimo tratto.
Alzò una mano oltre il bordo di un bracciolo per prendere un cuscino, le sue falangi si chiusero con più forza del necessario intorno alla trama di uno di essi e lo tirò a terra. Vi lasciò cadere sopra la testa, stringendolo debolmente con un braccio, raccogliendosi in posizione fetale sul pavimento e singhiozzando nella sua stessa miseria.
Volle solo dormire più profondamente che poteva… senza incubi… senza paure… e svegliarsi, ma solo nel momento in cui il suo orologio biologico lo avrebbe avvisato dell’arrivo prossimo del suo fratellino. Aveva bisogno di pace, di silenzio… per favore, ne aveva perdutamente bisogno, solo per queste ore
La stanchezza ebbe la meglio su di lui dopo un tempo interminabile, trascinandolo in un sonno privo di sogni, come un cielo che aveva perduto le sue stelle.
La sua situazione non migliorò nei giorni seguenti, era come se con quell’urlo avesse espulso qualunque energia, volontà, sincera emozione… era confinato a letto, senza l’intenzione di alzarsi se non per poche, essenziali ragioni... e aveva ignorato qualunque chiamata o messaggio sul suo cellulare che non appartenesse ad Alphys, l’unica amica che potesse davvero considerare tale. Ma non importava quante volte lei avesse cercato di convincerlo, fargli coraggio, supportarlo, rimproverarlo con un tono tendente al remissivo, non era riuscita a farlo tornare al lavoro… a questo punto, non gli importava più di nulla, nemmeno di quello stupido impiego, il motore che aveva innescato la serie di eventi per i quali si trovava adesso in uno stato pressoché larvale.
A completare il quadro sconsolante della sua condizione, la preoccupazione di Papyrus nei suoi confronti stava diventando difficile da ignorare.
« Sans! È tardissimo, devi andare al lavoro! Cosa ci fai ancora a letto?! » Strepitò il ragazzino sulla porta della sua camera, la sua ombra snella oscurava la maggior parte della luce che si era riversata nella stanza.
Sans spostò leggermente la testa in direzione del minore, le luci nei suoi occhi nemmeno formate – non voleva vedere niente, voleva solo mantenere intatta quell’oscurità in cui si stava ormai abituando a giacere… lì, almeno, poteva provare una parvenza di sicurezza, rassicurazione, per quanto flebili e volatili fossero. Si rimise sotto le coperte con un sospiro inespresso; prevedibilmente, i richiami di Papyrus si fecero più insistenti quando non ricevette risposta.
« SANS! »
Quel gridare lo fece rintanare maggiormente nel suo bozzolo.
« Non ci vado oggi, Paps… » Disse, la sua voce roca per il mancato utilizzo degli ultimi giorni. « Va' a scuola, da bravo… »
« No, Sans! Mi avevi detto che oggi ti saresti alzato, me l’hai detto ieri sera! » Lo sentì avvicinarsi, lo sentì prendergli le coperte e cercare di togliergliele. « Fratello, avanti, so che ce la puoi fare! Alzati, fatti una doccia, mettiti le prime cose che vedi, so che può essere difficile, ma ce la puoi fare »
Il maggiore allungò una mano, afferrò con un’accennata ostinazione il lembo di coperta di cui era stato privato.
« No… tu non lo sai… » Sussurrò, rifiutandosi ancora di guardare in faccia lo scheletro più giovane, un germoglio di irritazione si stava pericolosamente facendo strada nella sua anima. Era stanco di dovergli necessariamente rispondere, perché suo fratello non afferrava il messaggio?
Pochi secondi di silenzio, solo per pochi secondi Papyrus era rimasto tranquillo… ed eccolo che stava cercando di nuovo di togliergli quella dannata coperta di dosso.
« Sans, non è vero, io lo so, io lo vedo, io- »
« Papyrus. » Ringhiò quietamente, emergendo con un mezzo scatto dall’ammasso di trapunte accatastate sul suo corpo, le luci si accesero con uno scoppiettio morente nei suoi occhi torvi. « Basta. »
E si stupì lui stesso di quanta fredda irritazione e scocciatura avesse impresso in quella richie
… Ma… ma era davvero stata una richiesta? Non la aveva percepita come tale quando la aveva espressa così all’improvviso…? Quel dubbio si concretizzò definitivamente quando notò l’immobilità di Papyrus, il suo mutismo, la pozza di mortificazione in cui la sua insistenza si era sciolta… qualunque briciolo di irritazione potesse essergli rimasta si dissolse nell’istante in cui incontrò lo sguardo smarrito di suo fratello, venato da un primo sorgere di vergogna per essere stato rimproverato da lui, e un barlume di risentimento nei suoi confronti per quella reazione così severa, così ingiustificata, se si considerava che il suo fratellino era lì soltanto per aiutarlo… non poté sopportare di identificare nessuna di quelle emozioni sul viso del più piccolo, non poté sopportare il pensiero che Papyrus ce la avesse con lui.
« P… ap… » Bisbigliò e si sentì come se dovesse piangere. Allungò le mani, circondò la vita di suo fratello, sperando che non lo respingesse, sperando che non lo rifiutasse. « Mi dispiace… p-per favore, non o-odiarmi »
Non odiarmi come io odio lui, avrebbe voluto dire in realtà, ma era un codardo, soltanto un codardo… e un egoista per chiedere questo, sapeva che nello stato miserevole in cui si trovava avrebbe impietosito facilmente suo fratello, coercizzandolo nel respingere quei sentimenti che avrebbe invece potuto – dovuto – riservargli… e non lo stava facendo coscientemente, voleva solamente non essere odiato, non essere disprezzato…!
Le braccia di Papyrus risposero subito al suo debole abbraccio, lo riadagiarono sul cuscino con serenità, una serenità che gli fece piangere ancora di più il cuore per aver avuto un simile scatto di rabbia.
« Non ti odio, Sans… cerca di non pensare a queste brutte cose… » Gli rispose il minore, tono calmo, quasi paragonabile a quello di un sussurro. Suo fratello si sdraiò poi accanto a lui, tenendolo stretto al proprio petto, senza dar segno che avrebbe sciolto quel gesto d’affetto tanto presto. « Ti voglio bene, fratello… »
Sans percepì i suoi stessi occhi inumidirsi.
« Ti… ti voglio bene anch’io, P-Paps… » Mormorò, premendo il volto contro la spalla del suo fratellino. Avrebbe voluto continuare ad essere stretto così da Papyrus, per sempre se solo ce ne fosse stata la possibilità… era l’unico, egoistico desiderio che davvero possedeva… e, proprio per questo, era irrealizzabile. « Non puoi stare q-quiDevi andare a scuola… ti farò arrivare in r-ritardo »
Chissà quanti minuti preziosi aveva già perso per un buono a nulla come lui…
Papyrus scosse piano la testa e lo riattirò dolcemente a sé nel momento in cui lui aveva, a malincuore, cercato di interrompere il loro abbracciarsi.
« Per un giorno posso anche saltare le lezioni. Recupererò facilmente. » Gli disse sicuro il ragazzino. « Voglio stare con te oggi... »
 
E suo fratello era rimasto esattamente come gli aveva detto, nonostante si fosse sempre proclamato nemico dell’immobilità e dell’eccessivo sonnecchiare… un barlume di felicità gli aveva fatto inclinare le estremità del suo debole sorriso verso l’alto, mentre… mentre l’espressione di suo fratello era stata adornata da un sorriso triste… e lui, all’epoca, non era stato in grado di cogliere quella sfumatura amara sul viso del minore.
Erano più di quante ne ricordasse le occasioni in cui aveva deluso Papyrus con le medesime dinamiche, o con altre ancora… e c’erano pezzi qua e là, dettagli che gli erano sfuggiti, espressioni che la sua memoria aveva reso meno affrante di quanto in realtà non fossero state… tutto a causa di quel demone, delle azioni che lui aveva compiuto… e anche a causa della sua ingenuità. Solo uno sciocco avrebbe potuto seguire una canaglia del genere… e lui era stato esattamente quello sciocco, quello di cui Gaster aveva avuto bisogno...
Un calmo disaccordo fu a lui diretto dalla piccola, che stava cercando di raggiungerlo ormai da un po’, sin da quando aveva visto quel suo sé passato crollare a terra, urlante e piangente per qualcosa che lui stesso aveva fatto. E Sans non capiva, non capiva come potesse Frisk volerlo avvicinare. Era rimasta chiaramente atterrita di fronte al destino che quel bambino aveva subìto, avrebbe dovuto provare un netto disgusto nei suoi confronti… perché, invece, questa calma e questo disaccordo?
 “ Sei stato manipolato, Sans… ” La piccola lo stava giustificando. “ Era tuo padre, non potevi pensare che…
E Sans non poté tollerare che lei proseguisse ancora.
Avrei potuto rifiutarmi, l’hai visto anche tu che avrei potuto se solo… se solo avessi avuto il coraggio di rivoltarmi contro di lui… non mi ha costretto nessuno, ho fatto tutto d-da solo e… e non sai quante volte mi sono ripetuto parole simili in questi anni… erano il mio alibi, le mie scuse, per sentirmi meno in colpa… “ E nessuna di esse aveva avuto un effetto duraturo, se persino a distanza di anni quei peccati gli pesavano ancora sull’anima, schiacciandola, rischiando di soffocarla ogni volta che i suoi pensieri vagavano per quei lidi maledetti. “ Sono stato un i-ingenuo, non ho mai avuto nessuna vera giustificazione…
Il suo amaro e intenso dissenso non fu sufficiente a cancellare i sentimenti di conforto di Frisk, la comprensione che gli stava riservando.
Ho visto un padre fare leva sull’adorazione e sul rispetto che suo figlio aveva per lui… sapeva che, se solo lo avesse fatto, tu non ti saresti potuto rifiutare… eri piccolo, Sans, e non eri in grado di distinguere facilmente ciò che era bene da ciò che era male, lui te l’ha reso difficile, perché… perché ha fatto in modo che tu avessi paura di loro, che tu non vedessi che erano solo dei bambini, che tu non potessi accorgerti che anche se non erano mostri erano comunque delle vite innocenti… te ne sei accorto da solo e avresti potuto non accorgertene nemmeno… e io non sarei stata qui con te, a quest’ora…
Sans era sempre più stupito, quasi vicino allo scioccato. Come poteva lei…? Come…? Pensava che dopo questo, che dopo averlo visto combattere da solo quel bambino, che dopo averlo visto trattare male Papyrus, lei non avrebbe più voluto saperne di continuare, o persino di stargli vicino.
Frisk, come f-fai… come riesci ad essere…?
Sei mio amico, Sans… non ti lascerò, te lo avevo detto. ” Lo interruppe Frisk, la sua determinazione viva e palpitante come una fiamma, la sensazione che gli lasciò addosso non dissimile da quella che la vista della magia di Chara gli aveva fatto provare… e non trovava strano un simile paragone, parte della determinazione che Chara possedeva la doveva a Frisk, esattamente come doveva a lui la magia che era in grado di sprigionare.  “ Ora, sono ancora più decisa di prima a mantenere la parola data. Se la tua paura è quella di diventare come lui, allora allontanarti da me è fuori questione la considereresti la prova schiacciante che i tuoi timori erano sempre stati esatti, che se le persone ti allontanano è perché tra te e Gaster non c’è più niente che vi separa… non è vero? ”
Rimase momentaneamente in silenzio dopo quanto la ragazzina gli aveva detto, perché combaciava perfettamente con quello che era il suo consueto modo di pensare e non… non gli fu semplice ammetterlo apertamente.
Sì… è così… ma… ” Frisk non era disposta a demordere, percepiva la decisione con cui lei stava cercando di fargli vedere il proprio punto di vista… ma neanche lui era disposto ad arrendersi in questo caso. “ Piccola, non hai nessun obbligo, non devi rapportarti con me perché senti che non puoi fare altrimenti… io… io h-ho fatto del male a dei tuoi s-simili
E l’ho fatto anch’io. ” Non esitò a ricordargli la giovane, con un velo di mesta colpevolezza. “ Lo sai perfettamente, i miei ricordi li hai visti… magari, è per questo che in quell’occasione hai cercato di farmi sentire meno in colpa… perché ti sei rivisto in me… non ero riuscita a spiegarmi allora cosa ti avesse spinto a mostrarmi tanta comprensione, ma adesso… molti dei tuoi atteggiamenti mi sono più chiari.
Sans, suo malgrado, si ritrasse un pochino dall’essenza di lei. Non si aspettava che Frisk giungesse a quella conclusione, non così tanto presto almeno… era come essere un… libro aperto vivente. Questo tipo di sensazione lo aveva sempre fatto sentire con le spalle al muro, era sinonimo di mancanza di difesa e pericolo e non poteva fare a meno di provare tutto questo persino adesso, con Frisk, che sapeva non avrebbe mai sfruttato la sua debolezza per tornaconto personale… lei non lo aveva mai fatto fino ad ora. Era solo la sua mente ad essere troppo condizionata per accettare questa verità.
Ti senti… offesa per quella volta…? ” Le chiese, esitando in modo evidente quando la piccola fece per cancellare la breve distanza che lui aveva cercato di porre fra di loro, non attaccando, non infierendo, solo… solo per sfiorarlo delicatamente con la sua essenza rossastra, il contatto simile a quello di una mano che gli toccava il braccio.
No. Volevo solo dirti che anche tu avresti delle buone ragioni per tenermi lontana da te e dalla tua famiglia, ma ciò che invece hai fatto è stato accettare me e Chara nella tua casa. ” Gli spiegò la ragazzina, con animo sereno. “ E vorrei assicurarti che… che io ti starò accanto… voglio aiutarti, perché voglio che tu stia meglio in futuro… ti sei sentito male troppo a lungo.
L’affetto che lo avvolse come in un abbraccio era così genuino che Sans si sentì per un attimo immeritevole di essere colui verso cui quell’emozione era diretta… e non credette che essa potesse intensificarsi ulteriormente, come in disaccordo con le convinzioni generate dalla sua bassa autostima. Tu non vali meno di me, era questo il messaggio esplicito della piccola. Frisk era davvero più disinteressata di lui quando si trattava delle persone a lei care… poneva il benessere di chiunque al di sopra del suo, si faceva in quattro ogni volta che c’era bisogno, e non stava mancando di farlo nemmeno ora. Lei era speciale, irripetibile come suo fratello
Grazie, piccola… tu sei… davvero incredibile
Non aveva mai fatto nulla per impedire ai suoi stessi pensieri di criticarlo e sminuirlo… non quando era stato solo a dover affrontare la maggior parte delle sue responsabilità e dei suoi peccati, senza mai riuscire a risolvere il nodo di accuse, vergogne e rimproveri che, se non fossero stati originati dalla sua stessa mente, immaginava sarebbero usciti dalle bocche di coloro che gli erano vicini… e il giudizio inclemente del suo adorato fratellino, così diverso e così buono se confrontato a lui, era sempre stata una delle sue paure più recondite. Ma ora… forse, avrebbe potuto cominciare finalmente a lasciarsi questi pensieri alle spalle... ci sarebbe voluto lavoro certo, ma…
Ma da qualche parte si deve pur iniziare, no? ” Completò per lui la ragazzina, la sua positività non mancò di contagiarlo.
Già. ”
Probabilmente, aveva rimandato anche fin troppo fino ad adesso quel ‘iniziare da qualche parte’.
 
Era stato solo qualche giorno più tardi che si era ripresentato in laboratorio, con il suo sorriso plastico al proprio posto e le solite occhiaie di cui – era certo – non si sarebbe più liberato negli anni a venire.
Suo padre, come da manuale, era intento a trafficare sul suo personale banco da lavoro, così concentrato su qualunque cosa stesse facendo che non notò nemmeno il suo arrivo. Sans non se ne sorprese, era solo l’ennesima di centinaia di altre volte… e ormai ci aveva fatto l’abitudine, come a tutto il resto che riguardava Gaster d’altronde.
« Buon giorno, pa’. Come stai? Bella mattinata oggi, vero? Gli uccellini cinguettano, i fiori sbocciano e altre belle cose. » Salutò, con voce che gocciolava acido sarcasmo. Il suo genitore non levò nemmeno la testa per riconoscere la sua presenza. Sans continuò imperterrito.
« Mi sento proprio riposato oggi, ho dormito benissimo, grazie! » Aveva dormito da schifo – e neanche questa era una novità. « Perché me lo chiedi? Ah, è molto carino da parte tua preoccuparti per la mia salute. Cosa c’è da fare oggi? Esperimenti in provetta, o la soluzione per il buco nell’ozono? In entrambi i casi, io farò sempre il minimo indispensabile, come ben s-- »
« Vuoi stare zitto per un solo minuto, Sans?! » Urlò Gaster, alzandosi dopo aver sbattuto le mani contro il proprio banco da lavoro, i recipienti che vi erano poggiati sopra avevano suonato un concerto di violenti tintinni.
Sans emise un suono scocciato. Come se non stesse già zitto abbastanza durante ogni minuto che trascorreva in malaugurata compagnia di quell’irresponsabile di suo padre.
« Felice di vederti di buon umore come al solito, pa’. » Replicò noncurante, sistemando la borsa con i suoi appunti sul primo bancone libero. Anche se… doveva ammetterlo, aveva percepito qualcosa di alieno nel tono di suo padre – ed era sicuro non fosse nervosismo, o la consueta irritazione che era divenuta la prima risposta dello scheletro più anziano verso qualsiasi ‘fonte di disturbo’… se fosse stato quello il caso, sarebbe stato in grado di identificarlo alla perfezione.
Mentre ci stava rimuginando sopra, il Plic… Plic di una sostanza che gocciolava su una superficie attrasse la sua attenzione. D’istinto, si guardò attorno, domandosi se qualcuno degli altri ricercatori avesse lasciato aperto qualcosa la sera precedente – forse un rubinetto? –, quando i suoi occhi individuarono una macchia estranea di bianco sul bancone di suo padre. Un brivido senza origine gli percorse la colonna.
« Pa’…? »
Le spalle di suo padre si irrigidirono visibilmente.
« Non avvicinarti, Sans. Non farlo. » Gli ordinò lo scienziato, una mano ancora poggiata contro la scrivania, l’altra premuta contro il volto.
Il giovane alzò un’arcata sopraccigliare, seriamente perplesso.
« Ma che stai combinando? »
« Esci di qui, Sans! Ora! » Gridò Gaster, sbattendo nuovamente un pugno contro il tavolo, le ampolle tintinnarono una seconda volta.
Sans aveva sobbalzato leggermente di fronte a quella reazione spropositata, ma non per questo pensò per un singolo istante di dare ascolto a suo padre. C’era qualcosa di strano, c’era qualcosa di davvero strano nel suo atteggiamento, non poteva lasciar correre così.
Si avvicinò velocemente allo scienziato, il suo genitore non ebbe il tempo materiale di reagire, lo fece voltare con la medesima rapidità
Il giovane scheletro mosse un mezzo passo all’indietro, scioccato, ma del tutto incapace di distogliere lo sguardo dalla vista che gli si parò davanti: il volto di Gaster si stava liquefacendo lentamente e inesorabilmente, il suo occhio destro pareva essere destinato a sparire sotto l’incedere delle ossa ormai sciolte del cranio, un lungo squarcio si stava estendendo sotto l’orbita sinistra e sarebbe giunto presto a toccare il mento, e c’erano grossi rivoli di bianco che gocciolavano ovunque, come colla semiliquida e disgustosa al solo vederla.
Sentendo qualcosa di pastoso impregnargli le dita, Sans ritrasse spaventato la mano dal polso di suo padre. Le sue ginocchia divennero molli, un principio di nausea gli fece tremare le ossa quando si rese conto che quella stessa roba – bianca, dello stesso bianco delle ossa di suo padre – stava colando dalle sue falangi tremanti.
 
La realizzazione colpì Frisk con un inorridito stupore, in concomitanza ad un forte diniego, così forte che Sans poteva percepire il suo dubitare, il suo non voler quasi credere a ciò a cui stava assistendo. E, incredibilmente, lui non riusciva a darle la conferma definitiva che avrebbe spazzato via qualunque suo dubbio, non aveva il coraggio di dirle che il bastardo che lo aveva torturato più di una volta, che gli aveva sussurrato in così tante occasioni nei suoi sogni gli orrori provenienti da linee temporali perdute e fantasie in cui raccontava si sarebbe volentieri dilettato al suo inevitabile ritorno, era esattamente chi lei pensava che fosse… ma la spaccatura sopra l’occhio destro e lo squarcio sotto il sinistro stavano già fornendo alla piccola quella sofferta conferma… nessuno in tutto l’Underground portava segni lontanamente simili in volto.
 
« Cosa ti sta succedendo?! » Domandò allarmato il giovane scheletro, la sua stessa mente che lo stava pregando di distogliere lo sguardo da quella vista terrificante, ma senza successo, perché Sans non riuscì a concentrarsi su nient’altro in quel momento che il volto disturbante di suo padre.
Gaster si voltò immediatamente dopo averlo sentito esprimere quella domanda atterrita, cosa che lo fece innervosire e preoccupare enormemente allo stesso tempo.
Rapido, sottrasse a suo padre una delle siringhe che stava tentando di spostare in un posto al riparo dai suoi occhi.
« Sans! » Lo richiamò oltraggiato lo scienziato, facendo per tirarlo a sé, ma Sans entrò in una scorciatoia che lo portò fuori dalla portata dell’altro scheletro.
Soppesò fra le dita la siringa sottratta, agitando leggermente il liquido all’interno per cercare di determinare la sostanza in essa contenuta.
« Sans, ridammela subito. » Gli ordinò Gaster, ringhiando fra i denti, ma l’avvertimento insito nel tono del suo genitore non ebbe alcun effetto su di lui, non adesso che aveva compreso cosa diavolo ci fosse dentro quelle siringhe – e non era stato per nulla difficile per lui scoprirlo.
« DT, pa’? Quanta te ne sei iniettato stavolta?! »
Era basito, non poteva credere che nonostante fosse praticamente imbottito di DT suo padre avesse pensato bene di immetterne ancora nel suo organismo. Che cosa diavolo aveva nella testa per continuare ad iniettarsi qualcosa di tanto potente e pericoloso?! Era forse a causa della DT se ora le sue ossa si erano trasformate in una grottesca cascata di colla?!
Tempo un secondo, l’altro scheletro gli fu addosso e si riprese la siringa con un gesto stizzito, allontanandolo nel frattempo dal suo bancone.
« Non sono affari che ti riguardano, ragazzo. » Gli rispose freddamente suo padre, l’orbita sinistra assottigliata minacciosamente. Non una parola di più, gli stava ordinando quello sguardo. E Sans decise molto sprezzantemente di ignorarlo.
« Ti stai letteralmente sciogliendo, pa’! Come accidenti pensi di arrestare la cosa? Iniettandotene altra, forse?! » Ribatté, fermando ancora il braccio di suo padre nel portar via quella particolare siringa, cercando di non pensare alla sensazione di molle che aveva sotto le dita, persino adesso che aveva accuratamente evitato di afferrare qualunque parte non coperta dai vestiti. Aveva lasciato correre su molte altre bizzarrie e scemenze che suo padre aveva fatto negli anni, ma su questa… cosa si aspettava che facesse? Che accettasse di buon grado di vedere il volto del suo stesso genitore sciogliersi come cera?!
« Come ti ho già detto… » Digrignò i denti Gaster, allontanandolo definitivamente da sé con una spinta del gomito. « Questi non sono affari che ti riguardano. E per oggi sei congedato, Sans. Non osare tornare qui. Se le telecamere ti inquadreranno mentre tenti di varcare i confini di questo edificio durante l’arco della giornata, non esiterò a prendere provvedimenti. Intesi? »
Sans rimase sconvolto da quella minaccia.
« M-ma… ma t-tu non… »
« Fuori di qui seduta stante, ragazzo. Non farmi ripetere. »
Il giovane strinse convulsamente i pugni lungo i fianchi, fissando la schiena di suo padre con tanto, troppo risentimento. Aveva solo voluto aiutare, era stato solo preoccupato per suo padre, accidenti! Non gli era più concesso nemmeno quello…?
. . .
Ma perché preoccuparsene, in fondo? Gaster aveva già smesso anni prima di interessarsi di qualunque cosa riguardasse lui e suo fratello… non c’era stato quando lui aveva passato le notti a piangere fino a farsi male agli occhi e all’anima, non c’era stato per aiutarlo a crescere Papyrus e a congratularsi per i successi del suo fratellino, non c’era stato mai una volta in quegli anni… era ora che anche lui iniziasse a seguire l’esempio.
« Sai che ti dico? V a' a l d i a v o l o. »
Accortosi di avere lo sguardo di suo padre su di sé dopo quell’offesa, Sans non perse l’occasione per rendere ormai ufficiale il suo rifiuto, la sua rabbia, il suo disgusto verso quel dannato essere di suo padre.
Si tolse il badge dal camice, gettandolo sul tavolo lì vicino e fissando poi lo scheletro più anziano in segno di palese sfida. Forza, perdi le staffe come prima, gli stava comunicando, stringendo tetro gli occhi.
« Che cosa stai facendo? » Gli chiese lentamente Gaster, una mano sollevata a coprirsi la parte destra del volto, quella che si trovava in uno stato ben peggiore. Sorprendentemente, non percepì l’irritazione che si era aspettato di udire nel suo tono, ma non poteva ormai fregargli di meno di quei dettagli.
« Mi licenzio, vecchio. Trovati un altro assistente, non ho bisogno di questo stupido lavoro. »
Tolto anche il suo camice, se ne andò con la ferma intenzione di non rimettere più piede in quel maledetto posto. Suo padre non lo chiamò il giorno dopo minacciandolo di detrargli qualcosa dalla paga per il suo ritardo e la mancata presenza… evidentemente, aveva avuto almeno la decenza di capire che era stato serio a riguardo, che quanto aveva fatto era stato definitivo… o forse si era disciolto del tutto e i suoi colleghi avevano trovato solo una pozzanghera bianca a testimoniare che Wing Ding Gaster avesse commesso l’errore che gli era costato la vita.
 
Il suo problema più pressante era stato mettere al corrente suo fratello dei recenti sviluppi senza farlo rattristare… senza farlo impensierire. Perlomeno, i soldi non sarebbero stati motivo di preoccupazione per lungo tempo, la paga che aveva al laboratorio era sempre stata alta e non aveva mai ricevuto avvisi di mancato pagamento per le spese del loro appartamento; a quelle, doveva aver continuato a far fronte suo padre, era l’unica spiegazione che aveva – non certo quella che lo disgustasse meno, ma a conti fatti il non dover pagare le bollette gli aveva consentito di mettere da parte una cospicua somma di denaro.
In quel periodo della sua vita, dove niente aveva rappresentato più una certezza e i giorni sembravano sogni tutti troppo lenti, grigi e identici, si era ritrovato sempre più spesso a cercare la solitudine dove sapeva che avrebbe potuto trovarla, in giro per la varie aree dell’Underground. Era così che aveva cominciato a trascorrere il suo tempo negli orari in cui avrebbe dovuto essere impegnato col lavoro ( o, meglio, se avesse avuto ancora un lavoro ). Stare a casa non avrebbe avuto alcun senso, non senza Papyrus, che aveva la scuola da frequentare e le lezioni non sarebbero terminate prima dell’ora di pranzo solitamente.
Ma impegnare le sue giornate in quel modo, standosene con le mani in mano, a rimuginare su pensieri su cui non voleva rimuginare, sapeva che lo avrebbe lentamente distrutto e… consumato. Aveva accettato il primo posto di lavoro che era riuscito a trovare ed era stato così che si era ritrovato a pattugliare le foreste di Snowdin in qualità di sentinella, per uno stipendio significativamente inferiore rispetto al precedente… ma tutto ciò era di poca importanza… l’importante era stato trovare qualcosa da fare, qualcosa che non fosse stare sdraiato su un divano a fissare il vuoto e che, soprattutto, non richiedesse troppo impegno da parte sua. Se fosse stato abbastanza fortunato, magari un altro essere umano sarebbe passato di lì e gli insegnamenti del vecchio sarebbero finalmente serviti a fargli guadagnare un qualche tipo di ricompensa, invece che continuare a farlo sentire più marcio dentro ogni giorno che passava.
Nelle foreste di Snowdin, non aveva potuto fare a meno di notare la presenza di un vecchio portone solitario, probabilmente l’unica via d’accesso rimasta per giungere all’antica capitale del regno, oramai solo un cumolo di rovine disabitate. Più per tenersi compagnia che altro, aveva iniziato a fare pratica con alcune delle sue battute, servendosi di quel portone come interlocutore inanimato… non avendo niente di meglio per passare il tempo, si era dovuto adeguare.
Poi, un giorno, qualcuno gli aveva risposto dall’altro lato: la voce di una donna, dolce, calma, pronta al gioco e alla risata, bisognosa forse come lui di un po’ di luce in più nella propria vita. La sua amicizia con Toriel era iniziata così, in una giornata che si era prospettata monotona e uguale a tutte quelle che la avevano preceduta, ma che si era invece rivelata un punto di svolta più grande di quanto a quei tempi avesse creduto… perché, un altro giorno ancora, Toriel gli aveva chiesto di fare una cosa, una di quelle azioni che non aveva compiuto da un’eternità, perché si era scoperto totalmente incapace di portare a termine.
« Se un umano passerà mai attraverso questa porta… potresti per favore, per favore promettermi una cosa? Veglia su di lui… e-e proteggilo… lo farai, vero…? » Gli chiese la donna dietro al portone, la voce tremula, come se stesse cercando di trattenere dei singhiozzi pesanti e stremati.
E il sorriso tranquillo di Sans si ridusse ad una smorfia di disagio, una smorfia triste, intrisa di una profonda, pungente vergogna. Seppe sin dal primo istante di non poter accettare, perché… perché come avrebbe potuto lui, che aveva contribuito ad uccidere ben tre dei sei innocenti esseri umani che erano passati attraverso quella porta, che aveva pianificato di fare altrettanto con un quarto, promettere una cosa del genere? Tra tutti i mostri che potevano assumersi tale compito, era sicuramente il meno adatto per un impegno tanto grande… perché proprio lui che, fino ad allora, aveva fatto tutto tranne che tentare di proteggere uno solo di quegli umani? Il destino era ingiusto, era dannatamente ingiusto, perché doveva continuare a torturarlo così, con impegni che non poteva prendersi, con difficoltà e giornate colme di rammarico e colpa?
… E… f-forse… forse, era per questo che doveva accettare, che doveva promettere… per poter fare ammenda a ciò che aveva fatto in passato, per risparmiare almeno ad una vita quel destino crudele… anche a costo di dover nascondere quell’umano a suo padre, più potente e abile di lui sotto ogni punto di vista, e che avrebbe sicuramente tentato di recuperare l’ultima delle sette anime che occorrevano per rompere la barriera. Era un rischio che poteva prendersi, era un rischio che poteva correre… era una promessa di poco conto giurare un futuro per una vita, se paragonata a tutto ciò che lui aveva tolto ad altre tre vite.
« Sì… te lo prometto. »
Udì la sua misteriosa amica sospirare di sollievo dall’altro lato del portone, come se solo grazie a lui fosse stata finalmente capace di togliersi un peso enorme dalle spalle… era il peso di chi aveva tentato più volte di fermare la forte curiosità umana e che in altrettante aveva miseramente fallito.
« Ti ringrazio… grazie i-infinitamente. »
Sans si sentì felice per lei, per essersi reso utile per la prima volta in settimane, ma non poté restare a condividere quella felicità, perché ebbe l’urgente bisogno di iniziare a pensare seriamente al suo futuro… alle decisioni che avrebbe dovuto prendere da lì in avanti.
Dopo quella chiacchierata, invece di utilizzare le sue scorciatoie per tornare a casa, preferì percorrere i sentieri innevati di Snowdin con le proprie gambe per una volta, giusto per riflettere sui nuovi cambiamenti che avrebbe dovuto apportare alla sua vita e a quella di Papyrus. Primo fra tutti, avrebbe accettato a tempo indeterminato quel posto come sentinella. Secondo, avrebbe cercato una casa lì vicino in cui lui e Papyrus si sarebbero potuti trasferire senza più dover vivere all’ombra di loro padre. E terzo… avrebbe tenuto fede a quella promessa, fatta ad una persona di cui non conosceva nemmeno il nome, ma in cui risiedeva la sua unica possibilità di far qualcosa di concreto per rimediare ai suoi errori… qualcosa che non fosse supplicare continuamente il perdono di chi non era più in vita per concederglielo.
 





Sameko's side

Giuro che avevo intenzione di ricomparire prima, ma durante l'ultima revisione di questo capitolo avevo improvvisamente deciso che quanto avevo scritto era quasi tutto da buttare. Onde evitare di combinare pasticci, ho posticipato l'aggiornamento e ultimato l'ultima revisione solo questa settimana e che settimana infernale ragazzi. Ormai dovreste sapere che finché non raggiungo ai miei occhi un risultato almeno accettabile io preferisco non aggiornare. ^^"
Ho avuto in effetti  un rapporto di amore e odio con questo capitolo, ci sono punti che adoro e altri che ritengo solo passabili, ma devo ammettere che tutto sommato non ho tanto di cui lamentarmi.

Qualcuno di voi probabilmente avrà storto il naso quando avrà letto della mia fantasiosa spiegazione in merito all'assenza di una figura materna per Sans e Papyrus, magari qualcun altro avrà invece apprezzato i miei stratagemmi per a) evitare di inserire un OC a cui, se introdotto, dovrei dedicare davvero tanto lavoro ( personalmente, non ho mai apprezzato quei fancomic dove è presente una versione fanon della mamma dei fratelli ) e b) avere ad ogni costo un Gaster padre single e degenere XD. Per fortuna il canon non smentisce nulla di quanto ho scritto e sono immune persino alle contraddizioni di carattere scientifico visto che, AH!, si tratta di magia. Se qualcosa non vi è chiaro, non esitate come sempre a chiedere! :)
Questo capitolo mi ha inoltre ricordato che DOVREI scrivere una storia dedicata interamente agli skelebros, ma fino ad ora non ho mai avuto un'idea decente purtroppo. T_T Garantito che in futuro lo farò, sarà la mia missione personale.
Sperando di non far trascorrere ancora troppo tempo prima di postare la terza parte, vi saluto tutta eccitata perché anche quest'anno andrò a fare la compratrice compulsiva al festival del fumetto gadget di Undertale sarete miei.
Baci!

Sameko


 
   
 
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