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Autore: Iryael    05/02/2018    1 recensioni
Aprile 5396-PF, Veldin, Kizyl Plateau
A Lilith, dopo una penitenza finita male (ma che poteva finire malissimo) non resta che cercare qualcosa a cui aggrapparsi per arrancare senza esplodere.
A Sikşaka, dopo una serata cominciata apatica e finita dolorante, non resta che salvare il salvabile lottando contro il senso di responsabilità.
Nessuno dei due crede che si arriverà a un terzo incontro. Ignorano che, negli anni a venire, di quelli ne perderanno anche il conto.
È tempo di spacchettare i keikogi.
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[Galassie Unite | Scorci | 6 anni prima di Rakta]
[Personaggi: Nuovo Personaggio (Lilith Hardeyns, Sikşaka Talavara)]
Genere: Azione, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ratchet & Clank - Avventure nelle Galassie Unite'
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[ 06 ]
Lettera
 
Il giorno dopo
24 Aprile 5396-PF, mercoledì
Kyzil Plateau, settore nord, casa Hardeyns
 
Niente di meglio delle pulizie per liberare la mente. Lo diceva un libro ingiallito che, con ogni probabilità, era appartenuto a sua madre. Lilith, in quel momento, non concordava. Sola, appoggiata allo struscino, si guardò intorno. C’erano volute quattro passate per pulire bene il pavimento. Quattro. Aveva la schiena a pezzi e i problemi continuavano a ronzare fra le orecchie. Decisamente: quel libro andava buttato.
 
All’improvviso si diffuse il suono del campanello. La ragazzina alzò di scatto la testa, chiedendosi chi fosse.
Fortuna che prima ho fatto il piano di sotto – pensò scendendo le scale. Aprì il portone e sulla sua faccia comparve un’espressione stupita.
«Lucky.» disse a mo’ di saluto, riconoscendo il suo coetaneo. «Che ci fai qui?»
«Ho... ho saputo cos’è successo.» rispose lui, muovendo nervosamente la coda. «Mi dispiaceva e... ho pensato di portarti gli appunti di oggi e i compiti.»
Non la guardava negli occhi. Era difficile che lo facesse: lei aveva sempre l’aria aggressiva e a lui incuteva un profondo timore. Però non si sforzava di tenere le orecchie basse. Era davvero dispiaciuto per lei. E Lilith per questo si sentì presa sinceramente in contropiede.
«Oh, beh, grazie.» borbottò. «Non eri obbligato a farlo.»
Poi, di colpo, le venne un dubbio. Mancava ancora un mucchio di tempo all’uscita da scuola, quindi... «Ehi, hai bigiato?»
La domanda a bruciapelo fece sobbalzare il ragazzino. Sgranò gli occhi, le orecchie ancora più basse. «No! No, c’è stata un’ora buca e siamo usciti tutti prima! Non ho bigiato!»
Breve silenzio. Lilith lo fissò: che razza di reazione era quella? Era così esagerata!
«Hm, sì. Era una domanda cretina.» borbottò. Le scuse, però, le rimasero aggrovigliate in gola.
«Allora... ehm... sì, ti lascio i quaderni e vado.» balbettò lui, facendo scivolare lo zaino sulla spalla. La sacca ruotò fluidamente sul davanti e il giovane lombax fu svelto a privarla di due taccuini. Li mise in mano alla ragazzina. «Passo a prenderli domani. Ci vediamo in giro, eh?»
«Sì. Sì, ci vediamo in giro. E grazie.» balbettò lei a sua volta, guardandolo allontanarsi lungo il vialetto.
Sparì in fretta dalla vista. Lilith si chiese se non avesse dei problemi. Proprio non riusciva a capirlo, quello.
* * * * * *
Aveva scannerizzato gli appunti di Lucky e li aveva letti una prima volta. Alcune parole sfioravano l’incomprensibile, ed era su quelle che si stava concentrando. Se le avesse addomesticate, allora, capire il senso sarebbe stato possibile. Ma, finché i concetti chiave delle scienze fossero rimasti dietro scarabocchi blu, sarebbe stato come se Lucky non fosse passato.
Fu mentre lottava con uno sgorbio in terza pagina che il campanello suonò di nuovo.
Mise da parte i fogli e, sebbene riluttante, andò ad aprire. Se fosse stato di nuovo quel venditore porta a porta lo avrebbe morso, poco ma sicuro.
Invece era il postino. Avvolto nella sua camicia gialla aspettava in fondo al vialetto. Si accorse di lei all’istante. «Raccomandata per il signor Hardeyns.» La sua voce sembrava carta accartocciata. «C’è da firmare.»
La guancia destra di Lilith si gonfiò mentre pensava rapidamente: raccomandata significava ingiunzioni, di solito. Aveva dimenticato qualche bolletta?
Non credeva, ma era meglio volare bassa. «Mio padre non c’è.»
«Puoi firmare te.»
«Scherzi? Ho dodici anni. Succede un casino se firmo io e quella è roba seria.» lo rimbeccò. Il postino grugnì una parolaccia, ma lei lo ignorò. Estrasse il chatter d’in tasca e lo sventolò ben bene. «Ehi, chi è che scrive? Almeno avviso il vecchio.»
La parolaccia si fece bestemmia e s’indirizzò alla ragazzina. Poi arrivò la risposta: «La compagnia dei rifiuti.»
Lilith tirò un impercettibile sospiro di sollievo. I rifiuti non rientravano fra i suoi pagamenti. Roba di suo padre, quindi.
«T’ho lasciato il resto in buca, vieni a prendertelo.» avvisò l’uomo smaterializzando la raccomandata. Poi, con gesti scazzati, montò in sella al suo mezzo e si allontanò.
Lilith si prese il tempo di aspettare che il postino si allontanasse prima di andare a prendere la cassetta delle lettere. Il contenitore era così malmesso che ormai era abituata a svellerlo dall’alloggiamento per portarlo dentro casa.
Lo rovesciò senza tanti complimenti sul tavolo della cucina, poco più in là degli appunti fotocopiati. Una mezza dozzina di buste color senape piovve sul piano di legno e si sparpagliò.
Vediamo... pubblicità dal concessionario, volantino del supermercato, comunicazioni dall’Ufficio per l’Ambiente... Vuoi vedere che la raccomandata viene da questi? Vabbé, dopo magari la leggo...huh?
Proprio sotto la busta dell’Ufficio per l’Ambiente si nascondeva una bustarella bianca, di quelle per i bigliettini d’auguri. Lilith la prese in mano. Era ben chiusa, senza mittente e come destinatario recitava solo “Per Lilith”. Dentro c’era un foglio intestato della scuola elementare. Era piegato tre volte.

 

Era davvero tanto che non trovavo qualcuno arrabbiato come te. Forse, dopotutto, consigliarti di andare alla scuola qui in città è stato un errore. I maestri che troveresti non sono adatti a qualcuno della tua tempra.
Io sono stato un maestro. Potrei insegnarti quelle famose basi, anche se ufficialmente non ho più l’abilitazione.
 
Immagino che tu sia diffidente, è più che normale. Ma, se sei interessata, vediamoci per discuterne alle 17 di giovedì 25 aprile. Sarò al belvedere.
 
- Sikşaka Talavara -

 

Per sicurezza rilesse il biglietto. Dopo le pulizie ed i geroglifici di Lucky si sentiva così sbalestrata che poteva aver saltato una doppia negazione, o magari uno di quei giochetti usati per fregare gli esaminandi al brevetto di volo.
Invece no. Aveva letto per bene. Quando alzò il naso dal foglio la sua faccia era qualcosa di rara visione: la bocca aperta, le narici appena dilatate, gli occhi luminosi perché – cazzo sì! – quella era la notizia più bella dell’ultimo mese. Non ci poteva credere!
(E infatti frena, cocca. È troppo bella per essere vera.)
Lilith riportò lo sguardo sul foglio spiegazzato.
(Qualcosa non va, guarda per bene. Perché farti informare sulla palestra? Se davvero è un maestro perché non l’ha detto subito?)
Perché non ha più l’abilitazione. Ha scritto così.
(Appunto: ha scritto. Sai una sega se è vero o no.)
La ragazzina adocchiò il foglio. Adocchiò le altre lettere e adocchiò la busta piccola che aveva contenuto la lettera firmata col nome di Sikşaka. All’improvviso le parve tutto molto strano: la carta intestata alla scuola elementare, la busta così piccola, l’indirizzo che mancava. All’improvviso quel foglio che l’aveva illuminata si tramutò in qualcosa di più oscuro e imprevedibile. Qualcosa da cui guardarsi.
La coscienza tutti i torti non li aveva. Quell’uomo faceva troppa beneficienza per essere un onesto sconosciuto.
A me il computer. Mi serve Blabbook.
(Giusto! Lì lo becchi sicuro! E ‘fanculo a scienze e tutto il resto!)
* * * * * *
Lo schermo si rifletteva sugli occhi di Lilith, disegnando linee bianche nelle iridi verdi. Era passata una buona mezz’ora da quando aveva interpellato il social network, e stava considerando l’idea di erigere un altare a Murphy.
Sikşaka Talavara, a Kyzil Plateau, sembrava non esistere.
Ma chiunque è su Blabbook! Ho beccato l’unico stronzo di tutto l’universo che non ha un profilo?!
(Semplice: niente profilo uguale niente fiducia. Smettila di affannarti.)
L’occhio cadde su una foto. Il profilo era quello di un certo Matej Zimmler e l’immagine era vecchiotta, ma non c’era dubbio che il lombax sulla destra fosse quello che cercava. E non c’era dubbio che quella roba dotata di alamari e maniche larghe fosse una divisa da marzialista.
La didascalia della foto era insignificante, ma rimandava all’album “Bei tempi andati”. Lilith ci cliccò sopra senza pensarci due volte.
L’album non era molto ricco. Conteneva una cinquantina di foto, e di queste quarantotto erano totalmente inutili. La quarantanovesima era quella che l’aveva portata lì. Mentre la cinquantesima... la cinquantesima era il tesoro alla fine della caccia.
Raffigurava tre lombax, e l’unico che la ragazzina non sapeva riconoscere era il vecchio al centro. A sinistra c’era il lombax grigio che aveva postato la foto; a destra c’era Sikşaka. I due giovani mostravano con fierezza dei fogli. La didascalia recitava: Maggio ’84-PF. Non ho mai visto Gazda felice come in quest’occasione. Io ero stato accettato alla scuola della Polizia e Sik aveva appena ottenuto l’abilitazione come maestro d’arte delle lame. Il nostro canto del cigno.
 
Bla bla bla. Melodrammi da quattro soldi. – si disse Lilith, riportando lo sguardo sul Sikşaka della foto. La versione di dodici anni prima non aveva le rughe sotto gli occhi, si ritrovò a pensare. Ma cosa importava, in fondo? Niente. Importava che il tizio della foto era colui che aveva incontrato; ma ancora di più importava che colui che aveva incontrato aveva avuto una licenza d’insegnamento, quindi aveva scritto la verità.
Poteva andare all’incontro. Non si fidava, ma il belvedere era un posto abbastanza neutrale da permettere di ascoltare cosa l’altro voleva proporle.

 

   
 
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