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Autore: Echocide    06/02/2018    1 recensioni
Tanto tempo fa, in un paese lontano lontano, un giovane principe viveva in un castello splendente, benché avesse tutto quello che poteva desiderare, il principe era viziato, egoista e cattivo. Accadde però che una notte di inverno una vecchia mendicante arrivò al castello e offrì al principe una rosa in cambio del riparo dal freddo pungente.
Lui, che provava repulsione per quella vecchia dal misero aspetto, rise del dono e la cacciò, ma lei lo avvertì di non lasciarsi ingannare dalle apparenze, perché la vera bellezza si trova nel cuore.
Il principe la respinse di nuovo e in quel momento la bruttezza della mendicante si dissolse ed apparve una bellissima fata.
Il principe si scusò, ma era troppo tardi, perché lei ormai aveva visto che non c'era amore nel suo cuore e per punirlo lo tramutò in una orrenda bestia e gettò un incantesimo sul castello e su tutti i suoi abitanti.
Se avesse imparato ad amare e fosse riuscito a farsi amare a sua volta prima che fosse caduto l'ultimo petalo, l'incantesimo si sarebbe spezzato.
Con il passare degli anni il principe cadde in preda allo sconforto...
Chi avrebbe mai potuto amare una bestia?
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.444 (Fidipù)
Note: E ci siamo! Il penultimo capitolo de La bella e la bestia è qui: devo dire che, per questo finale, mi sono ispirata più alla versione di Beaumont, dove non ci sono battaglie ecclatanti o altro, piuttosto che a quella disneyana. Nel prossimo capitolo ci sarà l'epilogo e allora mi dilungherò in ringraziamenti e altro, a questo punto non vi tolgo altro tempo e passo alle classiche informazioni di rito: ricordandovi la pagina facebook, l'account instagram e quello twitter dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri, trovare i link delle playlist delle storie e tanto altro ancora. E il gruppo Two Miraculous Writers gestito con kiaretta_ scrittrice92, mentre per gli altri miei social vi rimando alla descrizione nel mio profilo (altrimenti qui faccio la lista infinita!).
Detto questo, come sempre, ci tengo tantissimo a ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

 

La campanella della porta trillò imperiosa, risuonando nell'intero negozio di carabattole e annunciando l'arrivo di qualche cliente: Tom Dupain infilò alcune casse nella scaffalatura, osservando gli ultimi acquisti che aveva fatto a Calais e annuendo quasi orgoglioso delle sue scelte, pulendosi poi le mani ai pantaloni e andando a ricevere le persone che erano entrate.
Si fermò sulla soglia, scostando appena la tenda viola scuro e osservando i tre uomini che si aggiravano per il negozio: i vestiti eleganti e il modo con cui si muovevano, gli aveva fatto subito capire che si trovava davanti a clientela facoltosa.
Quella che raramente poteva venire in un negozio come quello, nella periferia della città.
«Oh. Vedo che state bene» dichiarò uno degli uomini, portandosi una mano ai baffi scuri e curati, lisciandosi e piegando le labbra in un sorriso: «Wayzz è stato molto in pensiero per voi, monsieur.»
«Anche tu, Plagg» bofonchiò l'altro uomo, togliendosi il cappello e chinando la testa, in segno di saluto: «Sono felice di vederla in salute, monsieur Dupain.»
Li conosceva? Non gli sembrava e lui era anche molto fisionomista, una qualità che gli rendeva veramente facile il lavoro.
Eppure quei signori dall'aria distinta non riusciva a inquadrarli da nessuna parte: non ricordava quando aveva potuto conoscerli e dove, non aveva memoria di loro e neanche del giovane che li accompagnava.
«Perdonate i miei servitori» mormorò proprio quest'ultimo, avvicinandosi al bancone e sorridendo: «Volevo sapere se madamoiselle Marinette è qui?»
«E' dal barbiere» Tom si portò la mano alla nuca, massaggiandosela e scuotendo il capo: «Ha creato una nuova macchina, la…»
«La Taglia e arriccia? Me ne aveva parlato» dichiarò il ragazzo, sorridendo e annuendo con la testa, socchiudendo poi gli occhi e riaprendoli: «Sapete dirmi dove posso trovare il negozio?»
«Sulla via principale. Non è molto distante.»
Il giovane annuì, infilandosi in testa il cappello e roteando il bastone da passeggio: «Plagg, Wayzz. Rimanete qui e…» si fermò, osservando i due uomini: «…non fate nessun danno.»
«Ehi, al massimo potremmo rinchiuderlo nella torre nord. Ormai il signore qua c'è abituato…»
Torre nord?
Tom si passò la lingua sulle labbra, aggrottando lo sguardo e cercando di ricordare dove aveva già sentito quella combinazione di parole, osservando poi i due servitori con rinnovata consapevolezza: «Voi…»
«Noi» fu la risposta di Plagg, poggiandosi al bancone e sorridendo: «Allora, mentre il padrone va a recuperare vostra figlia, io avrei solo qualche semplice domanda…»
«Ovvero?»
«Pesce o carne?»
«Cosa?»
«Vedete…»
«Plagg, per favore, penso che il padrone e madamoiselle Marinette vorranno riferire loro il tutto.»
«Sei sempre il solito noioso, Wayzz.»
 
 
Theo lasciò andare un sospiro, mentre faceva vagare lo sguardo dalla giovane al macchinario, che occupava gran parte del locale della bottega: «La macchina taglia e arriccia, modello due punto zero» dichiarò Marinette, posando le mani sui fianchi e sorridendo: «Mi sono messa d'impegno, ho studiato il vecchio modello e ho fatto le modifiche del caso…»
«Marinette, io non credo…»
«Lascia che te la faccia vedere in funzione» dichiarò la ragazza, posando una mano sul congegno che a Theo ricordava molto una ghigliottina, piuttosto che un qualcosa di utile a un barbiere: «Ho regolato l'emissione del vapore, che è stata la causa di morte di Monsieur Mannequin e poi messo alcune piccole accortezze, come un meccanismo di arresto d'emergenza.»
«E perché ci dovrebbe essere qualcosa che serve per un arresto di emergenza?»
«Beh, un taglio errato?»
«Marinette, il tagliare la gola a un cliente non è un taglio errato, è omicidio!»
La ragazza piegò le labbra in un sorriso appena accennato, chinando la testa e portando le mani all'orlo dell'abito: «Stavolta funzionerà. Fidati» dichiarò, voltandosi verso l'apparecchio e iniziando a premere bottoni, girare manopole mentre un Monsieur Mannequin secondo veniva posto nella poltrona: «Che taglio facciamo al signore?»
«Qualsiasi taglio che non includa la gola» sospirò Theo, scuotendo la testa e osservando Marinette azionare il tutto: il congegno borbottò, mentre i bracci meccanici cominciavano a tagliare i baffi posticci del manichino, prima che un fischio lungo e acuto irruppe nell'aria: «Ci risiamo…»
«No. Non un'altra volta, no!» Marinette si avvicinò alla macchina, premendo il bottone del meccanismo d'arresto, ma non riuscendo a impedire che Monsieur Mannequin secondo rimanesse sfregiato a vita: un lungo taglio gli attraversava il volto da uno zigomo all'altro.
Theo sospirò, avvicinandosi alla macchina e scuotendo il capo: «Marinette, io ti ringrazio per l'impegno che ci stai mettendo e tutto, ma non importa. Davvero. Posso fare alla vecchia maniera.»
«Ma con una macchina saresti più veloce e avresti più clienti!»
«Sinceramente preferisco avere meno clienti, ma saperli in vita e al sicuro» dichiarò l'uomo, avvicinandosi e poggiandole una mano sulla spalla, sorridendole: «Perché non pensi a qualche altra invenzione? Possibilmente qualcosa senza lame e forbici?»
«Io…»
«Marinette, sei una ragazza geniale e sono certo che farai grandi cose ma…» Theo si fermò, indicando la macchina taglia e arriccia: «Questa non penso rientri fra queste.»
Marinette annuì, avvicinandosi alla poltrona dove aveva abbandonato la giacca lunga e la infilò, chiudendo la doppia fila di bottoni e indicando con un cenno del capo l'apparecchio: «Domani faccio venire qualcuno a prenderla. Va bene? Mi dispiace che non posso farlo fare oggi, ma…»
«Non ti preoccupare. Oggi è giorno di chiusura, alla fine.»
La ragazza annuì, osservando la macchina taglia e arriccia e scuotendo poi il capo: «Allora, domattina la faccio venire a prendere prima che tu apra.»
«Sì. E grazie, Marinette.»
«Grazie a te, che mi dai sempre fiducia.»
«Forse sono un sadico, ma mi piace vedere Monsieur Mannequin venire mutilato» dichiarò Theo, scuotendo il capo e ridacchiando: «Ci vediamo e salutami i tuoi genitori!»
«Certamente» dichiarò la ragazza, avvicinandosi alla porta e uscendo, voltandosi indietro un'ultima volta e sospirando, mentre usciva dal negozio di Theo, ben conscia che avrebbe dovuto nuovamente chiamare qualcuno a prendere la macchina taglia e arriccia, anche se non sapeva assolutamente chi: ancora una volta aveva creato un fallimento, nonostante la certezza di essere riuscita nell'impresa.
Scosse il capo, mentre si voltava verso la vetrina e osservava Theo sistemare il disastro che aveva combinato. Di nuovo.
Forse rintanarsi nelle sue invenzioni non era stata la scelta migliore e il nuovo fallimento sembrava confermare questa teoria: si portò una mano al collo, giocherellando con il ciondolo a forma di coccinella che stonava con il cappotto marrone scuro e l'abito in una tonalità più chiara, mentre un sorriso gli piegò le labbra: chissà cosa avrebbero pensato Mikko e Tikki degli abiti che indossava quel giorno…
Suo padre glieli aveva portati dopo essere stato a Calais, adducendo al fatto che erano all'ultima moda e provenivano dall'odiata Inghilterra; ovviamente l'abito dalla gonna corta e ampia aveva suscitato non poche lamentele da parte di sua madre, ma lei invece aveva adorato il tutto.
Le ricordavano molto ciò che aveva indossato al castello di Adrien.
Inspirò, portandosi una mano al petto e socchiudendo gli occhi, sentendo il cuore venire stretto nella morsa di quel dolore che, ormai, era diventato un compagno fidato: erano passati mesi da quando era tornata dal castello, completamente a pezzi.
Non aveva voluto parlare con nessuno, non aveva voluto niente se non annegare nella sua stessa pena.
Non sapeva quanto tempo aveva trascorso in camera sua, con il volto affondato nel cuscino ormai pregno delle sue lacrime, e il lenzuolo stretto nella mano: aveva lasciato che il dolore l'avvolgesse completamente, trascinandola verso il basso e poi, alla fine, quando non aveva più niente da piangere si era rialzata e aveva ripreso ad affrontare la sua vita.
Adrien non avrebbe mai voluto che lei fosse solo un'anima in pena, un fantasma di sé e, per onorare questo, aveva ripreso a ideare e creare macchinari. Per onorare il ricordo del suo amore.
Lasciò andare l'aria, riaprendo le palpebre e sorridendo al suo riflesso, che appena s'intravedeva nella vetrina del negozio: non doveva lasciarsi abbattere. Il fallimento di quel giorno era semplicemente l'ennesima pietra verso la strada del successo.
Ce l'avrebbe fatta a creare qualcosa che funzionasse e potesse aiutare qualcuno nel suo lavoro.
Adrien aveva creduto nelle sue capacità, ora doveva farlo lei.
Si portò le mani dietro la schiena, intrecciandole e avviandosi lungo la strada, osservando alcune ragazze dalla parte opposta della città e notando i pacchi che, un povero valletto, stava portando impilati pericolosamente l'uno sopra l'altro: magari, invece di una macchina arriccia e taglia avrebbe potuto creare un qualcosa che avrebbe aiutato i poveri servitori, costretti a seguire le figlie dei datori in sfrenate sessioni di shopping.
Si fermò sul marciapiede, inclinando la testa e storcendo la bocca: magari un qualcosa come un carrello, possibilmente con un piccolo motore a vapore, sarebbe stata la soluzione perfetta.
«Ah. Perdono.»
Però come avrebbero fatto a guidarlo?
«Madamoiselle?»
Magari avrebbe potuto mettere un sistema di guida, però così sarebbe venuta fuori una vettura in miniatura…
Una mano guantata di bianco si parò davanti al sua visuale, facendola sobbalzare all'indietro e fissare quasi scocciata la persona che l'aveva interrotta: un giovane uomo le stava sorridendo, mentre abbassava la mano e se la portava alla gola, sistemandosi la cravatta e tirando appena, quasi sentisse il bisogno di respirare: «Sì?» domandò Marinette, aggrottando lo sguardo e studiando lo sconosciuto.
Era un ragazzo veramente bellissimo, con i capelli dorati, il sorriso tranquillo e gli occhi verdi, vestito elegante come si conveniva a qualcuno dello stesso status di Chloé Bourgeois: un nobile, sicuramente. Qualcuno con il soldi che gli uscivano…
Socchiuse gli occhi, stringendo le labbra e cercando di placare il suo Plagg interiore.
A quanto pareva, oltre a un cuore spezzato, aveva portato con sé anche una parte della personalità dell'effervescente servitore.
«Immagino che ancora una volta la tua invenzione non abbia avuto successo» mormorò il giovane, indicando il negozio di Theo, poco distante: «Beh, considerato i tuoi fallimenti mi sembra strano che non sia scoppiato tutto.»
«Che cosa?»
«Sì» il ragazzo assentì, facendo un passo verso di lei e fissandola, con il sorriso sempre più deciso in volto: «Sei esperta in esplosioni, no? E un edificio come quello…beh, devo dire che non so se avrebbe retto.»
Ma che voleva quello?
Marinette si voltò, riprendendo a camminare e cercando di ignorare i richiami del giovane che, poco dopo, l'affiancò con le mani infilate nei pantaloni candidi, esattamente come tutto il resto dei vestiti, il bastone da passeggio infilato sotto al braccio e il passo che teneva tranquillamente quello di lei: «Te la sei presa?» le domandò, inclinando la testa e cercando di vederla in volto: «Te la sei proprio presa!»
Chi era quel tipo, che sembrava trovare divertente canzonarla?
Chi…
Marinette si fermò, voltandosi verso di lui e pronta a dirgli tutto ciò che stava pensando, ma sentendo le parole morirle in gola: c'era un qualcosa di familiare in lui, eppure era certa di non conoscere quel ragazzo. Cercò fra i suoi ricordi, ma neanche fra i volti dei clienti del negozio dei suoi trovava quel giovane: «Chi sei?» gli domandò, arretrando di un passo e scuotendo il capo.
Perché gli era così familiare?
Perché sentiva il cuore batterle nel petto, quasi come se…
Lo vide piegare le labbra in un sorriso, mentre roteava con nonchalance il bastone da passeggio: «Immagino che non mi riconosci. Vero, Marinette?» le domandò, avvicinandosi di un passo e fissandola negli occhi: «Sono io.»
Quello sguardo…
Lei conosceva quello sguardo.
Rimase a guardare quelle iridi verdi, che sembravano aspettare pazienti, mentre la sua mente riportava alla memoria il volto di qualcun'altro: Marinette si portò le mani alla bocca, osservando il giovane davanti a lei, cercando di far combaciare l'immagine che c'era nella sua testa con la persona che aveva davanti a sé.
Non poteva essere vero.
Eppure riconosceva quello sguardo, la luce che vi era in loro le era fin troppo familiare: era lui, sebbene il suo aspetto adesso le fosse totalmente sconosciuto. Non c'erano cicatrici e neanche rovi neri in quel volto che adesso la fissava, non c'erano orecchie nere e metalliche fra i capelli biondi, ma gli occhi…
Oh sì. Loro erano sempre gli stessi.
«A-adrien?»
Lo vide sorridere e annuire appena con la testa, avvicinandosi a lei e passandole le braccia attorno alla vita, stringendola a sé e affondando il volto contro il collo, lasciato scoperto dai capelli tirati su: «Mi sei mancata così tanto…» bisbigliò, sfiorandole la pelle con le labbra: «Perdonami, se non sono potuto venir prima da te…»
«I-io…non capiusco…capesc…» Marinette si morse il labbro inferiore, mentre cercava di adattarsi a quella stretta che non sembrava intenzionata a lasciarla andare e faceva i conti con la sua lingua, stranamente impastata e il volto che sembrava essere diventato puro fuoco: «I-io…»
«Grazie per aver creduto in noi, Marinette» mormorò Adrien, allentando un poco l'abbraccio e guardandola in volto: «Il giorno in cui hai detto di amarmi, la maledizione si è sciolta ed io…beh, sono tornato normale.»
«Io non ho detto…»
«Oh sì, lo devi aver detto per forza, altrimenti io sarei rimasto un mostro a vita. Non mentire, signorina.»
«Io non…» Marinette si fermò, ricordando il giorno in cui aveva parlato con suo padre, poco dopo che era tornato e riportando alla mente che sì, in effetti, aveva accennato al fatto che amava Adrien: «I-io…»
«Ti amo, Marinette» mormorò Adrien, allungando una mano e scostandole una ciocca di capelli dalla fronte: «Tu sei sempre stata l'unica e sola che avrebbe potuto spezzare la maledizione.»
«Io non sto capendo niente» mormorò la ragazza, scuotendo il capo e fissandolo in volto, osservando nuovamente lo sguardo verde, mentre cercava di non sentirsi una pallina impazzita per via di tutto quello che le stava succedendo; inclinò la testa, allungando una mano e sfiorandogli lo zigomo con le nocche: «Sei veramente tu?»
«Sono veramente io» dichiarò Adrien, sorridendo appena e voltando la testa, in modo da posare le labbra sul palmo di lei: «E ti spiegherò tutto, mio amore. Prima però vorrei andare a conoscere i tuoi e chiedere la tua mano a tuo padre…»
«Co-cosa?»
«Beh, dato che tu ami me ed io amo te, penso che il matrimonio sia la soluzione ideale» dichiarò Adrien, prendendole la mano con la propria e trascinandola lungo il marciapiede: «E dopo tutto quello che è successo, Plagg e gli altri mi hanno detto di non tornare a casa, finché non avessi avuto una risposta affermativa alla mia proposta e, soprattutto, non potevo tornare senza di te.»
«Stanno tutti bene?»
«Tutti bene ed in carne, iperattivi come sempre» le rispose Adrien, fermandosi nuovamente e tirandola verso di sé: «E non vedono l'ora di vedermi arrivare con la nuova signora del castello. Quindi…» si fermò, prendendole anche l'altra mano e portandosele alla bocca: «Marinette, vuoi sposarmi?»
 

 

   
 
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