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Autore: FrancescaPotter    17/02/2018    1 recensioni
Long sugli ipotetici figli delle coppie principali di Shadowhunters (Clace, Jemma e Sizzy), ambientata circa vent'anni dopo gli avvenimenti di TDA e TWP. TWP non è ancora uscito al momento della pubblicazione, e nemmeno l'ultimo libro di TDA; questa storia contiene spoiler da tutti i libri della Clare fino a Lord of Shadows, Cronache dell'Accademia comprese.
Dal quarto capitolo:
"Will abbassò il braccio e distolse lo sguardo, ma lei gli prese delicatamente il polso. «Lo sai che puoi parlarmi di qualsiasi cosa, vero?» gli chiese, morsicandosi inconsapevolmente il labbro inferiore. Era una cosa che faceva spesso e che faceva uscire Will di testa. «So che è George il tuo parabatai» continuò abbassando la voce, nonostante non ce ne fosse bisogno perché George era concentrato sul suo cibo e Cath stava leggendo qualcosa sul cellulare. «Ma puoi sempre contare su di me. Mi puoi dire tutto. Lo sai, vero?»
Will sospirò. «Lo so, posso dirti tutto».
Tranne che sono innamorato di te."
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Clarissa, Emma Carstairs, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Julian Blackthorn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo ventitré
 
Rose si risvegliò il mattino seguente tra le braccia di Will. Erano ancora senza vestiti e Rose si sentiva al caldo grazie alla vicinanza del suo corpo. Era infatti sdraiata per metà sopra di lui, con la testa appoggiata sul suo petto e le gambe intrecciate alle sue.
Lo osservò per qualche istante mentre dormiva tranquillo, le guance arrossate per il sonno e le labbra leggermente socchiuse. Era così bello che a Rose mancava il fiato; voleva baciarlo di nuovo, sentirlo sospirare contro la propria pelle, e le venne quasi da piangere quando ripensò alla notte precedente e a come lui l’avesse stretta a sé come se non volesse lasciarla andare mai più.
Rose lo amava così tanto che temeva di esplodere da un momento all’altro.
Gli diede un bacio sulla guancia, incapace di trattenersi, e poi iniziò ad accarezzargli distrattamente il braccio, soffermandosi sulla cicatrice a forma di stella che aveva sempre avuto sulla spalla. Sentiva il suo cuore battere regolarmente sotto l’orecchio.
Rose riconobbe delle voci nel corridoio, probabilmente si trattava di Clary che stava svegliando Elizabeth, e sperò intensamente che la donna non aprisse la porta della camera di Will. La sveglia sul comodino segnava le nove della mattina e Rose pensò che si trattasse di un orario decente per svegliarlo, nonostante sospettasse che lui non si sarebbe detto completamente d’accordo con lei.
«Will» sussurrò, senza ricevere alcuna risposta. «William, svegliati».
Will grugnì qualcosa e la strinse un po’ di più a sé, dandole un bacio tra i capelli. «Dormi, Rose».
Rose si mise a ridere contro il suo collo. «È mattina».
«Che ore sono?» biascicò lui, continuando a tenere gli occhi chiusi.
«Le nove».
Will emise un verso strano. «È notte fonda».
Rose si sollevò su un gomito e lo osservò dall’alto verso il basso. «Tua mamma è sveglia».
Will aprì gli occhi di pochissimo, quanto bastava per incontrare il suo sguardo. «E tu come fai a saperlo?»
Rose ghignò, sapendo esattamente come fare per farlo svegliare per davvero. «È passata a salutare e mi ha chiesto se volessi del caffè».
Will si tirò a sedere come una molla. «Che cosa?» urlò.
Rose scoppiò a ridere e si coprì il viso con le mani.
«Oddio» disse lui, passandosi una mano tra i capelli. «Stai scherzando».
«Certo che sto scherzando» continuò a ridere Rose con le lacrime agli occhi.
«Ti odio» borbottò Will, lasciandosi cadere nuovamente sdraiato sul letto. «Ti odio, Rose».
Rose si sdraiò su un lato e gli mise una mano sul petto. «No, non è vero».
Will la osservò per qualche istante senza dire niente, i capelli biondi scompigliati e le pupille dilatate.
«No, non è vero» concordò lui, attirandola a sé e dandole un leggero bacio sulle labbra.
Rose sfregò il naso contro al suo e poi appoggiò la testa sulla sua spalla. Will la avvolse tra le sue braccia e sospirò. «Hai fatto bene a svegliarmi».
«Ah sì?» chiese Rose, guardandolo stupita.
«Sì, ma non ho intenzione di alzarmi per il resto della mattina» spiegò lui. «Lo sai, vero?»
«Vuoi davvero rimanere a letto?» chiese Rose.
Will ci pensò un attimo. «Esattamente» decise con un gran sorriso. Poi tornò serio. «Come stai?»
Il cuore di Rose perse un battito. «Bene» disse, cercando di non farsi venire le lacrime agli occhi per la gioia. «Sto benissimo, Will. Mai stata meglio».
Non voleva che si preoccupasse per lei, perché non aveva niente di cui preoccuparsi. Non si era mai sentita così felice e al sicuro nella sua vita.
Will arrossì leggermente ma sembrava contento e più tranquillo.
«Non devi preoccuparti per quello che è successo con Logan. La mia prima volta ha fatto schifo, fa niente. Spero che la tua sia stata meglio della mia» continuò Rose, poi aggiunse: «Non è che mi voglia fare i fatti tuoi, ma con chi è stata? Puoi dirmelo, sul serio. È stata forse con la cameriera di Taki che ti muore dietro? Com’è che si chiama…?»
«Rose». La mano di Will si era fermata tra i suoi capelli e lui aveva spalancato gli occhi. «Rose, questa è stata la mia prima volta».
Rose si bloccò e sollevò il capo. «Cosa?»
«Hai capito» disse lui, sembrava tranquillo. «Non c’è mai stata nessun’altra».
«Non è vero». Rose si stava agitando perché non lo sapeva, se lo avesse saputo…
«Ho fatto qualcosa di sbagliato?»
«No. No no no». Rose lo guardò fisso negli occhi. «No. Non hai fatto niente di sbagliato. Sono io che devo chiederti scusa. Mi dispiace, Will, non lo sapevo».
«Ti dispiace?» Will stava scuotendo la testa. «Sei impazzita? E per cosa?»
«Se lo avessi saputo, non lo so…» Rose non lo sapeva davvero. Cosa sarebbe cambiato se lei lo avesse saputo? Niente. «Non voglio comportarmi come si è comportato Logan».
«Non ti sei comportata come Logan» la rassicurò Will. «Fidati. Lo volevo».
«Quindi questa è stata la tua prima volta?» chiese Rose, per assicurarsi di non aver capito male.
«Sì. E tu hai una faccia troppo compiaciuta» borbottò Will.
Rose si mise a ridere perché Will aveva ragione. La cosa, nel profondo, la faceva sentire più felice di quanto avrebbe dovuto.
«Per quel che mi riguarda» disse poi, tornando seria. «Questa è stata anche la mia prima volta».
Will aveva gli occhi lucidi e distolse per un attimo lo sguardo, probabilmente nella speranza che lei non lo notasse. Poi le diede un bacio sulla fronte e la strinse a sé un po’ più forte. «Rimani qui oggi. Per favore?»
«Wow» disse Rose. «Non sei preoccupato che i tuoi genitori ti prendano in giro? Chi sei e che cosa ne hai fatto del mio Will?»
Will in risposta la baciò sulla bocca e girò entrambi sul letto così che lei fosse sdraiata sotto di lui. Rose sentì dei rumori nel corridoio, e temette che qualcuno potesse entrare.
«Will» sussurrò sulle sue labbra, facendo appello a tutta la sua buona volontà e cercando di non pensare alle mani di Will che le accarezzavano i fianchi. «Dovremmo alzarci. Vuoi davvero che tua madre entri e ci trovi così?»
«Oh». Will alzò un sopracciglio. «Quindi non sei poi così impavida quando dall’altra parte della porta non c’è tuo padre ma c’è mia madre».
Rose sapeva che stava scherzando e che dentro di sé sapeva che lei aveva ragione -dopotutto era pur sempre Will- quindi prese in mano la situazione.
«Coraggio, micetto». Gli diede un bacio sulla guancia e lo fece spostare di lato, così che riuscisse a scendere dal letto e ad afferrare la maglietta che indossava la sera precedente. «È ora di alzarsi».
                                      
---
 
Una volta indossati dei vestiti puliti, Will mise la testa fuori dalla porta per assicurassi che non ci fosse più nessuno in corridoio. Sentiva delle voci provenire dalla camera di sua sorella, ma il corridoio era deserto. Uscì, chiudendosi la porta della propria stanza alle spalle così da lasciare un po’ di privacy a Rose mentre telefonava ai suoi genitori, e si guardò attorno, ancora senza riuscire a credere a quanto accaduto la notte precedente. Lui e Rose erano stati finalmente insieme. Gli sembrava impossibile, perché in tutti quegli anni si era autoconvinto che lei non lo amasse e che tra loro non ci sarebbe mai potuto essere niente di più che amicizia. E invece Rose ricambiava i suoi sentimenti e Will non poteva davvero crederci. Quando si era svegliato, per un istante, aveva creduto che niente di quello che era successo quella notte fosse accaduto per davvero e che si fosse trattato di uno scherzo meschino della propria immaginazione. Però poi aveva trovato Rose accanto a sé, intenta a toccargli il viso con delicatezza, e si era quasi messo a piangere.
Si rese conto che stava fissando il muro davanti a sé con aria inebetita, quindi si affrettò a distogliere lo sguardo e a raddrizzare le spalle. 
«Will?» Will si voltò e trovò sua madre dietro di lui che lo osservava con gli occhi spalancati. Portava una camicia bianca infilata in un paio di jeans scuri e sembrava stanca, come se non avesse chiuso occhio durante la notte. Gli si avvicinò e lo scrutò da capo a piedi. «Come mai sei già sveglio?»
Lizzie uscì in quel momento dalla sua camera e parve accendersi quando lo vide. «Will!» esclamò con gli occhi che brillavano. «Com’è andata?»
Will si sentì quasi soffocare e si limitò a sorridere come un idiota. In quello stesso momento, Rose li raggiunse con aria tranquilla.
«Mio padre era preoccupato. Mi ha mandato venti messaggi, spero abbia dormito stanotte…» alzò lo sguardo e trovò gli occhi di Elizabeth e di Clary che la osservavano con malizia. «Ehm, ciao?»
Clary annuì tra sé e sé e sorrise a Will. «Ah, ora ho capito». Gli diede un colpetto sul braccio, salutò Rose con un cenno del capo e poi se ne andò, probabilmente diretta in infermeria da Jace.
«Cosa non si fa per amore» sospirò invece Lizzie, rivolgendosi poi a Rose. «Lo hai fatto alzare prima delle undici. È un record». 
Rose sbatté le palpebre qualche volta e poi spostò lo sguardo su Will. Will le fece cenno di lasciar perdere.
Decisero di andare a fare colazione con Elizabeth. Will amava sua sorella, ma avrebbe tanto voluto che li lasciasse soli, perché Will odiava doversi impegnare per non toccare Rose e per non sorriderle come un’ameba. Più di una volta aveva dovuto reprimere l’istinto di darle un bacio sul viso, di dirle qualcosa di melenso e sdolcinato o di osservarla per più tempo del necessario. Si era però seduto alla sua destra, così che potesse darle la mano sotto al tavolo, dal momento che lei era mancina e quindi mangiava con la mano sinistra.
«Quindi…» Will bevve un sorso di caffè e si rivolse a sua sorella. «Peter come?»
«Shhh!» Lizzie lo fulminò con lo sguardo e lanciò un’occhiata di sottecchi a Rose. «Quando mai te ne ho parlato!»
«Non preoccuparti, Liz» la rassicurò Rose. «Non lo dico a nessuno».
Lei però la ignorò e continuò a fissare Will. «Non l’hai detto a Cath, vero?»
«Uhm…»
«Oddio» mugugnò lei. «Sei terribile! E a George? Ti prego dimmi che… Ma cosa te lo chiedo a fare, certo che lo hai detto a George!»
Si prese la testa tra le mani disperata.
«Lizzie, non succede niente…» tentò Rose.
«Mi preoccupo se fai così» disse Will.
Elizabeth emise un verso frustrato. «Niente. Va tutto bene. È solo un ragazzo carino con cui parlo ogni tanto e… Peter… Peter è un nome in codice, d’accordo? Non si chiama davvero Peter».
Will alzò un sopracciglio. Non le credeva. Sapeva che gli stava mentendo e odiava che gli mentisse. Aveva intravisto più volte il nome Peter comparire sullo schermo del suo cellulare quando lei lo lasciava incustodito sul tavolo. Non aveva mai letto oltre, ma il nome era abbastanza. Certo, avrebbe potuto salvarlo con il “nome in codice” anche sul telefonino, ma… a che pro?
Will poggiò la tazza sul tavolo e la guardò con serietà. «Elizabeth…»
Lizzie sbuffò. «Non mi importa se lo hai detto ai tuoi amici. Ma se lo dici a mamma e a papà, William Jonathan Herondale, giuro, giuro, che non ti rivolgerò mai più la parola».
Si alzò e se ne andò impettita, con la schiena rigida e il passo veloce, come se sentisse il bisogno fisico di allontanarsi da lui. Will si sentì ferito dal suo comportamento, perché voleva aiutarla. Percepiva la sua preoccupazione, sentiva che qualcosa non andava: voleva solo capire, così da poterla sostenere.
Rose gli si avvicinò e gli poggiò il mento sulla spalla, stringendogli più forte la mano. «Ha sedici anni» disse. Will sentiva il suo respiro sfiorargli il collo. «È normale che faccia così».
«Lo so». Will osservò il punto in cui sua sorella era scomparsa oltre la porta della cucina. «Sono solo in pensiero per lei».
«Sono sicura che sta benone» lo rassicurò Rose. «È una ragazza intelligente».
«Se ti sentisse, sarebbe felicissima». Lizzie aveva profonda ammirazione per Rose, diceva sempre che Rose è un genio.  
Rose si mise a ridere e sollevò il capo. Will, ora che erano finalmente soli, ne approfittò per baciarla. Rose gli passò una mano tra i capelli e Will la maledisse nella mente, senza però fare alcunché per fermarla. Si baciarono per quella che sembrò un’eternità, fino a quando qualcuno non si schiarì la voce alle loro spalle.
Si separarono velocemente, trovando la mamma di Will che apriva il frigorifero divertita.
«Scusate» disse mentre prendeva una bottiglia d’acqua. «Papà è sveglio, Will. Se volete andare a salutarlo, gli farebbe piacere vedervi».
Rose e Will non se lo fecero ripetere due volte, troppo imbarazzati per rispondere alcunché. Usciti dalla cucina, Rose gli fece una smorfia e Will si mise a ridere scuotendo il capo. Poteva andare peggio: almeno non era stata Celine a beccarli mentre si baciavano.
Arrivati in infermeria, suo padre li stava aspettando seduto sullo stesso lettino dove lo avevano lasciato il giorno precedente. Era appoggiato a molti cuscini e stava bevendo del caffè. Indossava una maglietta pulita sotto alla quale Will riusciva a intravedere le bende che Magnus aveva utilizzato per medicarlo.
Quando si accorse della loro presenza sorrise e poggiò la tazza sul comodino.
«Will» disse, ma non fece in tempo ad aggiungere altro che Will lo aveva già abbracciato. Suo padre gli diede qualche colpetto sulla schiena e lo strinse forte.
Era vivo e respirava, continuava a ripetersi Will. Era passato.
Jace lo lasciò andare e fece cenno a Rose si avvicinarsi. «Rose» la salutò mentre la stringeva in un grande abbraccio. A Rose non piaceva troppo contatto fisico, ma non lo diede a vedere. «È sempre un piacere averti qui».
Will aggrottò le sopracciglia. Era forse un’allusione diretta a lui? Lo stava per caso prendendo in giro?
«Come mai in piedi a quest’ora?»
Will sbatté le palpebre, ritornando con i piedi per terra e lasciando da parte le proprie paranoie mentali. Fece per rispondere, ma Rose lo precedette.
«Oh» disse mortificata, posandogli una mano sul braccio. «È colpa mia in realtà. L’ho svegliato presto. È solo che non dormo tanto, e quindi…»
«Ah». Jace rivolse a Will un ghigno divertito che Rose non colse. «Dovresti fermarti a dormire qui più spesso».
Okay, pensò Will depresso, questa è decisamente una frecciatina a me.
Will mugugnò qualcosa di sconnesso e si sedette sul bordo del letto. Rose spostò lo sguardo da lui a suo padre confusa. Will le fece cenno che le avrebbe spiegato dopo che cosa era appena successo, e cioè che suo padre li stava prendendo in giro.
«Se Will mi vuole…» rispose lei con semplicità.
A Will venne da piangere ma si trattenne. Fosse stato per lui, l’avrebbe fatta rimanere a New York tutti i giorni, per sempre, ma sapeva che Julian e Holly Blackthorn non sarebbero stati molto d’accordo.
La prese per mano e la attirò a sé, per poi stamparle un casto bacio sulle labbra. Davanti a suo padre. Davanti a Jace Herondale.
Chissene frega.
«Certo che ti voglio» le lasciò la mano e le sorrise. Non l’aveva mai vista arrossire così tanto: era dello stesso colore dei capelli di sua mamma.
«Questa è la cosa più melensa che abbia mai visto in tutta la mia vita» si limitò a commentare Jace. Guardò Will e scosse il capo, ma si vedeva che in realtà era felice per lui.
Will si schiarì la voce e cercò di cambiare argomento. «Chi vi ha attaccato ieri?»
Suo padre parve colto alla sprovvista. La sua espressione cambiò, si indurì. Il sorriso sornione che sfoggiava di solito si trasformò in una linea dritta. «Will…» iniziò. Poi però il suo sguardo venne catturato da qualcosa alle loro spalle e il suo viso si addolcì nuovamente.
«Ciao, Cath» disse con un piccolo sorriso. «Come sta la mia pianista preferita?»
Will si voltò e trovò Cath con un’espressione preoccupata sul viso. Indossava un vestito grigio scuro dall’aria pesante che la faceva sembrare ancora più pallida. I suoi occhi chiari erano cerchiati di viola e i suoi zigomi parevano più pronunciati del solito. «Io sto bene. E tu?»
Cath suonava il piano e quando Jace lo aveva scoperto era stato sul punto di mettersi a piangere, dato che nessuno dei suoi figli condivideva quella sua passione. Cath si esercitava all’Istituto -a Brooklyn non aveva un piano– e spesso Jace si univa a lei, dandole qualche dritta o consiglio. Ora che Cath si era trasferita a casa loro, Will li sentiva suonare quasi tutte le sere.
«Mai stato meglio». Jace ghignò. «Non sono così facile da uccidere, dopotutto».
Will gli rivolse un’occhiataccia; non gli piaceva che scherzasse in quel modo sulla sua vita.
«Dov’è George?» chiese poi. «Mi ha detto che sarebbe passato stamattina».
Cath si rivolse a Will e inclinò il capo di lato. «Sta arrivando, ma tua mamma mi ha detto che ha bisogno di parlare con lui».
Will deglutì e guardò Rose, che ricambiò il suo sguardo con altrettanta confusione.
«E perché?» domandò Will, non capendo come mai sua madre volesse parlare a quattr’occhi con il suo parabatai.
Cath scosse il capo. «Non ne ho idea».
Anche Will non ne aveva idea, ma di una cosa era certo: non avrebbe portato a niente di buono.
 
---
 
George era arrivato all’Istituto bagnato fradicio. Aveva dimenticato a casa l’ombrello, nonostante suo padre gli avesse ricordato più di una volta di prenderlo prima di uscire. George lo aveva elegantemente ignorato perché odiava usare l’ombrello; preferiva alzare il cappuccio della giacca, o della felpa, per ripararsi dalla pioggia: era più comodo, oltre che più sicuro nel caso avesse incontrato qualche demone. Era sempre meglio avere le mani libere. E poi non era mica Will, non gli importava se gli si arricciavano i capelli. Will era un tipo da ombrello, non George.
Tuttavia, era da quasi una settimana che continuava a piovere a dirotto, e neppure la sua giacca impermeabile era stata sufficiente per ripararlo dalla pioggia.
Forse avrei dovuto davvero prendere l’ombrello, pensò mentre scendeva dall’ascensore e si passava una mano tra i capelli bagnati. Si tolse la giacca e la appese sull’appendiabiti all’ingresso, per poi dirigersi verso la cucina. Aveva mandato un messaggio a Cath, dicendole che era arrivato. La sera precedente aveva insisto affinché lei restasse a dormire a casa sua, ma Cath aveva rifiutato con convinzione, così George aveva lasciato perdere.
A metà corridoio, incrociò Elizabeth, che camminava spedita con il cellulare in mano. Per poco non gli finì addosso. «Buongiorno» la salutò con un ghigno George.
Lizzie alzò il capo dal telefonino e sbatté le palpebre un paio di volte, come se stesse cercando di metterlo a fuoco. A volte George si meravigliava di quanto lei e Will si somigliassero: avevano gli stessi occhi, gli stessi capelli e gli stessi tratti delicati del viso.
«Oh, ciao» lo salutò lei spiccia.
Fece per andarsene, ma George la trattenne. «Dove vai con tanta fretta?»
Lizzie era come una sorella per lui e si divertiva a prenderla in giro tanto quanto si divertiva a prendere in giro Will.
Lizzie alzò le spalle. «Da nessuna parte».
«Ah». George ridacchiò. «Quindi non stai uscendo con Peter?»
Se gli sguardi avessero potuto uccidere, George sarebbe stato già morto. Elizabeth Herondale lo stava guardando come se volesse staccargli la testa. Emise un verso frustrato, gli girò le spalle impettita e se ne andò, sventolando una mano per aria in segno di saluto mentre urlava: «Io, Will, lo ammazzo! Addio, George!»
George si mise a ridere e la osservò scappare via. Poi si voltò e notò che Cath lo stava raggiungendo a passo veloce. Quando gli fu vicino, tese le braccia verso di lui e George si chinò per abbracciarla. «Ehi» le sussurrò contro la guancia, mentre la sollevava da terra. Cath lo strinse forte e per un istante George temette di sentirla tremare. «Va tutto bene?» chiese, iniziando a preoccuparsi. Tirò indietro il capo quanto bastava per guardarla negli occhi -senza però lasciarla andare. Lei gli sorrise con un po’ troppa enfasi. «Certo. Tu?»
George non le credeva -ormai riusciva a capire quando mentiva: abbassava leggermente lo sguardo e inarcava le sopracciglia in un modo strano- ma non infierì. La mise a terra e le prese la mano. «Bene» le posò un bacio sul palmo e poi incrociò le dita alle sue. Nonostante le cicatrici, Cath aveva delle mani delicate per una Shadowhunter, con dita lunghe e sottili. «Mia mamma mi ha detto di Jace». George avrebbe dovuto fare un bel discorsetto al suo migliore amico: non era possibile che lo avesse chiamato poche ore dopo l’accaduto per chiedergli informazioni sul presunto ragazzo di sua sorella e che si fosse dimenticato di menzionare che suo padre era stato ferito.
Cath si rabbuiò. «Sono appena stata in infermeria. La ferita era profonda ma ora Jace sta bene… Will e Rose sono con lui. Ah, ho incontrato Clary poco fa e mi ha detto che vuole parlare con te».
George aggrottò le sopracciglia. «Con me?»
Cath annuì. «E’ in camera di Will. Dovresti raggiungerla, mi sembrava parecchio arrabbiata».
George pensò velocemente a un motivo per cui sua zia potesse essere arrabbiata con lui, ma non gli venne in mente niente. Per una volta, qualsiasi cosa fosse successa, era quasi sicuro che non fosse stata colpa sua. Quando lui e Will erano piccoli, invece, era sempre lui quello che spingeva Will a fare qualcosa di stupido, facendo arrabbiare i loro genitori.
Diede un bacio a Cath e si affrettò a raggiungere Clary. La trovò rannicchiata davanti al letto di Will, intenta a guardare sotto di esso.
«Ehm… ciao» la salutò George, chiudendosi la porta alle spalle. «Sei davvero quel tipo di genitore che ficca il naso tra le cose del figlio? Credevo che quello fosse zio Jace».
Clary si tirò in piedi velocemente e raddrizzò le spalle, facendogli una smorfia. «Mi servivano del bianco e del viola» spiegò, indicando la scatola delle tempere di Will, che ora stava aperta sulla scrivania. «Ma mi sono finiti tutti i colori per terra e alcuni sono rotolati sotto al letto. Mentre cercavo di recuperarli, ho trovato questa» afferrò una giacca nera e gliela sbatté contro al petto con foga. «Sai spiegarmi?»
George spalancò gli occhi e si rigirò la giacca tra le mani confuso. Sua zia doveva essere impazzita.
«So spiegarti che cosa?»
«Il sangue e la manica tagliata». Clary incrociò le braccia al petto. «E le spade angeliche sporche di sangue. Siete usciti ieri sera?»
«No!» esclamò George. «E anche se lo avessimo fatto... Che ti importa?»
Clary alzò un sopracciglio e gli rifilò un’occhiata spaventosamente simile a quella che gli aveva rivolto poco prima Elizabeth. Quel giorno non era un buon giorno per interagire con le donne Herondale.
«Non parlarmi così» lo rimproverò lei. «Non lo chiedo a Will perché mentirebbe». Clary sembrava disperata. «Ma dimmi la verità, George. Cos’è successo ieri sera?»
«Io e Cath eravamo a casa mia» disse lui. «Will e Rose non ne ho idea, credevo fossero qui».
«Ha chiamato Lily questa mattina» continuò Clary, sedendosi sulla sedia della scrivania e incurvando leggermente le spalle. Sembrava che tutta la rabbia e il fuoco che ardevano nei suoi occhi l’avessero abbandonata. «Voleva ringraziarci per come abbiamo gestito la sua lamentela riguardo i lupi mannari. Ma… io non ne sapevo niente. Allora lei mi ha detto che c’erano dei lupi mannari che infastidivano il suo Clan e che ci ha pensato Will. Non sta attento, George. Non sta attento e non mi dice quello che fa».
George si servì delle parole che più e più volte si era sentito ripetere, quelle parole che odiava con ogni cellula del suo corpo ma che era consapevole corrispondessero alla realtà: « È uno Shadowhunter. Ha fatto il suo lavoro, tutti avremmo fatto lo stesso».
Clary lo osservò con le labbra serrate per qualche secondo. I suoi occhi erano più verdi di quelli di Will, però avevano la stessa forma e le stesse ciglia scure.
George sbuffò e si sedette sul letto del suo parabatai. «Lo so, che non sta attento. Ma cosa dovrei fare? Incatenarlo e rubargli lo stilo? Lo sai che non posso e che non lo farei mai, andrebbe contro la sua natura. E poi erano solo lupi mannari, Will sa gestire dei lupi mannari».
Anche lui era preoccupato per Will. Odiava quando si metteva in situazioni pericolose, ma soprattutto odiava quando lo faceva senza dirglielo, senza portarlo con sé per guardargli le spalle. 
La stanza era debolmente illuminata dalla luce del giorno, nonostante il sole fosse coperto dalle nuvole cariche di pioggia. Nella camera di Will dominavano il verde e il bianco, ma quella luce grigiastra che rifletteva le nuvole ne smorzava la brillantezza.
Clary si agitò sulla sedia e guardò fuori dalla finestra con espressione grave.
«C’è qualcosa che non mi stai dicendo…» dedusse George. «Cosa succede?»
«Sono stati i Riders a ferire Jace» confessò Clary. «Eravamo fuori per una pattuglia e ci sono piombati addosso all’improvviso. Sono a mala pena riuscita a creare un portale per scappare. E mi ha chiamata anche Maia poco fa, dicendo che uno dei suoi è stato assassinato da loro».
«E Will lo sa?» Una fitta di paura attraversò George. Rivide il corpo di Cath squarciato dalla lancia di Delan davanti ai propri occhi; non avrebbe sopportato se fosse capitato anche a Will.
Clary scosse il capo. «Non volevo che si preoccupasse ulteriormente, era già abbastanza scosso per Jace… E invece lui è uscito, ed è già tanto che si sia messo almeno la giacca della tenuta da combattimento».
George avrebbe voluto sottolineare quanto fosse importante dire sempre la verità, anche quando così facendo si rischiava di ferire qualcuno: le bugie non ti proteggono mai, anche se dette in buonafede. Ma non era quello il momento per fare la morale a sua zia.
«… e non ti ha neppure portato con sé» proseguì lei con un filo di voce. «Non so cosa fare. Io mi arrabbio e lui ruota gli occhi al cielo, promettendomi che non lo farà più, ma ogni volta che esce di casa mi chiedo cosa diavolo stia combinando. Magari te e Rose potete farlo ragionare, vi ama così tanto».
«Ci parlo io» decise George. Lo avrebbe rivoltato come un calzino. Perché, indipendentemente dal fatto che sua madre non gli avesse detto dei Riders, Will sapeva che erano sulle loro tracce e non sarebbe dovuto uscire, soprattutto dopo aver ucciso Delan. E poi il non averglielo detto era imperdonabile.
Clary parve sollevata. Si alzò dalla sedia e gli diede un bacio sulla fronte. «Grazie, George».
George la osservò mentre si allontanava e lo lasciava solo nella stanza; si prese un momento prima di seguirla e di affrontare il suo migliore amico.
 
George andò a salutare suo zio in infermeria. Dopo essersi accertato che stesse bene, ne approfittò per chiedergli di Cath, così da avere un altro parere oltre a quello di Will, che gli aveva confidato di essere preoccupato per lei perché mangiava poco e sembrava spesso assente.
«Cath sta tirando avanti» gli disse Jace. «Dopo tutto quello che le è capitato non puoi aspettarti che stia alla grande dall’oggi al domani».
George lo sapeva, ma era comunque difficile non stare in pensiero per lei.
«Non ti preoccupare» continuò Jace. «Si rimetterà presto. Sono tutti ad allenarsi comunque».
George, ancora poco convinto, salutò suo zio e decise di raggiungere i suoi amici. Salì in fretta le scale che portavano all’attico, attraversò il corridoio che portava alla palestra, un’ampia sala piena di attrezzi e armi, e varcò la soglia indossando l’espressione più minacciosa del proprio repertorio: dopotutto doveva essere arrabbiato con Will, no?
In palestra però trovò solo Cath, intenta ad esercitarsi con i coltelli da lancio. Stava prendendo la mira con un coltello alzato dietro l’orecchio. L’espressione di George si addolcì. Le si avvicinò dal dietro, pensando di spaventarla; era una cosa che faceva spesso, senza però avere sempre successo, dato che Cath aveva i riflessi pronti. Non si era disegnato alcuna runa del silenzio, perciò Cath lo sentì arrivare: scagliò il coltello contro al bersaglio e poi si voltò di scatto, e lo gettò a terra, tirandolo per un braccio e facendogli lo sgambetto con la gamba. George non se lo aspettava, quindi finì al suolo come un sacco di patate.
«Ah!» esclamò soddisfatta lei, guardandolo dall’alto verso il basso, cosa che succedeva di rado. «Ti sta bene».
Aveva le guance arrossate per lo sforzo e i capelli raccolti in una coda scompigliata. Indossava i vestiti per l’allenamento: pantaloni elasticizzati e una maglietta larga per facilitare i movimenti.
Gli tese una mano per aiutarlo ad alzarsi e George la accettò. «Non vale» borbottò mentre si tirava in piedi, ferito nell’orgoglio. «Mi hai sentito arrivare».
«È questo il punto» gli fece notare lei. «Che ti ho sentito perché hai la delicatezza di un facocero quando cammini».
George si mise una mano sul petto. «Scusa se sono alto un metro e novantacinque».
Cath gli rivolse un sorrisetto e poi prese un altro coltello, rivolgendo nuovamente la propria attenzione al bersaglio.
George si guardò in giro e notò che erano soli in palestra.
«Dove sono Will e Rose?» chiese allora. Jace gli aveva detto che li avrebbe trovati lì con Cath.
Cath lanciò il coltello. Poi si girò verso di lui e fece una smorfia. «Non fraintendermi. Sono carini. Però fanno così da quando siamo arrivati».
George aggrottò le sopracciglia. «Così come?»
«Così». Cath indicò l’altro lato della palestra, dove si trovavano le alte travi di legno che venivano usate per migliorare l’equilibrio. Sotto di esse, sui tappetini che erano stati posizionati lì in caso di caduta, stavano Rose e Will. Erano avvinghiati l’uno all’altra e si stavano baciando.  
George sorrise. «Be’, potremmo prendere esempio da loro e sbaciucchiarci anche noi».
Cath gli diede una leggera spinta e poi incrociò le braccia al petto, con finta aria altezzosa. «Noi non abbiamo tredici anni».
George alzò un sopracciglio e lei si mise a ridere. Poi lo prese per la maglietta e lo fece chinare verso di lei per stampargli un bacio sulle labbra.
«Sei troppo bassa, Catherine» sussurrò George.
Lei lo ignorò e gli diede un altro bacio sulla guancia. «Cosa ti ha detto Clary?»
George raddrizzò la schiena, ricordando come mai stesse cercando il suo parabatai. «Devo dirne quattro a Will. Ti spiego dopo».
Si diresse a passo veloce verso i suoi amici e li osservò per un istante, aspettando che lo notassero, ma erano così presi l’uno dall’altra che sarebbe anche potuta scoppiare una tempesta e loro non se ne sarebbero accorti.
George si schiarì la voce, ma loro continuarono a ignorarlo. Rose era sdraiata sulla schiena e Will le stava per metà sopra, le braccia allacciate attorno alla sua vita. Rose aveva le mani nei suoi capelli e gli stava sussurrando qualcosa all’orecchio. George sentì Will dirle che la amava, e gli si strinse un po’ il cuore, perché Will aspettava quel momento da anni.
Ma non poteva essere sentimentale, non quando doveva fargli la predica, perciò sfoggiò un’espressione indifferente e sospirò.
«So che William è un pappamolle» disse. «Ma mi sarei aspettato di meglio da te, Blackthorn».
Rose in risposta gli fece un gestaccio, mentre Will sembrava non averlo neppure sentito.
«Will» lo chiamò George. «Mi dispiace interrompervi, ma devo parlati di una cosa importante».
Will percepì l’urgenza nella sua voce e rotolò via da Rose, mettendosi a sedere sul materassino. Aveva le labbra gonfie e i capelli che sparavano in tutte le direzioni; George non lo aveva mai visto così spettinato, ma neppure così felice.
«Cosa succede?» gli chiese. Un velo di preoccupazione annebbiò il suo volto, e a George dispiacque dover smorzare l’atmosfera fatta di zucchero filato e di cuori nella quale i suoi migliori amici erano immersi, ma doveva farlo. Era importante che Will capisse di non essere invincibile.
«Vai via, George» mugugnò Rose, sollevandosi sui gomiti così da poterlo guardare negli occhi. Ciocche di capelli le erano sfuggite dalla treccia e anche lei aveva il viso arrossato e l’espressione sognante di chi aveva appena ottenuto tutto ciò che desiderava dalla vita.
«Mica a te non piaceva il contatto fisico?» le chiese lui.
Rose gli rifilò un sorrisetto compiaciuto, ma non replicò, così George si rivolse di nuovo Will. «Possiamo parlare un secondo? Da soli?»
Will annuì, ora era serio, e anche Rose si rabbuiò. Aveva capito che qualcosa non andava.
George fece strada e condusse Will nel corridoio davanti alla palestra. Will lo seguì e si chiuse la porta alle spalle, passandosi poi una mano tra i capelli per cercare di sistemarseli.
«George» iniziò, chiaramente preoccupato. «È successo qualcosa?»
«È successo che sei uscito senza di me».
Will ammutolì e si limitò a fissarlo.
«Me lo ha detto tua madre poco fa. Tua madre, che ha trovato le spade insanguinate e la giacca lacerata» spiegò George. «Non me ne hai neppure parlato una volta che sei tornato a casa. Perché?»
«Non volevo farti preoccupare».
«È il mio lavoro, Will» disse George. «Preoccuparmi per te, guardarti le spalle e assicurarmi che tu non ti faccia ammazzare. È ciò che faccio, ciò che voglio fare».
«È successo tutto velocemente, non ho avuto tempo per chiamarti».
George fece una smorfia. «Crei portali, William. Se avessi voluto, avresti trovato il tempo».
Will lo guardò negli occhi per qualche istante, poi parlò, la voce che tremava. «Mio padre era ferito in infermeria. Non sapevo che cosa gli sarebbe successo. Non potevo rischiare anche te».
Maledetto William, pensò George. Non riusciva a essere arrabbiato con lui neppure per dieci minuti. Ma era questo che faceva Will. Si faceva volere bene anche quando si comportava da idiota, perché era sempre mosso da nobili intenzioni: Will era buono.
«Pensi sempre a proteggere gli altri e mai a proteggere te stesso. Ma non pensi a come starei io se tu morissi? O Rose, o la tua famiglia».
«Lo ha detto anche lei». Will sorrise leggermente, con quel sorriso triste che era solito indossare quando parlava dei propri sentimenti per Rose. «Rose intendo. Ha detto la stessa cosa».
«Rose è intelligente» disse George. «E sa quello che dice. Devi smetterla di essere così imprudente».
«Lo so» disse Will. «Davvero, ti giuro che l’unico motivo per cui non ti ho chiesto di venire con me è che ero troppo preoccupato per coinvolgere altre persone. Rose mi ha seguito ma non volevo che lo facesse, e…»
«William» scandì lentamente George, mettendogli le mani sulle spalle e scuotendolo leggermente. «Sono il tuo parabatai. Dove vai tu, vado io».
«Hai ragione» concesse Will. «Mi dispiace. L’ho già detto a Rose e lo dico anche a te: starò più attento. Lo giuro sull’Angelo».
George decise di credergli; dopotutto un giuramento sull’Angelo era sacro per gli Shadowhunters, e Will non veniva meno alla parola data.
«Bene». George lo lasciò andare e gli sorrise compiaciuto. «E ora, parlando di cose serie: tu e Rose?»
Will distolse lo sguardo e divenne rosso alla base del collo; George dovette trattenersi dallo scoppiare a ridergli in faccia.
«Io e Rose cosa?»
«Ti prego» lo prese in giro George. «Ce l’hai scritto in faccia».
Will si mise a sorridere come un idiota. «Sono la persona più felice del mondo».
Anche George lo era, perché se Will era felice allora lo era anche lui. Odiava vederlo triste e abbattuto, schiacciato dalla convinzione che Rose non lo avrebbe mai amato.
George era sul punto di dirgli che era contento per loro, ma Will lo abbracciò all’improvviso. George lo tenne stretto per parecchi secondi, traendo conforto dalla sua presenza rassicurante, dal battito del suo cuore che gli diceva che Will era vivo e stava bene.
«Okay, Will». George gli diede qualche colpetto sulla schiena. «Sarà meglio tornare di là, non vorrei che Rose si ingelosisse e mi prendesse a pugni».
 
Rose per fortuna non lo prese a pugni. Al contrario, mentre Will si avviava a recuperare due spade angeliche per allenarsi, Rose prese George da parte e gli chiese che cosa fosse successo.
«Gli ho fatto la predica» le rispose a bassa voce lui per non farsi sentire dal suo parabatai. «Che novità. Ormai sono la mamma del gruppo».
Le pupille di Rose si dilatarono leggermente per la comprensione. «Hai saputo di quello che è successo ieri sera?»
George non voleva parlarne più. Essere stato lasciato indietro da Will era stato un duro colpo, non voleva pensare al fatto che il suo migliore amico avesse rischiato la vita senza di lui al suo fianco. Perciò rivolse a Rose un ghignò divertito. «Non ce n’è stato bisogno, ce l’aveva scritto in faccia. Vi siete divertiti?»
Rose non capì subito. Sbatté le palpebre un paio di volte e corrugò la fronte, come se stesse cercando la soluzione ad un qualche problema di fisica. Anche se, probabilmente, per Rose sarebbe stato più facile risolvere un problema di fisica piuttosto che un problema di cuore.
«No» rispose Rose. «Non ci siamo divertiti, i Riders…» poi sembrò capire e si zittì. «Ah… non parli dei Riders».
«No, non parlo dei Riders» la prese in giro George. «Anche se mia zia mi ha detto quello che è successo e ho già provveduto a sgridare Will. Ma no, mi riferivo a quello che è successo dopo. Bel modo per superare la cosa, davvero».
Rose stava arrossendo. Gli tirò uno spintone, cercando di non sorridere e di sembrare arrabbiata. «Dovresti davvero imparare a farti gli affari tuoi».
«Dopo tutto il tempo che ci avete messo per mettervi insieme, il minimo che possiate fare è permettermi de prendervi in giro».
Rose fece per ribattere, poi però parve concludere che George aveva ragione e lasciò perdere.
A metà mattinata Elizabeth li raggiunse e si mise a tirare di katana con Cath. A volte George dimenticava quanto le due fossero amiche. Le vide chiacchierare animatamente mentre si allenavano e sospettò che Cath le stesse facendo il terzo grado per cercare di scoprire chi fosse il misterioso Peter con il quale si sentiva. Anche George era curioso, nonostante sapesse che non erano fatti suoi, però Elizabeth era come una sorella minore per lui. Essendo figlio unico, le sorelle di Will erano un po’ anche le sue.
Finito di allenarsi, decisero di mangiare qualcosa e poi di guardare un film tutti insieme. Elizabeth rimase con loro per tutto il giorno: evidentemente il suo caro Peter doveva essere impegnato.
Rose voleva vedere Titanic, ma George glielo impedì.
«No» disse, e sapeva che il terrore era ben visibile nei suoi occhi. «Abbiamo visto Titanic con i miei genitori e Cath ha pianto tutta la sera».
«Non è vero!» esclamò lei indignata. Si sedette sul divano e incrociò le braccia al petto. George alzò un sopracciglio nella sua direzione e lei scrollò le spalle. «D’accordo. Forse ho pianto un po’».
«Un po’?» George si sedette al suo fianco e la fissò scuotendo il capo.
Alla fine, Rose scelse un film mondano che parlava di una ragazza che amava i matrimoni e che sognava di trovare l’amore della sua vita e di sposarsi anche lei come tutte le sue amiche. Dopo dieci minuti scarsi dall’inizio, questa povera sventurata era già caduta a terra per poi essere soccorsa dal belloccio di turno, un idiota che non faceva altro che mentirle. George odiava quel tipo di stronzate. Se un ragazzo, o una ragazza, non ti rispetta abbastanza da dirti la verità, allora non merita le tue attenzioni.
Dopo l’ennesima bugia, George smise di provare a seguire la trama e iniziò ad infastidire Cath. Le diede un bacio sul collo che la fece ridere e poi le tirò una ciocca di capelli.
«Shhh» gli intimò lei, presa dal film.
George alzò gli occhi al cielo. «Non dirmi che ti piace».
«Shhhhh!» lo zittirono subito tutti gli altri. Sia Rose, che Will, che Elizabeth, gli rifilarono un’occhiataccia e poi tornarono a rivolgere la propria attenzione al film.
«Anche tu, Blackthorn» borbottò sconvolto George. Si sarebbe aspettato di meglio da Rose, ma dopotutto lo sapeva che nel profondo anche lei era un’inguaribile romantica come Will e Cath.
George era insofferente. Non gli piaceva non avere niente da fare, quindi prese Cath in braccio e lei si accoccolò su di lui, continuando però a tenere gli occhi fissi sullo schermo.
Alla fine, il giovane stron… cioè, giornalista, capì di essersi comportato male e cercò di farsi perdonare dalla protagonista. George sperò invano che lei lo mandasse a quel paese, ma ovviamente non fu ciò che successe: lei decise di perdonarlo e di sposarlo. George non ci poteva credere. Ma soprattutto non poteva credere che Cath stesse davvero piangendo per quella robaccia.
Si guardò attorno e notò che Will aveva gli occhi lucidi, mentre Rose un’espressione strana dipinta sul viso. Elizabeth sembrava quella che stava meglio.
Sempre detto che Lizzie è una tipa a posto, pensò George sconsolato.
«Non capisco come facciate a essere miei amici» decretò lugubre.
Cath girò la testa e gli diede un bacio appiccicoso. «A me è piaciuto».
George appoggiò la fronte contro la sua. «Devo tornare a casa» sussurrò a malincuore.
Cath si irrigidì, ma cercò di non farglielo notare e gli sorrise. «Certo».
«Puoi stare da me se vuoi».
«No» rispose lei. «Non ti preoccupare, resto qui».
Quel giorno Cath sembrava stare bene, o almeno meglio del solito, perciò George non insistette: Cath non si sarebbe mai ambientata nell’Istituto se avesse continuato ad andare a dormire da lui; era giusto che la sua vita ricominciasse a prendere una parvenza di normalità.
George lanciò un’occhiata a Will e a Rose. Sembravano ancora persi nel loro mondo, Will seduto su una poltrona e Rose in braccio a lui con le gambe che penzolavano da uno dei braccioli e la testa appoggiata sulla sua spalla.
«Mah» disse Elizabeth alzandosi dal divano e stiracchiandosi. «Ricordatemi di non guardare mai più un film con voi se non ho un ragazzo con me. Siete terribili. Tutti quanti». George fece per ribattere ma lei gli puntò un dito contro. «Sì, anche tu, George».
«Invita Peter la prossima volta» le rispose allora lui. «Non vediamo l’ora di conoscerlo. Ti prometto che non ti prenderemo in giro se è brutto».
Elizabeth emise un verso strozzato e scappò via, esasperata.
«Meno male che non sei tu suo fratello» commentò Rose, guardandola sparire oltre la porta. «Saresti insopportabile».
«Sono solo curioso».
«E senza filtri» aggiunse Cath.
«Mio padre dice sempre che i filtri sono per le sigarette e per il caffè».
Will mugugnò qualcosa. «Io sono preoccupato. Cath, tu non sai niente?»
Cath si morsicò un labbro. «No, ma anche se sapessi non ve lo direi».
Tutti e tre proruppero in esclamazioni indignate. «Che cosa?» fece Will, paonazzo.
«Devi dirlo a me» disse George. «Io ti dico tutto».
Cath si voltò e gli rivolse un’occhiataccia. «Scusa? Ti ricordo che non mi hai mai detto che Will fosse innamorato di Rose. Anche quando era evidente! Lizzie è mia amica e se non vuole parlarvi di Peter ci sarà un motivo, non sarò certo io a raccontarvi i fatti suoi».
George ridacchiò, lasciando perdere il discorso, ma vide con la coda dell’occhio Will rabbuiarsi. Prese un cuscino e glielo lanciò.
«E quello per che cos’era?» esclamò lui, guardandolo con rassegnazione.
«Devi smetterla di preoccuparti per niente» spiegò George. «Lizzie sta bene e starà bene».
Will lo guardò negli occhi per parecchi secondi e poi scrollò le spalle. «Forse hai ragione» concesse, ma qualcosa nella sua espressione diceva che non ci credeva davvero.

NOTE DELL'AUTRICE
Buonasera a tutti!
Oggi è il compleanno di Will (17 febbraio, quando abbiamo creato i personaggi abbiamo scelto anche le date di nascita), quindi ci tenevo a pubblicare un capitolo! Sono in piena sessione -motivo della mia assenza- ma ce l'ho fatta. <3 
Spero che vi piaccia e vi ringrazio se ci siete ancora. Con la fine degli esami potrò scrivere di più e pubblicare più spesso. :) E sì, tutti i riferimenti a Jace e a Clary, o a Julian e a Emma, da giovani sono perfettamente voluti. :)
Grazie mille a tutti e buona serata.

Francesca 
  
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