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Autore: Zomi    21/02/2018    1 recensioni
Margaret sa che c'è qualcosa che la lega a Law da sempre, per sempre.
Sir Crocodile non lascia impunita nessuna infedeltà, di alcun genere.
Cosette sogna un amore sincero, sereno, luminoso come il sole e i sentimenti.
Le penne candide di Monet cadono inaspettate sul ghiaccio di Punk Hazard.
A Dressrosa è estate. Nel cuore di Baby è estate.
{FanFiction partecipante al “This would Be Love” Challenge indetta dal Forum Fairy Piece}
{FanFiction partecipante al Crack&Sfiga Ship's Day2k19 indetto dal forum Fairy Piece }
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Crocodile, Donquijote Doflamingo, Margaret, Trafalgar Law | Coppie: Shichibukai/Flotta dei 7
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Amore: Amore sentimentale
 
Coppia: Niji x Cosette
 
Note d’Autore: La Ship Bad Wrong che mi ha rubato il cuore. Ammetto che mi ricorda parecchio la Gajeel x Levy del fandom di Fairy Tail, ma dubito avranno lo stesso lieto fine.
AU, partecipante ancora alla Challange This Would Be Love (?) ma anche al Crack&Sfiga Ship’s Day entrambi indetti dal Fairy Piece Forum. Scusate la quantità abnorme di glucosio.
 


                                 
 



un grazie speciale a Mari, sempre decisa e forte
 


 
Cosette credeva nell’amore.
Credeva che ognuno appartenesse a qualcuno di speciale, che lo cercava e attendeva, e che era pronto a prendersi cura di lui con tutto l’affetto e la devozione che si merita una persona amata.
Sì, Cosette ci credeva.
Era un’idilliaca idea di altri tempi, lo sapeva, e non da giovane donna moderna che non poteva permettersi di perdersi in pensieri così romantici e utopici.
Ma cosette ci crevea.
Credeva che l’amore fosse caldo, splendente e forte come il sole d’estate.
Si, ci aveva sempre creduto, nelle giornate fredde d’inverno, in cui il sole era una pallida carezza che la sosteneva nel suo vivere, o in quelle di pioggia in cui si sentiva sola proprio come in quel momento.
Ci aveva creduto a ogni rifiuto, a ogni crepa che andava a segnare il suo cuore palpitante di sentimenti, trovando sempre la forza di crederci un po’ di più.
Sempre un po’ di più.
Credeva nell’amore a prima vista, nelle carezze mal celate che esprimevano meglio i sentimenti, negli sguardi carichi di passione e nell’attesa furente e dolce di un bacio.
Credeva nel romanticismo, e da inguaribile romantica vedeva intorno a lei mille e più significati e sfumature anche nei più semplici gesti.
Credeva nei sentimenti.
Nel dolore della malinconia, nella limpidezza della felicità e nel calore dell’amore.
Ci credeva con tutta se stessa.
Era il suo motto, il suo stile di vita e lo riversava in ogni gesto che compieva.
Metteva anima e sentimenti nel suo lavoro di cuoca nelle cucine private della villa della famiglia Vinsmoke, influente e potente famiglia a capo delle più ricche industri del paese.
Si impegnava al massimo per rendere ogni pasto degno di interesse, prelibato per il palato ed energico per le attività dei componenti della famiglia.
Rognone con salsa piccante e verdure grigliate per il capo famiglia Judge.
Tiramisù al cioccolato, ricercato e sfizioso, per la golosità del signorino Yonji.
Riso Basmati con spezzatino al curry per Mr. Ichiji.
Aligot caldo, fumante, saporito e ricolmo del suo intenso sentimento per il serioso ma amabile Niji.
Oh Niji.
Sentiva le gote scottarle il viso nel pensare a lui, e ritemprarla dal freddo pungente della pioggia che bagnava quel venerdì pomeriggio in cui attendeva il bus che l’avrebbe riaccompagnata a casa.
Il suo cuore palpitò due vote, solo due, prima di spegnersi pian piano con il sentimento che l’aveva fatto galoppare in quegli ultimi mesi.
Le guance da cremisi si annacquarono, raffreddando la pelle rossastra d’emozione con gocce salate di pioggia che non cadevano dal cielo, ma dai scuri occhi della ragazza.
Era una fortuna che quel pomeriggio fosse sola alla fermata del bus: nessuno le avrebbe chiesto il motivo delle sue lacrime.
Un singhiozzo, un altro trattenuto a mani strette sul petto scosso dal pianto e sotto il cappottino color ocra, fingendo che fosse il vento a farla tramare, per il freddo ovvio, e non che la causa di quel dolore lancinante al petto fosse una nuova ferita allo scrigno dei suoi sentimenti.
Che sciocca era stata a crederci.
Che ingenua sognatrice che era, nuovamente caduta vittima del trabocchetto dei sentimenti e del loro inganno più crudele.
Tirò su con il naso, una manica del cappotto a tamponare le lacrime mentre lo sferzare del vento la investiva sotto la piccola tettoia della fermata del tram, che cantava malinconica al ritmo della pioggia.
Eppure Cosette doveva saperlo.
Se si sforzava di essere sincera e schietta con se stessa, poteva ammettere di averlo saputo fin dal primo sguardo posato su di lui che stava osando troppo.
Era iniziato tutto con timidi sorrisi, di circostanza dal principio, ma che venivano sempre più cercati e compiuti con intenzione quando si incrociavano.
Arrivava nelle cucine anche con un’ora di anticipo, pur di sorridere e dare il buongiorno a Niji, che aveva l’abitudine di rilassarsi  spegnendo lo smartphone e posandolo sul tavolo, dedicandosi alla lettura dei quotidiani del mattino nella silenziosa calma delle cucine della villa, lontano dagli schiamazzi mattutini dei suoi gemelli o dalle telefonate d’affari, moleste e noiose, del padre.
Muta e leggiadra in ogni movimento, lo lasciava leggere senza proferire parola, fino a quando non chiudeva il grigio giornale e, con calcolata timidezza affinché il vassoio non tremasse troppo per l’emozione, gli offriva una tazza di caffè nero.
Senza zucchero.
Mai zucchero.
La dolcezza non era per lui.
Un debole sorriso mentre gli spingeva contro il vassoio, e uno di contraccambio da parte del ragazzo che annuiva e consumava la colazione con lei.
Le bastava quello.
Un leggero, confidenziale, semplice sorrido di Niji, e Cosette si sentiva pervasa da mille sentimenti energici, che la spronavano a dare il massimo durante la giornata.
Quel breve rituale era diventato la molla delle sue giornate: lunghi minuti di atteso desiderio solo per un suo sorriso, senza parole o gesti.
E sarebbe finito tutto lì, in quel breve piegarsi di labbra verso l’alto ricambiato e privo di parole, se non fesse stato per Germa.
Cosette si sarebbe accontentata di quei brevi attimi e avrebbe custodito gelosamente i sentimenti che provava per il suo superiore, senza cercarne altri, senza desiderarne di più grandi e intensi.
Ma non era stato così.
Occupandosi delle cucine aveva il compito di gettare gli avanzi negli appositi contenitori posti lungo il confine delle stalle dei purosangue della villa, ed aveva preso la strana abitudine di soffermarsi a volte a contemplare le maestose cavalle degli Vinsmoke, osando a volte accarezzarne qualcuna sul muso.
Era lì che Niji l’aveva sorpresa la prima volta, nella pausa pomeridiana post pranzo, facendola sussultare quando le aveva detto che la cavalla che stava coccolando si chiamava Germa.
Né era conseguito un urletto spaventato della cuoca, una serie infinite di scuse per la sua scellerata perdita di tempo, tanti, troppi inchini verso il giovane e un ordine da parte di Niji: tornare nelle stalle il giorno successivo con delle mele.
Iniziò così.
Mentre sfamavano la golosa puledra, con mele rosse e succose, parlavano, si scambiavano tutte le parole che al mattino non pronunciavano nel silenzio delle  cucine, chiacchierando senza status sociali e avvicinandosi pian piano.
Cosette aveva scoperto che gli occhi di Niji non erano semplicemente azzurri, alcune volte se il cielo era nuvoloso tendevano al grigio, altri se il sole brillava tra le nuvole verdi, che amava parlare di sé ma anche ascoltarla, intervenendo con enfasi e scaldandosi velocemente sugli argomenti che aveva più a cuore.
Spesso taceva se qualcosa lo preoccupava, inveiva contro i colleghi di lavoro e a volte i fratelli, per cui però aveva sempre una parola goliardica, odiava il proprio cellulare e spesso lo dimenticava in giro e preferiva la compagnia dei cavalli che a quella delle persone.
Aveva capito ben presto Cosette, che sotto la dura armatura di futuro uomo d’affari degno dell’impero di famiglia e dal carattere dispotico, c’era un ragazzo come tutti gli altri bisognoso di provare sentimenti veri come tutti.
Se n’era innamorata con una semplicità disarmante, e ogni giorno un pochino sempre di più.
Ma non si permetteva di aver illusioni: lei era una cuoca, lui invece il rampollo Vinsmoke.
Teneva a briglia corta i suoi sentimenti, li zittiva e ammoniva quando osavano scaldarsi troppo nel pensare a lui.
No, Cosette non sperava che Niji la ricambiasse.
Almeno fino a quel pomeriggio, nuvoloso e uggioso, nelle stalle mentre Germa nitriva felice per le nuove mele, il ragazzo le aveva scostato una ciocca di capelli dal viso e ignorando la suoneria del telefono che gracchiava cocciuta, le aveva rubato un bacio.
Piccolo, innocente ma caldo bacio.
E per Cosette fu la fine.
A ogni parola, a ogni caffè mattutino, a ogni mela sgranocchiata in sottofondo alle loro chiacchierate, il sentimento che le scaldava il petto cresceva senza freni, senza darle via di fuga, alimentato dalla speranza scaturita da quel fugace bacio.
Aveva iniziato a sperare.
Aveva sperato, da sciocca romantica, che anche Niji la ricambiasse.
Perché se no spendere tutto quel tempo con lei?
Perché parlarle e donarle il suo tempo se non per sfamare lo stesso sentimento che logorava Cosette?
Perché dare così tanta considerazione a una domestica, se non perché spinto da qualche sentimento?
Perché baciarla?
-… dei fallatio meravigliosi-
Il vassoio del thé le era quasi caduto di mano, rischiando di colorare di acqua calda il tappeto che ornava il corridoio fuori dalla sala principale della villa.
-Quell’inetta di Cosette: tartaglia sempre o blatera scuse senza senso- si era appiattita contro la parete, tremando alle parole sghignazzate da Yonji all’interno della stanza –Per fortuna hai trovato il modo di farle usare quella boccuccia in modo creativo, eh Niji?-
Non aveva osato respirare, ascoltando tesa come una corda di violino le risate che echeggiavano lungo il corridoio.
-Ora capisco perché passi tutte quelle ore in sua compagnia nelle stalle- la voce di Yonji le bruciava nella testa e nel petto -È decisamente il luogo adatto per montare certe puledre-
Le lacrime avevano iniziato a pizzicarle gli occhi.
Era quindi questo il motivo per cui passava così tanto tempo con lei?
Per portarsela a letto?
-Spero tu abbia preso le dovute precauzioni- parlò lapidario Ichiji, il c acceso su cui ticchettava veloce per lavoro –Sarebbe una bella scocciatura se avessi un marmocchio da una nostra dipendente-
La mano andò a premersi da sola sulla sua bocca, a zittire ogni singulto che scivolava dalle labbra morse con disperato dolore.
Era stato tutto un gioco per lui, uno svago per poter raggiungere le sue grazie e approfittarne.
Era una bambola, un balocco, una marionetta pronta a ballare per il capriccioso desiderio di Niji e che sarebbe stata gettata in un angolo non appena l’interesse sarebbe scemato.
Come? Come aveva potuto sperare che fosse tutto vero? Che fosse possibile che lui l’amasse?
-Non dici nulla?- sghignazzò Yonji –Non ci racconti alcun particolare? Come ti fai chiamare: Mr. Niji o signorino?-
Altre risate, altre lacrime.
-Scommetto che Cosette si crede speciale: la prediletta, quando invece è solo un piacevole passatempo per te-
Non riusciva a smettere di piangere, di provare dolore per quei sentimenti che mai avrebbero visto il sole, assaporandolo e vivendo in esso, ma sarebbero sempre rimasti sepolti sotto una coltre impenetrabile di sofferenza e cuore spezzato.
-Magari si è pure presa una cotta per te… povera sciocca!-
No, non era una cotta.
Era amore, vero amore, che bruciava come fuoco quando veniva tradito e denigrato a quel modo, ridotto a mero sesso egoista.
Non sapeva con che forza era riuscita a posare il vassoio del thé su un mobiletto vicino a dove piangeva, zittendosi con entrambe le mani e non riscendo a vedere oltre le lacrime che l’accecavano.
Sciocca, che sciocca era stata.
-Ah Niji, Niji: mai che tu riesca a tenerti i pantaloni addosso- la voce di Yonji era stata spezzata da una sedia strisciata contro il pavimento con forza che aveva fatto sussultare anche Cosette.
-Se hai finito con le tue pagliacciate Yonji- aveva sbottato Niji –Ho del lavoro da fare-
I passi pesanti e cadenzati avanzavano nella stanza, e sapeva, Cosetta sapeva che avrebbe dovuto andarsene, allontanarsi e non farsi trovare lì, ma quando la porta si aprì riversando un lieve fascio di luce su di lei, era già troppo tardi.
-Buona lavoro Niji- augurò Ichiji, mentre le cerulee iridi del gemello studiavano spalancate la figura scossa da singhiozzi della cuoca –Se vedi Cosette chiedile che fine ha fatto il nostro thé pomeridiano-
Quel giorno il caldo infuso di erbe non raggiunse mai il salottino della villa.
 
 
Il vento sferzò con forza, strappando Cosette ai suoi pensieri.
Erano passate settimana da quel pomeriggio, e i silenziosi sorrisi mattutini e le chiacchierate nelle stalle erano spariti come acqua nel deserto.
Aveva evitato Niji ad ogni occasione, avvicinandosi a lui solo quando necessario e sottraendosi a ogni singola richiesta del ragazzo.
Nessuna mela era stata più donata alla povera Germa.
Nessun caffè amaro offerto nel sentimentale silenzio della cucina nel chiarore del mattino.
Non voleva più vederlo, sentirlo.
Le era impossibile toglierselo dal cuore, ma dalla vita di ogni giorno alla villa si era impegnata al massimo per eliminarlo.
Ci aveva creduto davvero in quel sentimento che aveva visto nascere e crescere tra di loro.
Che sciocca.
Sciocca.
Era stata una sciocca sentimentale.
Come aveva potuto sperare che un alto esponente come Niji, di una famiglia di tutto rispetto e altolocata come la sua, potesse degnare di un solo sguardo una cuoca, sempre sporca di condimenti e fetida di odori salati e dolci mischiati assieme, come lei?
Nuove lacrime le invasero gli occhi, mischiandosi alla pioggia battente.
Per mesi aveva considerato Niji il suo principe azzurro, dalla corazza scintillante che proteggeva l’animo umano che celava al suo interno, ma si era resa conto che l’armatura non celava l’animo nobile e cavalleresco di un reale ma imprigionava lo spirito meschino e lascivo di un uomo qualsiasi.
-Non pensarci- si ammonì asciugandosi una guancia –Lo dimenticherai. Si lo dimenticherai, prima o poi-
Si, lo avrebbe dimenticato.
Avrebbe dimenticato come non l’aveva mai sfiorata con un sol dito, come invece avevano vaneggiato i suoi gemelli.
Avrebbe dimenticato le chiacchierate intime e pudiche, prive di ogni malizia.
Avrebbe dimenticato le mele regalate per sfamare un amore sincero, e non un capriccio carnale e passeggero.
Si, avrebbe dimenticato tutti i suoi sentimenti: l’affetto per quel ragazzo dal sorriso raro, la malinconia nei suoi occhi, l’amore per il suo animo superbo con tutti ma non con lei.
Lo avrebbe dimenticato… forse.
Un rumore lontano la destò.
Si sporse dalla tettoia della fermata vicino alla villa, cercando di distinguere il profilo in avvicinamento del bus.
La pioggia fitta rendeva confusi i contorni, ma anche senza gli occhi appannati di lacrime Cosette avrebbe comunque riconosciuto la figura in avvicinamento, e non era un tram.
I quattro zoccoli possenti trottavano contro l’asfalto umido, e la cadenza dondolante dell’animale era accompagnata dal dondolio elegante di una lunga coda fibrosa.
Germa avanzava fiera e sicura di sé sotto la pioggia torrenziale, nitrendo felice quando la vide dando un sonoro colpo di zoccoli al suolo scuotendo la figura che la cavalcava.
Cosette sgranò gli occhi, uscendo totalmente dalla tettoia e fissando senza parole il cavaliere che si stava avvicinando.
Stretto in un lungo cappotto scuro, la pioggia che colava dal suo ciuffo blu e gli occhi fissi su di lei, Niji si fermò con il suo destriero davanti alla ramata reggendo il suo sguardo confuso.
-N-nij!- balbettò piano –C-cosa…?-
La mano ferrea e forte del ragazzo sgusciò rapida da sotto il cappotto, offrendosi a lei e colorandole le guance d’imbarazzo.
-Vieni- un ordine più che un invito, che fece incupire Cosette -… per favore-
Scosse il capo in diniego. Il cuore le faceva ancora troppo male.
Lo sentì temporeggiare, borbottare qualcosa e tacere sotto lo scrosciare della pioggia finché Germa non scalpitò, nitrendo e facendo ballonzolare il suo destriero.
Che si muovesse per Diana: non voleva prendersi un raffreddore da cavalli!
-Io…- provò, la mano ancora tesa -… io… io non sono un principe azzurro!- sbottò –Se voglio qualcosa me la prendo: che sia un oggetto o una donna!
Cosette si morse un labbro, rabbuiandosi.
E lei, per lui, era un oggetto o una donna?
-Ma per te…- lo sentì continuare -… per te potrei diventarlo- si sporse appena sfiorandole la frangetta con le dita bagnate –Potrei rinunciare a tutto pur di ricevere un tuo sorriso al mattino e di ingozzare questa cavalla di mele-
Cosette sollevò gli occhi, timida e imbarazzata.
-Per te- rimarcò –Per te posso sopportare quegli idioti dei miei fratelli e le loro perversioni- si abbassò appena, specchiandosi negli occhi nocciola di Cosette –Perché mi basta anche vederti sorridere e tutto va bene, perché…- le guance gli si tinsero di rosso -… perché… perc… bhè lo sai no!?-
Cosette ridacchiò, una mano a coprire le labbra arricciate e l’altra tesa ad afferrare quella di Niji.
-Si- montò a cavallo, venendo sistemata con forza sulle proprie gambe dal ragazzo –Credo di saperlo-
Si accoccolò al suo petto, fradicio di pioggia e freddo, mentre Germa trottava lungo la via ignorando la pioggia.
Cosette ci aveva sempre creduto nei sentimenti.
Nel loro calore immisurabile e nel loro peso intangibile.
Credeva nell’amore a prima vista, nelle carezze celate dalla pioggia che esprimevano meglio i sentimenti, negli sguardi carichi di passione e nell’attesa furente e dolce di un bacio bagnato.
Credeva nel romanticismo, e da inguaribile romantica vedeva intorno a lei mille e più significati e sfumature anche nei più semplici gesti, come cavalcare sotto un acquazzone.
Credeva nei sentimenti.
Credeva che non ci fosse nulla di più bello che baciare Niji sotto la pioggia.

 
   
 
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