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Autore: EffyLou    22/02/2018    1 recensioni
ATTENZIONE: storia interrotta. La nuova versione, riscritta e corretta, si intitola Stella d'Oriente.
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Ha venti anni quando incontra per la prima volta quegli occhi, lo sguardo fiero del re di Macedonia, il condottiero che non perdona; ha venti anni quando lo sposa, simboleggiando un ponte di collegamento tra la cultura greca e quella persiana. Fin da subito non sembra uno splendente inizio, e con il tempo sarà sempre peggio: il suo destino è subire, assistere allo scorrere degli eventi senza alcun controllo sulla propria vita, e proseguire lungo lo sventurato cammino ombreggiato da violenza, prigionia e morte.
Una fanciulla appena adolescente, forgiata da guerre e complotti, dalla gelosia, dal rapporto turbolento e passionale col marito. Una vita drammatica e incredibile costantemente illuminata da una luce violenta, al fianco della figura più straordinaria che l'umanità abbia mai conosciuto.
Rossane, la moglie di Alessandro il Grande. Il fiore di Persia.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Memorie Antiche'
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۲۱. Yaz-beest
 
 
 
Le piogge stagionali arrivarono come una mano divina. La guida disse ad Alessandro che, in realtà, le precipitazioni erano rare in quel periodo e che cadevano soprattutto sui monti a nord. Ma questo non scoraggiò né il re, né l’esercito. I piccoli corsi di fiume che avevano trovato lungo il cammino, con la calura delle ore diurne, erano pressoché prosciugati e le piogge permisero un rigonfiamento delle acque nei letti. Sui monti andarono avanti incessantemente per circa tre giorni consecutivi, fornendo un buon rifocillamento ai soldati assetati.
Gli accampamenti vennero montati poco distanti dai corsi d’acqua, e i primi tempi gli uomini si agitavano sulle rive, bevevano senza fermarsi per placare la sete. Ciò portò alcune morti e l’inquinamento delle acque a causa del fango sul fondale che veniva smosso dalla loro euforia.
Alessandro impose una rigida disciplina, unico modo per far contenti tutti ed evitare perdite inutili. Regolò il flusso di assetati sulle rive, fece raccogliere dell’acqua in grandi otri da portare lungo l’avanzata. Sarebbero dovute bastare fino alle prossime piogge, e nessuno aveva idea di quando ci sarebbero state per via della loro rarità nella stagione.
Ripreso il viaggio in assenza di corsi d’acqua e piogge, i soldati cominciarono ad essere indisciplinati ed erano persino disposti a uccidere per bere un goccio d’acqua in più dagli otri con le riserve. Tutti avevano sete, tutti soffrivano per la calura e gli stenti: soldati e animali morivano come niente. Gli uomini venivano seppelliti alla bell’e e meglio sotto la sabbia, in fosse scavate con le mani o con le spade, chi restava sapeva che le anime dei defunti non avrebbero trovato pace a causa di quell’indegno rito funebre; gli animali, semplicemente, venivano mangiati quando possibile, ma sulle loro ossa ce n’era rimasta ben poca, di carne.

Alessandro era seduto con Eumene ed Efestione, intenti a fare un calcolo di quanti chilometri restassero dalla loro posizione fino alla piana di Hormuz. Erano seduti fuori la tenda del re, nei momenti che precedevano il tramonto. L’accampamento si stava risvegliando dal consueto riposo e rifocillamento, i soldati si preparavano a ripartire.
«Dubito che Cratero ci raggiungerà qui nel deserto. – osservò Eumene. – Ci aspetterà al confine con la Carmania, al massimo, oppure direttamente alla piana di Hormuz»
«Chiamalo scemo» commentò Efestione, una mano poggiata sulla coscia e il busto sporto in avanti per scrutare meglio i punti sulla mappa indicati dal segretario generale.
«Invece Nearco dov’è, secondo te?» domandò Alessandro.
Eumene si accarezzò il mento, riflettendoci su. «Credo stia attraversando il Golfo di Oman. I venti vengono da oriente, sono tesi e costanti, perciò immagino che la flotta sia già molto avanti rispetto a noi»
«Senza provviste, senza niente» scosse la testa, amareggiato.
«In mare ci sono un sacco di pesci, - fece Efestione con un’alzata di spalle. – avranno gettato una rete e preso qualcosa»
«Non erano navi attrezzate per la pesca»
«L’avranno costruita».
Il re sollevò un sopracciglio, scettico, ma ci pensò Eumene a commentare facendogli notare quanto fosse caprone e grezzo, tanto che il generale incrociò le braccia al petto e brontolò qualche frase incomprensibile.
«Mio re», una voce titubante e affaticata costrinse Alessandro a sollevare lo sguardo.
Il sole stava tramontando, tingendo di rosso la distesa di pallida sabbia del deserto, e i suoi uomini erano tutti pronti per partire. Talmente magri da perdersi dentro le armature, in groppa a destrieri rachitici e affaticati, con zoccoli consumati come le calzature indossate dagli uomini.
Il soldato di fronte a lui era un veterano, un devoto macedone che seguiva il re fin dalle prime battaglie: da Tebe a Tiro, da Isso a Gaugamela fino a Babilonia e la corte di Taxila nell’aspro territorio indiano.
Tra le mani teneva una ciotola d’acqua limpida, che aveva tutta l’aria di essere fresca.
Alessandro era incapace di distogliere lo sguardo e si passò la lingua sulle labbra screpolate, nel tentativo di umettarle. Il soldato avvicinò ancora la scodella, per fargliela prendere e permettergli di bere. Il re dovette sforzarsi per impedirsi di afferrarla. Il suo senso di giustizia era più forte delle tentazioni e degli stenti.
Si alzò in piedi, i soldati intorno tenevano tutti gli occhi su di lui. Desideravano essere al suo posto, poter usufruire di una ciotola d’acqua in più senza l’obbligo di sottostare ai razionamenti.
Alessandro prese la scodella, regalando un sorriso appena accennato al veterano, e si avvicinò ad un asino a cui erano legati due otri, ormai quasi vuoti.
«Io ti ringrazio – gli disse con un cenno del capo, – ma non berrò quest’acqua, mentre i miei uomini muoiono di sete».
Il soldato restò interdetto per qualche istante, sembrò realizzare solo quando il re versò il contenuto della ciotola all’interno di un otre. 
Tornò a guardare il veterano, per poi abbracciare con lo sguardo tutti gli uomini che osservavano la scena. Sospirò: «Ripartiamo».
 


L’avanzata proseguì. Secondo Eumene, percorsero altri trecento chilometri.
La natura aveva smesso di rivelarsi ostile, e lasciava sul percorso ruscelli, alberi che fornivano ombra, persino qualche villaggio di umili contadini. Il bestiame venne sostituito, i soldati cominciarono a riprendere un poco di vigore nell’ultimo sforzo di concludere la marcia. Ormai la piana di Hormuz era vicina, dovevano stringere i denti ancora un po’.
Ma se Alessandro non era più in pensiero per i suoi uomini, di certo cominciava ad esserlo per Brahmin.
Da qualche tempo ormai il santone indiano lamentava un malessere strano, che non sembrava dargli tregua. Un male più spirituale che fisico, a detta sua, impossibile da spiegare a parole ma che somigliava ad un’acuta sofferenza del vivere. Alessandro le provò tutte per farlo rinvigorire, aiutarlo a sorpassare quello che forse poteva essere un brutto momento di sconforto. Brahmin si lasciava intrattenere da poeti e attori al servizio del re, passivamente, ma quando si ritrovavano soli guardava il sovrano macedone con quei suoi occhi neri. Pozzi profondi di sapienze mistiche e capacità superiori, impenetrabili alla gente comune. In quei momenti Alessandro sentiva su di sé il peso di quel malessere che attanagliava lo spirito del santone, e non sapeva come fare.
Finché un giorno, Brahmin non gli chiese di ergere una pira per lui. Voleva, semplicemente, lasciarsi morire.
Il re aveva fatto resistenza, ma l’indiano lo aveva pregato: «Se vuoi davvero aiutarmi, fallo. Liberami di questo dolore, Alessandro, lascia che il mio spirito si quieti».
Alla fine aveva acconsentito. Non fu una decisione semplice, poiché si sentiva complice di quel suicidio. Avrebbe sentito le mani macchiate del sangue del santone per il resto della sua vita. Era un peso gravoso che aveva scelto di portare, pur di liberare il fidato guru da quel male misterioso e devastante.
Alle porte della regione di Persia, appena il sole fu calato, la pira venne innalzata. I soldati erano radunati intorno, in religioso silenzio, e Alessandro aspettava lì di fronte con una torcia accesa in mano.
Brahmin fece il suo ingresso tra le fila dei soldati cosparso di oli profumati e collane di fiori intorno al collo, seduto su una piccola portantina leggera. Quando scese aveva l’atteggiamento fiero di un re che non temeva nulla, il mento sollevato e una strana luce negli occhi. Come di leggerezza e, al contempo, profezie taciute. Efestione gli legò i polsi dietro un palo della pira, e prima di allontanarsi gli mollò una leggera pacca sulla spalla.
«Puoi appiccare il fuoco, Re dei Re» disse semplicemente, senza neppure guardare il sovrano in questione.
Alessandro gli lanciò un’ultima occhiata, sperando quasi che ci ripensasse, ma non trovò gli occhi scuri di Brahmin, che guardava il cielo stellato sopra di loro.
«Addio», mormorò semplicemente.
Il santone finalmente lo guardò, sorrideva. Il re avvicinò le fiamme della torcia ai legni della pira, e si voltò di schiena per non guardare l’amico mentre veniva divorato dalle fiamme. Efestione invece lo guardava sconsolato, osservava il fuoco arrampicarsi sulla carne del santone e annerirla, consumarla, scorticarla.
Il guru non lanciò un solo grido di dolore. L’unica cosa che gridò, alle spalle del sovrano macedone, suonò come una cupa profezia, la voce di un oscuro presentimento che incombeva sulle spalle di quasi tutti i soldati:
«No, Alessandro, arrivederci. Ci rivedremo a Babilonia!»




 
* * * * * *




 
Dopo la fuga in fretta e furia dalla letale isola, che i persiani identificarono come Zaratan, un costante e teso vento da est cominciò a spingere contro le vele delle navi, conducendole verso occidente.
A volte soffiava così forte che le imbarcazioni rischiarono di rovesciarsi e tenere salda la rotta diventava complicato. Per fortuna i capitani delle navi erano abili navigatori, e Rossane si fidava ciecamente di Nearco.
Dopo la fuga dall’isola, non ne scovarono più altre e il viaggio proseguì lento e monotono. Le provviste erano ormai terminate, restavano solo un paio di sacchi di foraggio, ma il cibo era ormai così razionalizzato che ne mangiavano una misera manciata ogni tre o quattro giorni. Si spingevano il più possibile ai limiti prima di consumare un pasto. L’acqua chiaramente non rappresentava un problema, anche se il processo per cercare di pulirla almeno un po’ dal sale risultava sempre piuttosto lungo.
Rossane, come altre donne, passava la giornata nell’ozio. Il vento che smuoveva, a volte pericolosamente, le navi le creava la nausea. Aveva provato a restare seduta in cabina, senza far niente, ma si annoiava terribilmente e dopo un po’ le mancava l’aria. Quindi aveva preso l’abitudine di sedersi sul pontile, ad osservare gli esausti e affamati marinai trascinarsi per svolgere le più semplici mansioni. Cercava distrazione nella lettura, nel ripasso della grammatica greca, nel disegno; oppure semplicemente parlando con Almas e Miraj, giocando a dadi con loro, e talvolta anche Perdicca si univa.

Finché all’alba di un nuovo giorno, finalmente, una delle vedette in cima all’albero maestro si mise ad urlare: «Terra! Terra!».
Nearco aguzzò la vista, individuando a fatica la pallida ombra di una sagoma all’orizzonte. Era quasi invisibile, quasi impossibile da vedere, e per un momento temette si trattasse di un miraggio. L’unica opzione era proseguire in quella direzione. I venti erano ancora incredibilmente favorevoli, e nonostante le difficoltà avevano fatto sì che la flotta attraversasse il mare più in fretta del previsto.
Con il cielo terso del pomeriggio, la sagoma all’orizzonte s’inscuriva sempre di più, si delineava poco a poco fino ad assumere il contorno di una costa. I marinai avevano trattenuto il fiato fino a quel momento, con gli occhi fissi in quella direzione, e quando tutti si accorsero della stessa cosa, ritrovarono le energie per festeggiare.
Rossane alzò lo sguardo verso l’orizzonte e lo tenne fisso lì fin quando non furono abbastanza vicini da confermare ancora una volta che, sì, quella era proprio terra.
Salì sul secondo pontile, dove Nearco aveva lasciato il timone ad un capitano e, appoggiato alla ringhiera di legno, stava tracciando una linea su una mappa. Lì dove sapevano che ci fossero terre emerse, lì dove sapevano ci fosse l’Arabia. E loro si trovavano proprio di fronte le sue coste. Aveva dato il comando di avvicinarsi il più possibile alle coste a nord, appartenenti all’impero persiano, onde evitare spiacevoli incontri con pirati e farabutti di ogni genere.
L’ammiraglio tracciò una croce sulla mappa, in un punto che sembrava essere l’ingresso ad un altro tratto di mare che separava l’Arabia dalla Persia.
«Dobbiamo arrivare qui. – le disse, indicandole una specie di penisola al centro di quel mare. – È lo stretto di Hormuz. Domani o forse dopodomani, saremo lì»
«Secondo te le truppe di Alessandro e Cratero sono già arrivate?» gli chiese.
Nearco alzò le spalle. «Non te lo so dire, davvero»
Rossane si rabbuiò, ma annuì e tornò a guardare l’orizzonte.
Il giorno dopo o quello dopo ancora. Mancava poco alla fine di quel viaggio senza fine e l’arrivo a Babilonia. La futura vita alla corte persiana, servita e riverita come doveva essere per la moglie del Re dei Re, la regina di Persia. Forse sarebbe stata così circondata dalla servitù, che non avrebbe potuto nemmeno cambiarsi da sé gli orecchini. E poi, avrebbe dato un erede ad Alessandro. Con il termine delle campagne militari e il ricominciare di una vita tranquilla e agiata, doveva farlo, era nei suoi doveri di consorte.
Ripensò al rito della fertilità a cui prese parte in India, su consigli di Almas. Si domandò se avesse funzionato, se sarebbe riuscita nell’unico compito e dovere che aveva nei confronti del re.
Passò il pomeriggio sul pontile, senza mai staccare gli occhi dall’orizzonte. Dopo quel tempo passato in mare aperto, circondata da nient’altro che acqua, quell’ombra irregolare le sembrava una visione celestiale.


Dopo il tramonto, la flotta imboccò il golfo.
La regina, con Almas e Miraj, erano nella stiva ad ammazzare il tempo con chiacchiere leggere. Ora che vedevano le coste, la curiosità nei confronti di Babilonia sembrava tornare prepotente nella mente. Alessandro gliel’aveva descritta, a volte, ma le parole non potevano esprimere la bellezza di certe città e a Rossane non restava altro che immaginarla.
Sia Miraj che Almas erano state a Babilonia: la prima faceva parte dell’harem di Dario, era una delle trecentosessantacinque concubine del precedente sovrano di Persia; mentre la seconda era stata presa durante l’assalto dei macedoni a Tiro.
Anche loro avevano descritto a Rossane la città, ma il discorso era sempre quello.
Un gran baccano si udì sopra le loro teste, sul ponte principale. I passi pesanti dei soldati in corsa provocavano tonfi sordi che facevano cadere la polvere dalle travi.
«Ma che stanno facendo? Senti che rumore!» esclamò Miraj, spazientita.
«Pirati, forse? Nel Golfo di Oman ne girano parecchi» tentò Almas, con un brivido.
Rossane sporse il naso verso la botola che conduceva al pontile, ma senza intravedere niente e nessun rumore di combattimento. «Non credo».
Le tre giovani decisero allora di salire, raggiungere i marinai e capire cosa stessero facendo, cos’è che provocasse tanto fermento. E di certo non si aspettavano un simile spettacolo della natura.
Il mare cupo intorno a loro, era rischiarato dalla luminescenza azzurro-verdastra di quella che sembrava una patina galleggiante sulla superficie dell’acqua. Le onde lievi brillavano come luci colorate, s’infrangevano delicatamente sulle fiancate delle navi e lasciavano lì la loro luce, a macchiare il legno delle imbarcazioni. Qualcuno era riuscito a toccarne un po’, facendo presente a tutti che si trattava di un qualche organismo simile alle alghe.
Almas sussurrava parole in fenicio, felice e con le lacrime agli occhi, e Rossane immaginò che stesse ringraziando dio per quel meraviglioso spettacolo.
Anche la regina non poteva far a meno di sorridere, guardandosi intorno frenetica. Era un’atmosfera magica, in cui regnava la pace e la calma. Improvvisamente tutte le battaglie, tutte le fatiche, le sofferenze, gli stenti… sembravano un ricordo. I loro cuori, in quel momento, non erano coperti da un’armatura logorata dal tempo trascorso in viaggio e dalla salsedine, ma galleggiavano leggeri sull’acqua, avvolti da quella luce rassicurante e divina.
Rossane ebbe come l’impressione che Ahura Mazda li stesse salutando, li stesse riaccogliendo tra le sue braccia per metterli al sicuro a casa, a Babilonia, nel meraviglioso impero persiano. 








 

Liberissimi/e di trucidarmi. Vi ho fatto aspettare più di un mese, mi sento un mostro.
È stato un periodo un po' fiacco d'ispirazione e pieno di cose da fare che, anche volendo, non mi avrebbero permesso di mettermi un attimo al pc per scrivere il capitolo. Tra l'altro il capitolo sembrava lunghissimo su Word, invece su EFP mi esce corto e non so mai regolarmi, perché non voglio renderli troppo lunghi o pesanti... MA NEMMENO CORTISSIMI. Vabbé, pazienza...

Piccola curiosità sul capitolo: le "luci" che vedono alla fine i membri della flotta, sono alghe bioluminescenti che si trovano nel Golfo Persico e nel Golfo di Oman. Quindi sì, esistono hahah anche se con l'inquinamento sono molto diminuite di quantità!

Stavo riflettendo sul fatto che, appena concluderò la prima parte di questa storia, la revisionerò velocemente. Correggerò errori di punteggiatura, grammaticali e quant'altro, che sto trovando in questo periodo che ho riletto velocemente i capitoli. Soprattutto i primi. Ci sono anche altre cose che modificherò, ad esempio i nomi: Al-Khanoum, la città natale di Rossane, in realtà si chiamava Zariaspa, e quello che io chiamo Brahmin in realtà si chiamava Kàlanos. 
Insomma, urge una veloce revisione. Quella approfondita e fatta come si deve la farò quando concluderò la storia, perciò la versione che state leggendo... è un po' come una bozza, ecco hahaha

Detto questo, spero che il capitolo (anche se di passaggio) vi sia piaciuto e se vi va lasciatemi una recensione :)
Alla prossima! E credo che stavolta ci rivedremo presto ♥
Besitos ♥

   
 
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