Un grazie enorme va sempre a tutti voi che continuate a recensire e a sostenermi nella realizzazione di questa storia:
ChrisP, huddy4e, IsAnastaciaHuddy92, ladyT, lady cat e, sopratutto, un grazie speciale va a GaaRa92! GaarRa, grazie per la bellissima recensione! Mi ha fatto molto piacere leggere il tuo parere... ^^
Vi lascio questo chap sperando che vi possa piacere e sperando di non aver deluso le vostre aspettative. Del resto, devo dirlo, tutto ciò che viene sritto dalla sottoscritta, capitolo dopo capitolo, è tremendamente premeditato! XD
Alla prossima gente! (che secondo i miei calcoli sarà verso metà luglio :P)
Grazie ancora a tutti!!!
Miky
CHAP
7
L'intero problema si riduce a questo: la
mente umana è in
grado di dominare ciò che ha creato?
(Paul
Valéry)
Gregory
House chiuse la porta
alle sue spalle, entrando con passo lento nella sua stanza.
Era pomeriggio.
Ricordava ancora l’amaro di quel
pasticcio di cibo che lui e la psicologa Jenny Dawson avevano mangiato
in un
fast-food qualche ora prima, parlando e discutendo di cose che, per
quel che
gli riguardava, non avrebbe mai pensato di dire ad una donna, in un
ambiente
come quello per lo più.
Era stanco.
Stanco di camminare, stanco di
parlare.
Era stato in giro tutto il
giorno, con una donna veramente niente male, aveva giocato a bowling,
guidato
una macchina da urlo… si insomma, avrebbe dovuto sentirsi
soddisfatto. In fin
dei conti, non gli stava finendo poi così male.
Non del tutto.
O almeno… questo era bello
pensarlo.
Per quanto quel giorno si fosse
divertito, i dialoghi con Jenny l’avevano sfinito. E se in
precedenza aveva
creduto che lei fosse solo una poco di buono, in tutti i sensi
possibili
immaginabili, adesso si dovette ricredere.
La realtà era che adesso adorava
e temeva la figura della psicologa. Ma, soprattutto, adorava e temeva
ciò che
lei era stata in grado di dedurre da quel che lui gli aveva raccontato.
“Così,
adesso lei è il tuo capo.”
“Si.”
“E
come se la cava?” Jenny è seduta davanti a te, sul
volto uno sguardo
sorridente.
“È
odiosa… pretende di starmi dietro in ogni singolo attimo
della sua vita solo
per controllare se faccio il mio lavoro.”
Ricordi
ancora l’espressione che in quell’istante assumesti
nel parlare di lei… e, ne
sei certo, questa la stava notando anche Jenny.
“Piantala
di lamentarti. – la vedi ingoiare un boccone a fatica, tanto
era disgustoso
quel panino che stringeva in mano – Inutile negare che ne sei
innamorato.”
Sbuffi,
come se lei ti stesse dicendo qualcosa di pesante.
In
realtà è così.
Scuoti
il capo con fare seccato, per poi posare lo sguardo sul tuo panino.
“Si.”
“Così
sei riuscito ad ammetterlo
finalmente.”
La voce di un uomo lo destò da
quei ricordi, spingendolo a far vagare lo sguardo per
l’intera camera.
Poi, improvvisamente, eccolo.
Stava vicino la finestra, le mani
nascoste nelle tasche del camice che indossava.
“Kutner.”
Il giovane indiano sorrise amichevolmente
“Chi non muore si rivede.”
“Senti da che pulpito viene la
predica… – House zoppicò verso il
letto, gettando a terra lo zaino che teneva
sulle spalle – del genere: chi è già
morto si rivede sempre e comunque.”
Kutner si avvicinò ad Amber, affiancandola
ai piedi del letto e rivolgendosi ad House che, in
quell’istante, si stava
concedendo un po’ di riposo “Sai che non
è così.”
“Si, si, lo so… tu ed Amber siete
due fratellini capricciosi, sapete?!” li
rimproverò ironico.
“È il nostro compito.”
House si gettò sul letto,
portando le mani dietro la nuca ed iniziando a fissare il soffitto
“Il vostro
compito è quello di rompere le scatole?!”
“Esattamente.” Amber sorrise,
abbracciando Kutner con fare amichevole. Sembrava contenta che House li
avesse
definiti in quel modo.
Il giovane indiano le cinse i
fianchi, rivolgendosi con fare serio al diagnosta
“Ciò che ti ha detto la
psicologa è pesante. – iniziò
– Cosa pensi di fare? Hai intenzione di seguire
il suo consiglio o rimanere a crogiolarti
nell’autocommiserazione ancora per un
pò?”
Il diagnosta lo fulminò con lo
sguardo, alzando il proprio busto con i gomiti per meglio poter vedere
l’espressione che adesso il giovane medico aveva sul volto:
sorrideva.
Sapeva che Kutner voleva una
risposta, e sapeva anche che ciò che voleva era la certezza
del fatto che lui
si sarebbe deciso a prenderla.
Esitò.
Per un attimo, sentì il bisogno
di riprendere nella propria mente il discorso che qualche ora prima
Jenny
Dawson gli aveva fatto.
Le
hai raccontato tutto.
Le
hai detto della tua allucinazione con Cuddy, di quel giorno quando
urlasti a
tutto l’ospedale di essere andato a letto con lei.
Sei
imbarazzato, non osi proferir parola mentre adesso, Jenny, ti osservava
intrigata.
Come
diavolo eri riuscito a raccontarle tutto non lo sai nemmeno
tu… ti ha
praticamente strappato con la forza quelle parole. Eppure, non ne sei
dispiaciuto.
Sei
curioso di sentire cosa ne pensa, sei curioso di sentire come
interpreterà
tutto quel che ti è successo.
Eppure,
ciò che adesso lei ti dice ti stupisce alquanto:
“Era la prima volta?”
Esiti
un attimo, cercando di capire cosa lei voglia dire.
“Prego?!”
sussurri, con un tono tra l’ovvio e il confuso.
La
vedi sorridere divertita, probabilmente si è resa conto di
aver fatto una
domanda troppo criptata.
“Intendevo…
era la prima volta che avevi un’allucinazione su di
lei?”
La
guardi sconvolto, come se stesse dicendoti chissà quale
offesa “Ma ci stai
quando dico che è stata la mia prima
allucinazione?!” borbotti, dando un ultimo
morso al tuo panino al formaggio.
Se
c’era una cosa da fare dopo aver mangiato quella schifezza,
quella era andare
indubbiamente a farsi una bella lavanda gastrica.
“Ok,
scusa... hai ragione.”
“No
invece.” senti Amber sussurrare qualcosa alla tua destra.
Ti
volti, incuriosito da quella sua esclamazione.
Sta
giocherellando, tracciando con il dito disegni invisibili sul freddo
legno del
bancone del locale.
Poi
si volta a guardarti, lo sguardo deciso “Non è
stata la prima volta...”
Vedi
Jenny che si volta a guardare il bancone anch’ella, cercando
di capire cosa tu
in realtà stai guardando. Ma era ovvio che ciò
che al momento stava attirando
la tua attenzione, lei non l’avrebbe mai notato.
Vedi
Amber posare lo sguardo su di lei, poi
nuovamente su di te.
Inizia
ad accarezzarsi la gamba dolcemente, facendo scivolare la propria mano
verso
l’alto, iniziando a percorrere la coscia sinistra, in modo da
scoprire parte
del suo corpo che qualche istante prima era coperto dalla gonna.
“Che
bei ricordi… non smetterei mai di pensarci. - sussurra
maliziosa, attaccandosi
ad un palo che affiancava il bancone del negozio ed iniziando a
muoversi sinuosamente
-Rammenti Gregory?”
Curvi
leggermene il capo, guardando i suoi movimenti con interesse.
Striscia
sul palo con insolita bravura, imitando i movimenti di
qualcuno… qualcuno che tu
conosci benissimo.
Aveva
ragione, non era stata la prima volta.
“Tempo
addietro, ebbi un incidente – inizi, senza però
distogliere lo sguardo dalla
bionda dottoressa – E a causa di ciò che accadde
dopo, svenni… ed ebbi una
sorta di sogno-allucinazione su di lei.”
Jenny
ti sorride sorpresa, per qualche strana ragione adesso ti guarda
ammirata “È
stata Amber a dirtelo?!”
Ti
volti a guardarla, incuriosito dalla sua reazione.
“No,
me l’ha fatto solo ricordare.” rispondi ovvio,
gesticolando in maniera vaga con
la mano destra.
“È
strabiliante quanto si sia acuito il tuo dialogo con il tuo
subconscio.” ti sussurra
meravigliata, poggiando il mento sul palmo della mano ed iniziando a
focalizzare l’attenzione solo ed esclusivamente su di te.
“Io
lo chiamerei inquietante.” brontoli tu, lanciando di tanto in
tanto delle
piccole occhiate ad Amber.
“Però
non è stata un’allucinazione – Jenny
riesce ad attrarre nuovamente la tua
attenzione, iniziando a riflettere ad alta voce –
È stato solo un sogno.
Intendo quello dovuto all’incidente. Se dici di esser
svenuto…”
“Già,
forse ha ragione.” Vedi che Amber adesso si trova alle spalle
della psicologa,
seduta sul tavolino dietro, mentre inizia a riflettere su
quell’ultima
esclamazione.
“Si.”
bisbigli confuso, abbassando il capo nell’atto di riflettere.
In
realtà era stato solo un sogno. Lo sai benissimo.
E
adesso ti domandi come mai dalla tua bocca è uscito
quell’argomento.
“Eppure
Amber, il tuo subconscio, ha voluto che tu me lo dicessi.- la psicologa
inizia
a sorridere intrigata, e ciò che lei ha appena detto sembra
darti non poco
timore – Capisci cosa vuol dire?”
La
vedi gesticolare convinta, muovendo entrambe le mani con forte passione
mentre
quelle parole le escono dalla bocca. È come se ti stessi
guardando allo
specchio, come se stessi notando quella scintilla che ti aveva sempre
spinto
nel risolvere i tuoi amati casi clinici.
E
adesso, tu eri il suo caso.
Tu
eri diventato la sua passione, il suo mistero da svelare.
“Spiegamelo.”
le sussurri incuriosito.
Noti
che adesso anche Amber è concentrata sulla psicologa,
curiosa anch’ella del
verdetto.
“Hai
sempre pensato che il tuo problema fosse il vicodin, la tua droga.
– inizia
Jenny - Eppure non ti sei mai reso conto che la tua vera droga
è sempre stata
lei: Lisa Cuddy.”
“Cosa
diavolo stai blaterando…?!”
“È
così Greg! Persino il tuo subconscio cerca di fartelo
notare. Ti ha appena
fatto ricordare altre tue esperienze simili a queste allucinazioni
proprio per
questo, per sottolineare tutto questo. – ti spiega con enfasi
- …non mi
stupirei se Amber o Kutner avessero cercato di convincerti a
dimenticarla o ad
allontanarti da lei.”
Senti
un brivido percorrerti la schiena.
“Le
tua allucinazioni… tutto, è basato su di
lei.”
Guardi
Amber, cercando il suo sguardo. Noti che anche lei ti guarda ma,
contrariamente
dalla tua espressione sconvolta, lei sorride.
La
vedi abbassare lo sguardo verso Jenny, come fosse attratta dalla
genialità di
quella donna.
La
psicologa aveva ragione.
Per
tutto quel tempo il tuo subconscio aveva tentato di farti dimenticare
Lisa
Cuddy… e adesso sai il perché.
“È
così Gregory… il tuo unico
problema è lei. – Kutner lo destò dai
suoi pensieri per la seconda volta nel
giro di pochi minuti, facendogli riaccendere la frustrazione che tutto
quello
gli stava creando - È lei l’iceberg contro il
quale stai picchiando la testa.”
“Perché…?”
sussurrò tra se Gregory
House, passandosi una mano in fronte, sconvolto al ricordo di quelle
parole.
Amber si avvicinò alla sponda del
letto con passi lenti.
“Perché lei non ti ama. Tu continui
ad immaginare che non sia così… e invece lo
è. Renditene conto. – si era
fermata davanti a lui, in mano una vecchia foto dei tempi
dell’università che
man mano che lei parlava andava svanendo – Solamente in
questo modo riuscirai a
controllare te stesso.”
Il diagnosta la fissava
interdetto, conscio di ciò che quelle parole stavano a
significare.
Vide la foto di quei due giovani
svanire debolmente, sconfitto.
Si mise a sedere sulla sponda del
letto, chinando la testa sulle proprie mani.
Ciò che il destino gli stava imponendo
era dura da reggere come emozione.
Era stanco di sopportare.
“Conosci la diagnosi… adesso devi
solamente iniziare la cura. Se ne hai il coraggio. –
sentì la voce di Kutner
seguire quella di Amber, il suo tono era identico a quello della
dottoressa – E
non cercare vie traverse, perché poi, alla fine, ne rimarrai
sconfitto
comunque. Come è stato per la tua gamba.”
Sentì la propria pelle gelarsi al
suono di quelle parole.
Odiava Kutner, odiava Amber,
odiava tutto ciò che loro continuavano a sbattergli in
faccia. Ed odiava il
loro ruolo in tutto quello.
Odiava se stesso.
La porta si
aprì improvvisamente,
costringendolo ad alzare lo sguardo verso colui che aveva osato aprirla
senza
un minimo di permesso.
“Ciao – il caro vecchio Bill era
adesso davanti i suoi occhi, fermo sull’uscio della porta
– Come va?”
“Se non te ne vai, male.”
“Siamo nervosetti…- gli sorride, senza
però entrare nella stanza – Devo dedurne che con
la psicologa non è andata
molto bene.”
“Non avevi detto che oggi non mi
avresti girato intorno?!”
“Si, ma solo fin quando stavi con
Jenny Dawson.”
House gli gettò un’occhiataccia,
grattandosi il capo con fare nervoso “Perché sei
qui?”
“Volevo ricordarti che è ora di
cena. Ti aspetto all’ascensore.” si
limitò a dire l’uomo, velocemente, giusto
per assolvere al suo dovere. Poi si voltò, andando per
richiudere la porta.
Ma il suono di questa fu
praticamente assente.
House alzò nuovamente lo sguardo,
notando che il medico, bloccandosi nel suo gesto, l’aveva
riaperta.
“Ah, quasi dimenticavo – riprese
– Questa mattina ti cercavano. Ha chiamato una certa Lisa
Cuddy.”
Vi fu un attimo di silenzio.
Amber e Kutner si scambiarono due
sguardi vaghi d’intesa.
“Ok, grazie.” sussurrò House dopo
qualche istante, congedando definitivamente il medico.
Sospirò, vedendo la porta
chiudersi di fronte a sé e, mettendosi in piedi, prese il
proprio bastone tra
le mani.
Chiuse gli occhi, riflettendo sul
da farsi.
Era stanco di tutto quello che
aveva attorno.
Era stanco di continuare a vivere
una vita piena di ozio. Strano da parte sua, ma avrebbe pagato per
poter
tornare al proprio lavoro.
Avrebbe dovuto lottare e la cosa
non si sarebbe di certo rivelata facile, lo sapeva.
Ma cel’avrebbe fatta.
Era stanco delle sue
allucinazioni, dei suoi tormenti e di tutto quello che vi girava
attorno.
Sapeva benissimo che quel che Bill
qualche attimo prima gli aveva detto era solamente frutto della sua
fantasia.
Ormai aveva iniziato a capire la sua mente e le sue tattiche.
E sapeva benissimo che Cuddy non
avrebbe mai osato chiamarlo.
Non dopo tutto quel tempo.
Non così all’improvviso.
Era stata tutta un’ennesima
allucinazione, senza dubbio.
Si voltò verso Amber e Kutner,
sul volto un’espressione ferma, convinta.
Se il problema era quello, la
soluzione era solamente una: dimenticare lei.
Dimenticare tutto ciò che
rientrava in lei o che viveva nei suoi ricordi.
Doveva
dimenticare Lisa Cuddy.
“Sono
pronto.” sussurrò ai due
medici, consapevole del valore di quella affermazione.
E fu allora che, per la prima
volta dopo tre duri e pesanti mesi, le figure di Amber e Kutner
iniziarono a
svanire davanti ai suoi occhi. Sul loro volto, finalmente,
un’espressione di
vittoria.
To
be continued…