XIII –
Cry Cry Cry
Giovedì 24
Ottobre
Ciao Axl.
Oggi…è stata davvero una
giornata schifosa. Dio, vorrei mettermi nel letto e rimanerci fino all’estate
prossima. O semplicemente non rialzarmi più.
Non capisco perché deve
succedere tutto questo. Quando una cosa inizia ad andare bene, a farti felice, a
farti credere che la vita non è poi una merda come hai pensato fino ad allora,
c’è sempre qualcos’altro che rovina tutto.
Si, ora la smetto di
lamentarmi e inizio a raccontare che giornata di merda ho avuto.
Questa mattina sono andato a
scuola, ovviamente sempre con Matt, e Mick era fuori in giardino con Brandan.
Appena ci ha visto ha assottigliato lo sguardo, e ci ha guardato in un modo che,
se li sguardi potessero uccidere, in questo momento non sarei in grado di
scrivere!
Mi sono avvicinato e subito
Matt mi si è messo a fianco. Forse pensava che Mick potesse farmi qualcosa, ma
non aveva capito che quello in pericolo era lui, non
io.
Per questo appena arrivati mi
sono messo tra di loro.
- Posso parlarti Mick, da
soli? – ho chiesto cautamente.
Lui ha scosso la testa – Non
voglio parlarci con te. – ha detto, facendo per
andarsene.
- Avanti Mick, non fare il
coglione. James è sempre il tuo migliore amico. – è intervenuto Matt. Avrei
voluto tappargli la bocca. Non si era reso conto che così peggiorava solo la
situazione.
Infatti Mick si è voltato
nuovamente verso di loro e lo ha guardato in
cagnesco.
- Tu devi stare solo zitto,
chiaro? Tutto questo, è solo colpa tua! – ha detto, avvicinandosi a lui. Brandan
era pronto ad entrare in azione se avesse avuto l’intenzione di alzare le mani.
Io invece gli ho posato una mano sul petto.
- Mick…dai, basta. Parliamo
okay? Chiariamo tutto…- ho detto. Praticamente lo stavo
pregando.
Lui ha sospirato e si è
allontanato di qualche passo.
- Oggi pomeriggio da me. Non
lo voglio intorno. Mi fa innervosire. – ha detto rivolto a me, ma guardando
ancora Matt.
Io ho annuito. Ho sentito Matt
irrigidirsi al mio fianco.
- Va bene. Oggi pomeriggio da
te. Grazie Mick. – ho detto, sinceramente
grato.
Quando ci siamo allontanati
Matt mi ha fermato prima che potessimo entrare in
aula.
- Non voglio che ci vai da
solo. – ha detto, seriamente.
Io ho aggrottato le
sopracciglia – Matt, Mick non mi farà nulla. Che ti passa per la testa? è il mio
migliore amico! – ho detto, a bassa voce, dato che alcuni ragazzi ci passavano
accanto.
- Sarà pure chi vuoi. Ma se
perde il controllo come ieri? – mi ha chiesto, appoggiandosi al
muro.
Io ho sbuffato – Allora,
seguendo il tuo ragionamento io non dovrei stare neanche con te! – ho risposto,
gesticolando.
Lui ha socchiuso la bocca – Io
l’ho fatto per proteggerti da Wilson! – ha
esclamato.
- Anche lui lo ha fatto per
proteggermi! – ho replicato allora io.
- Certo, per proteggerti da
me, no!? – ha chiesto e li mi sono accorto che questa è stata la nostra prima
litigata.
Il che fa di noi una coppia.
Wow.
L’ho bloccato prendendolo per
un braccio quando ho visto che, mentre io riflettevo su “una coppia. Wow”, lui
mi aveva voltato le spalle e stava per entrare in
classe.
- Mick non ha motivo per
dovermi difendere da te. E glielo dirò oggi pomeriggio Matt. Sta tranquillo,
okay? – ho detto, speranzoso.
Lui ha sospirato ma alla fine
ha annuito.
In quel momento è arrivato il
prof e siamo dovuti entrare in classe.
Non mi ha rivolto la parola
per tutta la lezione. Qualche volta le nostre ginocchia si sfioravano sotto il
banco, ma lui si allontanava.
Solo quando stavamo per
dividerci, per andare alle nostre lezioni successive, mi ha detto: - Vieni da me dopo aver parlato con Mick. Se ti
trovo con anche un’ unghia spezzata, non ci sarà alcun controllo da perdere. –
con un tono minaccioso tale che, penso, solo lui è in grado di
fare.
Infatti io sono rimasto senza
parole e sono riuscito solo ad annuire.
Il pomeriggio sono andato da
Mick e sua madre mi ha accolto con un sorrisone enorme, quelli che mi fa ogni
volta che li vado a trovare.
È come una seconda mamma per
me. E Mick è come un fratello.
Dopo aver risposto alle
domande su come stesse la mia famiglia e di come andasse la scuola, sono salito
su in camera di Mick.
Appena mi ha visto si è alzato
dal letto e ha aspettato che chiudessi la
porta.
- Ciao…- ho sussurrato poi,
cercando di sorridere.
Non credo di esserci riuscito.
Ero troppo nervoso.
- Ciao…senti…mi dispiace per
ieri. Ma davvero…quello non lo reggo. – ha detto
subito.
Io ho annuito – Posso capirlo,
davvero. Ma qui non si tratta di lui. Si tratta di me. – ho risposto,
avvicinandomi un po’.
- Stai con lui? – mi ha
chiesto subito dopo, a bruciapelo.
Ho sospirato – Si – ho
risposto infine.
Lui si è passato una mano nei
capelli.
- Mi dispiace se l’hai presa
così male. Ma sono sempre io! – mi sono indicato,facendo qualche passo verso di
lui.
- Non è cambiato nulla tra
noi. Siamo sempre James e Mick, no? – ho continuato,
speranzoso.
Lui ha scosso la
testa.
- Tu non sei davvero…così...non puoi. – ha
sussurrato.
Io mi sono messo
istintivamente sulla difensiva.
- Dio Mick, non pensare che
lui mi abbia manipolato o contagiato. Non sono malato! Mi sono solo accorto che
Matt mi piace. Tutto qui. – ho detto,
innervosito.
Lui mi ha guardato,
riflettendo su quello che avevo detto.
- Cosa vuoi che faccia? Come
vuoi che mi comporti? – ha chiesto ad un certo
punto.
Ho sospirato. Un sospiro di
sollievo.
- Come sempre Mick. Ti ho già
detto che nulla deve cambiare tra noi due. Voglio che tu sia quello di sempre.
Se proprio non ti va giù Matt, puoi anche evitare di parlargli. Certo, mi
dispiace, ma me ne posso fare una ragione. Ma noi due dobbiamo tornare quelli di
sempre. – ho ripetuto, sicuro delle mie parole.
Ha sospirato e si è appoggiato
con il corpo alla scrivania alle sue spalle.
Siamo rimasti qualche secondo
in silenzio, anche se mi sono sembrati interi
minuti.
- Va bene. Posso farlo. – ha
detto alla fine, più a se stesso che a me.
Io ho sorriso. Un peso mi è
scivolato via dal petto.
Ho preso una boccata d’aria,
riempiendo i polmoni.
- Grazie Mick, davvero. – mi
sono avvicinato. Mi sono avvicinato con l’intenzione di
abbracciarlo.
Dio, quante volte ci siamo
abbracciati? Ci conosciamo da quando avevamo si e no sei, sette anni. Ci saremo
abbracciato un miliardo di volte.
Ma quando mi sono avvicinato,
l’ho visto allontanarsi da me.
Quasi spaventato. Quasi come
se avessi qualche rara malattia contagiosa.
L’ho guardato con occhi
spalancati.
Occhi che si sono riempiti di
lacrime quando ho realizzato che si era allontanato. Che non voleva
abbracciarmi. Che non voleva toccarmi.
Non era tutto come prima. Era
un bugiardo.
L’ho guardato qualche secondo,
poi gli ho girato le spalle, andando velocemente verso la
porta.
Ho sentito in sottofondo la
sua voce che mi chiedeva scusa, che mi diceva di
tornare.
Ma io non volevo farlo. Non
volevo piangere come un femminuccia davanti a lui. Perché non voglio che lui mi
consideri un frocio senza palle.
Sono scappato via, uscendo da
casa sua senza neanche salutare sua madre.
Mi è dispiaciuto, ma ho perso
un fratello.
Ho continuato a correre ma non
sono andato a casa mia, sono andato da Matt.
Avevo bisogno di
Matt.
Ho corso e corso, mi sono
fermato solo davanti alla porta di casa sua.
Ho iniziato a suonare più e
più volte il campanello. Volevo che mi aprisse il prima
possibile.
Non c’è la facevo più a
mantenere le lacrime.
Poi mi ha aperto.
Mi ha guardato sorpreso, ma
prima che potesse chiedermi qualcosa mi ero già gettato tra le sue braccia,
piangendo come un bambino. Come un’idiota.
Ha chiuso la porta con un
colpo deciso e poi mi ha abbracciato forte.
- Jam. Jam che è successo? –
mi ha chiesto e io sono crollato a terra.
Le gambe mi facevano male a
causa della corsa.
Lui mi ha seguito sul
pavimento, senza lasciarmi.
- Aveva detto che…che poteva
accettarmi. A-aveva detto che tutto poteva tornare come prima. – ho
singhiozzato, nascondendo il viso nel suo collo. Bagnandogli di lacrime la
t-shirt che indossava.
- Ma a-appena mi sono
avvicinato, volevo abbracciarlo, lui…lui si è allontanato. Come se avessi la
peste. N-non vuole toccarmi. Gli faccio
schifo. – ho continuato, prima di rimanere in silenzio. Non riuscivo più a
parlare. Uscivano solo inutili e patetici singhiozzi dalla mia patetica
bocca.
Tutto in me, è
patetico.
L’ho sentito sospirare.
- Tirati su, piccolo. Andiamo
di sopra. – mi ha detto, e io mi sono attaccato a lui, facendomi tirare su di
peso.
Mi ha fatto stendere a letto e
si è messo accanto a me, riprendendomi tra le sue
braccia.
Mi ha accarezzato i capelli
per farmi calmare e ha aspettato che smettessi di
frignare.
Quando mi sono calmato ho
sentito il peso della situazione.
Ero li, davanti a Matt, a
piangere. Mi sono vergognato come poche volte in vita
mia.
Mi sono staccato da lui,
sedendomi sul letto e abbracciandomi le gambe.
Lui si è tirato su con me e mi
ha poggiato il mento sulla spalla.
- Va meglio? – mi ha chiesto,
con voce dolce.
Io ho tirato su con naso e ho
annuito, asciugandomi poi le ultime tracce di lacrime sulle
guance.
Mi ha passato le braccia sui
fianchi, unendo le mani sulla mia pancia, per
stringermi.
- Jam. Se ha fatto una cosa
del genere. Non ti merita come amico. Non devi stare male per lui. – mi ha
detto.
E io ho scosso la testa. Non è
così fottutamente facile.
- Tu non capisci Matt. Lui…è
il mio migliore amico da quando ero solo un bambino. Siamo cresciuti insieme. È
una delle persone più importanti per me. E non è facile accettare che…- mi sono
zittito, quando ho sentito le lacrime tornare a pungermi gli
occhi.
Non volevo piangere
ancora.
Lui mi ha stretto più
forte.
- Okay… – ha detto, anzi, lo
ha ringhiato. – E ora che cosa hai intenzione di fare? – ha continuato. Aveva il
tono di chi cerca di tenere sotto controllo la
rabbia.
Così mi sono girato verso di
lui.
- Matt…io non farò nulla. Ma
tu neanche, okay? Giuro che…- ho fatto un profondo respiro. - …se scopro che gli
hai fatto qualcosa…tu non mi vedi più, va bene? – gli ho detto. Gli occhi mi
bruciavano.
Lui ha socchiuso la bocca. Poi
ha annuito.
- Non gli farò niente. – ho fatto un sospiro di
sollievo.
- Grazie. – ho detto, poi mi
sono accoccolato sul suo petto.
Nelle braccia di qualcuno a
cui non faccio schifo.
Siamo rimasti così per gran
parte del pomeriggio.
Poi sono tornato a casa. Ed è
stato un sollievo.
Perché qui, nel mio letto.
Posso piangere quanto voglio.