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Autore: Red Owl    01/03/2018    4 recensioni
Vecchia versione non più aggiornata.
Genere: Avventura, Science-fiction, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Storico
Capitoli:
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Gli occhi grigi di Karl la scrutavano con sospetto e Lidia dovette fare forza su se stessa per impedirsi di indietreggiare davanti alla sua presenza imponente. «Nessuno» si trovò a balbettare. «Solo un soldato che mi ha accompagnato qui, come ordinato dal Legato Libo.»

L’espressione del germanico non cambiò. «Cosa vuoi dire?»

«Visto quello… visto quello che sta succedendo ultimamente, il Legato pensa che sia troppo pericoloso, per me, andarmene in giro da sola. Ha detto che devo muovermi solo accompagnata da un soldato. Ulf lo sa ed è d’accordo» aggiunse poi, sperando che la spiegazione fosse abbastanza convincente da spingere Karl a non indagare oltre.

Per sua sfortuna, non fu così. «Quell’uomo non era un soldato: chi era?»

Lidia sentì il sangue defluirle dal volto e restò per qualche istante con la bocca aperta, alla vana ricerca di una spiegazione che le consentisse di non ammettere la verità. Per un attimo fu tentata di mentire, di dire che Tito era un soldato e che il fatto che fosse vestito in abiti civili non era che una copertura. Le bastò però una seconda occhiata al viso di Karl per scartare quell’idea: anche se conosceva poco il cognato, aveva avuto modo di capire che era una persona che non si lasciava raggirare facilmente. Con le mani che tremavano un po’, Lidia si abbracciò, cercando di darsi forza. «Era… era un mio amico, un ragazzo che conoscevo quando vivevo a Roma» ammise, in un soffio.

Avrebbe quasi voluto essere sincera, cogliere quell’occasione per liberarsi del peso che il fatto di dover mantenere segreta la presenza di Tito le aveva posato sulle spalle, ma la reazione di Karl le fece rapidamente cambiare idea. «Un tuo amico?» ringhiò infatti l’uomo, scattando in avanti e serrandole le spalle in una morsa dolorosa. «Da dove sbuca? So benissimo che non hai mai ricevuto visite, da quando ti sei trasferita a Erding: quel tipo non vive all’accampamento! Perché è qui? Perché compare proprio adesso che le vostre porcate iniziano a venire a galla?»

Lidia non ebbe bisogno di chiedere, per capire che quel ‘vostre’ era riferito a Roma e che Karl, nonostante tutto, continuava a considerarla una straniera. Invece di rispondere, la fanciulla si divincolò, cercando di allontanare da sé l’uomo. «Lasciami» si lamentò, puntandogli le mani al petto e scuotendo le spalle. Karl però non si lasciò impietosire dalle sue proteste e, anzi, strinse ancora di più la presa sulla giovane, facendola sibilare di dolore. «Rispondi» le intimò, scuotendola.

«È un caso!» sputò lei, a metà tra la rabbia e la disperazione. «È solo un caso, e se tu non ci credi, non so cosa farci!»

Karl sogghignò. «Vuoi forse farmi credere che, con tutti i posti che ci sono al mondo, un tuo amico arriva qui e, casualmente, si ritrova sulla tua porta?» Mentre parlava, l’uomo aveva allentato lievemente la stretta d’acciaio delle sue mani e Lidia lo guardò, torva. «Non ho detto questo» disse, tra i denti. «Lui è venuto qui per farmi una sorpresa, naturalmente. Io non ne sapevo di niente ed è una coincidenza che sia arrivato proprio adesso.»

Karl la scrutò intensamente per qualche secondo, prima di parlare. «Ulf sa che è qui?»

La ragazza lo guardò, allarmata. «No, io stessa l’ho incontrato solo oggi: non ho avuto il tempo parlargliene… l’avrei fatto quando l’avrei visto» si giustificò, ingoiando il gusto amaro che la bugia le lasciò in bocca.

Anche se la sua voce non aveva tremato, le sue parole non dovevano essere state troppo convincenti, perché Karl la trasse a sé, avvicinando il volto a quello della ragazza finché lei non riuscì a sentire sul viso il fiato dell’uomo. «Che cosa stai combinando, donna?»

Lidia voltò bruscamente la testa di lato e chiuse gli occhi, tornando a spingere contro il petto del cognato. «Ti ho detto di lasciarmi» ripeté, sforzandosi di mantenere un tono di voce basso.

Improvvisamente, Karl lasciò la presa e Lidia si accasciò contro il muro, leggermente tremante. L’uomo però non si allontanò da lei e, posando le mani accanto alla sua testa, la intrappolò tra il suo corpo e la parete. La fanciulla avrebbe potuto leggere un secondo fine nel suo atteggiamento, se non fosse stato per l’odio e la rabbia che brillavano chiaramente nei suoi occhi d’acciaio. «Io non so che cos’hai in mente», le disse, in un tono basso che la fece rabbrividire, «ma Ulf è un mio amico e parte della mia famiglia: se avrò anche solo il minimo sospetto che tu stia facendo qualcosa contro di lui, giuro che te la farò pagare… è chiaro?»

Contro ogni buon senso, Lidia sentì la propria voce parlare ancora. «A me sembra che tu ce li abbia già, dei sospetti.»

Karl non apprezzò la provocazione e le afferrò bruscamente il mento. «Aspetto solo di avere dei sospetti appena un po’ più fondati, romana» ringhiò, a pochi centimetri dal suo volto. Messa alle strette, la fanciulla inspirò profondamente, ma, prima che facesse in tempo a urlare, il germanico l’allontanò da sé, spingendola malamente contro il muro. «Fa attenzione» le intimò, prima di voltarsi e bussare alla porta. Lidia si appoggiò alla parete di pietra dell’edificio, cercando di riprendere il fiato e il controllo su di sé, ma, quando l’uscio si aprì, la fanciulla si sentiva ancora molto scossa.

«Oh, eccoti!»

La voce di Unna suonò leggera e sorprendentemente allegra, ma, quando i suoi occhi si posarono su Lidia, la sua espressione mutò e la germanica lanciò un’occhiata interrogativa al marito, prima di rivolgersi alla ragazza. «E tu cosa ci fai qua?» la interrogò. «E che cosa ti è successo?»

«Niente, niente» mormorò la fanciulla, passandosi una mano tra i capelli e cercando di ricomporsi. Gli occhi di Unna si fecero sospettosi e la donna fissò intensamente il marito, che però ricambiò lo sguardo con un’espressione tirata – e vagamente colpevole? – sul volto e la superò, scomparendo all’interno dell’edificio. Unna sembrò sul punto di dire qualcosa, ma poi scosse il capo, rinunciando e scegliendo invece di fare un ceno alla giovane. «Forza, entra» le disse e, per una volta, a Lidia la sua voce sembrò un po’ meno tagliente del solito.

Mordendosi nervosamente le labbra al pensiero di trovarsi nella stessa stanza con Ulf, Karl e il segreto che ancora nascondeva a suo marito, la fanciulla si costrinse a seguire la cognata. Non che abbia altra scelta, comunque.

Non appena mise piede all’interno della bottega, Lidia venne subito colpita dalla sensazione che ci fosse qualcosa di diverso rispetto alla prima e unica volta in cui si era trovata in quel luogo. Durante la sua prima visita, nel locale regnava l’ordine affollato tipico di un ambiente in cui si lavorava intensamente, ma a cui si teneva troppo per lasciare che la confusione ne deturpasse l’aspetto e la funzionalità. Ora, invece, il locale le pareva più disordinato e, anche se non avrebbe saputo dire cosa mancasse rispetto alla volta precedente, più spoglio, come se fosse venuto a mancare qualcosa di importante e le cose avessero iniziato a ricadere su loro stesse e a scomparire, ingoiate dalle ombre agli angoli della stanza.

Lidia non fece però in tempo a soffermarsi troppo sui dettagli, perché, quando si rese conto della sua presenza, Ulf la raggiunse con un paio di passi. «Che fine avevi fatto?» le chiese, con una certa urgenza. «Ti aspettavo più di un’ora fa!

Non sentendosi ancora in grado di sostenere il suo sguardo, la ragazza abbassò gli occhi a terra e si portò una ciocca di capelli dietro a un orecchio. «Ah… sì, ho dovuto aspettare un po’ il soldato.» Con la coda dell’occhio, Lidia vide Karl voltarsi a guardarla di scatto. Il suo le parve un gesto quasi stupito e la ragazza fu sfiorata dal sospetto che l’uomo credesse che il motivo del suo ritardo fosse un altro.

«Capito» annuì Ulf, ignaro, prima di accorgersi dell’espressione turbata della ragazza e della rigida postura del suo corpo. «Va tutto bene?» le chiese allora, con una punta di preoccupazione, posandole una mano sul braccio. «Avete incontrato qualcuno, strada facendo?»

Sforzandosi di sorridere nonostante il nervosismo, Lidia gli sfiorò il polso con le dita, appena sopra al nastro rosso che aveva tanto faticato ad annodare il giorno del loro matrimonio. «No, è andato tutto bene. Non abbiamo incrociato nessuno.» Mentre pronunciava quelle parole, però, il suo sguardo si spostò automaticamente su Karl e un fremito le attraversò il corpo. La cosa non sfuggì a Ulf, che si voltò per osservare l’amico: davanti alla domanda silenziosa dell’uomo, Karl irrigidì le spalle e si mosse leggermente a disagio, ma la sua espressione rimase determinata, mentre lanciava a Lidia un’occhiata d’accusa.

Seguendo l’istinto che le ordinava di agire per prima, la fanciulla strinse la mano di Ulf, ignorando i gelidi occhi di Unna che sembravano non perdere un particolare di quello che stava avvenendo nella stanza. «Non credo di piacergli molto» mormorò, indicando il cognato con un cenno del capo. «Non si fida di me.»

Davanti a quell’accusa – per altro assolutamente fondata – Karl fece per muovere un passo in direzione della giovane, ma Unna lo trattenne, affondando le dita nel braccio del marito. Anche se con una piccola esitazione, Ulf prese le difese della moglie, frapponendosi tra lei e l’altro uomo e celandola alla sua vista. «Cos’è questa storia?» chiese, con una nota di avvertimento nella voce.

Karl sbuffò, sprezzante. «Perché non lo chiedi a lei?» propose, indicando con il mento Lidia.

Ulf chiuse gli occhi per una frazione di secondo, poi fece un passo indietro, spostando lo sguardo dall’uomo alla fanciulla. «Lo chiedo a entrambi» disse, con il tono di chi non ha voglia di perdere tempo.

I due si fissarono senza parlare, ma, prima che il silenzio diventasse troppo pesante e le cose sfuggissero di mano, Unna intervenne. «È una cosa che riguarda te e me?» chiese, strattonando con malagrazia il braccio del marito. Lui scosse il capo. «Non direttamente, ma…» «… e allora vediamo di levarci dai piedi» sbottò la donna, interrompendolo. «Non ho nessunissima voglia di assistere a qualche dramma famigliare. Ne ho già abbastanza dei miei, di drammi.» Così facendo, si tirò un colpetto sulla pancia e sbuffò, girando sui tacchi e tirando di nuovo Karl verso di sé. «Vedete di risolvere in fretta qualsiasi problema abbiate e di non farmi perdere tempo inutilmente» continuò poi, osservando critica il fratello. «Non ci servono altri imprevisti.» Ulf, ancora concentrato su Lidia, annuì senza nemmeno guardarla, ma la giovane romana le rivolse un piccolo cenno del capo, sperando che la donna cogliesse il suo ringraziamento muto: Unna l’aveva appena aiutata, ne era certa, anche se non capiva perché l’avesse fatto.

Quando furono rimasti soli, Ulf sospirò e poi si appoggiò al davanzale, osservando la fanciulla in silenzio, quasi cercasse di indovinare cosa le passasse per la mente. «Allora», disse poi, «posso sapere cos’è successo tra te e Karl?»

Torcendosi nervosamente le mani, Lidia gli si avvicinò di un passo, senza osare raggiungerlo e toccarlo. «Mi ha vista con un romano e mi ha accusata di avere in mente qualcosa» disse, decidendo di prenderla alla larga.

Ulf aggrottò la fronte, senza capire. «Un soldato? Perché dovrebbe vederci qualcosa di strano? Sa benissimo come stanno le cose…» La ragazza deglutì. «Non era un soldato» confessò; e subito l’espressione di Ulf mutò, facendosi improvvisamente più tesa. Non ce la faccio, pensò disperatamente Lidia, maledicendosi per la propria codardia.

«No?» chiese ancora Ulf, chinando un po’ la testa per guardarla negli occhi. «E chi era, allora?»

«Un mio amico, una persona che conoscevo quando ero a Roma» esalò la ragazza, in un soffio. «É per questo che sono arrivata in ritardo. Ho aspettato per quasi un’ora che arrivasse il soldato e, alla fine, quando mi sono trovata davanti lui, ero talmente stupita che… be’, naturalmente abbiamo parlato un po’. Poi mi ha accompagnato qui. Mi ha lasciato qua fuori e Karl ci ha visti mentre ci salutavamo e… è saltato alle conclusioni sbagliate.» La mezza bugia le venne estremamente naturale e la giovane se ne vergognò, ma non abbastanza per ammettere tutta la verità.

«Un tuo amico» ripeté Ulf, con voce piatta, senza muoversi dalla sua posizione. «Perché non ne sapevo niente?»

Lidia strinse i denti e ricacciò indietro l’inquietudine legata alla sensazione di essere sotto interrogatorio. «Nemmeno io sapevo che sarebbe venuto a trovarmi. Ha voluto farmi una sorpresa, ma ha scelto un brutto momento…» Nella speranza di dimostrare la propria sincerità, la ragazza cercò lo sguardo di dell’uomo e lo sostenne, sperando che nel suo atteggiamento lui non leggesse alcuna esitazione sospetta. Dopo qualche istante, Ulf sospirò. «Come hai detto che si chiama?»

Non ricordando se avesse mai fatto il nome di Tito a Ulf, Lidia pronunciò la prima cosa che le venne in mente. «Claudio.» Forse rinfrancato dalla prontezza con cui aveva risposto, l’uomo annuì. «Va bene. Mi piacerebbe incontrarlo, se non ti dispiace.»

Lidia sbiancò, ma si obbligò a rispondere comunque. «Incontrarlo? Certo, ma non so se… è che…» balbettò, presa in contropiede. Poi sospirò e chinò il capo, arrendendosi. «Va bene. Quando vuoi.» Ulf la osservò, critico. «C’è qualche problema?»

Lidia si affrettò a negare. «No, è che lui è un po’ prevenuto nei confronti dei germanici. Non vorrei che finiste per litigare, non ne varrebbe la pena.»

A quelle parole, Ulf le rivolse un mezzo sorriso. «Anche tu eri prevenuta, quando sei arrivata qui.»

«Vero» riconobbe lei, ricambiando il sorriso appena accennato.

Tra i due cadde il silenzio, poi l’uomo allungò un braccio in direzione della compagna, invitandola a raggiungerlo. Quando Lidia fu a poche decine di centimetri da lui, Ulf le posò le mani sui fianchi. «Lidia, io ho deciso di fidarmi di te» le disse, piano, appoggiando la fronte contro a quella della fanciulla. «Faccio bene?»

Lidia chiuse gli occhi e annuì, mentre l’angoscia minacciava di soffocarla. Bugiarda bugiarda bugiarda…

«Sì» fece poi, in un sussurro spezzato, annuendo di nuovo.

«E allora perché sembra che tu stia per metterti a piangere?»

La ragazza sollevò una mano se la passò sul volto nel tentativo di ricacciare indietro le lacrime che avevano preso a solleticarle gli angoli degli occhi, poi sospirò profondamente, per calmarsi. «Non sto per mettermi a piangere», mormorò, deglutendo per scacciare il nodo che le stringeva la gola, «ma sono stanca di tutta questa tensione. Mi sembra di non avere più nulla sotto controllo, mi sento così inutile…»

Ulf la attirò a sé e la ragazza si appoggiò a lui. «È una sensazione che abbiamo tutti» disse, nel tentativo di confortarla. «O, almeno, è una sensazione che ho anch’io. Vedrai che, quando saremo via da qui, passerà tutto.»

Sebbene non riuscisse a credere ciecamente nelle sue parole, la fanciulla si lasciò rassicurare da esse, e, passandosi discretamente una mano sotto al naso, cercò di rilassarsi sotto alle lievi carezze concentriche che Ulf stava tracciando sulla sua schiena.

C’era, naturalmente, qualcosa che le impediva di essere completamente a suo agio. Sì, si chiama ‘coscienza sporca’, venne in suo aiuto la voce che, anche a mesi di distanza dall’ultima volta in cui aveva visto l’amica, tanto assomigliava a quella di Lucilla. E ti sta bene, coniglio. Credi davvero che la verità non verrà a galla, prima o poi?

No, ribatté testarda un’altra parte del suo essere, quella che non desiderava altro che nascondersi in un luogo buio e sicuro e dormire finché non fosse passato tutto. Se gliene parlassi adesso si arrabbierebbe di sicuro. È già un momento difficile, non serve complicare ulteriormente le cose. E poi tra me e Tito non ci sarà mai più nulla, per cui posso benissimo presentarglielo come un mio amico. Il passato non ha più importanza, ormai!

Quella sorta di battaglia interiore ebbe vita breve: la paura e l’incertezza misero rapidamente a tacere i sensi di colpa e la fanciulla si convinse che davvero quello non fosse il momento migliore per rivelare a Ulf la vera identità di “Claudio”. Relegando i dubbi in un angolo della mente, Lidia lasciò che il suo corpo si rilassasse e aderisse meglio a quello di Ulf. Con gli occhi chiusi, la giovane appoggiò il capo contro il petto del marito e lasciò che il battito regolare e leggermente ipnotico del suo cuore la cullasse in uno stato simile al dormiveglia o alla trance.

«Ti manca Roma?»

Lidia sobbalzò quasi, sbattendo lentamente gli occhi davanti a quella domanda che l’aveva riscossa dal suo stato di rilassamento. «Un pochino» disse, sentendosi la bocca un po’ impastata. «Qualche volta, quando ci penso, un po’ mi manca.»

«Vorresti tornarci?»

Appena un po’ meravigliata, la fanciulla posò le mani sulle spalle dell’uomo, con un sorriso triste. «A te non piacerebbe, credo.»

Lidia avvertì, più che vedere, il movimento di Ulf, che si spostò per sistemare meglio il loro peso contro il davanzale. «Lo so. Indipendentemente da questo, però, non pensi mai di tornarci?»

La giovane corrugò la fronte, confusa. «Senza di te, intendi?»

L’uomo sollevò le spalle, senza però negare, e Lidia non seppe se essere intenerita o allarmata da quel tentativo di Ulf di sondare il terreno delle sue intenzioni. «Pensavo che fosse chiaro che non voglio andare da nessuna parte, senza di te» disse, dolcemente, ma venne sorpresa dallo sbuffo ironico di Ulf.

«Non mi credi?» chiese, leggermente piccata, alzando lo sguardo sull’uomo. Lui scosse il capo. «Ma no, non è che non ti credo» ribatté lui, inclinandosi un po’ all’indietro per osservarla meglio. «È che a volte mi sembra strano come le cose siano cambiate così tanto in così poco tempo.»

Lidia sorrise, timida. «Lo so, ma adesso io ci tengo a te» mormorò a mo’ di spiegazione, nascondendo il volto contro la maglia dell’uomo per nascondere il rossore che le aveva invaso le guance. Per qualche attimo Ulf non rispose, poi posò una mano sulla sua testa, accarezzandole i capelli. «Sì», disse, con appena una nota divertita nella voce, «anch’io ci tengo a te.»

La ragazza avvertì qualcosa di non detto, nelle sue parole. «… però?» chiese, con un filo di inquietudine. Lei era stata sincera, quando aveva detto di tenere a lui: per lui non era lo stesso?

«Non c’è nessun però» sorrise l’uomo, accorgendosi del suo disagio e accarezzandole la guancia. Lidia lo guardò, mordendosi inconsciamente le labbra. «No?» chiese di nuovo, poco convinta.

Lui fece per negare, ma poi si bloccò, cercando nei suoi occhi la risposta a una domanda mai posta. «Devo dirti una cosa» disse all’improvviso Ulf. «Non è niente di che, a dire il vero, però credo che sia giusto che tu lo sappia.»

Il tono in cui pronunciò quelle parole le provocò una fitta allo stomaco e Lidia lo guardò con gli occhi sgranati, mentre le sue dita si stringevano automaticamente sulla maglia dell’uomo. «Che cosa?» balbettò, sentendo una paura irrazionale impossessarsi di lei.

«Non guardarmi così, te l’ho detto, che non è niente di che» si affrettò a rassicurarla Ulf. «È solo che, all’inizio, quando ho accettato di sposarti, non avevo intenzione di tenerti con me.»

Oh.

Non sapendo bene cosa farsene di quell’informazione, Lidia aprì e chiuse un paio di volte la bocca, senza riuscire a formulare la domanda giusta. «In che senso?» chiese, dopo diversi secondi.

Ulf esitò. «Le cose tra romani e germanici non andavano tanto bene già allora» spiegò. «Sapevo che, prima o poi, la situazione sarebbe esplosa, come effettivamente ha fatto. Speravo… be’, speravo che allora i romani se ne sarebbero tornati a casa e contavo sul fatto che tu avresti colto l’occasione al volo e saresti tornata a Roma con loro.»

Lidia lo guardò senza capire. «Non capisco» disse, confusa. «Ma allora perché mi sei corso dietro, quella notte che ho cercato di scappare?»

Ulf si strinse nelle spalle. «Allora era troppo presto: mi serviva una scusa per dimostrare a Erin che io avevo fatto tutto il possibile per tenerti con me e che non era certo colpa mia, se ci trovavamo in una situazione di guerriglia nella quale le leggi normali non valevano più niente…»

Lidia annuì. «Mh… avevi pianificato tutto, eh?» Ulf sorrise, ma tenne gli occhi bassi. «Non avevo certo pianificato il fatto che tu saltassi dalla finestra, ma, per il resto… sì, mi ero fatto i miei programmi.»

«E perché me lo stai dicendo proprio adesso?» gli chiese ancora la ragazza.

«Quel tuo amico…» il giovane aggrottò la fronte, interrompendosi per un istante. «Non so, ho pensato che forse anche tu potessi esserti fatta un piano di fuga e… ecco, io ho cambiato idea, ma forse tu no?»

«Ho cambiato idea anch’io» replicò d’istinto la fanciulla, con il cuore che improvvisamente aveva accelerato i battiti. «Non ho più voglia di scappare.»

Ulf annuì. «Sì, me l’hai già detto tante volte e, a questo punto, penso di potermi fidare… era solo un dubbio che avevo. Come io mi ero fatto un piano, mi pareva solo logico che tu avessi fatto altrettanto.»

Tito. Diglielo, la incitò la sua coscienza, questo è il momento adatto. Te l’ha chiesto. Diglielo. Non si arrabbierà.

Lidia inspirò profondamente, stringendo i denti per darsi coraggio. Sì. È giusto.

Subito dopo, un impulso contrastante. No. Hai mentito, prima, non puoi cambiare idea adesso.

Diglielo.

La fanciulla deglutì. «Sono… sono cambiate tante cose, adesso» sussurrò, cercando di trovare le parole adatte. «Prima di conoscerti non avevo idea di come sarebbe stato. Pensavo… pensavo delle cose che adesso non penso più.» Lidia si interruppe, asciugandosi le mani sudate sulla gonna e cercando una via per cui procedere. «Io…»

«Non è tutto.»

Le parole di Ulf, quasi sputate, la costrinsero a interrompersi e fu solo in quel momento che la fanciulla si accorse della tensione dell’uomo. Era talmente presa dalle sue paure che non si era accorta che Ulf non sembrava passarsela meglio. «Come?» chiese, disorientata.

Il volto del giovane si contrasse in una smorfia, come se fosse stato costretto a mandare giù un boccone amaro. «Anch’io pensavo delle cose che adesso non penso più» disse, riprendendo le parole di lei. «Prima era diverso, prima sarei stato disposto a fare delle cose che… delle cose a cui adesso non posso neanche pensare, e…»

Lidia raddrizzò la schiena e, in preda a un presagio che la raggelò, alzò lo sguardo sul volto del marito. «Quali cose?»

Ulf esitò, come se parlarne gli costasse una fatica enorme. «Avevo anche preso in considerazione l’ipotesi che tu non volessi affatto andartene.»

La fanciulla non commentò, come pietrificata dal significato che intuiva dietro a quelle parole. Avrebbe quasi voluto che l’uomo lasciasse le cose com’erano, che non parlasse più, ma Ulf proseguì nella sua spiegazione, evidentemente intenzionato a mettere in chiaro le cose. «Pensavo… pensavamo che, nel caso tu non volessi andartene di tua spontanea volontà, si sarebbe potuto fare qualcosa per convincerti ad andartene. Oppure…», l’uomo si interruppe, prima di continuare, tutto d’un fiato, «oppure avremmo trovato un modo per toglierti di mezzo.»

Lidia si allontanò bruscamente da lui, in preda all’orrore. «Togliermi di mezzo?» sbottò, incredula. «Vuoi dire uccidermi?»

Ulf mosse un mezzo passo nella sua direzione, ma poi si bloccò, frustrato. «Sì», ammise, prima di correggersi, «no, non lo so! Era una cosa molto vaga, teorica, non avevo pensato ai dettagli! Lidia… non ho mai pensato di farlo davvero!» Davanti all’angoscia che poteva leggere sul viso del marito, la fanciulla smise di indietreggiare, ma mantenne comunque le distanze. Sollevando le mani, Ulf provò a calmarla. «Erano dei pensieri rivolti a una sconosciuta, a un’idea, più che a una persona reale. Non so se capisci cosa intendo.»

Lidia lo guardò di soppiatto, corrucciata, col cuore che le martellava nel petto e un cattivo sapore in bocca. Sì, anche se quello che le aveva rivelato Ulf l’aveva riempita di sgomento, sfortunatamente riusciva a capire quello che intendeva. Quando suo padre le aveva comunicato il suo destino, in quel lontano giorno d’aprile, lei non aveva progettato di uccidere quello sconosciuto che l’avrebbe portata via di Roma e dalla sua vita, ma, se le fosse giunta la notizia che quel barbaro era morto, lei avrebbe di certo esultato. Ma non ho mai pensato di ucciderlo io stessa. Non ne sarei mai capace. E questo fa tutta la differenza del mondo.

Accigliata, alzò lo sguardo su Ulf. «Quando mi hai conosciuta, hai pensato di uccidermi?» chiese, con la voce che inciampava sull’ultima parola. L’uomo scosse immediatamente il capo. «No» negò, guardandola negli occhi. «Di mandarti via sì, almeno all’inizio, ma di farti veramente del male no, mai.»

Malgrado il turbamento che ancora le stringeva la gola, Lidia avvertì la sua sincerità. «Mai?» chiese, senza riuscire a evitare che la sua voce suonasse un po’ sollevata.

«No» confermò l’uomo, prima di abbozzare un pallidissimo sorriso. «Be’, forse all’inizio mi è venuta voglia di tirarti le orecchie, qualche volta. Eri davvero impossibile. Ma, a parte quello…» Lidia annuì, mentre le sue spalle si rilassavano e tutto il suo essere tirava un sospiro di sollievo. Sì, rilassati, ma non troppo, l’avvertì qualcosa all’interno della sua testa. Non si sa mai.

«Lidia», mormorò ancora Ulf, cercando i suoi occhi, «io non ti farei mai del male, spero che questo tu lo sappia. Se ti ho raccontato queste cose è solo perché volevo essere sincero, con te, adesso più che mai. Ci sono già tanti segreti da queste parti, non voglio che ce ne siano anche tra di noi.»

La ragazza si trovò ad annuire e fu tentata di rivolgergli un piccolo sorriso, ma si affrettò a soffocare quell’impulso. No, niente sorrisi! La rimproverò il suo inconscio. Tu sei arrabbiata, con lui! Rimani arrabbiata, se lo merita!

Ma se lo meritava veramente? Lidia non poteva fare a meno di pensare che ci fosse qualcosa di stonato, in quello che aveva scoperto. «Saresti stato davvero in grado di fare una cosa del genere a tua moglie? O, più in generale, a una persona che non ti aveva fatto niente?» gli chiese improvvisamente, passandosi le mani sulle braccia in cerca di conforto.

Ulf esitò. «Non lo so» disse poi, con voce stanca. «Non credo, in tutta onestà. Era solo un’idea stupida, senza fondamento, in effetti.» Lidia si morse le labbra. «Però ci hai pensato comunque.» L’uomo sospirò. «Se devo essere sincero», ammise, «il suggerimento è arrivato da Karl. Ma io non mi sono opposto, ho le mie responsabilità. Non cerco giustificazioni.»

Anziché rassicurarla, quelle parole la terrorizzarono. Lidia si rese conto di non aver mai veramente pensato che Ulf sarebbe stato in grado di farle del male, ma Karl… Karl era un’altra storia. Improvvisamente l’odio che aveva visto brillare nei suoi occhi chiari assunse un significato del tutto diverso, le ombre doloranti che già avevano iniziato a formarsi là dove le sue mani l’avevano stretta le sembrarono più pericolose e le parole che le aveva rivolto prima di allontanarsi da lei si fecero infinitamente più minacciose.

Karl voleva ucciderla. Karl poteva ucciderla.

Accorgendosi dell’improvviso tormento della moglie, Ulf si accigliò. «Lidia?» Senza quasi rendersene conto, dimenticandosi del suo proposito di tenere le distanze per un po’, la fanciulla si lanciò verso di lui, artigliandogli gli avambracci. «Karl mi ha minacciata, prima» disse, concitata, con gli occhi spalancati per la paura. «Mi ha spinta contro il muro, mi ha fatto male!»

Negli occhi di Ulf passò un’ombra scura, ma poi l’uomo si liberò dalla presa di Lidia e strinse le mani della giovane nelle sue. «Prima che arrivaste qui?» la interrogò. La ragazza annuì. «Non gli sono mai piaciuta» mormorò, spaventata. «Mi odia. Non so perché, ma mi odia.»

Ulf scosse la testa. «Gli parlerò io, gli dirò di non toccarti più» le promise, deciso. «Però ti assicuro che Karl odia Roma, non te.» La fanciulla alzò su di lui gli inquieti occhi scuri. «Per lui siamo la stessa cosa.» «Non lo siete, credimi» la contraddisse il giovane. «I motivi per cui lui odia Roma non hanno nulla a che fare con te.»

Non sentendosi in grado di ribattere – del resto conosceva troppo poco il cognato per poter capire cosa gli passasse per la testa – Lidia annuì, abbassando gli occhi a terra. Poi si portò le mani al petto: malgrado le rassicurazioni di Ulf, lei non si sentiva affatto tranquilla. Esitante, quasi aspettandosi che lei si scostasse o fuggisse via, l’uomo le posò una mano su una spalla e attese una sua reazione. I suoi occhi erano guardinghi e sul suo volto teso la giovane lesse un’inquietudine che non le era mai capitato di osservare.

Lidia sospirò. Anche se non aveva affatto gradito le rivelazioni fattele da Ulf, capiva perfettamente che qualsiasi piano suo marito avesse fatto prima di conoscerla non era rivolto a lei, bensì all’idea astratta di una persona senza volto né identità. Scuotendo appena il capo, la fanciulla chiuse di nuovo la distanza tra loro e fece scivolare le braccia attorno alla vita dell’uomo, appoggiandogli la testa sul petto. Avvertì immediatamente il suo sospiro di sollievo e le sue braccia che la circondarono, stringendola a sé.

Gli voleva bene. Nonostante tutto, gli voleva bene. Anche se non so niente di te. Ed era vero. Dopo tre mesi passati insieme, Lidia si accorgeva di non sapere praticamente nulla di suo marito. Lo conosceva solo per quello che aveva avuto modo di vedere durante la loro vita comune, ma il suo passato rimaneva avvolto nella nebbia più fitta, o quasi. Chissà se mi piacerebbe ancora, se conoscessi tutti i dettagli del suo passato. Chissà se io piacerei a lui, se sapesse chi ero, quando ero a Roma.

… se sapesse di Tito.

Lidia nascose una smorfia contro la stoffa ruvida della maglia dell’uomo. Dalla tensione che avvertiva nei suoi muscoli, tesi sotto il palmo delle sue mani, la fanciulla capiva quanto dovesse essere stato difficile, per lui, farle quella confessione. La ragazza aggrottò la fronte, chiedendosi per l’ennesima volta se non avrebbe dovuto approfittare dell’occasione e rivelargli chi fosse veramente Tito. Subito, però, dovette trattenere l’impulso di scuotere il capo in un segno di diniego. Alla luce di quello che aveva appena scoperto, sentiva che dire la verità avrebbe potuto costituire un pericolo per il giovane romano: se anche Ulf non gli avesse fatto nulla, chi avrebbe potuto dire come avrebbe reagito Karl?

Ci sono troppe cose che non so, si disse Lidia, stringendo per un secondo tra i pugni la stoffa che ricopriva la schiena del germanico. Se io adesso dico a Ulf come stanno veramente le cose, chi mi assicura che lui non corra a riferire tutto a Karl? Evidentemente sono molto più uniti di quanto non pensassi…

No, non poteva correre quel rischio. Non poteva far correre a Tito quel rischio.

E poi, anche se Ulf si tenesse tutto per sé… quasi vergognandosi di quel pensiero, la fanciulla si rese conto di non riuscire a fidarsi completamente di quella che avrebbe potuto essere la reazione del marito. Perché non so di cosa sia veramente capace, riconobbe, con una smorfia amareggiata. D’un tratto, la giovane fu sfiorata da un pensiero scomodo. Anche se il suo istinto le gridava di non farlo, Lidia sollevò il capo e si ritrovò a porre a Ulf una domanda di cui non era certa di voler conoscere la risposta. «Ulf?»

«Mh?» Nei suoi occhi azzurri Lidia vide ancora un’ombra di preoccupazione, ma la ignorò. «Hai mai ucciso qualcuno?» chiese, con voce sorprendentemente ferma.

L’uomo lasciò passare solo un istante. «Sì.»

Forse fu il tono con cui pronunciò quella singola sillaba, forse l’espressione del suo volto, ma, senza bisogno di spiegazioni, Lidia capì e all’improvviso tutto assunse un significato diverso. «Per Unna?» chiese, sentendosi improvvisamente triste.

«Per Unna» confermò lui, con una voce così bassa che la ragazza dovette fare uno sforzo per udirlo.

«Per quelle cicatrici?» fece ancora lei.

«E per altro.»

Forse era un errore, doveva di certo essere un errore, ma la fanciulla non volle sapere più nulla. C’era Unna e c’erano le sue cicatrici, c’era un odio per Roma di cui nessuno voleva parlare e c’era quello sguardo distante negli occhi della donna, spettro dei suoi sogni che non si erano avverati. C’era qualcuno che era morto, sì, e, forse, c’era qualcuno che era rimasto vivo.

C’era soprattutto Ulf, si accorse, che la guardava triste, forse confuso, forse spaventato e, mossa da qualcosa su cui non aveva nessun controllo, Lidia si alzò in punta di piedi e gli affondò il viso nel collo, cercando il suo calore.

«Lidia», sospirò lui, e il tono della sua voce le fece capire che qualsiasi fantasma l’avesse tormentato un istante prima era già lontano, «è stato tanto tempo fa, ero un ragazzo e…»

«Non importa» lo interruppe lei.

L’uomo sbuffò, leggermente contrariato. «Dici così, ma…»

«Conosco tanti soldati» mormorò lei, sfiorandogli il petto con le mani. «I soldati vanno in guerra e in guerra muore tanta gente. Anche mio padre è stato nell’esercito, da giovane.»

«Ma io non sono un soldato» le fece notare lui. La fanciulla si strinse nelle spalle. «Cosa cambia?»

Ulf scosse il capo, come se avesse rinunciato a discutere, e Lidia si chiese se, per caso, non fosse lui a sentire il bisogno di parlare di quelle cose. Dopo un silenzio che si protrasse per alcuni minuti, la ragazza inclinò il capo all’indietro per incontrare i suoi occhi e i due rimasero a guardarsi in silenzio per qualche istante.

«Allora?»

Quella di Ulf non era una vera e propria domanda, ma Lidia la accolse con un sorriso lento, che non spezzava la tensione, ma, in un certo senso, la rielaborava.

«Allora» rispose.

L’uomo alzò la mano e con due dita seguì la curva del suo viso dallo zigomo al mento, ma, quando i suoi polpastrelli sfiorarono il punto in cui Karl l’aveva stretta, la giovane sussultò, mentre una fitta di dolore si irradiava verso il suo orecchio.

Gli occhi di Ulf parvero farsi più scuri, ma, prima che avesse il tempo di dire qualcosa, Lidia voltò leggermente il capo e gli baciò il palmo della mano, prima di stringergli leggermente la punta di un dito tra i denti. Ulf sospirò e la tirò più vicina a sé, senza smettere di fissarla intensamente. Le dita di Lidia corsero su verso il suo collo, fermandosi però sull’allacciatura della maglia dell’uomo. Mh. Stoffa.

Non voleva la stoffa, voleva toccare la sua pelle, sentirne il calore sulla punta delle dita. Velocemente, ma con una concentrazione quasi religiosa, Lidia slacciò un paio di bottoni e lasciò scivolare le mani sul corpo caldo dell’uomo. Ulf trattenne il fiato e lei, alzandosi sulla punta dei piedi, gli posò le labbra sulla gola, schiudendo appena la bocca per assaporare il sapore della sua pelle. Non avrebbe saputo dire da dove venisse quell’improvvisa necessità di sentirlo vicino, molto più vicino di quanto l’avesse voluto solo alcuni minuti prima, eppure quel bisogno parve alla fanciulla del tutto naturale.

La mano di Ulf le corse alla nuca e, scostandola da sé quel poco che bastava per chinarsi su di lei, l’uomo la baciò, toccandola come se fosse alla ricerca di rassicurazioni o conforto. Lidia inarcò la schiena con un sospiro, ma la differenza di altezza tra di loro era tale che presto il collo iniziò a dolerle e, inevitabilmente, la ragazza si irrigidì. Improvvisamente le mani dell’uomo si strinsero attorno alla sua vita e, con un movimento così rapido che Lidia faticò a capire che cosa stesse succedendo, Ulf invertì le loro posizioni e la sollevò, mettendola a sedere sul davanzale. Ah, meglio, pensò la giovane in uno sprazzo di praticità, prima di attirarlo a sé e trovare di nuovo la sua bocca. Mi sei mancato, pensò, accorgendosi all’improvviso di quanto avesse sentito la mancanza del contatto fisico con il marito, dei suoi baci e del suo tocco sul corpo.

Ulf doveva pensarla allo stesso modo, perché le sue mani scesero nuovamente sulla sua vita, forse alla ricerca di un passaggio che gli permettesse di insinuarsi sotto ai vestiti di lei. Non trovandolo a causa dell’abito lungo che Lidia indossava e che le ricadeva attorno alle ginocchia, l’uomo le sollevò la gonna e le fece scivolare le mani sulle cosce. Come davanti a una richiesta mai formulata ad alta voce, la fanciulla allargò le gambe, permettendo al compagno di insinuarsi tra di esse e avvicinarsi di più a lei. Poi, guidata dall’istinto, le strinse attorno a lui, tirandolo bruscamente contro di sé. Le mani dell’uomo corsero automaticamente ai suoi fianchi, toccando appena la pelle morbida celata dalla biancheria intima, e poi Ulf spinse il bacino contro quello della ragazza, alla ricerca di un contatto diverso.

Lidia inspirò bruscamente, deliziata dalla sensazione nuova e ancora sconosciuta e, scivolando sotto alla sua maglia, appiattì i palmi contro la schiena del marito, muovendo inconsciamente i fianchi per aumentare la frizione. La bocca di Ulf lasciò la sua e scese su suo collo, mentre l’uomo le sussurrava qualcosa che Lidia non capì.

La fanciulla chiuse gli occhi, sentendosi leggera e piena di vita, completamente concentrata sulla presenza solida dell’uomo contro di lei, su quello che le faceva provare e sul calore liquido che le riempiva il petto. Voglio…

Lidia non era affatto certa di riuscire ad articolare quello che voleva, ma, nel dubbio, scivolò un po’ all’indietro, offrendo più spazio di manovra al marito. Ulf però la trattenne e la ragazza gemette quando i suoi denti le sfiorarono un orecchio.

«Hai capito?»

Lidia corrugò la fronte e sbatté gli occhi nel tentativo di riemergere dalla nebbia che l’aveva avvolta. «Eh?» chiese, confusa.

Ulf ridacchiò e posò la fronte contro a quella della giovane, baciandole il naso. «Ho detto che sto aspettando delle persone.»

Mh, delle persone…

Lidia si immobilizzò. Delle persone?!

«Adesso?» chiese, fissandolo con gli occhi spalancati. L’uomo si morse le labbra nel tentativo di rimanere serio. «Eh, sì.»

Inorridita, la ragazza lo spinse via, senza però riuscire ad allontanarlo da sé. «E perché non me l’hai detto prima!?» sbottò, facendolo scoppiare a ridere.

«A dire il vero te l’ho detto, ma non mi hai ascoltato…» replicò lui, con uno scintillio negli occhi chiari che la fece arrossire violentemente. Ridendo, l’uomo fece un passo indietro e Lidia balzò giù dal davanzale, affrettandosi a raddrizzare la gonna e a cercare di sistemare i capelli spettinati. Ulf le posò di nuovo le mani sui fianchi, lisciandole le pieghe del vestito, e lei gli lanciò un’occhiata critica. «E allacciati la maglia» borbottò, provvedendo poi di persona a riallacciare i bottoni che le sue stesse dita avevano slacciato poco prima. Quando fu relativamente soddisfatta della situazione dei loro abiti, la giovane fece per allontanarsi, ma la presa di Ulf si fece più salda e l’uomo la osservò dall’alto al basso, alla ricerca della conferma che il peggio fosse passato.

Quello di cui avevano parlato quel pomeriggio non era certo un argomento che poteva essere liquidato con poche battute, ma, per il momento, Lidia decise che ne avevano discusso abbastanza. Era certa che il discorso sarebbe riemerso, prima o poi, e allora ci sarebbero state molte cose da dire – da parte di entrambi – ma quello sarebbe avvenuto solo quando anche lei si fosse sentita pronta a rivelare a Ulf la sua parte di segreto. Presto, si ripromise, ma non oggi.

Con un piccolo sorriso, Lidia allungò una mano e con due dita scostò una ciocca di capelli chiari che era ricaduta sul viso dell’uomo, prima di scivolare lungo le sue braccia in una carezza e stringergli le mani, rassicurante. Visibilmente più rilassato, Ulf annuì e le posò un bacio sui capelli bruni. Davanti a quella manifestazione d’affetto, la fanciulla non poté impedire che il suo sorriso si facesse più ampio.

***

Avrebbe già dovuto tornare a casa da un pezzo – Donna Edda non sarebbe stata felice di scoprire che il pavimento non era stato lavato nemmeno quel giorno – ma nessun soldato si era presentato alla porta della bottega per scortarla fino alla sua abitazione e Ulf stava ancora lavorando alla rifinitura di un mobile.

Lidia lo guardò con gli occhi socchiusi, senza osare aprir bocca. Sarà, ma a me sembra uguale a prima… pensò, lasciando scorrere lo sguardo sull’armadietto di abete.

L’uomo si stava affaccendando attorno all’anta sinistra da almeno mezz’ora, ma, malgrado lo avesse osservato con attenzione, la ragazza non era riuscita a scorgere il minimo cambiamento nel legno chiaro. E, tra l’altro, aveva scoperto che Ulf non accettava volentieri le critiche, quando c’era di mezzo il suo lavoro.

Permaloso, pensò con una smorfia la fanciulla, ricordando la risposta poco educata che aveva ricevuto quando si era permessa di fargli notare che, forse, avrebbe potuto lavorare un po’ più velocemente.

«Dieci minuti e ho finito» le comunicò l’uomo, senza alzare gli occhi dalla punta dello scalpello. «Mh-mh» commentò lei, sistemandosi meglio sulla cassapanca sulla quale era seduta.

Dopo qualche minuto, qualcuno bussò alla porta e Lidia si voltò di scatto verso la direzione del suono. «Aspetti ancora qualcuno?» chiese, senza riuscire a nascondere la nota di allarme che distorse le sue parole. Chi può essere a quest’ora? Unna? Un soldato che vuole riportarmi a casa? Karl? Oh, Dèi, spero di no! Non sarà Tito, vero? Non può essere così stupido da venire qui…

Nella frazione di secondo in cui quei pensieri balenarono nella mente della ragazza, Ulf aveva già posato a terra gli attrezzi e aveva raggiunto l’uscio, aprendo di scatto la porta. «Ah, ancora tu» lo sentì dire.

Incuriosita – e un po’ rinfrancata dal tono distaccato dell’uomo – Lidia allungò il collo e spiò la persona che attendeva alla porta. Il soldatino biondo. Lucio. Alzandosi in piedi con un sospiro di sollievo – Lucio non era pericoloso – la fanciulla raggiunse il marito. «Ciao» fece, sorridendo cordialmente in direzione del legionario. «Grazie per essere venuto, ma non ce n’era bisogno. Torno a casa con Ulf.»

Il giovane romano la guardò con la bocca socchiusa per qualche secondo, poi si riscosse. «Ehm, no, a dire il vero non ero venuto per portarvi a casa.»

Lidia e Ulf si scambiarono uno sguardo stupito, poi l’espressione dell’uomo si indurì. «E allora cosa sei venuto a fare?»

Lucio spostò nervosamente il peso da un piede all’altro, ma sostenne lo sguardo del germanico. «Donna Erin e Fratello Kay vogliono vedervi» annunciò, con un tono che lasciava intendere quanto poco gli piacesse essere usato come messaggero dai due sacerdoti.

«Ancora?» chiese stupita Lidia, prima di riuscire a fermarsi. Il soldato si strinse nelle spalle. «Sì. Non so esattamente perché vi abbiano convocati» ammise, con una smorfia. «Mi hanno solo detto di portarvi da loro. La Sacerdotessa sembrava normale, comunque.»

«Normale?» ripeté Ulf, con un sopracciglio sollevato.

«Sì, non arrabbiata, intendo.»

Lidia si portò una mano alla bocca per nascondere un sorriso sarcastico: che il soldatino avesse recentemente avuto modo di avere a che fare con una Donna Erin arrabbiata? Allargando le braccia impotente, Ulf sospirò, rendendosi conto di non avere un motivo valido che gli permettesse di opporsi a quella convocazione. «Va bene, andiamo.»

Quando raggiunsero la loro meta, Lidia rallentò inconsciamente il passo, sorpresa. Anche se era passato un solo giorno dall’ultima volta in cui vi aveva messo piede, in meno di ventiquattro ore la casa della sacerdotessa sembrava essersi trasformata in un distaccamento dell’accampamento romano. C’erano due soldati a guardia della porta e altri quattro che si aggiravano nelle vicinanze. Ancora prima di vedere gli altri legionari, Lidia si rese conto, semplicemente incontrando lo sguardo seccato del servo germanico che venne ad aprire loro la porta, che la presenza militare era massiccia anche all’interno delle mura chiare.

A differenza di quanto si sarebbe aspettata, la giovane non vide Celano, ma…

No. Non è possibile.

Tito.

C’era Tito, lì a pochi metri di distanza da lei.

E, accanto a lei, c’era Ulf.

Tito e Ulf, nella stessa stanza. E lei in mezzo, con tutti i suoi segreti e le sue bugie.

No, pensò ancora, mentre il suo cervello eseguiva un elaborato sobbalzo, no, no, no, non sono pronta!

Tito era immerso in una conversazione con due soldati che la ragazza non aveva mai visto prima e, per un istante, Lidia si illuse che il giovane non si voltasse, permettendole di sgattaiolare all’interno e raggiungere Donna Erin senza essere notata da lui.

La fanciulla mosse tre passi nella sua direzione, sospinta da suo marito e da Lucio, e Tito continuò a parlare. Poi qualcosa attirò la sua attenzione e il giovane romano si voltò verso di lei. Anche a due metri di distanza Lidia vide benissimo la sorpresa, la felicità, la rabbia e infine l’espressione indecifrabile che si susseguirono con una velocità sorprendente sul suo volto.

Infine, Tito sorrise.

«Lidia! Anche tu qui?»

***

Ecco, finalmente ho superato questa fase di transizione – scriverla è stato pesante, rileggerla ancora di più. Ormai i capitoli già pronti sono agli sgoccioli, quindi il vostro supporto è ancora più importante: commenti e osservazioni varie sono un toccasana, quando l’ispirazione scarseggia!

 

   
 
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