Gli occhi grigi di Karl la scrutavano
con sospetto e Lidia dovette fare forza su se stessa per impedirsi di
indietreggiare davanti alla sua presenza imponente.
«Nessuno» si trovò a
balbettare. «Solo un soldato che mi ha accompagnato qui, come
ordinato dal
Legato Libo.»
L’espressione del germanico non
cambiò. «Cosa vuoi dire?»
«Visto quello… visto quello
che sta
succedendo ultimamente, il Legato pensa che sia troppo pericoloso, per
me,
andarmene in giro da sola. Ha detto che devo muovermi solo accompagnata
da un
soldato. Ulf lo sa ed è d’accordo»
aggiunse poi, sperando che la spiegazione
fosse abbastanza convincente da spingere Karl a non indagare oltre.
Per sua sfortuna, non fu così.
«Quell’uomo
non era un soldato: chi era?»
Lidia sentì il sangue defluirle dal
volto e restò per qualche istante con la bocca aperta, alla
vana ricerca di una
spiegazione che le consentisse di non ammettere la verità.
Per un attimo fu
tentata di mentire, di dire che Tito era
un soldato e che il fatto che fosse vestito in abiti civili non era che
una copertura.
Le bastò però una seconda occhiata al viso di
Karl per scartare quell’idea:
anche se conosceva poco il cognato, aveva avuto modo di capire che era
una persona
che non si lasciava raggirare facilmente. Con le mani che tremavano un
po’,
Lidia si abbracciò, cercando di darsi forza.
«Era… era un mio amico, un ragazzo
che conoscevo quando vivevo a Roma» ammise, in un soffio.
Avrebbe quasi voluto essere sincera,
cogliere quell’occasione per liberarsi del peso che il fatto
di dover mantenere
segreta la presenza di Tito le aveva posato sulle spalle, ma la
reazione di
Karl le fece rapidamente cambiare idea. «Un tuo
amico?» ringhiò infatti l’uomo,
scattando in avanti e serrandole le spalle in una morsa dolorosa.
«Da dove
sbuca? So benissimo che non hai mai ricevuto visite, da quando ti sei
trasferita a Erding: quel tipo non vive all’accampamento!
Perché è qui? Perché
compare proprio adesso che le vostre porcate iniziano a venire a
galla?»
Lidia non ebbe bisogno di chiedere,
per capire che quel ‘vostre’
era riferito
a Roma e che Karl, nonostante tutto, continuava a considerarla una
straniera. Invece
di rispondere, la fanciulla si divincolò, cercando di
allontanare da sé l’uomo.
«Lasciami» si lamentò, puntandogli le
mani al petto e scuotendo le spalle. Karl
però non si lasciò impietosire dalle sue proteste
e, anzi, strinse ancora di
più la presa sulla giovane, facendola sibilare di dolore.
«Rispondi» le intimò,
scuotendola.
«È un caso!»
sputò lei, a metà tra la
rabbia e la disperazione. «È solo un caso, e se tu
non ci credi, non so cosa
farci!»
Karl sogghignò. «Vuoi forse
farmi
credere che, con tutti i posti che ci sono al mondo, un tuo amico
arriva qui e,
casualmente, si ritrova sulla tua
porta?» Mentre parlava, l’uomo aveva allentato
lievemente la stretta d’acciaio
delle sue mani e Lidia lo guardò, torva. «Non ho
detto questo» disse, tra i
denti. «Lui è venuto qui per farmi una sorpresa,
naturalmente. Io non ne sapevo
di niente ed è una coincidenza che sia arrivato proprio
adesso.»
Karl la scrutò intensamente per
qualche secondo, prima di parlare. «Ulf sa che è
qui?»
La ragazza lo guardò, allarmata.
«No,
io stessa l’ho incontrato solo oggi: non ho avuto il tempo
parlargliene…
l’avrei fatto quando l’avrei visto» si
giustificò, ingoiando il gusto amaro che
la bugia le lasciò in bocca.
Anche se la sua voce non aveva
tremato, le sue parole non dovevano essere state troppo convincenti,
perché
Karl la trasse a sé, avvicinando il volto a quello della
ragazza finché lei non
riuscì a sentire sul viso il fiato dell’uomo.
«Che cosa stai combinando,
donna?»
Lidia voltò bruscamente la testa di
lato e chiuse gli occhi, tornando a spingere contro il petto del
cognato. «Ti
ho detto di lasciarmi» ripeté, sforzandosi di
mantenere un tono di voce basso.
Improvvisamente, Karl lasciò la presa
e Lidia si accasciò contro il muro, leggermente tremante.
L’uomo però non si
allontanò da lei e, posando le mani accanto alla sua testa,
la intrappolò tra
il suo corpo e la parete. La fanciulla avrebbe potuto leggere un
secondo fine
nel suo atteggiamento, se non fosse stato per l’odio e la
rabbia che brillavano
chiaramente nei suoi occhi d’acciaio. «Io non so
che cos’hai in mente», le
disse, in un tono basso che la fece rabbrividire, «ma Ulf
è un mio amico e
parte della mia famiglia: se avrò anche solo il minimo
sospetto che tu stia
facendo qualcosa contro di lui, giuro che te la farò
pagare… è chiaro?»
Contro ogni buon senso, Lidia sentì la
propria voce parlare ancora. «A me sembra che tu ce li abbia
già, dei
sospetti.»
Karl non apprezzò la provocazione e le
afferrò bruscamente il mento. «Aspetto solo di
avere dei sospetti appena un po’
più fondati, romana»
ringhiò, a pochi
centimetri dal suo volto. Messa alle strette, la fanciulla
inspirò
profondamente, ma, prima che facesse in tempo a urlare, il germanico
l’allontanò da sé, spingendola
malamente contro il muro. «Fa attenzione» le
intimò, prima di voltarsi e bussare alla porta. Lidia si
appoggiò alla parete
di pietra dell’edificio, cercando di riprendere il fiato e il
controllo su di
sé, ma, quando l’uscio si aprì, la
fanciulla si sentiva ancora molto scossa.
«Oh, eccoti!»
La voce di Unna suonò leggera e
sorprendentemente allegra, ma, quando i suoi occhi si posarono su
Lidia, la sua
espressione mutò e la germanica lanciò
un’occhiata interrogativa al marito,
prima di rivolgersi alla ragazza. «E tu cosa ci fai
qua?» la interrogò. «E che
cosa ti è successo?»
«Niente, niente»
mormorò la fanciulla,
passandosi una mano tra i capelli e cercando di ricomporsi. Gli occhi
di Unna
si fecero sospettosi e la donna fissò intensamente il
marito, che però ricambiò
lo sguardo con un’espressione tirata – e
vagamente colpevole? – sul volto e la
superò, scomparendo all’interno
dell’edificio. Unna sembrò sul punto di dire
qualcosa, ma poi scosse il capo,
rinunciando e scegliendo invece di fare un ceno alla giovane.
«Forza, entra» le
disse e, per una volta, a Lidia la sua voce sembrò un
po’ meno tagliente del
solito.
Mordendosi nervosamente le labbra al
pensiero di trovarsi nella stessa stanza con Ulf, Karl e il segreto che
ancora
nascondeva a suo marito, la fanciulla si costrinse a seguire la
cognata. Non che abbia altra scelta, comunque.
Non appena mise piede all’interno
della bottega, Lidia venne subito colpita dalla sensazione che ci fosse
qualcosa
di diverso rispetto alla prima e unica volta in cui si era trovata in
quel
luogo. Durante la sua prima visita, nel locale regnava
l’ordine affollato
tipico di un ambiente in cui si lavorava intensamente, ma a cui si
teneva
troppo per lasciare che la confusione ne deturpasse l’aspetto
e la
funzionalità. Ora, invece, il locale le pareva
più disordinato e, anche se non
avrebbe saputo dire cosa mancasse rispetto alla volta precedente,
più spoglio, come se
fosse venuto a mancare
qualcosa di importante e le cose avessero iniziato a ricadere su loro
stesse e
a scomparire, ingoiate dalle ombre agli angoli della stanza.
Lidia non fece però in tempo a
soffermarsi troppo sui dettagli, perché, quando si rese
conto della sua
presenza, Ulf la raggiunse con un paio di passi. «Che fine
avevi fatto?» le
chiese, con una certa urgenza. «Ti aspettavo più
di un’ora fa!
Non sentendosi ancora in grado di
sostenere il suo sguardo, la ragazza abbassò gli occhi a
terra e si portò una
ciocca di capelli dietro a un orecchio. «Ah…
sì, ho dovuto aspettare un po’ il
soldato.» Con la coda dell’occhio, Lidia vide Karl
voltarsi a guardarla di
scatto. Il suo le parve un gesto quasi stupito e la ragazza fu sfiorata
dal
sospetto che l’uomo credesse che il motivo del suo ritardo
fosse un altro.
«Capito» annuì Ulf,
ignaro, prima di
accorgersi dell’espressione turbata della ragazza e della
rigida postura del
suo corpo. «Va tutto bene?» le chiese allora, con
una punta di preoccupazione, posandole
una mano sul braccio. «Avete incontrato qualcuno, strada
facendo?»
Sforzandosi di sorridere nonostante il
nervosismo, Lidia gli sfiorò il polso con le dita, appena
sopra al nastro rosso
che aveva tanto faticato ad annodare il giorno del loro matrimonio.
«No, è
andato tutto bene. Non abbiamo incrociato nessuno.» Mentre
pronunciava quelle
parole, però, il suo sguardo si spostò
automaticamente su Karl e un fremito le
attraversò il corpo. La cosa non sfuggì a Ulf,
che si voltò per osservare
l’amico: davanti alla domanda silenziosa dell’uomo,
Karl irrigidì le spalle e
si mosse leggermente a disagio, ma la sua espressione rimase
determinata,
mentre lanciava a Lidia un’occhiata d’accusa.
Seguendo l’istinto che le ordinava di
agire per prima, la fanciulla strinse la mano di Ulf, ignorando i
gelidi occhi
di Unna che sembravano non perdere un particolare di quello che stava
avvenendo
nella stanza. «Non credo di piacergli molto»
mormorò, indicando il cognato con
un cenno del capo. «Non si fida di me.»
Davanti a quell’accusa – per
altro
assolutamente fondata – Karl fece per muovere un passo in
direzione della
giovane, ma Unna lo trattenne, affondando le dita nel braccio del
marito. Anche
se con una piccola esitazione, Ulf prese le difese della moglie,
frapponendosi
tra lei e l’altro uomo e celandola alla sua vista.
«Cos’è questa storia?»
chiese, con una nota di avvertimento nella voce.
Karl sbuffò, sprezzante.
«Perché non
lo chiedi a lei?» propose, indicando con il mento Lidia.
Ulf chiuse gli occhi per una frazione
di secondo, poi fece un passo indietro, spostando lo sguardo
dall’uomo alla
fanciulla. «Lo chiedo a entrambi» disse, con il
tono di chi non ha voglia di
perdere tempo.
I due si fissarono senza parlare, ma,
prima che il silenzio diventasse troppo pesante e le cose sfuggissero
di mano,
Unna intervenne. «È una cosa che riguarda te e
me?» chiese, strattonando con
malagrazia il braccio del marito. Lui scosse il capo. «Non
direttamente, ma…» «…
e allora vediamo di levarci dai piedi» sbottò la
donna, interrompendolo. «Non
ho nessunissima voglia di assistere a qualche dramma famigliare. Ne ho
già
abbastanza dei miei, di drammi.» Così facendo, si
tirò un colpetto sulla pancia
e sbuffò, girando sui tacchi e tirando di nuovo Karl verso
di sé. «Vedete di
risolvere in fretta qualsiasi problema abbiate e di non farmi perdere
tempo
inutilmente» continuò poi, osservando critica il
fratello. «Non ci servono
altri imprevisti.» Ulf, ancora concentrato su Lidia,
annuì senza nemmeno
guardarla, ma la giovane romana le rivolse un piccolo cenno del capo,
sperando
che la donna cogliesse il suo ringraziamento muto: Unna
l’aveva appena aiutata,
ne era certa, anche se non capiva perché l’avesse
fatto.
Quando furono rimasti soli, Ulf
sospirò e poi si appoggiò al davanzale,
osservando la fanciulla in silenzio,
quasi cercasse di indovinare cosa le passasse per la mente.
«Allora», disse poi,
«posso sapere cos’è successo tra te e
Karl?»
Torcendosi nervosamente le mani, Lidia
gli si avvicinò di un passo, senza osare raggiungerlo e
toccarlo. «Mi ha vista
con un romano e mi ha accusata di avere in mente qualcosa»
disse, decidendo di
prenderla alla larga.
Ulf aggrottò la fronte, senza capire.
«Un
soldato? Perché dovrebbe vederci qualcosa di strano? Sa
benissimo come stanno
le cose…» La ragazza deglutì.
«Non era un soldato» confessò; e subito
l’espressione di Ulf mutò, facendosi
improvvisamente più tesa. Non ce
la faccio, pensò disperatamente
Lidia, maledicendosi per la propria codardia.
«No?» chiese ancora Ulf,
chinando un
po’ la testa per guardarla negli occhi. «E chi era,
allora?»
«Un mio amico, una persona che
conoscevo quando ero a Roma» esalò la ragazza, in
un soffio. «É per questo che
sono arrivata in ritardo. Ho aspettato per quasi un’ora che
arrivasse il
soldato e, alla fine, quando mi sono trovata davanti lui, ero talmente
stupita
che… be’, naturalmente abbiamo parlato un
po’. Poi mi ha accompagnato qui. Mi
ha lasciato qua fuori e Karl ci ha visti mentre ci salutavamo
e… è saltato alle
conclusioni sbagliate.» La mezza bugia le venne estremamente
naturale e la
giovane se ne vergognò, ma non abbastanza per ammettere
tutta la verità.
«Un tuo amico»
ripeté Ulf, con voce
piatta, senza muoversi dalla sua posizione.
«Perché non ne sapevo niente?»
Lidia strinse i denti e ricacciò
indietro l’inquietudine legata alla sensazione di essere
sotto interrogatorio. «Nemmeno
io sapevo che sarebbe venuto a trovarmi. Ha voluto farmi una sorpresa,
ma ha
scelto un brutto momento…» Nella speranza di
dimostrare la propria sincerità,
la ragazza cercò lo sguardo di dell’uomo e lo
sostenne, sperando che nel suo
atteggiamento lui non leggesse alcuna esitazione sospetta. Dopo qualche
istante, Ulf sospirò. «Come hai detto che si
chiama?»
Non ricordando se avesse mai fatto il
nome di Tito a Ulf, Lidia pronunciò la prima cosa che le
venne in mente. «Claudio.»
Forse rinfrancato dalla prontezza con cui aveva risposto,
l’uomo annuì. «Va
bene. Mi piacerebbe incontrarlo, se non ti dispiace.»
Lidia sbiancò, ma si obbligò
a
rispondere comunque. «Incontrarlo? Certo, ma non so
se… è che…»
balbettò, presa
in contropiede. Poi sospirò e chinò il capo,
arrendendosi. «Va bene. Quando
vuoi.» Ulf la osservò, critico.
«C’è qualche problema?»
Lidia si affrettò a negare.
«No, è che
lui è un po’ prevenuto nei confronti dei
germanici. Non vorrei che finiste per
litigare, non ne varrebbe la pena.»
A quelle parole, Ulf le rivolse un
mezzo sorriso. «Anche tu eri prevenuta, quando sei arrivata
qui.»
«Vero» riconobbe lei,
ricambiando il
sorriso appena accennato.
Tra i due cadde il silenzio, poi
l’uomo allungò un braccio in direzione della
compagna, invitandola a
raggiungerlo. Quando Lidia fu a poche decine di centimetri da lui, Ulf
le posò
le mani sui fianchi. «Lidia, io ho deciso di fidarmi di
te» le disse, piano,
appoggiando la fronte contro a quella della fanciulla.
«Faccio bene?»
Lidia chiuse gli occhi e annuì, mentre
l’angoscia minacciava di soffocarla. Bugiarda
bugiarda bugiarda…
«Sì» fece poi, in un
sussurro
spezzato, annuendo di nuovo.
«E allora perché sembra che tu
stia
per metterti a piangere?»
La ragazza sollevò una mano se la
passò sul volto nel tentativo di ricacciare indietro le
lacrime che avevano
preso a solleticarle gli angoli degli occhi, poi sospirò
profondamente, per
calmarsi. «Non sto per mettermi a piangere»,
mormorò, deglutendo per scacciare
il nodo che le stringeva la gola, «ma sono stanca di tutta
questa tensione. Mi
sembra di non avere più nulla sotto controllo, mi sento
così inutile…»
Ulf la attirò a sé e la
ragazza si
appoggiò a lui. «È una sensazione che
abbiamo tutti» disse, nel tentativo di
confortarla. «O, almeno, è una sensazione che ho
anch’io. Vedrai che, quando
saremo via da qui, passerà tutto.»
Sebbene non riuscisse a credere
ciecamente nelle sue parole, la fanciulla si lasciò
rassicurare da esse, e,
passandosi discretamente una mano sotto al naso, cercò di
rilassarsi sotto alle
lievi carezze concentriche che Ulf stava tracciando sulla sua schiena.
C’era, naturalmente, qualcosa che le
impediva di essere completamente a suo agio. Sì,
si chiama ‘coscienza sporca’, venne in
suo aiuto la voce che, anche
a mesi di distanza dall’ultima volta in cui aveva visto
l’amica, tanto assomigliava
a quella di Lucilla. E ti sta bene,
coniglio. Credi davvero che la verità non verrà a
galla, prima o poi?
No,
ribatté
testarda un’altra parte del suo essere, quella che non
desiderava altro che
nascondersi in un luogo buio e sicuro e dormire finché non
fosse passato tutto.
Se gliene parlassi adesso si
arrabbierebbe di sicuro. È già un momento
difficile, non serve complicare
ulteriormente le cose. E poi tra me e Tito non ci sarà mai
più nulla, per cui
posso benissimo presentarglielo come un mio amico. Il passato non ha
più
importanza, ormai!
Quella sorta di battaglia interiore
ebbe vita breve: la paura e l’incertezza misero rapidamente a
tacere i sensi di
colpa e la fanciulla si convinse che davvero quello non fosse il
momento
migliore per rivelare a Ulf la vera identità di “Claudio”. Relegando
i dubbi in un angolo della mente, Lidia lasciò
che il suo corpo si rilassasse e aderisse meglio a quello di Ulf. Con
gli occhi
chiusi, la giovane appoggiò il capo contro il petto del
marito e lasciò che il
battito regolare e leggermente ipnotico del suo cuore la cullasse in
uno stato
simile al dormiveglia o alla trance.
«Ti manca Roma?»
Lidia sobbalzò quasi, sbattendo
lentamente gli occhi davanti a quella domanda che l’aveva
riscossa dal suo
stato di rilassamento. «Un pochino» disse,
sentendosi la bocca un po’
impastata. «Qualche volta, quando ci penso, un po’
mi manca.»
«Vorresti tornarci?»
Appena un po’ meravigliata, la
fanciulla posò le mani sulle spalle dell’uomo, con
un sorriso triste. «A te non
piacerebbe, credo.»
Lidia avvertì, più che
vedere, il movimento
di Ulf, che si spostò per sistemare meglio il loro peso
contro il davanzale. «Lo
so. Indipendentemente da questo, però, non pensi mai di
tornarci?»
La giovane corrugò la fronte, confusa.
«Senza di te, intendi?»
L’uomo sollevò le spalle,
senza però
negare, e Lidia non seppe se essere intenerita o allarmata da quel
tentativo di
Ulf di sondare il terreno delle sue intenzioni. «Pensavo che
fosse chiaro che non
voglio andare da nessuna parte, senza di te» disse,
dolcemente, ma venne
sorpresa dallo sbuffo ironico di Ulf.
«Non mi credi?» chiese,
leggermente
piccata, alzando lo sguardo sull’uomo. Lui scosse il capo.
«Ma no, non è che
non ti credo» ribatté lui, inclinandosi un
po’ all’indietro per osservarla
meglio. «È che a volte mi sembra strano come le
cose siano cambiate così tanto
in così poco tempo.»
Lidia sorrise, timida. «Lo so, ma
adesso io ci tengo a te» mormorò a mo’
di spiegazione, nascondendo il volto
contro la maglia dell’uomo per nascondere il rossore che le
aveva invaso le
guance. Per qualche attimo Ulf non rispose, poi posò una
mano sulla sua testa,
accarezzandole i capelli. «Sì», disse,
con appena una nota divertita nella
voce, «anch’io ci tengo a te.»
La ragazza avvertì qualcosa di non
detto, nelle sue parole. «…
però?» chiese, con un filo di inquietudine. Lei
era
stata sincera, quando aveva detto di tenere a lui: per lui non era lo
stesso?
«Non c’è nessun però» sorrise
l’uomo, accorgendosi del suo disagio e accarezzandole
la guancia. Lidia lo guardò, mordendosi inconsciamente le
labbra. «No?» chiese
di nuovo, poco convinta.
Lui fece per negare, ma poi si bloccò,
cercando nei suoi occhi la risposta a una domanda mai posta.
«Devo dirti una
cosa» disse all’improvviso Ulf. «Non
è niente di che, a dire il vero, però
credo che sia giusto che tu lo sappia.»
Il tono in cui pronunciò quelle parole
le provocò una fitta allo stomaco e Lidia lo
guardò con gli occhi sgranati, mentre
le sue dita si stringevano automaticamente sulla maglia
dell’uomo. «Che cosa?»
balbettò, sentendo una paura irrazionale impossessarsi di
lei.
«Non guardarmi così, te
l’ho detto,
che non è niente di che» si affrettò a
rassicurarla Ulf. «È solo che,
all’inizio,
quando ho accettato di sposarti, non avevo intenzione di tenerti con
me.»
Oh.
Non sapendo bene cosa farsene di
quell’informazione, Lidia aprì e chiuse un paio di
volte la bocca, senza
riuscire a formulare la domanda giusta. «In che
senso?» chiese, dopo diversi
secondi.
Ulf esitò. «Le cose tra romani
e
germanici non andavano tanto bene già allora»
spiegò. «Sapevo che, prima o poi,
la situazione sarebbe esplosa, come effettivamente ha fatto.
Speravo… be’,
speravo che allora i romani se ne sarebbero tornati a casa e contavo
sul fatto
che tu avresti colto l’occasione al volo e saresti tornata a
Roma con loro.»
Lidia lo guardò senza capire.
«Non
capisco» disse, confusa. «Ma allora
perché mi sei corso dietro, quella notte
che ho cercato di scappare?»
Ulf si strinse nelle spalle. «Allora
era troppo presto: mi serviva una scusa per dimostrare a Erin che io
avevo
fatto tutto il possibile per tenerti con me e che non era certo colpa
mia, se
ci trovavamo in una situazione di guerriglia nella quale le leggi
normali non valevano
più niente…»
Lidia annuì. «Mh…
avevi pianificato
tutto, eh?» Ulf sorrise, ma tenne gli occhi bassi.
«Non avevo certo pianificato
il fatto che tu saltassi dalla finestra, ma, per il resto…
sì, mi ero fatto i
miei programmi.»
«E perché me lo stai dicendo
proprio
adesso?» gli chiese ancora la ragazza.
«Quel tuo amico…» il
giovane aggrottò
la fronte, interrompendosi per un istante. «Non so, ho
pensato che forse anche
tu potessi esserti fatta un piano di fuga e… ecco, io ho
cambiato idea, ma forse
tu no?»
«Ho cambiato idea
anch’io» replicò
d’istinto la fanciulla, con il cuore che improvvisamente
aveva accelerato i
battiti. «Non ho più voglia di scappare.»
Ulf annuì. «Sì, me
l’hai già detto
tante volte e, a questo punto, penso di potermi fidare… era
solo un dubbio che
avevo. Come io mi ero fatto un piano, mi pareva solo logico che tu
avessi fatto
altrettanto.»
Tito.
Diglielo, la
incitò la sua coscienza, questo
è il momento adatto. Te l’ha chiesto. Diglielo.
Non si arrabbierà.
Lidia inspirò profondamente,
stringendo i denti per darsi coraggio. Sì.
È giusto.
Subito dopo, un impulso contrastante. No. Hai mentito, prima, non puoi cambiare
idea adesso.
Diglielo.
La fanciulla deglutì.
«Sono… sono
cambiate tante cose, adesso» sussurrò, cercando di
trovare le parole adatte. «Prima
di conoscerti non avevo idea di come sarebbe stato. Pensavo…
pensavo delle cose
che adesso non penso più.» Lidia si interruppe,
asciugandosi le mani sudate
sulla gonna e cercando una via per cui procedere.
«Io…»
«Non è tutto.»
Le parole di Ulf, quasi sputate, la
costrinsero a interrompersi e fu solo in quel momento che la fanciulla
si
accorse della tensione dell’uomo. Era talmente presa dalle
sue paure che non si
era accorta che Ulf non sembrava passarsela meglio.
«Come?» chiese,
disorientata.
Il volto del giovane si contrasse in
una smorfia, come se fosse stato costretto a mandare giù un
boccone amaro. «Anch’io
pensavo delle cose che adesso non penso più»
disse, riprendendo le parole di
lei. «Prima era diverso, prima sarei stato disposto a fare
delle cose che…
delle cose a cui adesso non posso neanche pensare,
e…»
Lidia raddrizzò la schiena e, in preda
a un presagio che la raggelò, alzò lo sguardo sul
volto del marito. «Quali
cose?»
Ulf esitò, come se parlarne gli
costasse una fatica enorme. «Avevo anche preso in
considerazione l’ipotesi che
tu non volessi affatto andartene.»
La fanciulla non commentò, come
pietrificata dal significato che intuiva dietro a quelle parole.
Avrebbe quasi
voluto che l’uomo lasciasse le cose com’erano, che
non parlasse più, ma Ulf
proseguì nella sua spiegazione, evidentemente intenzionato a
mettere in chiaro
le cose. «Pensavo… pensavamo che, nel caso tu non
volessi andartene di tua
spontanea volontà, si sarebbe potuto fare qualcosa per
convincerti ad
andartene. Oppure…», l’uomo si
interruppe, prima di continuare, tutto d’un
fiato, «oppure avremmo trovato un modo per toglierti di
mezzo.»
Lidia si allontanò bruscamente da lui,
in preda all’orrore. «Togliermi di
mezzo?» sbottò, incredula. «Vuoi dire
uccidermi?»
Ulf mosse un mezzo passo nella sua
direzione, ma poi si bloccò, frustrato.
«Sì», ammise, prima di correggersi,
«no,
non lo so! Era una cosa molto vaga, teorica, non avevo pensato ai
dettagli!
Lidia… non ho mai pensato di farlo davvero!»
Davanti all’angoscia che poteva
leggere sul viso del marito, la fanciulla smise di indietreggiare, ma
mantenne
comunque le distanze. Sollevando le mani, Ulf provò a
calmarla. «Erano dei
pensieri rivolti a una sconosciuta, a un’idea, più
che a una persona reale. Non
so se capisci cosa intendo.»
Lidia lo guardò di soppiatto,
corrucciata, col cuore che le martellava nel petto e un cattivo sapore
in bocca.
Sì, anche se quello che le aveva rivelato Ulf
l’aveva riempita di sgomento,
sfortunatamente riusciva a capire quello che intendeva. Quando suo
padre le
aveva comunicato il suo destino, in quel lontano giorno
d’aprile, lei non aveva
progettato di uccidere quello sconosciuto che l’avrebbe
portata via di Roma e
dalla sua vita, ma, se le fosse giunta la notizia che quel barbaro era morto, lei avrebbe di certo
esultato. Ma non ho mai pensato di ucciderlo
io
stessa. Non ne sarei mai capace. E questo fa tutta la differenza del
mondo.
Accigliata, alzò lo sguardo su Ulf.
«Quando
mi hai conosciuta, hai pensato di uccidermi?» chiese, con la
voce che
inciampava sull’ultima parola. L’uomo scosse
immediatamente il capo. «No» negò,
guardandola negli occhi. «Di mandarti via sì,
almeno all’inizio, ma di farti
veramente del male no, mai.»
Malgrado il turbamento che ancora le
stringeva la gola, Lidia avvertì la sua
sincerità. «Mai?» chiese, senza
riuscire a evitare che la sua voce suonasse un po’ sollevata.
«No» confermò
l’uomo, prima di
abbozzare un pallidissimo sorriso. «Be’, forse
all’inizio mi è venuta voglia di
tirarti le orecchie, qualche volta. Eri davvero impossibile. Ma, a
parte
quello…» Lidia annuì, mentre le sue
spalle si rilassavano e tutto il suo essere
tirava un sospiro di sollievo. Sì,
rilassati, ma non troppo, l’avvertì
qualcosa all’interno della sua testa. Non
si sa mai.
«Lidia», mormorò
ancora Ulf, cercando
i suoi occhi, «io non ti farei mai del male, spero che questo
tu lo sappia. Se
ti ho raccontato queste cose è solo perché volevo
essere sincero, con te, adesso
più che mai. Ci sono già tanti segreti da queste
parti, non voglio che ce ne
siano anche tra di noi.»
La ragazza si trovò ad annuire e fu
tentata di rivolgergli un piccolo sorriso, ma si affrettò a
soffocare
quell’impulso. No, niente sorrisi! La
rimproverò il suo inconscio. Tu
sei
arrabbiata, con lui! Rimani arrabbiata, se lo merita!
Ma se lo meritava veramente? Lidia non
poteva fare a meno di pensare che ci fosse qualcosa di stonato, in
quello che
aveva scoperto. «Saresti stato davvero in grado di fare una
cosa del genere a
tua moglie? O, più in generale, a una persona che non ti
aveva fatto niente?»
gli chiese improvvisamente, passandosi le mani sulle braccia in cerca
di
conforto.
Ulf esitò. «Non lo
so» disse poi, con
voce stanca. «Non credo, in tutta onestà. Era solo
un’idea stupida, senza
fondamento, in effetti.» Lidia si morse le labbra.
«Però ci hai pensato
comunque.» L’uomo sospirò. «Se
devo essere sincero», ammise, «il suggerimento
è
arrivato da Karl. Ma io non mi sono opposto, ho le mie
responsabilità. Non
cerco giustificazioni.»
Anziché rassicurarla, quelle parole la
terrorizzarono. Lidia si rese conto di non aver mai veramente pensato
che Ulf
sarebbe stato in grado di farle del male, ma Karl… Karl era
un’altra storia.
Improvvisamente l’odio che aveva visto brillare nei suoi
occhi chiari assunse un
significato del tutto diverso, le ombre doloranti che già
avevano iniziato a
formarsi là dove le sue mani l’avevano stretta le
sembrarono più pericolose e
le parole che le aveva rivolto prima di allontanarsi da lei si fecero
infinitamente più minacciose.
Karl voleva ucciderla. Karl poteva
ucciderla.
Accorgendosi dell’improvviso tormento
della moglie, Ulf si accigliò. «Lidia?»
Senza quasi rendersene conto,
dimenticandosi del suo proposito di tenere le distanze per un
po’, la fanciulla
si lanciò verso di lui, artigliandogli gli avambracci.
«Karl mi ha minacciata,
prima» disse, concitata, con gli occhi spalancati per la
paura. «Mi ha spinta
contro il muro, mi ha fatto male!»
Negli occhi di Ulf passò
un’ombra
scura, ma poi l’uomo si liberò dalla presa di
Lidia e strinse le mani della
giovane nelle sue. «Prima che arrivaste qui?» la
interrogò. La ragazza annuì. «Non
gli sono mai piaciuta» mormorò, spaventata.
«Mi odia. Non so perché, ma mi
odia.»
Ulf scosse la testa. «Gli
parlerò io,
gli dirò di non toccarti più» le
promise, deciso. «Però ti assicuro che Karl
odia Roma, non te.» La fanciulla alzò su di lui
gli inquieti occhi scuri. «Per
lui siamo la stessa cosa.» «Non lo siete,
credimi» la contraddisse il giovane.
«I motivi per cui lui odia Roma non hanno nulla a che fare
con te.»
Non sentendosi in grado di ribattere –
del resto conosceva troppo poco il cognato per poter capire cosa gli
passasse
per la testa – Lidia annuì, abbassando gli occhi a
terra. Poi si portò le mani
al petto: malgrado le rassicurazioni di Ulf, lei non si sentiva affatto
tranquilla. Esitante, quasi aspettandosi che lei si scostasse o
fuggisse via,
l’uomo le posò una mano su una spalla e attese una
sua reazione. I suoi occhi
erano guardinghi e sul suo volto teso la giovane lesse
un’inquietudine che non
le era mai capitato di osservare.
Lidia sospirò. Anche se non aveva
affatto gradito le rivelazioni fattele da Ulf, capiva perfettamente che
qualsiasi
piano suo marito avesse fatto prima di conoscerla non era rivolto a
lei, bensì
all’idea astratta di una persona senza volto né
identità. Scuotendo appena il
capo, la fanciulla chiuse di nuovo la distanza tra loro e fece
scivolare le
braccia attorno alla vita dell’uomo, appoggiandogli la testa
sul petto. Avvertì
immediatamente il suo sospiro di sollievo e le sue braccia che la
circondarono,
stringendola a sé.
Gli voleva bene. Nonostante tutto, gli
voleva bene. Anche se non so niente di
te. Ed era vero. Dopo tre mesi passati insieme, Lidia si
accorgeva di non
sapere praticamente nulla di suo marito. Lo conosceva solo per quello
che aveva
avuto modo di vedere durante la loro vita comune, ma il suo passato
rimaneva
avvolto nella nebbia più fitta, o quasi. Chissà
se mi piacerebbe ancora, se conoscessi tutti i dettagli del suo
passato. Chissà
se io piacerei a lui, se sapesse chi ero, quando ero a Roma.
…
se sapesse di Tito.
Lidia nascose una smorfia contro la
stoffa ruvida della maglia dell’uomo. Dalla tensione che
avvertiva nei suoi
muscoli, tesi sotto il palmo delle sue mani, la fanciulla capiva quanto
dovesse
essere stato difficile, per lui, farle quella confessione. La ragazza
aggrottò
la fronte, chiedendosi per l’ennesima volta se non avrebbe
dovuto approfittare
dell’occasione e rivelargli chi fosse veramente Tito. Subito,
però, dovette
trattenere l’impulso di scuotere il capo in un segno di
diniego. Alla luce di
quello che aveva appena scoperto, sentiva che dire la verità
avrebbe potuto
costituire un pericolo per il giovane romano: se anche Ulf non gli
avesse fatto
nulla, chi avrebbe potuto dire come avrebbe reagito Karl?
Ci
sono troppe cose che non so,
si disse Lidia, stringendo per un secondo
tra i pugni la stoffa che ricopriva la schiena del germanico. Se io adesso dico a Ulf come stanno
veramente le cose, chi mi assicura che lui non corra a riferire tutto a
Karl?
Evidentemente sono molto più uniti di quanto non
pensassi…
No, non poteva correre quel rischio.
Non poteva far correre a Tito quel
rischio.
E
poi, anche se Ulf si tenesse tutto per sé… quasi vergognandosi di quel pensiero,
la fanciulla si rese conto di non riuscire a fidarsi completamente di
quella
che avrebbe potuto essere la reazione del marito. Perché
non so di cosa sia veramente capace, riconobbe, con una
smorfia amareggiata. D’un tratto, la giovane fu sfiorata da
un pensiero
scomodo. Anche se il suo istinto le gridava di non farlo, Lidia
sollevò il capo
e si ritrovò a porre a Ulf una domanda di cui non era certa
di voler conoscere
la risposta. «Ulf?»
«Mh?» Nei suoi occhi azzurri
Lidia
vide ancora un’ombra di preoccupazione, ma la
ignorò. «Hai mai ucciso
qualcuno?» chiese, con voce sorprendentemente ferma.
L’uomo lasciò passare solo un
istante.
«Sì.»
Forse fu il tono con cui pronunciò
quella singola sillaba, forse l’espressione del suo volto,
ma, senza bisogno di
spiegazioni, Lidia capì e all’improvviso tutto
assunse un significato diverso.
«Per Unna?» chiese, sentendosi improvvisamente
triste.
«Per Unna» confermò
lui, con una voce
così bassa che la ragazza dovette fare uno sforzo per udirlo.
«Per quelle cicatrici?» fece
ancora
lei.
«E per altro.»
Forse era un errore, doveva di certo essere
un errore, ma la fanciulla non volle sapere più nulla.
C’era Unna e c’erano le
sue cicatrici, c’era un odio per Roma di cui nessuno voleva
parlare e c’era
quello sguardo distante negli occhi della donna, spettro dei suoi sogni
che non
si erano avverati. C’era qualcuno che era morto,
sì, e, forse, c’era qualcuno
che era rimasto vivo.
C’era soprattutto Ulf, si accorse, che
la guardava triste, forse confuso, forse spaventato e, mossa da
qualcosa su cui
non aveva nessun controllo, Lidia si alzò in punta di piedi
e gli affondò il
viso nel collo, cercando il suo calore.
«Lidia», sospirò
lui, e il tono della
sua voce le fece capire che qualsiasi fantasma l’avesse
tormentato un istante
prima era già lontano, «è stato tanto
tempo fa, ero un ragazzo e…»
«Non importa» lo interruppe
lei.
L’uomo sbuffò, leggermente
contrariato. «Dici così, ma…»
«Conosco tanti soldati»
mormorò lei,
sfiorandogli il petto con le mani. «I soldati vanno in guerra
e in guerra muore
tanta gente. Anche mio padre è stato
nell’esercito, da giovane.»
«Ma io non sono un soldato» le
fece
notare lui. La fanciulla si strinse nelle spalle. «Cosa
cambia?»
Ulf scosse il capo, come se avesse
rinunciato a discutere, e Lidia si chiese se, per caso, non fosse lui a
sentire
il bisogno di parlare di quelle cose. Dopo un silenzio che si protrasse
per
alcuni minuti, la ragazza inclinò il capo
all’indietro per incontrare i suoi
occhi e i due rimasero a guardarsi in silenzio per qualche istante.
«Allora?»
Quella di Ulf non era una vera e
propria domanda, ma Lidia la accolse con un sorriso lento, che non
spezzava la
tensione, ma, in un certo senso, la rielaborava.
«Allora» rispose.
L’uomo alzò la mano e con due
dita
seguì la curva del suo viso dallo zigomo al mento, ma,
quando i suoi
polpastrelli sfiorarono il punto in cui Karl l’aveva stretta,
la giovane
sussultò, mentre una fitta di dolore si irradiava verso il
suo orecchio.
Gli occhi di Ulf parvero farsi più
scuri, ma, prima che avesse il tempo di dire qualcosa, Lidia
voltò leggermente
il capo e gli baciò il palmo della mano, prima di
stringergli leggermente la
punta di un dito tra i denti. Ulf sospirò e la
tirò più vicina a sé, senza
smettere di fissarla intensamente. Le dita di Lidia corsero su verso il
suo
collo, fermandosi però sull’allacciatura della
maglia dell’uomo. Mh. Stoffa.
Non voleva la stoffa, voleva toccare
la sua pelle, sentirne il calore sulla punta delle dita. Velocemente,
ma con
una concentrazione quasi religiosa, Lidia slacciò un paio di
bottoni e lasciò
scivolare le mani sul corpo caldo dell’uomo. Ulf trattenne il
fiato e lei,
alzandosi sulla punta dei piedi, gli posò le labbra sulla
gola, schiudendo appena
la bocca per assaporare il sapore della sua pelle. Non avrebbe saputo
dire da
dove venisse quell’improvvisa necessità di
sentirlo vicino, molto più vicino di
quanto l’avesse voluto solo alcuni minuti prima, eppure quel
bisogno parve alla
fanciulla del tutto naturale.
La mano di Ulf le corse alla nuca e,
scostandola da sé quel poco che bastava per chinarsi su di
lei, l’uomo la
baciò, toccandola come se fosse alla ricerca di
rassicurazioni o conforto.
Lidia inarcò la schiena con un sospiro, ma la differenza di
altezza tra di loro
era tale che presto il collo iniziò a dolerle e,
inevitabilmente, la ragazza si
irrigidì. Improvvisamente le mani dell’uomo si
strinsero attorno alla sua vita
e, con un movimento così rapido che Lidia faticò
a capire che cosa stesse succedendo,
Ulf invertì le loro posizioni e la sollevò,
mettendola a sedere sul davanzale. Ah, meglio,
pensò la giovane in uno
sprazzo di praticità, prima di attirarlo a sé e
trovare di nuovo la sua bocca. Mi sei mancato,
pensò, accorgendosi
all’improvviso di quanto avesse sentito la mancanza del
contatto fisico con il
marito, dei suoi baci e del suo tocco sul corpo.
Ulf doveva pensarla allo stesso modo,
perché le sue mani scesero nuovamente sulla sua vita, forse
alla ricerca di un
passaggio che gli permettesse di insinuarsi sotto ai vestiti di lei.
Non
trovandolo a causa dell’abito lungo che Lidia indossava e che
le ricadeva
attorno alle ginocchia, l’uomo le sollevò la gonna
e le fece scivolare le mani
sulle cosce. Come davanti a una richiesta mai formulata ad alta voce,
la
fanciulla allargò le gambe, permettendo al compagno di
insinuarsi tra di esse e
avvicinarsi di più a lei. Poi, guidata
dall’istinto, le strinse attorno a lui,
tirandolo bruscamente contro di sé. Le mani
dell’uomo corsero automaticamente ai
suoi fianchi, toccando appena la pelle morbida celata dalla biancheria
intima,
e poi Ulf spinse il bacino contro quello della ragazza, alla ricerca di
un
contatto diverso.
Lidia inspirò bruscamente, deliziata
dalla sensazione nuova e ancora sconosciuta e, scivolando sotto alla
sua maglia,
appiattì i palmi contro la schiena del marito, muovendo
inconsciamente i
fianchi per aumentare la frizione. La bocca di Ulf lasciò la
sua e scese su suo
collo, mentre l’uomo le sussurrava qualcosa che Lidia non
capì.
La fanciulla chiuse gli occhi,
sentendosi leggera e piena di vita, completamente concentrata sulla
presenza
solida dell’uomo contro di lei, su quello che le faceva
provare e sul calore
liquido che le riempiva il petto. Voglio…
Lidia non era affatto certa di
riuscire ad articolare quello che voleva, ma, nel dubbio,
scivolò un po’
all’indietro, offrendo più spazio di manovra al
marito. Ulf però la trattenne e
la ragazza gemette quando i suoi denti le sfiorarono un orecchio.
«Hai capito?»
Lidia corrugò la fronte e
sbatté gli
occhi nel tentativo di riemergere dalla nebbia che l’aveva
avvolta. «Eh?»
chiese, confusa.
Ulf ridacchiò e posò la
fronte contro
a quella della giovane, baciandole il naso. «Ho detto che sto
aspettando delle
persone.»
Mh,
delle persone…
Lidia si immobilizzò. Delle
persone?!
«Adesso?» chiese, fissandolo
con gli
occhi spalancati. L’uomo si morse le labbra nel tentativo di
rimanere serio.
«Eh, sì.»
Inorridita, la ragazza lo spinse via,
senza però riuscire ad allontanarlo da sé.
«E perché non me l’hai detto
prima!?»
sbottò, facendolo scoppiare a ridere.
«A dire il vero te l’ho detto,
ma non
mi hai ascoltato…» replicò lui, con uno
scintillio negli occhi chiari che la
fece arrossire violentemente. Ridendo, l’uomo fece un passo
indietro e Lidia
balzò giù dal davanzale, affrettandosi a
raddrizzare la gonna e a cercare di
sistemare i capelli spettinati. Ulf le posò di nuovo le mani
sui fianchi,
lisciandole le pieghe del vestito, e lei gli lanciò
un’occhiata critica. «E
allacciati la maglia» borbottò, provvedendo poi di
persona a riallacciare i
bottoni che le sue stesse dita avevano slacciato poco prima. Quando fu
relativamente soddisfatta della situazione dei loro abiti, la giovane
fece per
allontanarsi, ma la presa di Ulf si fece più salda e
l’uomo la osservò
dall’alto al basso, alla ricerca della conferma che il peggio
fosse passato.
Quello di cui avevano parlato quel
pomeriggio non era certo un argomento che poteva essere liquidato con
poche
battute, ma, per il momento, Lidia decise che ne avevano discusso
abbastanza.
Era certa che il discorso sarebbe riemerso, prima o poi, e allora ci
sarebbero
state molte cose da dire – da parte
di
entrambi – ma quello sarebbe avvenuto solo quando
anche lei si fosse
sentita pronta a rivelare a Ulf la sua
parte di segreto. Presto, si
ripromise, ma non oggi.
Con un piccolo sorriso, Lidia allungò
una mano e con due dita scostò una ciocca di capelli chiari
che era ricaduta
sul viso dell’uomo, prima di scivolare lungo le sue braccia
in una carezza e
stringergli le mani, rassicurante. Visibilmente più
rilassato, Ulf annuì e le
posò un bacio sui capelli bruni. Davanti a quella
manifestazione d’affetto, la
fanciulla non poté impedire che il suo sorriso si facesse
più ampio.
***
Avrebbe già dovuto tornare a casa da
un pezzo – Donna Edda non sarebbe stata felice di scoprire
che il pavimento non
era stato lavato nemmeno quel giorno – ma nessun soldato si
era presentato alla
porta della bottega per scortarla fino alla sua abitazione e Ulf stava
ancora
lavorando alla rifinitura di un mobile.
Lidia lo guardò con gli occhi
socchiusi, senza osare aprir bocca. Sarà,
ma a me sembra uguale a prima… pensò,
lasciando scorrere lo sguardo sull’armadietto
di abete.
L’uomo si stava affaccendando attorno
all’anta sinistra da almeno mezz’ora, ma, malgrado
lo avesse osservato con
attenzione, la ragazza non era riuscita a scorgere il minimo
cambiamento nel
legno chiaro. E, tra l’altro, aveva scoperto che Ulf non
accettava volentieri
le critiche, quando c’era di mezzo il suo lavoro.
Permaloso,
pensò
con una smorfia la fanciulla, ricordando la risposta poco educata che
aveva
ricevuto quando si era permessa di fargli notare che, forse,
avrebbe potuto lavorare un po’ più velocemente.
«Dieci minuti e ho finito» le
comunicò
l’uomo, senza alzare gli occhi dalla punta dello scalpello.
«Mh-mh» commentò
lei, sistemandosi meglio sulla cassapanca sulla quale era seduta.
Dopo qualche minuto, qualcuno bussò
alla porta e Lidia si voltò di scatto verso la direzione del
suono. «Aspetti
ancora qualcuno?» chiese, senza riuscire a nascondere la nota
di allarme che
distorse le sue parole. Chi può
essere a
quest’ora? Unna? Un soldato che vuole riportarmi a casa?
Karl? Oh, Dèi, spero
di no! Non sarà Tito, vero? Non può essere
così stupido da venire qui…
Nella frazione di secondo in cui quei
pensieri balenarono nella mente della ragazza, Ulf aveva già
posato a terra gli
attrezzi e aveva raggiunto l’uscio, aprendo di scatto la
porta. «Ah, ancora tu»
lo sentì dire.
Incuriosita – e un po’
rinfrancata dal
tono distaccato dell’uomo – Lidia
allungò il collo e spiò la persona che
attendeva alla porta. Il soldatino
biondo. Lucio. Alzandosi in piedi con un sospiro di sollievo
– Lucio non
era pericoloso – la fanciulla raggiunse il marito.
«Ciao» fece, sorridendo
cordialmente in direzione del legionario. «Grazie per essere
venuto, ma non ce
n’era bisogno. Torno a casa con Ulf.»
Il giovane romano la guardò con la
bocca socchiusa per qualche secondo, poi si riscosse. «Ehm,
no, a dire il vero
non ero venuto per portarvi a casa.»
Lidia e Ulf si scambiarono uno sguardo
stupito, poi l’espressione dell’uomo si
indurì. «E allora cosa sei venuto a
fare?»
Lucio spostò nervosamente il peso da
un piede all’altro, ma sostenne lo sguardo del germanico.
«Donna Erin e
Fratello Kay vogliono vedervi» annunciò, con un
tono che lasciava intendere
quanto poco gli piacesse essere usato come messaggero dai due sacerdoti.
«Ancora?» chiese stupita Lidia,
prima
di riuscire a fermarsi. Il soldato si strinse nelle spalle.
«Sì. Non so
esattamente perché vi abbiano convocati» ammise,
con una smorfia. «Mi hanno
solo detto di portarvi da loro. La Sacerdotessa sembrava normale,
comunque.»
«Normale?» ripeté
Ulf, con un
sopracciglio sollevato.
«Sì, non arrabbiata,
intendo.»
Lidia si portò una mano alla bocca per
nascondere un sorriso sarcastico: che il soldatino
avesse recentemente avuto modo di avere a che fare con una Donna Erin
arrabbiata? Allargando le braccia impotente, Ulf sospirò,
rendendosi conto di
non avere un motivo valido che gli permettesse di opporsi a quella
convocazione. «Va bene, andiamo.»
Quando raggiunsero la loro meta, Lidia
rallentò inconsciamente il passo, sorpresa. Anche se era
passato un solo giorno
dall’ultima volta in cui vi aveva messo piede, in meno di
ventiquattro ore la
casa della sacerdotessa sembrava essersi trasformata in un
distaccamento
dell’accampamento romano. C’erano due soldati a
guardia della porta e altri
quattro che si aggiravano nelle vicinanze. Ancora prima di vedere gli
altri
legionari, Lidia si rese conto, semplicemente incontrando lo sguardo
seccato
del servo germanico che venne ad aprire loro la porta, che la presenza
militare
era massiccia anche all’interno delle mura chiare.
A differenza di quanto si sarebbe
aspettata, la giovane non vide Celano, ma…
No.
Non è possibile.
Tito.
C’era Tito, lì a pochi metri
di
distanza da lei.
E, accanto a lei, c’era Ulf.
Tito e Ulf, nella stessa stanza. E lei
in mezzo, con tutti i suoi segreti e le sue bugie.
No, pensò
ancora, mentre il suo cervello eseguiva un elaborato sobbalzo, no, no, no, non sono pronta!
Tito era immerso in una conversazione
con due soldati che la ragazza non aveva mai visto prima e, per un
istante,
Lidia si illuse che il giovane non si voltasse, permettendole di
sgattaiolare
all’interno e raggiungere Donna Erin senza essere notata da
lui.
La fanciulla mosse tre passi nella sua
direzione, sospinta da suo marito e da Lucio, e Tito
continuò a parlare. Poi
qualcosa attirò la sua attenzione e il giovane romano si
voltò verso di lei.
Anche a due metri di distanza Lidia vide benissimo la sorpresa, la
felicità, la
rabbia e infine l’espressione indecifrabile che si
susseguirono con una
velocità sorprendente sul suo volto.
Infine, Tito sorrise.
«Lidia! Anche tu qui?»
***
Ecco,
finalmente ho superato questa fase di transizione – scriverla
è stato pesante,
rileggerla ancora di più. Ormai i capitoli già
pronti sono agli sgoccioli,
quindi il vostro supporto è ancora più
importante: commenti e osservazioni
varie sono un toccasana, quando l’ispirazione scarseggia!