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Autore: Shainareth    07/03/2018    3 recensioni
*** Attenzione! La presente storia si collega direttamente alla shot Verità. Vi consiglio perciò di leggere prima quest'ultima, per comprendere appieno le vicende di ciò che verrà narrato qui di seguito. ***
«A cosa servono, questi poteri, se non possiamo evitare che accadano certe tragedie?» La voce di Ladybug era cupa e rotta dal pianto represso. Era ormai l’alba e i soccorritori avevano lavorato per tutta la notte, sgombrando la zona da ciò che era andato distrutto – o ucciso. I due salvatori di Parigi erano rimasti lì fino a che era stato necessario, ingoiando tutta la sofferenza che i loro occhi e le loro orecchie erano stati capaci di catturare, loro malgrado. E ora, con le membra doloranti e il cuore in pezzi, si erano rifugiati insieme fra i gargoyles di Notre Dame, che con il loro tetro aspetto sembravano riflettere l’umore di entrambi.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Verità'
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CAPITOLO TREDICESIMO




Quella era la terza volta che si trovavano tutti lì, insieme, a piangere per le vittime di crimini ingiustificati di cui ancora non si riusciva a stabilire la provenienza. Sfidando la collera dei terroristi con la propria, molto più forte e determinata, l’intera città seguiva il lungo corteo di carri funebri per le vie centrali di Parigi. Per tenere la situazione sotto controllo e scongiurare nuovi attacchi, che in quell’occasione sarebbero stati catastrofici, a polizia e paramilitari questa volta si era affiancato anche l’esercito, a testimonianza di come, finalmente, anche lo Stato aveva deciso di prendere in mano la situazione, sia pure in ritardo.
   Si era mosso solo quando Nadja Chamack aveva puntato i piedi in terra, mandando alla malora il telegiornale del pomeriggio per esibirsi in una sfuriata coi controfiocchi, un’arringa in difesa del sindaco che neanche il più abile degli avvocati avrebbe saputo contrattaccare. Non era colpa di André Bourgeois se Parigi era in quelle condizioni, aveva detto come una furia, determinata a non lasciarsi scappare l’occasione di spalleggiarlo anche a scapito della propria promettente carriera di giornalista. La situazione di terrore che tutti loro stavano vivendo nella capitale non poteva e non doveva essere guardata più come un fatto interno alla città, perché, se pure gli attentati si erano verificati unicamente lì, a pagarne lo scotto era comunque tutta la Francia. Che fine aveva fatto l’orgoglio nazionalista? Che fine avevano fatto tutti quegli elettori che avevano affidato le proprie speranze a quell’uomo che, dopo diversi mandati, ancora raccoglieva voti quasi all’unanimità durante le elezioni cittadine? Era impensabile che André Bourgeois avesse così, di punto in bianco, deciso di non fare più il bravo sindaco. Era amato, rispettato, e continuava a ricevere applausi, sempre e comunque, perché tutti i parigini riconoscevano in lui una guida valida ed efficace. Perché, dunque, davanti alla prima, seria difficoltà ne avevano fatto un maledetto capro espiatorio? Come se fosse stato lui a mettere le bombe. Ad uccidere tutte quelle povere persone innocenti. Anzi, sin dall’inizio André Bourgeois si era messo in gioco dando il tutto e per tutto, facendo fronte ai problemi comunali persino di tasca propria, aiutando e ospitando gli sfollati, dedicandosi anima e corpo alle proprie responsabilità, nonostante lui stesso fosse rimasto ferito nell’ultimo attacco. Di più, sotto la sua guida le forze dell’ordine erano riuscite a scongiurare altri due attentati, ma nessuno di quelli parlava già più. Nadja Chamack non aveva potuto accettarlo, non dopo essersi ritrovata in prima linea, nell’occhio del ciclone, non dopo aver visto con quanta dedizione quell’uomo e i suoi collaboratori si erano preoccupati di far fronte all’emergenza che aveva investito tutti loro.
   Parigi aveva applaudito a quelle parole, e il sindaco si era ritrovato davanti al municipio un’orda di cittadini che acclamavano il suo nome, che lo sostenevano, che gli chiedevano di non mollare. E lui non si era trattenuto, crollando in lacrime di commozione e liberando tutto il peso che portava nel petto ormai da tanto, troppo tempo. La forza che ne aveva tratto era stata tale da dargli nuovo coraggio e subito aveva seguito l’esempio di madame Chamack, pretendendo di essere ascoltato dallo Stato e di avere supporto immediato alla terribile situazione che l’intera Francia, e non solo Parigi, stava vivendo.
   Quando le dodici bare furono esposte al pubblico, i ragazzi dell’istituto Françoise Dupont si schierarono in prima fila insieme ai parenti di coloro che non ce l’aveva fatta. Sigillati in quelle tristi scatole di legno c’erano i resti di alcuni dei loro compagni di scuola, poco più che bambini, vittime di mostri sconosciuti che ne avevano reciso le radici troppo presto. Come ogni capoclasse, in quell’occasione Marinette avrebbe dovuto portare una corona di fiori ai piedi del palco su cui erano eretti i feretri, ma quel compito le gravava non poco nell’animo. Era stanca di tutta quella morte, stanca di quei corpi straziati, stanca delle lacrime di chi li reclamava per sé nonostante fosse ormai inutile, stanca di dover vivere ancora momenti come quelli. Sentì le dita di Adrien stringersi maggiormente alle sue nel tentativo di infonderle una forza che forse neanche lui possedeva più. Fu allora Chloé a farsi avanti al posto di Marinette; ritta sulla schiena, il viso alto e lo sguardo deciso, lasciò i propri compagni e avanzò verso la corona di fiori. Se quella ragazzina non ce la faceva, allora ci avrebbe pensato lei. Era la figlia del sindaco, dopotutto, e, senza voler fare sterili polemiche, il suo ruolo in quel momento era obiettivamente più importante di quello di una semplice capoclasse. Davanti a quella scena, vedendola in difficoltà nel sollevare l’enorme corona di fiori, Adrien si mosse per aiutarla e ad un passo di distanza, dopo un profondo respiro, lo fece anche la stessa Marinette. Tutti e tre disposero silenziosamente la ghirlanda funebre ai piedi dei feretri e tornarono al loro posto con uno sguardo devastato dal dolore, proprio come se la tragedia fosse appena avvenuta.

Negli ultimi dieci giorni, anche a causa della convivenza forzata, le due ragazze avevano iniziato di nuovo ad interagire fra loro come ai vecchi tempi, con la differenza che si sforzavano di non litigare ogni volta che erano in disaccordo su qualcosa – e ciò capitava meno di prima. E, sempre col passare dei giorni, la scuola ricominciò davvero per gli studenti dell’istituto Françoise Dupont, non più alla vecchia sede ormai inagibile, bensì all’interno degli spaziosi locali de Le Grand Paris. Non potendone fare a meno, Chloé era scesa a patti con se stessa anche davanti a questa nuova prova e si era mostrata più malleabile con i propri compagni di classe, benché dentro di sé a volte ancora mal sopportava determinate situazioni. Come quella che stava vivendo in quel momento, sull’ampia terrazza dell’albergo dove, un po’ per distrarsi un po’ per dovere, aveva deciso di invitare tutti per un pomeriggio di svago collettivo. E ora era lì, stesa su una delle sdraio, in bikini e con gli occhiali da sole sul naso, che poteva dire addio al suo intento di rilassarsi perché nelle orecchie continuavano ad arrivarle non soltanto le grida allegre dei suoi compagni di classe, ma soprattutto la voce impostata e suadente di Kim.
   A dispetto delle sue spacconate e della posa da copertina da lui assunta per mettere in risalto i muscoli, nel vano tentativo di far colpo sulla figlia del sindaco, dentro di sé il giovane stava tremando. Chloé era sempre stata inavvicinabile per tutti, e se pure ogni tanto era riuscito ad ottenere qualche favore da lei – come ballare un lento o uscire in coppia con la speranza che la sua bella gli desse un contentino anziché sfruttarlo soltanto come portaborse nelle sue razzie ai negozi del centro – Kim viveva perennemente nell’incertezza di non riuscire ad ottenere più di questo. E, invero, per Chloé le cose non sarebbero mai cambiate: aveva un cagnolino fedele, pronto a difenderla, a portarle i pesi, ad obbedire ai suoi ordini in cambio di un sorriso o di uno sfarfallamento di ciglia… perché mai avrebbe dovuto sforzarsi di far maturare quel rapporto per lei così conveniente? Non solo non le importava, per di più non aveva neanche voglia di scoprire se ne valesse la pena, nemmeno ora che Adrien le era sfuggito dalle mani, preferendo concedere le proprie attenzioni amorose ad un’altra. Non era Kim a non andare, in definitiva, ma lei a non essere in grado di provare un qualsivoglia interesse nei confronti di chicchessia. Una volta, timidamente, Sabrina le aveva fatto notare che forse non aveva ancora incontrato la persona giusta e questo le aveva dato da riflettere non poco, riconoscendo saggezza nelle parole dell’amica.
   «Palla!» si sentì gridare. Un attimo dopo, un furioso spostamento d’aria ed un rumore sordo la fecero sobbalzare, inducendola a tirarsi su col busto e a far scivolare gli occhiali da sole sulla punta del naso. Vide Kim piegato in due che si teneva la testa e imprecava a denti stretti, mentre in lontananza qualcuno lo derideva apertamente e a voce alta. Chloé volse lo sguardo verso Alix che, ridendo allegramente, si sporgeva oltre il bordo della piscina dove stava giocando insieme ad altri loro compagni. «Suvvia, Kim! Non ti farai davvero abbattere da una pallonata!» stava dicendo in direzione dell’amico-rivale.
   Con un moto d’orgoglio, il giovane recuperò il pallone e, in barba al rossore diffuso che iniziava a scorgersi sul lato sinistro del suo volto, si precipitò nella sua direzione più agguerrito che mai, giurando e spergiurando che gliel’avrebbe fatta pagare. Chloé lo osservò mentre si tuffava in acqua come un sasso, schizzando chiunque si trovasse nei paraggi, compreso lei. Bofonchiando infastidita, la ragazza tornò a stendersi e si tirò di nuovo le lenti scure sugli occhi. Com’erano infantili, i suoi coetanei… Solo Adrien mostrava una maturità diversa, ma lui ormai non era più sul mercato, e aveva altri pensieri, altre priorità. A cominciare da quella ragazzina dagli occhi azzurri che sembrava davvero avergli fatto consapevolmente perdere la testa. Chloé girò ancora una volta lo sguardo nella loro direzione e sospirò.
   A differenza degli altri, che non avevano esitato a indossare il costume da bagno e a darsi alla pazza gioia approfittando della piscina dell’albergo, Adrien e Marinette si erano imbottiti da capo a piedi e, fioretto alla mano, se ne stavano l’uno di fronte all’altra, pronti all’attacco. Anche le lezioni di scherma di monsieur D’Argencourt erano riprese e di lì a poco ci sarebbero state le selezioni per il nuovo membro della squadra, e questo li aveva fatti mettere subito all’opera: era un modo come un altro per sfogare liberamente la rabbia, la tristezza, la stanchezza emotiva che continuava a devastarli – e chissà per quanto ancora avrebbero dovuto reggere quella maledetta gamma di emozioni più grandi di loro. Chloé non si capacitava di come riuscissero, quei due, a sopportare il caldo e tutto il sudore dovuto a quegli scambi in cui continuavano ad esibirsi da oltre mezz’ora. Due fidanzati non avrebbero dovuto avere ben altro, per la testa? Lei di certo avrebbe preferito qualcosa di meno sportivo e più romantico, e questo l’aiutò ancora una volta a dare ragione a Sabrina: Adrien aveva degli strani gusti e forse, davvero, non era adatto a lei. Il ragazzo giusto prima o poi sarebbe arrivato. Doveva solo portare pazienza.
   Un’ombra le oscurò il sole, inducendola a voltarsi con aria accigliata verso quella che le parve essere un’illustre sconosciuta: era esile, bassina, con i capelli scuri e due occhi a mandorla che tradivano inequivocabilmente la sua nazionalità d’origine. «Chiedo scusa», iniziò la nuova arrivata, «tu sei Chloé Bourgeois, se non sbaglio.»
   «So chi sono», rispose lei, inarcando un sopracciglio e squadrandola da capo a piedi con espressione critica. Quella tipa aveva persino un fioretto, con sé, e da ciò dedusse che doveva essere una delle compagne di scherma di Adrien.
   «Mi chiamo Kagami Tsurugi», si presentò l’altra, non raccogliendo la provocazione implicita nel tono di lei, sebbene le avesse dato non poca noia. «Sto cercando Adrien. Di sotto mi hanno detto che lo avrei trovato qui in terrazza.»
   Un’altra sua ammiratrice? Ormai non avrebbe dovuto importarle più, eppure Chloé arricciò il naso con fastidio. Un conto era Marinette, lei aveva imparato a sopportarla; ben altro era un’illustre sconosciuta che si presentava lì chiedendo di Adrien senza spiegarne la ragione. «Aspetta un momento», disse allora, alzandosi lentamente in piedi. Sollevò gli occhiali sul capo, avvolse i fianchi in un pareo e le diede le spalle, raggiungendo con passo misurato l’amico di infanzia. «Adrien?» lo chiamò con lo stesso entusiasmo con cui avrebbe chiamato un fratello molesto. «C’è una tappetta per te», annunciò puntando il pollice oltre la propria spalla, quando lui le prestò attenzione.
   Il giovane sollevò la visiera della maschera da schermidore e vide Kagami in lontananza che si esibiva in un rigido inchino. Sorpreso da quella visita inaspettata, sorrise e si scusò con le due ragazze prima di dirigersi verso l’ultima arrivata. Chloé corrucciò lo sguardo. «Chi diavolo è, quella?»
   «Kagami», disse Marinette, affiancandosi a lei e sollevando la visiera della propria maschera.
   «Questa era l’unica cosa che sapevo, genio.»
   «Lei e Adrien sono… rivali, credo», fu più chiara, sorvolando sull’epiteto sarcastico usato dalla compagna di classe.
   Quest’ultima la fissò in tralice. «Anche lei ti fa il filo?»
   «Cos…?!» annaspò Marinette, voltandosi a guardarla con occhi sgranati. Vide quelli azzurri di Chloé ruotare verso il cielo e comprese che la stava solo prendendo in giro. S’immusonì, ma non si curò di risponderle e continuò invece nelle spiegazioni che stava elargendo a singhiozzi. «Non troppo tempo fa, Kagami ha sfidato Adrien per entrare all’accademia di monsieur D’Argencourt, ma… ecco… c’è stato un piccolo incidente, un’akuma ha deciso di mettersi di mezzo e… puff! Si è concluso tutto con un nulla di fatto.»
   Chloé non le risparmiò un’occhiata perplessa per quel riassunto assai poco chiaro e, soprattutto, per il modo ridicolo in cui lei glielo aveva fornito. «Quindi, ora che si è di nuovo liberato un posto, è venuta a reclamarlo?»
   Marinette sbiancò. «Sarebbe terribile!» esclamò di getto, alzando forse troppo la voce. Al punto che Adrien si voltò verso di loro e, facendole cenno con una mano, la invitò a farsi avanti. Lei s’irrigidì all’istante e, muovendo le gambe tese proprio come avrebbe fatto il mostro di Frankenstein, si avvicinò ai due.
   Inciampò sui piedi della sdraio sulla quale era stata fino a poco prima Chloé e per poco non cadde di faccia a terra. Adrien l’afferrò prima che fosse tardi e la sorresse fino a che non fu davvero salda sulle gambe. «Tutto bene?» le domandò con la solita dolcezza con cui si rivolgeva a lei quando si esibiva in disastrose performance simili a quella appena regalata ai suoi spettatori. Marinette abbozzò un sorrisetto nervoso e, cercando di ignorare il rossore dovuto alla figuraccia appena fatta, annuì. «Kagami, lascia che ti presenti…»
   «…la famosa Marinette», concluse quella, fissando negli occhi colei che, sia pure senza averne l’intenzione, l’aveva resa facile preda di un’akuma. Le riservò un sorriso enigmatico e le porse la mano. «Adrien mi ha parlato molto bene di te.»
   «Ah…» balbettò l’altra, imbarazzata per quell’ultima frase. In verità, sapeva esattamente quello che Adrien aveva detto a Kagami, poiché era stata lì a spiare l’intera scena proprio come aveva fatto quando Adrien si era incontrato al parco con Lila, diverso tempo prima. La consapevolezza di essersi comportata ancora una volta come una stalker seriale la fece vergognare più che mai. «Moso norficata par guanto suvvecco l’ottima sciolta.» Adrien si lasciò scappare un risolino, coprendo educatamente la bocca con la mano, e lei si riscosse. «Cioè! Sono mortificata per quanto successo l’ultima volta!» si corresse in fretta, stringendo la mano di Kagami con un sorriso poco convincente.
   Le iridi scure di lei saettarono in direzione di quelle di Adrien: davvero quel damerino così bello e perfetto era innamorato di quella ragazza così adorabilmente imbranata? Perché sì, al di là delle chiacchiere di lui, Kagami aveva capito al volo che Adrien non vedeva affatto Marinette come un’ottima amica, come l’aveva definita l’ultima volta. Era rimasta col dubbio che lui non le avesse detto la verità, poiché le era parso piuttosto palese quello che si agitava nel cuore del giovane mentre parlava di lei. Ad ogni modo, dal momento che non erano affari suoi, Kagami decise di non curarsene. «Onorata di fare la tua conoscenza», rispose con il tono misurato che la contraddistingueva, senza lasciar tradire il suo reale pensiero. «E non preoccuparti per quanto è accaduto: sono qui per prendermi la mia rivincita.»
   Era una minaccia? Probabilmente no, ma fu così che arrivò alle orecchie di Marinette, la cui bocca socchiusa si inarcò verso il basso senza che lei potesse evitarlo, rendendo più che evidente il terribile stupore che l’aveva colta udendo quelle parole. «Hai deciso di tentare di nuovo l’ingresso all’accademia?» domandò Adrien, ben più rilassato della propria innamorata.
   «Solo a patto che questa volta ci sia un arbitro competente.» Quella risposta fu un’autentica stilettata a tradimento e Marinette abbassò lo sguardo con aria mortificata. Kagami se ne accorse e corresse il tiro. «Non era mia intenzione offenderti», la rassicurò senza aver bisogno di mentire. «Adrien mi ha detto che sei alle prime armi con la scherma, perciò ho pensato che non avessi dimestichezza neanche nell’arbitraggio.»
   «Marinette si è impegnata molto, nell’ultimo periodo», intervenne il giovane, prendendo subito le difese dell’amata. «E a questo punto, immagino che dovrete contendervi il posto», aggiunse poi, con voce meno ferma, lanciando uno sguardo incerto nella sua direzione. La vide sorridere rassegnata, come a chiedergli se valesse davvero la pena continuare ad allenarsi dal momento che anche Kagami avrebbe preso parte alle selezioni; vista la sua abilità con la spada, il risultato sarebbe stato più che scontato.
   «In tal caso, che vinca la migliore», fu l’ultima cosa che disse la ragazza giapponese, lasciandoli con un inchino di commiato.
   E mentre lei si voltava e tornava da dov’era venuta, Chloé si avvicinò a loro con diffidenza. «Perché è venuta qui?»
   «Visto il caos presente in città, voleva avere da me la certezza che le selezioni per l’accademia di monsieur D’Argencourt si svolgeranno davvero fra due settimane», spiegò Adrien, osservando con la coda dell’occhio Marinette che si portava le mani ai lati del casco e lo sfilava dalla testa con espressione rassegnata. «Vuoi già smettere l’allenamento?»
   «Sei davvero convinto che in due settimane io riesca a raggiungere il vostro livello?» fu la domanda che gli pose lei a mo’ di risposta. «Sii obiettivo», lo pregò con un sorriso poco convinto sulle labbra.
   «Quindi è brava?» s’interessò di sapere Chloé, che indagava sempre a fondo su qualunque essere di sesso femminile si avvicinasse ad Adrien. Anche se aveva dovuto rinunciare a lui da un punto di vista romantico, non significava certo che avesse smesso di volergli bene. E se proprio qualcun’altra doveva portarglielo via, che almeno fosse una persona di cui si potesse fidare – e, anche se non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura, si fidava davvero molto di Marinette.
   «Dannatamente», enfatizzò quest’ultima, sollevando gli occhi al cielo e allargando le braccia ai lati del corpo. Se avesse avuto la faccia tosta di dirlo a voce alta, avrebbe persino confessato di aver provato un brivido di eccitazione guardando Adrien e Kagami che duellavano a punta di fioretto o, peggio ancora, quasi corpo a corpo. Anche per questo aveva seguito i due fuori dalla scuola, al di là dell’akuma che si era messa alle loro calcagna. E ora quella ragazza sarebbe stata ammessa alla stessa accademia di Adrien, si sarebbe esercitata con lui, avrebbero ripreso i loro combattimenti, la forte rivalità avrebbe bruciato le loro viscere, e i due sarebbero stati infine travolti dalla passione, relegando la povera, piccola Marinette in un angolo buio del cuore del suo amato Adrien. Poteva esserci qualcosa di peggio?
   Qualcuno la chiamò. Si trattava di Nadja Chamack che, grazie all’infuocata difesa che continuava a portare avanti in favore del sindaco, adesso era l’unica giornalista ammessa all’interno de Le Grand Paris. «Stavo per andar via e ho pensato di passare a farti un saluto», spiegò alla ragazza, aprendo la borsa e tirandone fuori un tablet. «E poi volevo farti vedere una cosa», continuò con un sorriso soddisfatto sulle labbra rosse. «La tua amica Alya?»
   «È laggiù, insieme agli altri», rispose Marinette, lanciando uno sguardo alla compagna di banco, che in quel momento era impegnata in un gioco di gruppo acquatico piuttosto movimentato. «Devo chiamarla?»
   «No, va bene così, lasciala in pace», la rassicurò Nadja, accendendo il tablet e iniziando a smanettarci. «Almeno così posso essere sicura di non dover avere la concorrenza del suo Ladyblog
   Adrien corrucciò la fronte. «Perché? Che è successo?» domandò, dal momento che erano diversi giorni, ormai, che Ladybug e Chat Noir non si vedevano per le strade di Parigi. Con tutta la sorveglianza e il dispiego di forze dell’ordine, a che sarebbero serviti? In più, al momento Papillon sembrava fare di nuovo il bravo.
   «Ora lo saprai», cinguettò la giornalista con voce allegra. «In verità non sono del tutto certa che siano immagini adatte a dei ragazzini della vostra età, ma… diamine, avete quanto? Quattordici? Quindici anni? Sicuramente sono cose che fate anche voi», aggiunse inaspettatamente, girando il tablet nella loro direzione e facendo partire un video. Si trattava di un filmato in bianco e nero, tipico delle telecamere di sicurezza, e ritraeva Chat Noir da solo, che fissava davanti a sé. Cosa? Soprattutto, dov’era? E mentre Adrien tremava al pensiero di essere stato ripreso mentre tornava a prendere le proprie sembianze civili, sul display del dispositivo comparve come un lampo l’altra eroina di Parigi, che piombava addosso al collega come una furia. I due si abbracciarono e quando iniziarono a scambiarsi effusioni inequivocabili, fu chiaro che quel filmato era un estratto preso dalle videocamere di sorveglianza della Tour Eiffel, che appena pochi giorni prima avevano immortalato qualcosa dal valore inestimabile. «E hanno anche il coraggio di negare che sono una coppia», stava dicendo Nadja, in tono allegro ed entusiasta.
   I due diretti interessati, però, neanche l’ascoltavano più, presi com’erano dall’imbarazzo di essere stati colti in flagrante in uno dei loro momenti più intimi. Ed eccoli lì, alle prese con i loro baci, le loro coccole, fino a che Chat Noir non si era dedicato al collo della sua innamorata, accendendo in lei il desiderio all’istante. Marinette si portò le mani al viso e, trovandolo bollente, dedusse che doveva essere arrossita tantissimo. E no, non soltanto perché si vergognava del modo piuttosto inequivocabile in cui si era comportata quella notte, quanto perché non si era resa conto che anche Adrien si era infiammato allo stesso modo – le immagini parlavano chiaro. E lei che si preoccupava di Kagami…
   Nadja sottrasse il tablet alla loro vista e lo strinse al petto come se fosse stato un tesoro prezioso. «Non è fantastico? Ho uno scoop sensazionale e non vedo l’ora di diramarlo!»
   «Ma lei non dovrebbe occuparsi di pilotare l’opinione pubblica a favore di mio padre?» volle sapere Chloé, schioccando la lingua sotto al palato con aria seccata e intrecciando le braccia sotto ai seni. «Ha davvero tempo anche per i gossip?»
   «La gente ha bisogno di svagarsi», rispose la donna senza perdere il sorriso, mentre riponeva il tablet nella borsa. «Non possiamo pensare sempre e solo alle brutte cose. Non è per questo che hai invitato i tuoi amici in piscina, oggi?» le domandò, strizzandole l’occhio con affetto. Si rivolse poi a Marinette, trovandola ancora rossa in volto e visibilmente sconvolta da quanto aveva appena visto. Davvero era ancora tanto innocente? E sì che aveva un fidanzato bello e prestante, che a dirla tutta le pareva anche piuttosto sveglio… Nadja spostò allora lo sguardo su Adrien, che sembrava meno imbarazzato, ma ugualmente scosso, e sorrise con fare materno, sollevata al pensiero che ci fossero ancora dei ragazzini così puri e ingenui. Sperò che anche per Manon sarebbe stata la stessa cosa, quando avrebbe avuto la loro età.
   «Madame Chamack», prese parola Adrien, cercando di dominare le emozioni che lo avevano assalito quando si era reso conto di quanto fosse visibile la passione taciuta fra lui e Marinette. «Mi chiedevo… è legale diffondere materiale del genere?» La sua innamorata si riscosse e subito lo appoggiò moralmente: sarebbero davvero riusciti ad evitare la catastrofe?
   «Certo che lo è», fu la risposta che arrivò come un pugno nello stomaco.
   «Ma… non sarebbe comunque imprudente?»
   «Perché? Nessuno sa chi sono, non credo che un loro love affair possa nuocere a qualcuno.»
   «Magari a loro stessi», intervenne allora Marinette, facendosi coraggio. «Insomma, se Papillon o chicchessia volesse metterli fuori gioco, potrebbe benissimo usare questo loro punto debole per… per…»
   «…per riuscire ad ottenere ciò che vuole», venne in suo aiuto Adrien.
   Nadja li fissò con tenerezza e fece notare loro: «Anche se fossero soltanto compagni nella lotta al crimine, credete davvero che non farebbero di tutto per proteggersi l’un l’altra?» Scosse il capo, sempre più decisa nella sua posizione. «Ricordiamoci che sono gli stessi Ladybug e Chat Noir che danno l’anima per salvare quante più vite possibili, da che hanno messo piede per la prima volta a Parigi. Stiamo parlando di persone che loro neanche conoscono, eppure non si sono mai tirati indietro, mettendo a repentaglio se stessi pur di evitare l’inevitabile.»
   «E per questo non dovrebbero essere premiati?» insistette Marinette, sia pur lusingata dalla considerazione che Nadja aveva di loro. «Non chiedono mai niente in cambio, potreste almeno lasciarli vivere in pace i loro momenti di vita privata…»
   L’altra parve rifletterci un attimo su e infine annuì. «Questo ha già più senso», ammise suo malgrado. «Ci penserò.»
   Quando infine li salutò e li lasciò soli, Chloé si portò le mani sulle anche e ruppe il silenzio calato fra loro. «Ma che cavolo ci troverà, Ladybug, in quel pulcioso mascherato?»
   «Ehi!» protestò d’istinto Adrien, mentre Marinette si mordeva il labbro inferiore per non scoppiare a ridere. «Non dovresti parlare così di chi ti ha salvato la vita!»
   «Lo sai che la tua bella ha un debole per lui?» ribatté Chloé, facendo cenno con la testa alla compagna di classe. «Me l’ha confessato l’altro giorno.»
   Adrien sollevò le sopracciglia con aria sorpresa, un sorriso compiaciuto sul volto ed una scintilla d’orgoglio che gli brillava negli occhi verdi. Marinette si strinse nelle spalle. «Giusto un pochino», ammise, cercando di minimizzare la cosa, sebbene le immagini appena mostrate loro da Nadja la smentissero appieno.
   «Posso accettarlo», le concesse il giovane, fingendosi comprensivo. «Dopotutto, chi potrebbe resistergli? È affascinante, galante, atletico…»
   «Mi sa che il debole ce lo avete tutti e due…» borbottò Chloé, agitando una mano davanti a sé come se volesse scacciare una mosca fastidiosa e voltando loro le spalle per tornare a prendere il sole prima che calasse oltre la linea dell’orizzonte. «E fatevi una doccia! Bardati come siete, puzzate di sudore!» fu ciò che urlò loro mentre si congedava, facendoli ridere entrambi.
   Rimasti soli, i due si scambiarono uno sguardo imbarazzato. Erano stati colti con le mani nella marmellata, e anche se non avevano fatto niente più di quello che madame Chamack aveva mostrato, rimaneva il fatto che la loro privacy era stata violata. Finché Marinette fosse rimasta ospite dell’albergo, sarebbe stato meglio evitare qualsiasi tentativo di incontro al di fuori di quelli canonici, durante le lezioni scolastiche o per un pomeriggio di relax insieme agli amici. A meno che non fosse stata Ladybug ad andare da Adrien… e in quel caso, sarebbe riuscita a sfuggire alle telecamere di sicurezza di villa Agreste?












E siamo quasi alla fine.
Scrivendo questo e il capitolo precedente, mi sono resa conto di quanto, pur in mezzo alla morte, la gente abbia bisogno di sentirsi viva. Quindi, onestamente, non credo di essere stata troppo indelicata mostrando atteggiamenti più leggeri e vivaci da parte dei vari personaggi (in particolare dei due protagonisti), anche perché penso che abbiano davvero bisogno di non pensare continuamente a ciò che è successo: se lo facessero, sarebbe a dir poco deleterio. Penso sia un modo come un altro di sopravvivere, anche se solo psicologicamente. Liberi di smentirmi, eh, però credo che faccia parte dell'animo umano questo tipo di atteggiamento. Poi, ovvio, in questo capitolo sarà passata una quindicina giorni dall'ultimo attentato, perciò penso che i ragazzi abbiano tutto il diritto di comportarsi in modo più spensierato. Ma anche nel precedente, quello ambientato poche ore dopo l'attacco alla scuola, penso che soprattutto Adrien e Marinette avessero bisogno di sorridere a qualunque costo, nonostante tutto, di imporre il loro desiderio e la loro gioia di vita sulla morte che li aveva circondati fino a quel momento.
Tornando al presente capitolo, ho voluto qui porre l'attenzione su due cose: la situazione cittadina e, di nuovo, Chloé. Per quel che riguarda il primo punto, confesso di essere stata fortemente tentata di cimentarmi in un ulteriore approfondimento della cosa, ma avrei rischiato di impelagarmi in qualcosa di complicato e, forse, persino noioso, che avrebbe di sicuro stravolto l'obiettivo di questa fanfiction: non già raccontare una storia incentrata sulla politica e sulla criminalità, bensì raccontare dei limiti (e di nuovo...) di tutti - o quasi - i personaggi che vi sono comparsi. Alcuni di questi limiti sono più marcati, altri appena accennati. Come nel caso di Kagami, che ha evidenti problemi nel modo di rapportarsi con il prossimo (almeno per quel poco che ci è stato mostrato, a mio avviso); lei, a sua volta, rappresenta un limite di Marinette (che le è inferiore nell'arte della scherma) e mette in evidenza quello di Adrien (che non si era reso conto che a Kagami era bastato un attimo per capire ciò che a lui invece nella serie continua a sfuggire, e cioè la sua cotta per Marinette).
Abbiamo poi Chloé, che non mi stancherò mai di approfondire, credo. Mi piace pensare (e sperare) che un giorno avrà davvero un comportamento del genere con Adrien (arrivando a considerarlo alla stregua di un fratello) e con Marinette (rivale, sì, ma quasi amica), senza però rinunciare al proprio incrollabile orgoglio. Incrocio le dita. E spero di non averla snaturata, in questa sua nuova veste meno capricciosa e più consapevole.
Infine, abbiamo Nadja Chamack, che non smette mai di combinare guai pur senza averne l'intenzione. Diffonderà il video? Non lo farà? Per ora vi lascio con questo dubbio.
Ho scritto tantissimo in queste note, perdonatemi. Mi auguro solo che questa storia continui a piacervi fino alla fine, tanto ormai ci siamo: il prossimo sarà l'ultimo capitolo e poi si passerà all'epilogo vero e proprio.
Un grazie di cuore a tutti voi che siete ancora qui e che mi sostenete sempre con le vostre parole di incoraggiamento. ♥
Buona giornata,
Shainareth





  
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