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Autore: Kat Logan    08/03/2018    2 recensioni
Esiste realmente la quiete dopo la tempesta?
C'è chi cerca di costruirsi un nuovo futuro sulle macerie del passato e chi invece dal passato ne rimane ossessionato divenendo preda dei propri demoni.
[Terzo capitolo di Stockholm Syndrome e Kissing The Dragon].
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Rei/Rea, Un po' tutti | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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- Questa storia fa parte della serie 'Mondo Yakuza'
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Still I want you, but not for your devil side
Not for your haunted life, just for you
So tell me why I deal with your devil side
I deal with your dangerous mind, but never with you
Who’s gonna save you now, who’s gonna save you?
 
Devil Side - Foxes
 
 
 
 


Quello che Petirol aveva definito mensa non era altro che uno stanzone con panche e lunghi tavoli spogli.
Haruka tentennò sulla soglia e la sua attenzione venne catturata dall’unico manifesto appeso alle nudi pareti fredde.
Come intirizzita non poté fare a meno di pensare che tutto lì dentro era di un grigiore e di un’umidità capace d’insinuare il gelo non solo nelle ossa ma anche nella mente delle persone. Forse era per quello che alcuni impazzivano. Per la reclusione in un posto privo di calore e colori, tanto spoglio e vuoto da farti dimenticare di com’è fatto il mondo al di fuori da quelle mura.
Si avvicinò svogliata al pezzo di carta, attenta a non urtare nessuna delle detenute per evitare di incappare in una rissa senza senso o farsi ulteriori nemici.
«Sono le regole» la voce piatta di un giovane in uniforme intento a sgranocchiare una mela la illuminò sul poster.
A quella risposta la bionda si lasciò andare ad uno sbuffo di delusione. Non che avesse pensato potesse trattarsi del manifesto di una band, ma in cuor suo, aveva sperato che quell’unico addobbo possedesse il potere di distrarla.
Si morse il labbro e dovette trattenersi dal colpirsi un lato della testa. Altro che distrazioni, doveva rimanere lucida e concentrata. Quello non era il momento di lasciarsi andare.
Con lo sguardo vagò in cerca di Petirol e ancora una volta venne incalzata dal poliziotto.
«Detenuta o prendi da mangiare o torni in cella. Qui non puoi stare a ciondolare. Le hai lette le regole?».
«Sì» mentì Haruka.
«Allora muovi il culo da qui».
Uno schioccò di lingua fu la manifestazione del suo fastidio, poiché una voce dentro di lei le ordinò di tenere un profilo basso ed evitare ulteriori grane.
Quel posto le aveva fatto passare la fame. Tutto aveva l’odore di marciume lì dentro.
La bionda si diresse ugualmente verso il banco della mensa, prese un vassoio di metallo e lo fece strisciare davanti alla massiccia donna con la retina in testa che serviva i pasti.
«Sei nuova» borbottò quella, studiando il viso di Haruka come a volerle fare una radiografia.
«Beh, mia cara…oggi hai l’onore di provare la nostra sbobba» sentenziò porgendo ad Haruka una scodella colma di un liquido melmoso e verdastro.
Haruka trattenne un conato di disgusto e si limitò a tirare le labbra mentre il cervello le ripeteva di non respirare né con il naso né con la bocca.
«Anche domani sarà lo stesso. Magari di un altro colore».
«Fantastico» si lasciò sfuggire a denti stretti dandole le spalle e sondando una volta ancora l’intera stanza.
Le ci volle poco più di qualche secondo perché il rosso dei capelli di Petirol, rosso sangue come quelli di Eudial, stilettarono la sua vista.
Haruka si diresse verso Petirol stretta nella sua divisa che giocherellava con un frutto.
Le parve un uccellino tanto era esile e con le spalle strette e ricurve verso il piano del tavolo.
Mai badare alle apparenze.
Haruka si sedette di fronte alla rosse facendo sbattere forse troppo violentemente il vassoio sul piano logorato da qualche incisione di nomi, numeri e simboli.
«Perché io ho questa merda e tu quello?».
Petirol sfoggiò un’espressione furba.
«L’ho conservato dall’altra mattina. Il mercoledì è il giorno della frutta» spiegò puntando le pupille nere in quelle di Ruka.
«La vuoi tu?» chiese giocherellando un’ultima volta con l’arancia.
«No».
«Voglio tu mi dia risposte».
«Hai quattro domande» le ricordò la rossa.
«Avevamo un accordo per cinque. Non barare».
«Una l’hai già fatta. Era quella sul perché tu avessi quella roba nel piatto e io no».
Che fregatura, pensò Haruka senza più protestare per attirare meno attenzioni possibili.
«Anche tu sei a quattro» precisò poi la bionda.
Petirol non sembrò volerla contraddire e si strinse nelle spalle smettendo di far rotolare l’agrume da una mano all’altra come fosse una pallina.
«Hai detto che è uscita. Che le hai detto come fare per andarsene. Come avrebbe fatto?».
Le labbra carnose dell’altra formarono un archetto verso le gote. Pareva orgogliosa di quello che stava per dire.
«La pazza».
«Che cosa?! Cosa vuol dire?».
«Ah ah. Hai sprecato un’altra domanda» la riprese Petirol. «Non sei molto brava a questo gioco. Eudial è più furba di te».
Haruka dovette combattere con tutta se stessa per non saltare sul tavolo e metterle le mani al collo.
Calma. Stai calma.
Forse a stare lì dentro stava diventando un mostro come chi si ritrovava al suo fianco.
«La nostra infermeria è al pari di quella di una scuola. Per i postumi di una rissa può andare, ma se sei fuori di testa, a parte con un calmante per cavalli, non ti possono aiutare in alcun modo. Le ho insegnato come fare…in fondo io sono riuscita a farmi portare all’ospedale dove c’erano i tuoi amici».
Gli occhi blu di Haruka si sgranarono. Era rabbia mista a terrore quella che ora si rispecchiava nelle sue iridi.
Non badò al fatto che aveva solo due domande. Ne sprecò un’altra.
«L’hanno riportata lì?».
«Non ho la sfera di cristallo. Non lo so. Ma se la caverà vedrai!».
«Non è per lei che mi preoccupo».
«Ah, no?!» un sorrisetto si fece strada sul viso di Petirol.
 
«Dovresti».
 
 
***
 
 
A volte capitava che la gente sparisse nel nulla. Ma difficilmente si trattava di un’agente di polizia, a meno che non ci fosse lo zampino della mafia.
Ma per Haruka come poteva funzionare? Era stata una parte importante della Yakuza locale, poi si era schierata dalla parte della polizia e ora, ora che doveva essere più al sicuro che mai nella squadra dei buoni pareva essersi fatta di nebbia.
Jadeite non ci stava. Non era il tipo che si perdeva d’animo quando i puzzle non combaciavano.
Non nutriva particolare affetto per la bionda ma decise di agire come se si trattasse di solo lavoro, senza rimuginare troppo sul fatto che invece Rei avrebbe scalato una montagna per arrivare alla verità. Non che a Jadeite paresse fossero migliori amiche, tutt’altro. Rei sembrava nutrire un sentimento rancoroso e maldestro nei confronti di Haruka, ma faceva lo stesso col resto del mondo a meno che non comprendesse quella frana vivente di Sadao o lo spettro di Setsuna.
«Sadao, trova chi era di turno quando Haruka è stata portata via. Fai domande e trova risposte».
«Signor sì» disse il giovane procedendo più veloce della luce.
Michiru era stata intimata di farsi da parte per non ostacolare le indagini e ne aveva approfittato per attaccarsi al telefono.
Il numero di Akira non squillava, solo un messaggio automatico che diceva non essere raggiungibile rispondeva al suo posto.
Michiru respirò a fondo e digitò sul motore di ricerca dello smartphone l’indizio ricevuto dall’amico.
«Bingo» sussurrò tra sé e sé. Si trattava dell’istituzione finanziaria più antica internazionale e si trovava a Basilea.
«Perché cavolo mi parli della Svizzera Akira?». Con un sospiro pesante e una mano alla fronte Michiru provò a pensare.
Akira e Haruka avevano un codice. Un modo di comunicare e fare tutto loro, qualcosa che nessuno avrebbe mai compreso se non fosse stato semplicemente al corrente di tutto e Michiru aveva la certezza più assoluta di non esserlo.
Minako. E il dito non perse tempo a cliccare sul suo nominativo in rubrica.
 
 
***
 
 
Quello era uno di quei casi in cui si dice “essere nel posto sbagliato al momento sbagliato”. Ami era a conoscenza che la sua professione richiedeva lucidità, ma oltre ad essere reduce da un turno apocalittico lo era anche da una nottata senza sonno. Non sarebbe dovuta essere lì, avrebbe dovuto trovare un pretesto e farsi una sana dormita o sarebbe finita lei stessa su una barella.
Si lavò ancora una volta la faccia con l’acqua fredda per assicurarsi di tener gli occhi ben aperti e non cedere alla stanchezza che inesorabilmente si sarebbe fatta sentire di lì a poco. Ogni corpo cede senza sonno, lo avrebbe fatto anche il suo.
Si sistemò il camice, appese il proprio badge al taschino bianco e si richiuse alle spalle la porta dello spogliatoio.
Salutò con un cenno del capo l’infermiera e uno dei medici di turno dopo di che prese l’ascensore per il reparto di psichiatria.
 
 
«Consegna degli oggetti» disse svogliatamente il tirocinante all’ingresso indicando un contenitore di plastica sul banco di fronte a sé.
Stava leggendo un libro e nemmeno l’aveva guardata in faccia. Ami, si chiese dunque, cosa potesse di essere tanto interessante da assorbirlo in quel modo. Ma non aveva nemmeno la forza per indagare di cosa si trattasse e con gesto quasi automatico lasciò i pochi oggetti che aveva indosso al giovane.
Procedette con passo più lento del solito ma col sorriso in viso per la nottata appena trascorsa, solo quando scorse due figure in divisa davanti a una stanza si fece più seria per apparire più professionale.
I due la guardarono dall’alto al basso senza apparire con l’intenzione di farla procedere oltre.
«È da massima sicurezza» sbiascicò il più grosso dei due, senza abbandonare la fondina con la mano.
«A me interessa il motivo per cui è qui» sentenziò per tutta risposta Ami.
«Non sono la psichiatra, ma devo prenderle tutti i valori» i suoi occhi azzurri si puntarono in quelli minacciosi del carcerario che aveva proferito parola.
«Ha inghiottito una lametta. E non è la prima volta che lo fa. Oltre ad andare fuori di testa ogni tre per due e fare cose dell’altro mondo».
Ami inorridì al solo pensiero. Non rispose ed entrò nella stanza senza ancora capire che inghiottire una lametta era il minor dei danni che Eudial potesse compiere.
 
 
***
 
 
Al suo rientro Minako non aveva trovato traccia di Akira in casa. Gli aveva mandato un sms convinta fosse alle prese con i fornelli del ristorante e che non gli avrebbe risposto se non prima di aver trovato il giusto bilanciamento di aromi per il nuovo piatto da inserire nel menù.
Era meglio prima. Si ritrovò a pensare mettendo in silenzioso il cellulare per poi spogliarsi degli abiti con cui era rientrata.
Certo, il più delle volte si ritrovava a ricucire ferite da taglio, estrarre pallottole o curare parti del corpo tumefatte ma Akira e Haruka li ritrovava sempre. E non occorreva un gps per sapere in quale posizione losca fosse il fidanzato quando malamente tentava di tenerla fuori dagli affari più pericolosi.
Stupido ristorante. Non aveva la forza di farsi la doccia. Sfiorò la cicatrice sul ventre provando per la prima volta una strana nostalgia piuttosto che dolore o paura. Quello era l’ultimo segno che le ricordava la vita di un tempo.
Infilò una maglietta e si buttò nel letto come un tuffatore fa dal trampolino. Non fece nemmeno in tempo a coprirsi del tutto con la coperta perché era già caduta tra le braccia di morfeo, mentre Michiru appendeva ogni speranza al segnale libero che il cellulare di Minako continuava a mandare.
 
 
Se non fosse stata così garbata Michiru avrebbe snocciolato un corollario di coloriti insulti all’ennesimo tentativo di contatto nei confronti della coppia amica.
Respirò a fondo tentando di non cedere alla sensazione d’inutilità e fallimento che sembrava volerla prendere a tutti costi, quando Sadao – paonazzo in viso come reduce da una maratona – si precipitò nell’ufficio di Jadeite.
«So-s-so DOVE SI TROVA!».
Michiru parve aver preso la scossa e si affacciò sulla soglia raggiunta anche da Rei che aveva appena abbandonato l’ufficio del suo superiore.
«C-CHIBA. Il carcere di massima sicurezza».
«Fantastico. Una fortezza inespugnabile» commentò Jadeite, mentre Michiru combatteva con le proprie gambe per rimanere in piedi e non svenire.
«Non pare proprio una coincidenza» soffiò Sadao trovando lo sguardo di Rei. «È lo stesso dove ho scortato Eudial».
«Mi state dicendo…» la voce di Michiru da sottile si alzò sempre di più ad ogni singola parola. «che la mia Ruka si trova rinchiusa con quella FOLLE?!».
«Proprio così» una quinta voce si aggiunse alla conversazione.
Michiru si voltò di scatto riconoscendola all’istante. Era la prima voce che udì quando si ritrovò per la prima volta terrorizzata e spaesata. La stessa voce che le aveva dato coraggio e si era sempre rivolta a lei in modo carezzevole persino quando si erano ritrovati su due versanti opposti. Buoni e cattivi. E adesso Michiru non aveva più idea a quale schiera appartenessero tutti loro, ma riuscì solo a buttare le braccia al collo di Akira.
«Perché fate sempre cose così idiote?» domandò col mento che affondava nel cappotto dell’altro.
«Perché mi lascio sempre convincere dalla mia migliore amica a farle».
«Dobbiamo tirarla fuori di lì» commentò Michiru come rinvigorita da quell’abbraccio caldo. Erano come quelli di Haruka, avvolgenti e protettivi.
«Si, ma come? Io ho potuto a malapena varcare il cancello d’entrata. Non avevo quasi l’autorizzazione per arrivare in portineria» disse con fare deluso Sadao.
 

Rei ripensò a Setsuna. Alle sue parole. Al fatto che in un momento come quello, nel suo ultimo istante di vita avesse parlato in favore di Haruka. E dopo tutto quel tempo, ancora una volta, Rei non riusciva a vedere quello che Setsuna aveva intravisto nella bionda. Probabilmente non sarebbe mai riuscita a farlo. Di una cosa era certa, però. Che per quanto Setsuna fosse ligia al suo ruolo, alle regole e al sistema non se ne sarebbe tirata fuori. E ancora una volta Rei non si volle trovare nella posizione di deluderla.
«Posso farlo io» disse in tono piatto.
Jadeite e Sadao le lanciarono uno sguardo interrogativo.
«Sono appena entrata nella squadra anti sommossa» spiegò brevemente. Era l’unica cosa che poteva fare nel suo stato. Incanalare tutte le sue emozioni nel fermare i disordini così come avrebbe dovuto riuscire a farlo con i suoi sentimenti e gli strascichi che Setsuna aveva lasciato dentro di lei.
«Mi basta solo che faccia scoppiare una rivolta. Chiba chiama il nostro distretto. Io vado con la squadra a sedare i disordini e la faccio uscire».
Sadao sentì la mascella cedergli e non poté fare a meno di spalancare la bocca senza riuscire a dire altro.
Akira fece spostare Michiru nel corridoio poggiandole le mani sulle spalle.
«Ascolta…» la sua voce era un sussurro e i suoi occhi grigi sembrarono voler sprofondare oltre le sue iridi blu. Lanciò un’occhiata ai tre agenti come a sincerarsi non stessero ascoltando e poi le diede in mano la chiave per l’unica via d’uscita possibile.
«Se riusciamo a farla uscire Michiru. Avrete una sola possibilità e non sarà facile».
La premessa non era un granché ma Michiru non lo fermò.
«Ho preparato tutto. Nel posto dell’sms troverete abbastanza denaro per andarvene. Dovrete sparire. Farlo per un bel pò».
«Ma…».
«So che non è quello che hai sempre sognato. Probabilmente non andrebbe bene nemmeno a quella mattacchiona di Minako, ma è l’unico modo. Niente contatti. Con nessuno Michi. Voi tre e una nuova vita. Lontano da qui, dai guai».
«Akira…» la mano di Michiru gli strinse l’avambraccio e con lo sguardo sembrava implorarlo di trovare un’altra soluzione.
«Sei una madre ora oltre che una moglie. Se vuoi rimanere con lei devi pensare anche a questo e fare la scelta giusta».
Lui sorrise. Michiru non seppe come Akira riuscisse a farlo in quel momento, ma ringraziò tutti gli dei esistenti per averlo incontrato.





Note dell'autrice:

Bella gente è stata dura, ma siamo di nuovo qui. Capisco che questo capitolo sia tutto fumo e niente arrosto. Nel senso che...si parla, si parla e si parla e basta. Ma il prossimo sarà movimentato dall'inizio alla fine da quello che potete intuire da tutti questi dialoghi. 

(!!!) mi sono resa conto nello scrivere che c'è la cosa più irreale di questo mondo nel capitolo. Ovvero il rientro di Akira che temporalmente non sarebbe potuto avvenire. Non badateci per favore. Volevo che Akira fosse con Michiru in quel momento e non sapevo come altro farlo essere presente fisicamente se non sovvertendo le leggi dello spazio/tempo XD
 
   
 
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