Dal capitolo precedente:
«Mi dispiace,
Andrea... mi
dispiace tanto...».
A qualche metro di distanza l’uno dall’altro,
legati e incapaci di muoversi,
per la prima volta dopo mesi si sentirono veramente vicini.
GIORNO 13.
Ben
si passò una mano sugli
occhi, semichiusi per la stanchezza.
Andò in bagno per sciacquarsi il viso con
dell’acqua fresca, poi tornò in
fretta verso la sua scrivania. Non si era mosso dall’ufficio
per tutta la notte
e Kim e Margaret avevano fatto lo stesso.
Il giorno prima, Hartmut aveva esaminato da cima a fondo la casa dove
Andrea e
Semir avevano vissuto per nemmeno dodici ore e la via carrabile su cui
essa si
trovava. Aveva trovato alcune tracce sulla strada che lo avevano
portato a fare
ipotesi sul tipo di vettura usata dai criminali, ma niente che potesse
portarli
a qualcosa di concreto. In casa, invece, aveva rilevato
un’impronta parziale
lasciata da una suola di scarpa sporca di terriccio, di cui il tecnico
avrebbe
esaminato la composizione durante la notte. Li avrebbe chiamati non
appena
avesse avuto novità, ma ancora quella mattina non si era
fatto sentire.
Nel frattempo, loro tre avevano continuato a ragionare sulle possibili
future
mosse dell’evaso, senza però trarre alcuna
conclusione soddisfacente.
«Ben, raccontami la storia ancora una volta.» lo
pregò Margaret, con un
sospiro.
«Maggie, è inutile, te l’ho
già raccontata...».
«Ben...».
«Allora...» ricapitolò
l’ispettore, controvoglia, per l’ennesima volta
«Il
collega di Semir, Chris Ritter, che lavorava con lui da qualche mese,
si era
infiltrato nell’organizzazione criminale di cui Keller era a
capo; grazie a
questa operazione sotto copertura, l’autostradale aveva
ottenuto informazioni
sugli scambi che si sarebbero effettuati nelle settimane successive e
in
particolare su quelli a cui lo stesso Keller avrebbe presieduto.
L’autostradale
doveva passare le informazioni all’LKA, il caso era di loro
competenza, ma
all’imboscata parteciparono entrambe le squadre, dal momento
che la Engelhardt
aveva promesso completo supporto ai colleghi dell’altro
dipartimento e
l’operazione sotto copertura era stata svolta da un suo
agente. Quel giorno in
particolare lo scambio in programma era con alcuni trafficanti di droga
francesi. Appena prima che lo scambio avvenisse, però, uno
degli uomini di
Keller, che poi è rimasto ucciso durante il conflitto a
fuoco, si accorse della
presenza della polizia. Preso dal panico, Keller iniziò a
correre, dandosi alla
fuga. Corse verso la sua auto, parcheggiata a un centinaio di metri dal
luogo
esatto dello scambio, ma mentre gli altri agenti erano impegnati con i
francesi
e gli scagnozzi di Keller, Semir lo seguì e gli
intimò di fermarsi. Lui non lo
ascoltò, si nascose dietro l’auto e
iniziò a sparare. Per difendersi e per
evitare che potesse scappare, Semir rispose al fuoco, ma
mirò anche alle gomme dell’auto,
sotto la quale c’era una perdita di benzina, e la vettura
esplose. Aveva i
vetri oscurati, per cui Semir non immaginava che dentro
all’auto ci fossero una
donna e due bambine: aveva visto scendere solo Keller e il suo braccio
destro
dalla vettura giusto pochi minuti prima. Non sappiamo come mai avesse
portato
la moglie e le figlie allo scambio. Fatto sta che loro saltarono in
aria
davanti ai suoi occhi e ovviamente non ci fu assolutamente nulla da
fare per
salvarle. Semir venne sospeso dal servizio in attesa del processo, che
poi
confermò che lui non avrebbe potuto immaginare
che...».
«Ripetimi cosa ha detto Keller a Semir dopo
l’esplosione, ti ricordi le parole
esatte?» chiese ancora Maggie, annotando qualche frase su un
block notes.
«“Io ti distruggerò, vedrai la tua vita
crollare. Fosse l’ultima cosa che
faccio.”».
La ragazza annuì, piano.
«Semir mi ha anche detto di aver scoperto in seguito che
Keller dovesse essere
davvero molto legato alla moglie e alle bambine, in un modo viscerale.
Ha detto
di aver visto vera disperazione nei suoi occhi, quel giorno.»
aggiunse Ben,
ricordando le parole dell’amico.
«Bene.» si intromise la Kruger, rimasta fino a quel
momento testimone muta del
racconto «Maier, lei come si comporterebbe se fosse al posto
di Keller?».
La domanda lasciò Margaret leggermente sorpresa
«Io... io non...».
«Abbiamo bisogno che lei provi a entrare nella mente di
quest’uomo.» ribadì
Kim, con decisione «Non abbiamo tracce concrete, per cui
dobbiamo almeno
provare a intuire come abbia intenzione di muoversi. Lei che cosa
farebbe? Che
cosa vorrebbe da Gerkhan?».
La
porta della grande stanza si
aprì con un cigolio e Semir e Andrea alzarono di scatto la
testa, portando lo
sguardo verso l’entrata.
Sulla soglia apparve Keller con la piccola Lily in braccio, che aveva
un’espressione a dir poco terrorizzata.
«Oddio.» fece Andrea, sgranando gli occhi
«Lily, amore mio, va tutto bene. Stai
bene, amore?».
La bambina annuì, spaesata.
Keller non sembrò curarsi di nulla, fece sedere la bambina
per terra e la legò
vicino alla mamma, senza che la piccola provasse nemmeno a ribellarsi,
tanto
era impaurita.
Andrea sorrise alla figlia tentando di rassicurarla. Avrebbe voluto
abbracciarla, ma legata com’era sarebbe stato impossibile.
Un istante dopo, la donna bionda che Semir aveva inseguito in macchina
giorni
prima varcò la soglia della stanza, tenendo Aida per mano e
trascinandola
letteralmente vicino alla sorella. Gridava, cercava di dimenarsi dalla
presa
della donna con tutta la forza che aveva in corpo. Ma lei la
strattonò con
noncuranza e la legò accanto alla più piccola.
«Papà! Mamma!» gridò la
bambina, vedendo i suoi genitori legati, ma non ebbe il
tempo di aggiungere altro perché la donna bionda
strappò due pezzi di nastro
isolante e li attaccò sopra la bocca delle bambine,
obbligandole a tacere.
«Aida, Lily, state tranquille.» disse Semir, mentre
il cuore ricominciava a
battere all’impazzata «State
tranquille...».
«Perché le hai portate qua, che cosa vuoi
fare?» fece poi, rivolto verso
Keller, mentre la rabbia e la paura montavano in lui a livelli
incredibili.
«Non ti preoccupare di questo, Gerkhan, non ora.»
rispose l’uomo, con una certa
vena sarcastica nella voce.
Lanciò un’occhiata alla donna bionda che, tornata
accanto alla porta, stava in
piedi e osservava, a braccia conserte, con un sorriso beffardo dipinto
sul
volto. Poi tornò a rivolgersi al suo prigioniero.
«Ora voglio che tu lo ammetta. Voglio che tu ammetta che
è stata colpa tua,
voglio che tu ammetta di averle uccise.».
«Io...
forse vorrei che Semir
ammettesse di aver ucciso la mia famiglia.»
mormorò Maggie, infine «A volte le
persone hanno bisogno di sentir dire dal carnefice
che li ha privati di qualcosa ciò che effettivamente questa
persona ha fatto. Questa
confessione permette loro di
sentirsi
meno in colpa per ciò che faranno loro stessi alla persona
su cui hanno scelto
di vendicarsi.».
«Quindi Keller vorrà che Semir ammetta di aver
ucciso sua moglie e le sue
figlie.» ripeté la Kruger, pensierosa.
«Sì, è probabile...».
«Ammettilo...»
sibilò Keller,
vicino al viso del suo prigioniero.
«Dimmi perché hai portato qui le
bambine.» fu la risposta secca del poliziotto.
Non voleva rispondere alle domande di quel pazzo, voleva che fosse lui
a
rispondere alle sue. Ma Keller non lo avrebbe accettato.
Semir non vide nemmeno la mano arrivare, sentì solo il colpo
e si ritrovò il
labbro inferiore spaccato a metà e sanguinante. Chiuse un
attimo gli occhi per
riprendersi dal colpo che lo aveva sorpreso.
«Ammetti di averle uccise.» scandì
Keller, con un tono che non avrebbe ammesso
altre repliche.
«Perché poi tu
ti possa sentire meno
in colpa?» fece Semir, guardandolo negli occhi
«Scordatelo.».
Il pugno che gli arrivò dritto nello stomaco gli tolse il
respiro.
«Bambine, non guardate... non guardate...»
mormorò Andrea, con le lacrime agli
occhi, sperando con tutto il cuore che le figlie la ascoltassero.
Ma Aida non aveva alcuna intenzione di fare come aveva detto la mamma:
rimaneva
invece con gli occhi sbarrati, terrorizzata.
«Pensi... pensi che questo... cambierà le
cose?» ansimò Semir, sempre
sostenendo lo sguardo dell’uomo che aveva di fronte
«Non è stata colpa mia, ma
solo... solo tua...».
«Maledetto bugiardo.» gridò Keller,
ormai completamente fuori di sé. Era
impressionante come passasse dall’essere incredibilmente
calmo all’essere folle
nel giro di pochi istanti.
«Spero che tu non abbia il coraggio di ripeterlo,
Gerkhan.» gli intimò.
Ma Semir non aveva alcuna intenzione di cedergli.
«Te lo ripeto, Keller: è stata solo colpa
tua.».
Questa volta fu lui a scandire bene ogni sillaba in faccia al criminale.
La scarica di pugni che ne seguì, però, lo fece
pentire di aver pronunciato
quella frase.
Mentre l’uomo lo colpiva sperò solo che le bambine
non stessero guardando.
«Le hai uccise... tu le hai ammazzate! Io le amavo e tu le
hai ammazzate!»
continuò a gridare Keller, rosso in volto, ora girando per
la stanza in preda a
una specie di crisi isterica «Le mie bambine sono morte per
colpa tua,
maledetto bastardo assassino!».
La donna bionda, in disparte, guardava a braccia conserte e sorrideva.
Ad Andrea, in quelle condizioni, Keller faceva ancora più
paura.
Mentre lui continuava a gridare e a inveire, Lily era scoppiata a
piangere,
mentre Aida era sbiancata e non distoglieva mai gli occhi dal
papà, che appeso
per i polsi a quella sbarra e con i piedi legati a terra, lottava ogni
secondo
di più per mantenere la lucidità.
«Vigliacco...» mormorò lui
tutt’a un tratto, tanto piano che Keller non capì
che cosa avesse detto.
Si avvicinò scattosamente e lo costrinse ad alzare lo
sguardo.
«Ripeti.» ordinò.
«Sei... sei solo un vigliacco... solo un maledetto
vigliacco.» scandì Semir,
con il poco fiato che gli rimaneva in corpo.
Keller si trattenne solo perché pensava che se avesse
sfogato ancora la sua
rabbia su di lui l’avrebbe ucciso in quell’esatto
istante.
Per astenersi dal farlo, istintivamente, strinse i pugni fino a farsi
male e
arretrò di due passi, allontanandosi dal suo bersaglio.
Semir respirava affannosamente, le gambe non gli reggevano. Se non
fosse stato
per i polsi legati sopra alla propria testa, sarebbe crollato a terra.
Ma non smise di sostenere il suo sguardo.
Pochi
minuti dopo, Ben, Maggie e
la Kruger si trovavano in macchina.
Hartmut li aveva finalmente chiamati, dicendo di aver analizzato il
terriccio
il più velocemente possibile.
Non si era dilungato nella spiegazione di procedure scientifiche che i
poliziotti non avrebbero potuto comprendere, sapeva che la situazione
fosse
estremamente grave e che non fosse affatto il momento di scherzare.
Aveva spiegato loro di aver trovato del materiale contenente frammenti
di un
tipo particolare di ghiaia, di cui poco fuori Colonia si trovava una
cava.
Non appena ricevute le coordinate del luogo, Kim e Ben si erano
precipitati in
macchina e Margaret aveva insistito per andare con loro.
Ben aveva il cuore in gola: la possibilità di ritrovare il
suo socio lo faceva
sperare, ma non sapeva in che condizioni lo avrebbe trovato o, peggio,
in che
condizioni avrebbe trovato la sua famiglia. E questo lo terrorizzava.
Guidando altamente oltre i limiti consentiti, raggiunse la cava in poco
più di venti
minuti.
Ma quando i tre scesero dalla vettura, ebbero fin da subito la
sensazione di
essere nel posto sbagliato.
Sarebbe stato troppo facile.
Trovarono una monovolume nera abbandonata, all’interno un
paio di scarponi
sporchi di ghiaia.
Ma nessun’anima viva.
Dopo una rapida perlustrazione, richiamarono Hartmut perché
andasse ad
analizzare l’auto, poi si diressero nuovamente verso la
Mercedes di Ben con la
quale erano arrivati.
«Lo sapevo.» mormorò
l’ispettore, amareggiato «Lo sapevo, Keller non fa
questi
errori.».
Mise in moto, con sguardo cupo.
«Li troveremo, Jager.» disse la Kruger, risoluta.
«Maier.» fece poi rivolta a Margaret
«Dopo aver fatto ammettere il delitto a
Gerkhan, che cosa farebbe lei al posto di Keller?».
«Quell’uomo è ossessionato dalla
vendetta, commissario.» rispose la psicologa,
con voce flebile ma al tempo stesso con tono deciso «Non ha
mai superato la
morte della famiglia. Io credo... credo che se fossi in lui vorrei che
Semir
soffrisse tanto quanto ho sofferto io.».
«Hai
ancora il coraggio di
guardarmi negli occhi e dirmi che sono un vigliacco, quindi.»
sibilò Keller,
tentando di contenere il più possibile la propria rabbia,
che però era evidente.
Semir continuò a guardarlo, non rispose. Sentiva il gusto
metallico del sangue
in bocca e la testa gli girava. Le corde che aveva legate ai polsi, che
ormai
da sole sostenevano tutto il suo peso, gli stavano lacerando la pelle.
«Ma non temere, non ti farò più niente,
non mi sfogherò più in questo modo,
avevo solo bisogno di scaricare la tensione. Non sarà
così semplice e immediata
la tua fine.» continuò l’uomo, ora fermo
a pochi centimetri da lui «Tu
soffrirai. Mi pregherai. Desidererai morire. Ma non morirai...
perché io e te
sopravviviamo, Gerkhan, è questo il nostro
Inferno.».
Il silenzio era interrotto solo dai singhiozzi di Lily, che alle
orecchie del
poliziotto arrivavano ovattati.
Keller si avviò deciso verso la porta, ma poi si
fermò sulla soglia,
rivolgendosi ancora un’ultima volta al suo prigioniero
«Intanto ti do un
compito per la notte, Gerkhan. Comincia a pensare a chi rinunceresti
tra il tuo
migliore amico e la tua famiglia, domani sarò curioso di
conoscere la risposta.».
Poi, con una risata, lasciò la stanza.
Lo stesso fece anche la donna bionda, dopo aver strappato lo scotch
dalla bocca
di entrambe le bambine.
«Gridate quanto volete, intanto qui non può
sentirvi nessuno.» aveva sibilato,
prima di sparire e chiudersi la porta alle spalle.
«Semir...»
mormorò Andrea quando
furono soli, trattenendo a stento le lacrime.
Il poliziotto sollevò debolmente la testa, per incontrare lo
sguardo della
moglie «Non... non ti preoccupare... va tutto
bene...» sussurrò, a fatica.
«Papà!» esclamò Aida. Aveva
la voce terrorizzata, ma ferma. Non piangeva.
«Papà, stai tanto male?» chiese, temendo
la risposta.
Ma la risposta non arrivò.
Semir udì a malapena la moglie che consolava le bambine,
dicendo loro che papà
si sarebbe ripreso presto, che stava bene.
Poi il buio piombò su di lui.
Eeeh
basta, adesso giuro che non gli
farò più niente, toccherà a
qualcun altro, il che potrebbe anche spaventarvi...
Minacce
a parte, ho saltato una settimana, lo so, per questioni di
indecisione.
Sono stata indecisa per un po’ sul proseguo della storia:
è finita da mesi,
ormai, ma non sapevo se renderla un po’ più
leggerina o meno prima di
pubblicarla. Come potete immaginare, alla fine ho scelto di non farlo.
La manterrò
come la mia mente malata l’ha voluta in origine, spero che
non mi odierete
troppo troppo per ciò che accadrà.
Grazie
sempre a chi mi segue e soprattutto a chi recensisce, grazie,
grazie,
grazie!
A
presto,
Sophie