Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: sophie97    18/03/2018    3 recensioni
“Ho subìto un danno. Le persone danneggiate sono pericolose. Sanno di poter sopravvivere... È la sopravvivenza che le rende tali... perché non hanno pietà. Sanno che gli altri possono sopravvivere, come loro.” (Il danno, 1992)
14 Novembre, Colonia, un giorno grigio come tanti.
Una storia che comincia come una storia qualsiasi, con un istante di vita. Rapporti incrinati, il riemergere di un passato che fa paura, una serie di piccoli, fatali errori compiuti uno dopo l’altro, fino alla rovina. Fino a quando non si smette di vivere, per iniziare a sopravvivere.
Storia che nulla ha a che fare con la mia serie ancora in corso; storia triste e drammatica, ne sono consapevole. Ma mi piacerebbe ugualmente condividerla con voi.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andrea Schafer, Ben Jager, Nuovo personaggio, Semir Gerkan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dal capitolo precedente:

«Papà!» esclamò Aida. Aveva la voce terrorizzata, ma ferma. Non piangeva.
«Papà, stai tanto male?» chiese, temendo la risposta.
Ma la risposta non arrivò.
Semir udì a malapena la moglie che consolava le bambine, dicendo loro che papà si sarebbe ripreso presto, che stava bene.
Poi il buio piombò su di lui.

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GIORNO 14.

«Papà!» gridò Aida, notando che il padre aveva sollevato la testa verso di loro.
In realtà aveva ripreso conoscenza già da qualche minuto, ma era rimasto in silenzio, valutando la situazione e osservando Andrea che, sottovoce, continuava a consolare la bambina più grande, mentre Lily aveva ceduto alla stanchezza e si era addormentata.
«Semir, grazie al Cielo, stai bene?» si preoccupò Andrea, alzando immediatamente lo sguardo verso il marito legato dall’altra parte della stanza.
«Sì.» fece lui, guardandosi i polsi che avevano iniziato a sanguinare a causa della forza con cui le corde li stringevano «Quanto tempo è passato?».
«Non lo so...».
Il turco annuì, osservando l’enorme ambiente in cui si trovavano. In fondo alla stanza c’era un’apertura nel muro, grande quasi tanto quanto una finestra, dalla quale l’aria gelida di fine novembre penetrava all’interno. Da quell’apertura poteva scorgere una fetta di cielo nero, senza stelle. Era notte fonda.
«Andrea, dobbiamo pensare a qualcosa.».
«Sei sicuro di stare bene? Hai qualcosa di rotto?».
A Semir faceva male il torace, i pugni di Keller dovevano avergli fratturato una o due costole. Quando respirava, poi, il dolore diventava più acuto e insopportabile. Ma provò a non farci caso.
«No, sto bene. Ma dobbiamo fare qualcosa.».
Andrea provò a muovere i polsi, che però erano saldamente tenuti insieme da nodi che sarebbe stato impossibile sciogliere autonomamente.
«Io credo... credo che Ben ci troverà.» mormorò, provando a concretizzare nella propria mente quella flebile speranza.
«Sì, zio Ben ci trova, non è vero papà?» si intromise Aida, con voce candida.
«Aida, cucciolo, prova a dormire un po’ come tua sorella...» le disse il poliziotto, guardandola negli occhi «Dammi retta, riposati, intanto io e la mamma pensiamo a una soluzione.».
«Non voglio dormire.» rispose la bambina, risoluta.
Semir sospirò, ma comprendeva appieno l’agitazione della figlia.
Poi tornò a rivolgersi alla moglie «Andrea, Ben non ci troverà. Keller non è uno sprovveduto, non avrà lasciato tracce e... quella donna, lei ha anche sparato a Dieter dopo avermi preso, davanti a casa. Spero che stia bene...».
«E invece tu ti devi fidare, Ben ci troverà.» affermò la donna, con decisione. Ma poi, immediatamente, le tornarono in mente le parole che aveva pronunciato Keller appena qualche ora prima.
«Ma se... se dovrai scegliere...».
«Non dovrò scegliere, non posso scegliere...» sussurrò Semir, scuotendo il capo «Non posso scegliere...».

Semir e Andrea non sapevano quante ore fossero trascorse quando, finalmente, cominciò ad albeggiare. Ore di silenzio durante le quali entrambi avevano cercato una soluzione che potesse condurli alla fuga, senza giungere però ad alcun risultato.
Aida si era finalmente addormentata ed entrambe le bambine dormivano quando Keller entrò nella stanza, spalancando la porta e facendo balzare a Semir il cuore in gola.
«Nuovo giorno, Gerkhan, sei pronto?» sussurrò con un ghigno, rivolto all’ispettore, senza degnare di uno sguardo né Andrea né le bambine, che cominciavano ad agitarsi nel sonno.
«Ripreso da ieri? Hai riposato?» continuò, beffardo.
L’ispettore non rispose, altrimenti lo avrebbe insultato, e non era nelle condizioni di poterlo fare.
«Non rispondi eh? Credevo fossi più di buona compagnia.».
Poi l’uomo si rivolse alla donna bionda, che era entrata appena dietro di lui, con una bottiglia d’acqua tra le mani.
«Kate, dai da bere alle mocciose e alla donna, non mi serve che muoiano disidratate.».
Lei fece come le era stato ordinato, svegliando le bambine senza troppe cortesie e facendo bere loro dalla bottiglia.
«Hai visto, Gerkhan?» fece Keller, tornando a rivolgersi al poliziotto «Io sono gentile con la tua famiglia, non trovi?».
«Quanto deve andare avanti questa farsa, Keller?».
L’uomo piegò le labbra in una specie di sorriso.
«Allora ti è tornata la voce. In fondo siete miei ospiti da poco più di tre giorni, Gerkhan. Ti sembra tanto? Eppure io avevo detto che la tua agonia sarebbe stata lenta, non vedo come mai tu ne sia sorpreso.».
Semir sentì l’impulso fortissimo a provare a liberarsi da quelle corde per mettergli le mani al collo, ma sapeva che non ci sarebbe mai riuscito. E i polsi ormai gli facevano troppo male, sarebbe stato inutile continuare a lacerarsi la pelle: quei nodi non si sarebbero sciolti comunque.
«Vediamo, Gerkhan... quali sono i primi effetti della mia vendetta? Perché si sentono già i primi effetti, non è così?» domandò Keller, con voce viscida, girando attorno al suo prigioniero.
Nel frattempo le bambine si erano svegliate completamente, ma Kate non aveva dovuto sigillare loro le labbra con lo scotch: erano entrambe talmente spaventate che non osavano piangere o proferire parola.
«Di che cosa stai parlando?» fu la stanca risposta di Semir.
L’evaso rise.
«I primi effetti, Gerkhan. Il senso di colpa, per esempio. Il senso di colpa per aver messo nei guai la tua famiglia, il senso di colpa per non essere riuscito a proteggere le tue bambine. Magari anche quello per aver trascorso così poco tempo accanto a tua moglie negli ultimi mesi, dal momento che ora sai che non ne avrete più, di tempo... Allora, ho ragione? I primi effetti cominciano a farsi sentire?».
«Sei un folle.».
«Se sono un folle è perché tu mi hai reso tale.» continuò l’uomo «Ripensandoci dovresti avere anche questo sulla coscienza.».
«Fino a dove vuoi arrivare, Keller?» fece Semir, senza smettere di guardarlo negli occhi.
«Domanda interessante.» ribatté Friedrich, con voce tranquilla «Tu fino a dove pensi che io possa arrivare? Rispondimi, Gerkhan... secondo te, quanto può arrivare a sopportare un uomo? Quanto credi di poter sopportare?».
«Tu stai vaneggiando.».
«La mia è una domanda semplice, sbirro, ed è la risposta a quella  che mi hai posto tu. Io arriverò fino alla fine.».
«Non conosci il proverbio?» replicò Semir «Prima di cominciare una vendetta, preparati a scavare due tombe. Non lo conosci?».
«Per ora, Gerkhan, non credo tu sia in grado di farmi finire dentro a una tomba. Complimenti per lo spirito, ma ora spetta a me il coltello dalla parte del manico.».
L’ispettore sospirò. Sperò solo che quell’uomo uscisse dalla stanza, che se ne andasse, che non facesse del male ad Andrea o alle bambine.
E infatti non le toccò.
Si limitò a fissarlo negli occhi e a porgli una domanda.
«Voglio che tu mi dica chi sceglieresti di salvare tra Ben Jager e tua moglie se avessi una sola possibilità di scelta. Dimmelo, Gerkhan, sono curioso. Dimmelo ora.».

 

Ben sbatté con violenza i due pugni chiusi contro il muro, facendosi male alle nocche delle dita.
E lo fece ancora, ancora e ancora, fino a quando Margaret non lo raggiunse e lo obbligò a fermarsi, a voltarsi verso di lei, a guardarla.
«Ben, calmati...».
Il ragazzo si lasciò cadere seduto sulla sedia, scuotendo il capo. I pugni ancora serrati.
«Calmati, li troveremo.».
«Maggie, sono tre giorni che me lo ripeti!» sbottò lui, alzando la voce senza nemmeno rendersene conto «Sono passati tre giorni e nemmeno l’LKA ha fatto un minimo passo in avanti. Potrebbe averli già sterminati tutti, potrebbero essere tutti morti!».
La psicologa sospirò piano e si sedette sulle ginocchia del poliziotto.
«Ben, ascoltami... perdere il controllo non serve a niente, lo sai anche tu. E poi io non credo che Keller li abbia uccisi, lui non vuole questo, non subito. Credimi...».
«Io ti credo Maggie, ma non li troveremo mai!».
Gli occhi di Ben erano colmi di apprensione.
La ragazza conosceva bene il rapporto che legava lui e il collega e comprendeva il suo stato d’animo. Eppure, non sapeva come aiutarlo.
«Non so da dove cominciare, non mi sono mai sentito così... inutile...» mormorò il giovane ispettore, cercando negli occhi di lei la speranza che in lui si era già dissolta «Semir sa sempre da dove cominciare e io da solo non riesco a fare niente.».
«Sai che non è così, Ben. Tu sei un ottimo poliziotto.».
«Semir al mio posto mi avrebbe già trovato.».
«Questo non puoi saperlo...».
«Sì, Maggie, è così!» quasi gridò lui, provando invano a contenere l’agitazione «Lui mi ha sempre protetto, sempre. Il primo giorno che abbiamo lavorato insieme... lui mi ha consigliato di non aiutarlo. Era appena morto un suo collega e lui mi ha detto che non avrei dovuto aiutarlo, che non avrei dovuto buttare all’aria in partenza una carriera brillante come quella che avrei potuto avere io. Capisci, Maggie? Era appena morto un suo amico e lui già si preoccupava per me, e nemmeno mi conosceva... e gli stavo anche antipatico...».
Ben si interruppe. Sorrise appena.
«A che cosa stai pensando?» domandò la ragazza, sorridendo a sua volta.
«Sai qual è la prima cosa che gli ho detto, Maggie?».
Margaret scosse il capo, invitandolo a continuare.
«La prima cosa che gli ho detto quando ci siamo conosciuti, prima ancora di sapere che sarebbe stato il mio collega, è stata che erano passati un bel po’ di annetti dalla fotografia che aveva sul tesserino di riconoscimento.».
Maggie scoppiò a ridere e anche Ben rise, ma lei notò che il ragazzo aveva gli occhi leggermente lucidi.
«E poi abbiamo iniziato a darci del tu senza nemmeno accorgercene, litigando. Non dimenticherò mai quel giorno. Ma ora lui ha bisogno di me e io non so come aiutarlo...».

 

Sul viso di Semir si dipinse la paura.
«Non puoi chiedermi questo.».
«Veramente l’ho appena fatto, Gerkhan. Non è difficile, chi sceglieresti di salvare?».
Il poliziotto non rispose.
Sentì il cuore che nuovamente accelerava i battiti e si chiese che cosa mai avrebbe potuto fare. Sapeva perfettamente che quella di Keller non fosse una banale curiosità.
«Allora?» lo incalzò l’uomo, avvicinandosi a lui «Hai perso la tua loquacità per caso?».
Semir continuò a non fiatare.
«Non vorrai che sia io a decidere, non è vero?».
«Non puoi...» mormorò l’ispettore, con voce a mala pena udibile.
«Posso, invece. E sai come?».
Keller rise, estrasse la pistola, la puntò su Andrea.
Lei lo guardò terrorizzata, sperando che le figlie avessero chiuso gli occhi.
«Così. Posso premere il grilletto.».
«No...».
«No?».
«Lasciala stare.» lo pregò Semir, ordinando alla propria voce di non tremare.
«Non basta questo, Gerkhan. Voglio sentirtelo dire. Abbi il coraggio di dire che sacrificheresti il tuo migliore amico. Che preferiresti la sua morte a quella di tua moglie.».
Il poliziotto ripiombò nel silenzio.
Passò un minuto, forse, prima che Keller decidesse che il tempo fosse scaduto.
Tolse la sicura.
«Come vuoi, allora.» sibilò, avvicinandosi ad Andrea.
Poi posò il dito sul grilletto.

«Fermo!» gridò Semir, con forza «Fermati...».
«Dillo, Gerkhan.» intimò ancora l’uomo, senza accennare ad abbassare la pistola «Dillo o la ammazzo.».
«Io...».
«Dillo.».
«Io sceglierei... sceglierei di salvare la mia famiglia. Sempre...».
Keller annuì. Rimise a posto la pistola, si mise a ridere.
«Non avevo dubbi.» commentò.
Semir strinse i pugni talmente forte da ferirsi i palmi delle mani.
«Peccato, quel ragazzo sembrava simpatico.» disse ancora l’evaso, con una smorfia «Comunque sia, so dove trovarlo.» aggiunse, dirigendosi verso la porta.
«Aspetta... Ben non ti ha fatto niente... ti prego...» balbettò Semir, sperando di fermarlo.
«Infatti... ma tu sì.» ribadì l’uomo.
«Kate! Si va in centro, a Colonia.» annunciò, ad alta voce.
Poi, seguito dalla donna, aprì la porta e uscì dalla stanza.

«Papà...».
La voce di Aida era terrorizzata.
«Papà... che cosa fanno a Ben?».
Lo sarebbero andati a cercare. Lo avrebbero trovato. Lo avrebbero ucciso. Tutto per colpa sua.
Ma Semir non avrebbe mai potuto dire questo alla figlia. Avrebbe voluto gridare, sfogarsi, disperarsi perché il suo migliore amico era in pericolo a causa sua e lui non avrebbe potuto avvisarlo, ma non lo fece. Non fece niente di tutto ciò.
«Niente cucciolo, non ti preoccupare. Lo zio Ben sta bene.» mormorò, provando a essere convincente agli occhi della figlia e nel frattempo cercando aiuto nello sguardo della moglie.
«Sì tesoro, papà ha ragione.» replicò Andrea, rivolta alla bambina «Non ti preoccupare per Ben, va bene?».
Aida annuì poco convinta.
Andrea le sorrise dolcemente e diresse poi uno sguardo preoccupato verso il marito: si chiese dove Keller volesse arrivare e fino a dove lui, effettivamente, avrebbe retto. In quel momento, gli sembrava l’uomo più fragile sulla faccia della Terra.

 

«Io non capisco...» continuò ad agitarsi Ben «Davvero non comprendo quale sia il senso di tutta questa storia.».
«Vuole vendicarsi, lo sai.» ribadì Margaret, provando per quanto possibile a tenere a freno l’ira dell’ispettore.
«Sì, certo, ma non capisce che questo non risolverà nulla? Che non riavrà la sua famiglia in questo modo?».
«Ben... quell’uomo ha perso tutto.» scandì lei, con calma «Gli sono morte le sue bambine e la moglie che amava davanti agli occhi... non possiamo nemmeno immaginare che peso sia questo da sopportare.».
«Non lo starai giustificando, spero.».
«Non lo giustifico.» continuò Maggie «Ma provo a immedesimarmi nel suo dolore. Quell’uomo è rimasto solo e nessuno lo ha aiutato a metabolizzare ciò che gli è successo. Ha visto morire la sua famiglia e un attimo dopo si è ritrovato in carcere e lì è rimasto per sette anni. Pensaci, Ben... non so quanti uscirebbero sani di mente da questa situazione.».
«Scusa, ma come vittima proprio non riesco a considerarlo.» commentò Ben, lapidario. La mascella serrata, le mani aperte e appoggiate sulla scrivania, quasi dovessero farla sprofondare.
«Se io impazzissi, se non riuscissi a sopportare la perdita della mia famiglia, magari penserei al suicidio, non sterminerei le famiglie altrui.».
«Certo, Ben, ma tu parli da persona sana ed equilibrata a cui non è mai capitato niente di così drammatico. Dovresti provare a spostare il tuo punto di vista...».
«Io me ne frego del suo punto di vista!» sbottò il poliziotto, alzandosi di scatto dalla sedia «Se avesse rivolto il suo squilibrio su se stesso e si fosse ammazzato ci avrebbe tolto tanti problemi.».
«Ben...».
«Io torno a casa di Semir, magari qualcosa è sfuggito a quelli della scientifica.».
«Vuoi che venga con te?» gli chiese la ragazza, in un bisbiglio.
Ma lui era già sparito.

«Andrea... se... se gli succede qualcosa...» balbettò Semir, in un sussurro.
La donna dall’altra parte della stanza sospirò, piano.
Lanciò un’occhiata a Lily che si era riaddormentata sulla spalla di Aida, mentre la più grande teneva gli occhi chiusi, ma Andrea non era sicura che dormisse.
«Semir, devi mantenere il sangue freddo.» disse, sottovoce ma in modo che il marito a qualche metro di distanza la potesse sentire «Keller vuole esattamente questo, vuole farti credere che tutto attorno a te stia crollando e che tu sia la causa di tutto. Non puoi credergli, okay?».
«Lo ucciderà... ucciderà Ben...».
«Semir, ti prego...».
«Andrea, mi dispiace così tanto... Io non pensavo che... tu avevi ragione, hai sempre avuto ragione e io non ti ho ascoltato. Vi ho messo in pericolo e ora non posso fare niente... non posso fare niente...».
La voce dell’ispettore era disperata. Questa volta non riusciva a mantenere la calma, non riusciva a gestire la paura, sentiva che non sarebbe stato fortunato come sempre. Sentiva che sarebbe andato tutto storto, che avrebbe perso tutto. Avrebbe perso ogni cosa.

 

Ben parcheggiò la Mercedes sotto all’abitazione sicura in cui si erano trasferiti Andrea e Semir prima di essere rapiti. L’area era ancora transennata, ma totalmente deserta.
Scese dalla macchina, accorgendosi solo in quel momento di quanto avesse tenuto stretto il volante durante tutto il tragitto.
Chiuse la portiera e si diresse verso l’entrata della casa, già intuendo che l’ennesima sua perquisizione si sarebbe conclusa con un nulla di fatto.
Si bloccò sulla soglia, udendo un rumore.
Un fruscio alle sue spalle. Poi un rumore ritmico che si faceva sempre più vicino.
Portò la mano alla fondina e si voltò.

 

Keller si diverte assai e altri guai sono in vista, mentre Ben si dispera alla ricerca di una soluzione che non riesce a raggiungere...
Grazie a chi segue in silenzio e... Reb, Chiara, MaryS5, non smetterò mai di ringraziarvi!
Sophie

  
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