Dal capitolo precedente:
«Papà!»
esclamò Aida. Aveva la
voce terrorizzata, ma ferma. Non piangeva.
«Papà, stai tanto male?» chiese, temendo
la risposta.
Ma la risposta non arrivò.
Semir udì a malapena la moglie che consolava le bambine,
dicendo loro che papà
si sarebbe ripreso presto, che stava bene.
Poi il buio piombò su di lui.
GIORNO 14.
«Papà!»
gridò Aida, notando che il
padre aveva sollevato la testa verso di loro.
In realtà aveva ripreso conoscenza già da qualche
minuto, ma era rimasto in
silenzio, valutando la situazione e osservando Andrea che, sottovoce,
continuava a consolare la bambina più grande, mentre Lily
aveva ceduto alla
stanchezza e si era addormentata.
«Semir, grazie al Cielo, stai bene?» si
preoccupò Andrea, alzando
immediatamente lo sguardo verso il marito legato dall’altra
parte della stanza.
«Sì.» fece lui, guardandosi i polsi che
avevano iniziato a sanguinare a causa
della forza con cui le corde li stringevano «Quanto tempo
è passato?».
«Non lo so...».
Il turco annuì, osservando l’enorme ambiente in
cui si trovavano. In fondo alla
stanza c’era un’apertura nel muro, grande quasi
tanto quanto una finestra,
dalla quale l’aria gelida di fine novembre penetrava
all’interno. Da
quell’apertura poteva scorgere una fetta di cielo nero, senza
stelle. Era notte
fonda.
«Andrea, dobbiamo pensare a qualcosa.».
«Sei sicuro di stare bene? Hai qualcosa di rotto?».
A Semir faceva male il torace, i pugni di Keller dovevano avergli
fratturato
una o due costole. Quando respirava, poi, il dolore diventava
più acuto e
insopportabile. Ma provò a non farci caso.
«No, sto bene. Ma dobbiamo fare qualcosa.».
Andrea provò a muovere i polsi, che però erano
saldamente tenuti insieme da
nodi che sarebbe stato impossibile sciogliere autonomamente.
«Io credo... credo che Ben ci troverà.»
mormorò, provando a concretizzare nella
propria mente quella flebile speranza.
«Sì, zio Ben ci trova, non è vero
papà?» si intromise Aida, con voce candida.
«Aida, cucciolo, prova a dormire un po’ come tua
sorella...» le disse il
poliziotto, guardandola negli occhi «Dammi retta, riposati,
intanto io e la
mamma pensiamo a una soluzione.».
«Non voglio dormire.» rispose la bambina, risoluta.
Semir sospirò, ma comprendeva appieno l’agitazione
della figlia.
Poi tornò a rivolgersi alla moglie «Andrea, Ben
non ci troverà. Keller non è
uno sprovveduto, non avrà lasciato tracce e... quella donna,
lei ha anche
sparato a Dieter dopo avermi preso, davanti a casa. Spero che stia
bene...».
«E invece tu ti devi fidare, Ben ci
troverà.» affermò la donna, con
decisione.
Ma poi, immediatamente, le tornarono in mente le parole che aveva
pronunciato
Keller appena qualche ora prima.
«Ma se... se dovrai scegliere...».
«Non dovrò scegliere, non posso
scegliere...» sussurrò Semir, scuotendo il capo
«Non posso scegliere...».
Semir
e Andrea non sapevano
quante ore fossero trascorse quando, finalmente, cominciò ad
albeggiare. Ore di
silenzio durante le quali entrambi avevano cercato una soluzione che
potesse
condurli alla fuga, senza giungere però ad alcun risultato.
Aida si era finalmente addormentata ed entrambe le bambine dormivano
quando
Keller entrò nella stanza, spalancando la porta e facendo
balzare a Semir il
cuore in gola.
«Nuovo giorno, Gerkhan, sei pronto?»
sussurrò con un ghigno, rivolto
all’ispettore, senza degnare di uno sguardo né
Andrea né le bambine, che cominciavano
ad agitarsi nel sonno.
«Ripreso da ieri? Hai riposato?»
continuò, beffardo.
L’ispettore non rispose, altrimenti lo avrebbe insultato, e
non era nelle
condizioni di poterlo fare.
«Non rispondi eh? Credevo fossi più di buona
compagnia.».
Poi l’uomo si rivolse alla donna bionda, che era entrata
appena dietro di lui,
con una bottiglia d’acqua tra le mani.
«Kate, dai da bere alle mocciose e alla donna, non mi serve
che muoiano
disidratate.».
Lei fece come le era stato ordinato, svegliando le bambine senza troppe
cortesie e facendo bere loro dalla bottiglia.
«Hai visto, Gerkhan?» fece Keller, tornando a
rivolgersi al poliziotto «Io sono
gentile con la tua famiglia, non trovi?».
«Quanto deve andare avanti questa farsa, Keller?».
L’uomo piegò le labbra in una specie di sorriso.
«Allora ti è tornata la voce. In fondo siete miei
ospiti da poco più di tre
giorni, Gerkhan. Ti sembra tanto? Eppure io avevo detto che la tua
agonia
sarebbe stata lenta, non vedo come mai tu ne sia sorpreso.».
Semir sentì l’impulso fortissimo a provare a
liberarsi da quelle corde per
mettergli le mani al collo, ma sapeva che non ci sarebbe mai riuscito.
E i
polsi ormai gli facevano troppo male, sarebbe stato inutile continuare
a
lacerarsi la pelle: quei nodi non si sarebbero sciolti comunque.
«Vediamo, Gerkhan... quali sono i primi effetti della mia
vendetta? Perché si
sentono già i primi effetti, non è
così?» domandò Keller, con voce
viscida,
girando attorno al suo prigioniero.
Nel frattempo le bambine si erano svegliate completamente, ma Kate non
aveva
dovuto sigillare loro le labbra con lo scotch: erano entrambe talmente
spaventate che non osavano piangere o proferire parola.
«Di che cosa stai parlando?» fu la stanca risposta
di Semir.
L’evaso rise.
«I primi effetti, Gerkhan. Il senso di colpa, per esempio. Il
senso di colpa
per aver messo nei guai la tua famiglia, il senso di colpa per non
essere
riuscito a proteggere le tue bambine. Magari anche quello per aver
trascorso
così poco tempo accanto a tua moglie negli ultimi mesi, dal
momento che ora sai
che non ne avrete più, di tempo... Allora, ho ragione? I
primi effetti
cominciano a farsi sentire?».
«Sei un folle.».
«Se sono un folle è perché tu mi hai
reso tale.» continuò l’uomo
«Ripensandoci
dovresti avere anche questo sulla coscienza.».
«Fino a dove vuoi arrivare, Keller?» fece Semir,
senza smettere di guardarlo
negli occhi.
«Domanda interessante.» ribatté
Friedrich, con voce tranquilla «Tu fino a dove
pensi che io possa arrivare? Rispondimi, Gerkhan... secondo te, quanto
può
arrivare a sopportare un uomo? Quanto credi di poter
sopportare?».
«Tu stai vaneggiando.».
«La mia è una domanda semplice, sbirro, ed
è la risposta a quella
che mi hai posto tu. Io arriverò fino alla
fine.».
«Non conosci il proverbio?» replicò
Semir «Prima
di cominciare una vendetta, preparati a scavare due tombe.
Non lo
conosci?».
«Per ora, Gerkhan, non credo tu sia in grado di farmi finire
dentro a una
tomba. Complimenti per lo spirito, ma ora spetta a me il coltello dalla
parte
del manico.».
L’ispettore sospirò. Sperò solo che
quell’uomo uscisse dalla stanza, che se ne
andasse, che non facesse del male ad Andrea o alle bambine.
E infatti non le toccò.
Si limitò a fissarlo negli occhi e a porgli una domanda.
«Voglio che tu mi dica chi sceglieresti di salvare tra Ben
Jager e tua moglie
se avessi una sola possibilità di scelta. Dimmelo, Gerkhan,
sono curioso.
Dimmelo ora.».
Ben
sbatté con violenza i due
pugni chiusi contro il muro, facendosi male alle nocche delle dita.
E lo fece ancora, ancora e ancora, fino a quando Margaret non lo
raggiunse e lo
obbligò a fermarsi, a voltarsi verso di lei, a guardarla.
«Ben, calmati...».
Il ragazzo si lasciò cadere seduto sulla sedia, scuotendo il
capo. I pugni
ancora serrati.
«Calmati, li troveremo.».
«Maggie, sono tre giorni che me lo ripeti!»
sbottò lui, alzando la voce senza
nemmeno rendersene conto «Sono passati tre giorni e nemmeno
l’LKA ha fatto un
minimo passo in avanti. Potrebbe averli già sterminati
tutti, potrebbero essere
tutti morti!».
La psicologa sospirò piano e si sedette sulle ginocchia del
poliziotto.
«Ben, ascoltami... perdere il controllo non serve a niente,
lo sai anche tu. E
poi io non credo che Keller li abbia uccisi, lui non vuole questo, non
subito.
Credimi...».
«Io ti credo Maggie, ma non li troveremo mai!».
Gli occhi di Ben erano colmi di apprensione.
La ragazza conosceva bene il rapporto che legava lui e il collega e
comprendeva
il suo stato d’animo. Eppure, non sapeva come aiutarlo.
«Non so da dove cominciare, non mi sono mai sentito
così... inutile...» mormorò
il giovane ispettore, cercando negli occhi di lei la speranza che in
lui si era
già dissolta «Semir sa sempre da dove cominciare e
io da solo non riesco a fare
niente.».
«Sai che non è così, Ben. Tu sei un
ottimo poliziotto.».
«Semir al mio posto mi avrebbe già
trovato.».
«Questo non puoi saperlo...».
«Sì, Maggie, è
così!» quasi gridò lui, provando invano
a contenere l’agitazione
«Lui mi ha sempre protetto, sempre. Il primo giorno che
abbiamo lavorato
insieme... lui mi ha consigliato di non aiutarlo. Era appena morto un
suo
collega e lui mi ha detto che non avrei dovuto aiutarlo, che non avrei
dovuto
buttare all’aria in partenza una carriera brillante come
quella che avrei
potuto avere io. Capisci, Maggie? Era appena morto un suo amico e lui
già si
preoccupava per me, e nemmeno mi conosceva... e gli stavo anche
antipatico...».
Ben si interruppe. Sorrise appena.
«A che cosa stai pensando?» domandò la
ragazza, sorridendo a sua volta.
«Sai qual è la prima cosa che gli ho detto,
Maggie?».
Margaret scosse il capo, invitandolo a continuare.
«La prima cosa che gli ho detto quando ci siamo conosciuti,
prima ancora di
sapere che sarebbe stato il mio collega, è stata che erano
passati un bel po’
di annetti dalla fotografia che aveva sul tesserino di
riconoscimento.».
Maggie scoppiò a ridere e anche Ben rise, ma lei
notò che il ragazzo aveva gli
occhi leggermente lucidi.
«E poi abbiamo iniziato a darci del tu senza nemmeno
accorgercene, litigando.
Non dimenticherò mai quel giorno. Ma ora lui ha bisogno di
me e io non so come
aiutarlo...».
Sul
viso di Semir si dipinse la
paura.
«Non puoi chiedermi questo.».
«Veramente l’ho appena fatto, Gerkhan. Non
è difficile, chi sceglieresti di
salvare?».
Il poliziotto non rispose.
Sentì il cuore che nuovamente accelerava i battiti e si
chiese che cosa mai
avrebbe potuto fare. Sapeva perfettamente che quella di Keller non
fosse una
banale curiosità.
«Allora?» lo incalzò l’uomo,
avvicinandosi a lui «Hai perso la tua loquacità
per caso?».
Semir continuò a non fiatare.
«Non vorrai che sia io a decidere, non è
vero?».
«Non puoi...» mormorò
l’ispettore, con voce a mala pena udibile.
«Posso, invece. E sai come?».
Keller rise, estrasse la pistola, la puntò su Andrea.
Lei lo guardò terrorizzata, sperando che le figlie avessero
chiuso gli occhi.
«Così. Posso premere il grilletto.».
«No...».
«No?».
«Lasciala stare.» lo pregò Semir,
ordinando alla propria voce di non tremare.
«Non basta questo, Gerkhan. Voglio sentirtelo dire. Abbi il
coraggio di dire
che sacrificheresti il tuo migliore amico. Che preferiresti la sua
morte a
quella di tua moglie.».
Il poliziotto ripiombò nel silenzio.
Passò un minuto, forse, prima che Keller decidesse che il
tempo fosse scaduto.
Tolse la sicura.
«Come vuoi, allora.» sibilò,
avvicinandosi ad Andrea.
Poi posò il dito sul grilletto.
«Fermo!»
gridò Semir, con forza
«Fermati...».
«Dillo, Gerkhan.» intimò ancora
l’uomo, senza accennare ad abbassare la pistola
«Dillo o la ammazzo.».
«Io...».
«Dillo.».
«Io sceglierei... sceglierei di salvare la mia famiglia.
Sempre...».
Keller annuì. Rimise a posto la pistola, si mise a ridere.
«Non avevo dubbi.» commentò.
Semir strinse i pugni talmente forte da ferirsi i palmi delle mani.
«Peccato, quel ragazzo sembrava simpatico.» disse
ancora l’evaso, con una
smorfia «Comunque sia, so dove trovarlo.» aggiunse,
dirigendosi verso la porta.
«Aspetta... Ben non ti ha fatto niente... ti
prego...» balbettò Semir, sperando
di fermarlo.
«Infatti... ma tu sì.» ribadì
l’uomo.
«Kate! Si va in centro, a Colonia.»
annunciò, ad alta voce.
Poi, seguito dalla donna, aprì la porta e uscì
dalla stanza.
«Papà...».
La voce di Aida era terrorizzata.
«Papà... che cosa fanno a Ben?».
Lo sarebbero andati a cercare. Lo avrebbero trovato. Lo avrebbero
ucciso. Tutto
per colpa sua.
Ma Semir non avrebbe mai potuto dire questo alla figlia. Avrebbe voluto
gridare, sfogarsi, disperarsi perché il suo migliore amico
era in pericolo a
causa sua e lui non avrebbe potuto avvisarlo, ma non lo fece. Non fece
niente
di tutto ciò.
«Niente cucciolo, non ti preoccupare. Lo zio Ben sta
bene.» mormorò, provando a
essere convincente agli occhi della figlia e nel frattempo cercando
aiuto nello
sguardo della moglie.
«Sì tesoro, papà ha ragione.»
replicò Andrea, rivolta alla bambina «Non ti
preoccupare per Ben, va bene?».
Aida annuì poco convinta.
Andrea le sorrise dolcemente e diresse poi uno sguardo preoccupato
verso il
marito: si chiese dove Keller volesse arrivare e fino a dove lui,
effettivamente, avrebbe retto. In quel momento, gli sembrava
l’uomo più fragile
sulla faccia della Terra.
«Io
non capisco...» continuò ad
agitarsi Ben «Davvero non comprendo quale sia il senso di
tutta questa
storia.».
«Vuole vendicarsi, lo sai.» ribadì
Margaret, provando per quanto possibile a
tenere a freno l’ira dell’ispettore.
«Sì, certo, ma non capisce che questo non
risolverà nulla? Che non riavrà la
sua famiglia in questo modo?».
«Ben... quell’uomo ha perso tutto.»
scandì lei, con calma «Gli sono morte le sue
bambine e la moglie che amava davanti agli occhi... non possiamo
nemmeno
immaginare che peso sia questo da sopportare.».
«Non lo starai giustificando, spero.».
«Non lo giustifico.» continuò Maggie
«Ma provo a immedesimarmi nel suo dolore.
Quell’uomo è rimasto solo e nessuno lo ha aiutato
a metabolizzare ciò che gli è
successo. Ha visto morire la sua famiglia e un attimo dopo si
è ritrovato in
carcere e lì è rimasto per sette anni. Pensaci,
Ben... non so quanti
uscirebbero sani di mente da questa situazione.».
«Scusa, ma come vittima proprio non riesco a
considerarlo.» commentò Ben,
lapidario. La mascella serrata, le mani aperte e appoggiate sulla
scrivania,
quasi dovessero farla sprofondare.
«Se io impazzissi, se non riuscissi a sopportare la perdita
della mia famiglia,
magari penserei al suicidio, non sterminerei le famiglie
altrui.».
«Certo, Ben, ma tu parli da persona sana ed equilibrata a cui
non è mai capitato
niente di così drammatico. Dovresti provare a spostare il
tuo punto di
vista...».
«Io me ne frego del suo punto di vista!»
sbottò il poliziotto, alzandosi di
scatto dalla sedia «Se avesse rivolto il suo squilibrio su se
stesso e si fosse
ammazzato ci avrebbe tolto tanti problemi.».
«Ben...».
«Io torno a casa di Semir, magari qualcosa è
sfuggito a quelli della
scientifica.».
«Vuoi che venga con te?» gli chiese la ragazza, in
un bisbiglio.
Ma lui era già sparito.
«Andrea...
se... se gli succede
qualcosa...» balbettò Semir, in un sussurro.
La donna dall’altra parte della stanza sospirò,
piano.
Lanciò un’occhiata a Lily che si era
riaddormentata sulla spalla di Aida,
mentre la più grande teneva gli occhi chiusi, ma Andrea non
era sicura che
dormisse.
«Semir, devi mantenere il sangue freddo.» disse,
sottovoce ma in modo che il
marito a qualche metro di distanza la potesse sentire «Keller
vuole esattamente
questo, vuole farti credere che tutto attorno a te stia crollando e che
tu sia
la causa di tutto. Non puoi credergli, okay?».
«Lo ucciderà... ucciderà
Ben...».
«Semir, ti prego...».
«Andrea, mi dispiace così tanto... Io non pensavo
che... tu avevi ragione, hai
sempre avuto ragione e io non ti ho ascoltato. Vi ho messo in pericolo
e ora
non posso fare niente... non posso fare niente...».
La voce dell’ispettore era disperata. Questa volta non
riusciva a mantenere la
calma, non riusciva a gestire la paura, sentiva che non sarebbe stato
fortunato
come sempre. Sentiva che sarebbe andato tutto storto, che avrebbe perso
tutto.
Avrebbe perso ogni cosa.
Ben
parcheggiò la Mercedes sotto
all’abitazione sicura in cui si erano trasferiti Andrea e
Semir prima di essere
rapiti. L’area era ancora transennata, ma totalmente deserta.
Scese dalla macchina, accorgendosi solo in quel momento di quanto
avesse tenuto
stretto il volante durante tutto il tragitto.
Chiuse la portiera e si diresse verso l’entrata della casa,
già intuendo che
l’ennesima sua perquisizione si sarebbe conclusa con un nulla
di fatto.
Si bloccò sulla soglia, udendo un rumore.
Un fruscio alle sue spalle. Poi un rumore ritmico che si faceva sempre
più
vicino.
Portò la mano alla fondina e si voltò.
Keller si
diverte assai e altri guai sono in vista,
mentre Ben si
dispera alla ricerca di una soluzione che non riesce a raggiungere...
Grazie
a chi segue in silenzio e... Reb, Chiara, MaryS5, non
smetterò mai di
ringraziarvi!
Sophie