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Autore: Dhialya    22/03/2018    1 recensioni
-Mio fratello ne sarebbe entusiasta, ha sempre detto di volere un musicista nella sua ciurma- si sfiorò il tatuaggio sulla spalla, sorridendo quando nella sua mente si palesò il volto di Rufy. -Ma io non sono una musicista- lo corresse la ragazza, alzando un sopracciglio. Questa volta fu il turno di Ace di muovere una mano minimizzando, iniziando a parlare -Dettag... - Si addormentò di colpo. Quando si riprese, era da solo.
[Spin-Off di una storia che forse non verrà mai pubblicata.]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Barba bianca, Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stupido.

La ragazza strinse i pugni, le nocche diventarono bianche per quel gesto. Se non avesse avuto tanto autocontrollo si sarebbe sicuramente messa a urlare per il nervoso.

Stupido stupido stupido!


Si passò stancamente una mano tra i capelli scuri, appoggiandosi poi al parapetto della Moby Dick con i gomiti. Lo sguardo vagò sulla superficie infinita del mare, quella notte particolarmente calmo, per poi puntare verso l'alto, cozzando contro un manto scuro puntinato di luci.
Si fermò non seppe nemmeno lei quanti secondi, o minuti, fissando in silenzio la luce delle stelle risplendere in tutta la loro bellezza. Ignare – beate loro – della disgrazia che da qualche giorno aveva colpito tutti loro.

Ace Pugno di Fuoco era stato catturato e sarebbe stato giustiziato.

Nessuno di loro aveva voluto credere a quella notizia, ma erano stati obbligati, quando si erano ritrovati tra le mani quel giornale. Quel maledetto giornale.

Strizzò gli occhi e scosse la testa, un peso al cuore che divenne più pesante.

Era anche colpa sua.


Avrebbe dovuto fermarlo. Esortarlo a non andare da solo. Invece si era lasciata persuadere dal suo atteggiamento da duro e dalla sua convinzione che sarebbe tornato illeso appena terminata quella missione che sentiva gravargli particolarmente addosso.
Condivideva la rabbia che lo animava, come probabilmente la condividevano i suoi fratelli, per quello nessuno aveva veramente tentato di fermarlo.

Neppure Barbabianca.

La sua motivazione era quella di tutti loro.

Tornò ad osservare il mare, perdendocisi dentro, una leggera brezza che le scosse i capelli. In un'altra occasione avrebbe goduto di quel clima mite che le permetteva di contemplare le stelle e perdersi nei propri pensieri a tempo delle onde che si infrangevano contro la nave.

Chissà come stava...


Il peso al cuore si fece più pesante, iniziando a sfociare in un groppo in gola troppo grande perché potesse rimandarlo giù. Avrebbe pianto di li a poco, lo sapeva. Come aveva fatto la notte prima. E quella prima ancora, andando a ritroso fino a quando avevano ricevuto quella notizia.

L'atmosfera sulla Moby Dick era cambiata, si era fatta tesa, incredula, arrabbiata, seria e silenziosa. Soprattutto silenziosa.
Barbabianca e i suoi comandanti avevano ideato un piano, ma non potevano negare di essere tesi. La liberazione e la vita di Ace dipendevano solo da come sarebbero andate le cose a Marineford, e questo metteva loro molta pressione addosso.
La vita di un loro fratello era in pericolo.

La ragazza sbatté la palpebre, il cervello pieno di pensieri vorticosi e il cuore come un fardello.

Traditi due volte.


Una lacrima le solcò il viso, la vista che si era fatta annebbiata. Il mare e il cielo si confusero sotto il suo sguardo sofferente.

Ace...


Chiuse gli occhi, abbassando la testa e prendendosela tra le mani, stringendo i capelli tra le dita come se cercasse di aggrapparsi a una qualche speranza che sfuggiva via.
Sentì la disperazione farsi spazio dentro di sé, e il dolore, e la mancanza, e la preoccupazione. Una moltitudine di emozioni che le salirono dal torace fino al groppo in gola, rendendolo più opprimente, facendole mancare l'aria.

Iniziò a respirare più velocemente, e si portò una mano al petto, boccheggiando, mentre le lacrime silenziose continuavano a solcarle il viso, bruciandole le guance. Il nodo alla gola era li, li e non si scioglieva.
E si sentì stupida, perché piangeva, piangeva come una bambina in panico che non trova più la mamma, mentre tremava per l'ansia e i singhiozzi che non riusciva più a trattenere.

Dannazione.


Si raggomitolò su se stessa, nascondendo il volto tra le braccia e le gambe, lasciando che i capelli le fornissero riparo. Una parte di lei ringraziò che non ci fosse nessuno sul ponte – o, se c'era, che rispettasse quel suo sfogo lasciandola sola.

Quello stesso ponte che era stato testimone di innumerevoli discorsi, tra loro, sanciti nella calma della notte.

-Puoi usare il potere di un frutto del diavolo?-

-Si, beh... niente di che, mi rende solo intonata a cantare, per il resto è inutile.-


E fu naturale, per lei, tornare indietro con la mente, scappando da quella realtà scomoda che la stava piegando e che, sapeva, avrebbe potuto finire con il romperla definitivamente.



***


Aveva appena finito di farsi una doccia e si trovava nella sua cabina, soppesando con sguardo annoiato il pavimento. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto mettere a posto quei poveri vestiti sparsi qua e la, se non voleva rischiare di inciamparci come stava facendo quella mattina.
A dire il vero, non seppe nemmeno lei in che modo fosse riuscita a evitare quella che sarebbe sicuramente stata una caduta rovinosa. Si era infatti sorpresa dei propri riflessi nonostante fosse appena sveglia.

Sospirò, ringraziando di avere una cabina privata, così che nessuno potesse impicciarsi delle sue cose o del suo disordine.

Si infilò le prime cose che trovò e che le sembrarono le meno stropicciate, poi voltò lo sguardo verso l'oblò, guardando fuori. Il cielo si stava scurendo, iniziando a tappezzarsi di puntini luminosi.

Sorrise.


Quasi corse per raggiungere l'esterno della nave, e sul suo percorso incontrò vari fratelli che la salutarono più o meno calorosamente. Molti erano assonnati e si stavano dirigendo verso le loro cabine ringraziando la fine di quella giornata per godersi del meritato riposo, altri si preparavano per i turni di vedetta.

Quando si ritrovò sola sul ponte, ispirò l'aria che sapeva di salsedine, chiudendo gli occhi e sorridendo. Le piacevano davvero quei momenti di pace che si poteva concedere in solitaria.
A volte quasi le sembrava di entrare in estremo contatto con la natura che la circondava – il mare, la brezza, le stelle, il cielo. Non era raro che la serenità che percepiva dentro di sé la portasse a cantare, rivolta verso il blu profondo all'orizzonte dove mare e cielo si confondevano, per alleggerire gli spiriti della sua ciurma.

-Oh.-

Sussultò impercettibilmente quando quell'esclamazione giunse alle sue orecchie, spingendola a voltarsi verso l'intruso della sua pace.

Si ritrovò Ace a pochi passi da lei, e lo sguardo un poco confuso che aveva il ragazzo la spinse a pensare che non si era accorto di lei fino a quando non aveva rischiato di andarle addosso.

-Scusami.- le disse semplicemente quello, prima di sparire verso la parte posteriore della nave calcandosi il cappello in testa.

Lei si diresse verso la prua dopo averlo guardato allontanarsi, appoggiandosi al parapetto e osservando l'orizzonte. Poi, stanca di quella posizione che le iniziava a far dolere i gomiti, si voltò di schiena, sedendosi a terra e puntando il cielo stellato.

Vide Ace di sfuggita seduto in bilico su una balaustra vicino al timone, pensieroso, e si domandò a cosa stesse pensando che gli adombrava lo sguardo, o forse era solo una sua impressione data dalla notte che creava ombre strane.
Il ragazzo puntò lo sguardo su di lei, che rimase imbambolata qualche secondo.

L'ombra di prima non c'era...

Arrossì voltandosi dall'altra parte e ringraziò la distanza e la notte con le sue ombre.


***


Erano andati avanti così per vari giorni, o forse settimane, non lo sapeva, ognuno preso nelle proprio elucubrazioni notturne, entrambi amanti della notte e del silenzio per perdersi nei propri pensieri senza darsi fastidio a vicenda.

-Ho saputo che hai provato più volte a prendere la testa del Babbo.-

-Beh... ecco, si... ma... ehm!-


Non sapeva nemmeno bene, scossa dallo sfogo di quel momento, come avessero iniziato a parlare. Ricordava solo che era una sera, aveva cantato durante la cena perché Barbabianca glielo aveva chiesto, poi si era ritrovata come sempre fuori, nella notte, ed Ace le era apparso a fianco, le mani nelle tasche dei pantaloni scuri e il cappello sempre ben calcato in testa.



***


-Sei brava.- le disse, osservandola con quello sguardo tra il serio e il curioso. Lei si voltò completamente verso di lui, lasciando perdere ciò che stava guardando.

-Grazie.- si portò una mano ai capelli, tirando indietro una ciocca, facendo vagare gli occhi chiari sul viso del ragazzo. Si sentì un po' in soggezione, non sapendo se avrebbe dovuto dire altro o far finire così quello scambio di battute e pensando a cosa eventualmente poteva dire per continuare il discorso.

-Sei sempre stata... portata?- Ace la tirò fuori dall'impiccio, portandosi le braccia incrociate dietro la testa.

Il sole era già calato da qualche ora, ma come sempre loro si ritrovavano sul ponte cullati dalla notte. O forse era perché avevano gli incubi, che non volevano dormire?

-Da quando ho mangiato un frutto del diavolo- gli spiegò, rivolgendosi verso il mare.

Pugno di Fuoco seguì il suo esempio, mettendosi a un paio di metri da lei e poggiando le braccia al parapetto.
-Puoi usare il potere di un frutto del diavolo?- si voltò verso di lei, sinceramente incuriosito. I frutti del Diavolo erano tanti e dei più svariati tipi, non si meravigliava se ne veniva sempre a conoscenza di nuovi.

-Si, beh... niente di che, mi rende solo intonata a cantare, per il resto è inutile.-

Ace osservò la ragazza muovere una mano nell'aria, minimizzando quel discorso come se fosse una cosa di poco conto, e sorrise leggermente.
-Mio fratello ne sarebbe entusiasta, ha sempre detto di volere un musicista nella sua ciurma.- si sfiorò il tatuaggio sulla spalla, sorridendo quando nella sua mente si palesò il volto di Rufy.

-Ma io non sono una musicista.- lo corresse la ragazza, alzando un sopracciglio.

Questa volta fu il turno di Ace di muovere una mano minimizzando, iniziando a parlare -Dettag...-
Si addormentò di colpo.

Quando si riprese, era da solo.



***


Si ricordò che aveva preso uno spavento molto grosso, pensando che gli fosse venuto qualche strano infarto, salvo poi ricordarsi che anche duranti i pranzi gli era capitato di vederlo cadere vittima della narcolessia e i fratelli lo prendevano in giro su questa cosa.

Ne aveva sentito parlare, di quei colpi di sonno improvvisi, ma vederli con i propri occhi era tutt'altra cosa.

Si passò il dorso di una mano sulle guance, cercando di asciugarle e darsi un minimo di contegno; piangeva ancora, ma la maggior parte dei singhiozzi erano passati. Alzò lo sguardo bagnato da oltre le braccia, puntandolo davanti a se, senza vedere davvero ciò che aveva davanti, il respiro ancora affannoso e la mente stanca, il corpo debole.

Non mangiava da... da quando? Ma non ci riusciva, alla vista del cibo sentiva una morsa allo stomaco e la voglia di vomitare anche l'anima l'assaliva.

I suoi fratelli le dicevano che doveva avere fiducia, di non farsi prendere dallo sconforto e non era detta l'ultima parola. Che avrebbero dato la vita per salvare Ace dall'esecuzione e anche lei avrebbe dovuto essere in forze.

Sapeva che era vero, sarebbe stata la prima a mettersi in mezzo e lottare fino alla fine.

Aveva ancora troppe cose da dirgli...

Si graffiò le braccia conficcandosi le unghie nella carne.

Erano innegabili i sentimenti che provava per lui. Tutti l'avevano capito – tutti tranne lui, probabilmente.
Molti pensavano addirittura che magari stessero insieme per come si comportavano ma, in realtà, tra loro non era mai successo niente di eclatante, se non quando si erano ritrovati ad aver bevuto dei bicchieri di troppo. Ma, appunto, niente di che.

Solo parole biascicate di due ragazzi troppo brilli, o mezzi baci dati a lato delle labbra prima di cadere nel sonno dell'alcool e che non si sarebbero ricordati il giorno dopo.

Anche per questo, lei, si ritrovava spesso confusa e sofferente, in cerca di risposte. Non aveva mai capito cosa Pugno di Fuoco volesse comunicarle con il suo comportamento, e lei non se la sentiva di esporsi rischiando di rovinare quell'equilibrio che si era creato tra loro.

Andava bene così.

Era sempre andato bene così.

Ma, in quei giorni, quando la consapevolezza che probabilmente non avrebbe più potuto parlargli le si conficcò come un pugno in pieno stomaco, si pentì di essere stata una vigliacca.



***


Stupido. Stupido Ace e stupida io a stargli dietro!

Fece sbattere la porta della cabina abbastanza forte che le pareti vibrarono qualche secondo. Quasi si lanciò sul letto, affondando il viso nei cuscini.

Stupido Ace
, ripetè mentalmente, mentre percepiva la rabbia che le era montata dentro scemare.

Si sentì improvvisamente vuota e imbarazzata per essersene andata in quel modo, per averle permesso di avere il potere così grande di cambiarle l'umore.

Chiuse gli occhi, e lo rivide alla locanda, mentre si scambiava degli sguardi sfuggenti con la cameriera. Uno sfiorargli il braccio li, uno toccargli dentro la gamba li... e lui non si tirava indietro, ma le sorrideva, alzando il boccale in una muta richiesta di riempirlo ancora, forse per darle una scusa per avvicinarsi.

Non sapeva nemmeno lei perché, ma si era sentita umiliata, davanti a quella scena. E si era sentita presa in giro, quando lui l'aveva vista e le aveva sorriso apertamente, invitandola a sedersi al suo tavolo.

Aveva girato i tacchi, lo sguardo indispettito, uscendo quasi di corsa.

Aveva sentito la sua mano prenderle il polso per fermarla, chiedendole cosa ci fosse che non andasse, ma lei l'aveva congelato con qualcosa a cui non poteva ribattere.

-Ho cambiato idea sul bere, sono stanca.-





Nanige nai yasashisa ni meguri au tabi
subete wo dakishimetaku naru yo
Quando ti ho conosciuto e ho visto la tua casuale gentilezza
Avrei voluto abbracciarti


kimi wo mamoritai
Stay With Me suki da yo
Voglio proteggerti
Resta con me, ti amo




-Sapevo di trovarti qui, Miyori.-

Quella sussultò, smettendo di cantare al mare dalla prua della Moby Dick.

-A... Ace.- sussurrò, voltando lo sguardo in alto al suo fianco. Il ragazzo era in piedi, le mani in tasca e il cappello stranamente lasciato penzolare sulle spalle.

Si sentì colta in fallo e si imbarazzò, distogliendo lo sguardo da quello sicuro di Pugno di Fuoco, che continuava a fissarla, quasi serio.

-Pensavo fossi stanca.- le disse quello, semplicemente.

Miyori si infossò nelle spalle, portandosi le ginocchia al petto in una muta posizione di protezione.
-Lo ero.- fu solamente in grado di dire, mentre la sua mente lavorava per trovare una scusante.

E poi, cosa aveva sentito, Lui, di quello che stava cantando?

La rabbia e la gelosia – era gelosa, gelosa marcia di non essere degnata anche lei di quegli sguardi, o non di non avere la stessa intraprendenza di quella donna – di qualche ora prima se ne era andata da tempo, e aveva lasciato posto solo ad una cupa rassegnazione.
Non l'avrebbe mai considerata in quel modo.

Ace avrebbe voluto spiegazioni perché il comportamento che aveva avuto non l'aveva proprio capito, ma decise di lasciare perdere, mentre continuava a osservare con la coda dell'occhio la ragazza guardare l'orizzonte per non incontrare il suo sguardo.
Si portò una mano tra i capelli corvini, spettinandoli.

Certe volte non la capiva proprio.


-Era bella, comunque.- iniziò, e vide gli occhi di Miyori allargarsi e un'espressione sul suo viso che non seppe decifrare, le labbra socchiuse e in attesa, come stessero aspettando. Dopodichè la vide gonfiare le guance e lanciargli un'occhiataccia.

Ace sospirò, non capendo, per l'ennesima volta, dove avesse sbagliato. Forse non le era piaciuto che l'avesse interrotta mentre cantava?

La ragazza incrociò le braccia al petto, indispettita.

Allora Pugno di Fuoco faceva apposta! Pensò, guardando altrove. Che bisogno c'era di dire a lei che la cameriera “era davvero bella”?!



***


Sorrise tra i resti delle stille salate che si stavano seccando sul suo viso, a quel ricordo.
Ace intendeva che la canzone era bella. Ma lei capiva sempre male.

Un tremito di paura la scosse, riportandola alla realtà, una realtà in cui lui era prigioniero – ferito, da solo, sofferente, lontano da tutti – lontano da lei, e rischiava la morte. E si sentì di nuovo in colpa, per averlo fatto andare da solo a cercare Barbanera.

-Miyori...-

La ragazza alzò di scatto la testa a quel richiamo, come se si fosse scottata, e spalancò gli occhi arrossati. Le bruciarono, ma non ci fece caso, mentre il cuore le martellava nel petto.

-M...Marco!- bisbigliò stupita, paralizzandosi. Da quando era li? Non l'aveva sentito arrivare.

Si sfregò quello che rimaneva del suo pianto, alzandosi in piedi come lentezza quasi esasperante e piantando lo sguardo in quello quasi inespressivo dell'uomo. Lui le diede le spalle dopo averle sorriso sghembo – un sorriso di circostanza, non c'era traccia di felicità negli occhi della Fenice.

-Io...- iniziò lei, avvicinandoglisi per mettersi al suo fianco, ma ogni tentativo di dialogo le morì in gola, non sapendo bene cosa dire.

Il Comandante le sembrò sospirare, incurvandosi maggioramente verso l'esterno della nave.
A osservarlo bene, notò Miyori, le sembrò particolarmente stanco e sciupato in quel momento. Non che la cosa la stupisse, data la situazione.

-Io... mi sento responsabile.-

Marco si voltò verso di lei, e dopo tutti quegli anni lo conosceva da sapere abbastanza bene di aver la sua attenzione, anche se non si sprecò a parole. -Avrei dovuto convincerlo a restare- soffiò fuori dalle labbra.

Fece scorrere il palmo di una mano sul legno del parapetto, quasi accarezzandolo.

-Tutti avremmo dovuto.- fu la semplice risposta che le diede il biondo.

-Voi non avete colpe, figli miei.-

Quando si voltarono a quelle parole, si ritrovarono Barbabianca che li osservava dall'alto della sua statura. O forse li guardava senza però vederli davvero, la mente persa in chissà quali pensieri.

Era staccato dalle flebo, e questo accigliò Miyori, che storse leggermente il naso – quand'è che avrebbe imparato che la sua salute era importante? Ma si trattenne dal dire qualsiasi cosa all'Imperatore che l'aveva cresciuta. Solo per quell'occasione.

-Non dire assurdità, Babbo!- lo contraddì Marco. -Se non nostra, di chi sarebbe? Ace ha solo fatto quello chiunque di noi avrebbe dovuto fare ma non ne aveva il coraggio.-

Barbabianca sorrise, un sorriso triste e forzato che si andò a dipingere sul viso rugoso dell'uomo. Ai due pirati sembrò quasi che mostrasse tutta la sua stanchezza in quel modo.

-Mia.- fu la semplice risposta. -Ace non ha colpe. E nemmeno voi.-

Gli ripassarono alla mente le parole del figlio, desideroso di vendicare il compagno tradito e il suo onore, e Barbabianca si sentì come se fosse stato un cattivo padre, non imponendosi su quella decisione che, aveva avuto la sensazione, non avrebbe portato niente di buono.

-Ma non temete, figli miei.- continuò, e Marco e Miyori si chiesero se stesse parlando davvero a loro o più rivolto a se stesso. -Non dovete perdere la speranza. Il destino non è ancora stato scritto.-

La ragazza sentì nuovamente un nodo alla gola e si avvicinò all'Imperatore, provando ad abbracciarlo dal basso della sua statura piccola e minuta.

Lui le posò una mano sulla spalla: sentiva il peso gravoso che la sua ciurma si portava dietro e la preoccupazione che li stava logorando, e ne fu immensamente dispiaciuto, nel vedere ciò che di più caro aveva soffrire.

Marco si era rivolto nuovamente verso il mare, silenzioso. Il Babbo aveva ragione: non era ancora detta l'ultima parola. Ma non potevano negare che stavano andando verso una missione suicida.

Miyori si rivoltò verso l'oceano, tenendo sempre le braccia attorno alla gamba di Barbabianca come se fosse l'unico appoggio che la poteva far restare in piedi.

I tre contemplarono l'oceano, e l'orizzonte, e il cielo che si stava schiarendo facendo comparire un nuovo giorno, una nuova occasione per cambiare la storia.

Suo padre aveva ragione. Non dovevano perdere quella lucina di speranza che sentivano pulsare dentro di loro.

Si sentì come rincuorata, forse per la presenza di quello che per lei era l'uomo più forte del mondo che le forniva un appoggio, o per la consapevolezza che non era da sola ad affrontare tutto ciò.

Resisti, Ace. Stiamo arrivando. Sto arrivando.






























































Ciao a tutti! Cercherò di essere breve per non tediarvi. Questa è la mia prima storia in questo fandom, probabilmente come argomento è stato già trattato, però mi sono ritrovata a riguardare la saga di Marineford e non ho resistito, la mia testa va da sola molto spesso. ^^'
Nell'introduzione scrivo che è uno spin-off perché avrei in mente una storia antecendente questi fatti con questo nuovo personaggio, ma non so ne sé e né quando inizierò a buttarla giù davvero. La mia paura più grande è di rendere i personaggi ooc dal momento che non vengono mostrati moltissimo e, tra l'altro, mi scuso se c'è qualche imprecisione nella shot sopra – in particolare non sono sicura che Barbabianca & co vengano a sapere di Ace tramite giornale o che nel manga non sia già presente un frutto del diavolo riguardante il cantare.
Inoltre mi piace molto l'introspezione e spero che questo non sia risultato pesante. Le frasi della canzone sono prese da Be as One, l'end 6 di Fairy Tail. Ho cercato il testo con la traduzione in inglese e l'ho ritradotto in italiano, ma sia per come è scritto che per la traduzione mi davano cose diverse, quindi ho cercato di mettere la soluzione che mi sembrava più… giusta per me, anche se magari non è esatta ^^''
E... basta credo. Ringrazio chi ha avuto la pazienza di fermarsi a leggere!
Alla prossima, D.

   
 
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