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Autore: mymanga    24/03/2018    7 recensioni
[Storia partecipante al contest “Il Diavolo e l’Acqua Santa” indetto da Ssjd e Vegeta_Sutcliffe sul forum di EFP]
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Qualcuno da spedire all'Inferno. Destinazione: 7° Cerchio - 'VIOLENTI: Chi è colpevole di aver posto malizia e intenzionalità nelle cattive azioni’. Dal testo:
"La vera differenza? Il tuo ghigno malvagio sfacciatamente divertito: indicava soddisfazione ed eccitazione. Hai provato piacere e sensazione di onnipotenza per la strage appena compiuta. Le bestie non arrivano a tanto. I mostri sì."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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VII Cerchio: VIOLENTI



Sospiro massaggiandomi le tempie.
Davvero una giornata che difficilmente scorderò.

Nella mia mente un frastuono di voci in cerca di risposte. La verità?
Infinite domande destinate a cadere nel vuoto di un’unica assordante certezza: non poter fornire loro alcuna degna spiegazione. Alzo lo sguardo affaticato verso l’orizzonte, poi chiudo gli occhi per alcuni istanti nell’inutile tentativo di isolarmi. Me ne rendo conto, sono alla ricerca di un’illusione chiamata evasione.


Gli ultimi controlli prima di partire per la vostra vacanza, programmata e sognata da oltre un anno.
Zaini, tende, sacchi a pelo, equipaggiamenti e quant’altro. Tutto pronto per potersi lasciare alle spalle il ritmo frenetico della città e assaporare al meglio questa piccola grande avventura.
“Dove è finito tuo fratello?” 
Richiamato dall’amica seduta sul sedile passeggero, l’avevi raggiunta mettendoti alla guida della tua auto:
“Arriva, arriva. Ha solo dimenticato l’imbragatura” le avevi risposto con leggera ironia, alzando gli occhi al cielo.
“Solo?... Un dettaglio da poco” aveva ridacchiato complice, distogliendo l’attenzione dalla mappa che stava accuratamente studiando: “Calcolando il percorso che vuoi fare, spero non si dimentichi altri ‘piccoli dettagli’ tipo casco, corde, moschettoni…”
“Beh, lo conosci, accontentiamoci che gli rimanga la testa attaccata al collo, no?”
“Che buon’anima. Quando si dice l’amore fraterno”
Avevi sghignazzato affettuoso: in realtà eri molto legato a lui, e pure a quella giovane ragazza che sapeva farti stare così bene. Un leggero sobbalzo dell’abitacolo aveva interrotto i vostri sorrisi, annunciando l’irruento e trionfale arrivo a bordo dell’atteso ritardatario: “Eccoci! Ora possiamo partire” 
“Con calma, vero? Gli scarponi da trekking ce li hai, o pensi di scalare le rocce in infradito?” lo avevi provocato pungente, ma protettivo.
“Fai poco lo spiritoso, tu! Guarda: stavi dimenticando la patente sul tavolo della cucina” 
“Interessante… Allora il vostro è proprio un vizio di famiglia” 
Le vostre risate si erano fuse armoniose e spensierate, riscaldando ulteriormente l’atmosfera già carica di entusiasmo per l’imminente partenza. Piede sull’acceleratore e il motore della tua auto aveva ruggito grintoso, pronto a scattare nella lunga corsa a perdifiato che vi avrebbe portato verso le alte vette della montagna: “Si parte, gente! E manderemo una cartolina a Gohan, così impara a prendersi altri impegni” 
Una luce nuova aveva illuminato il tuo sorriso.
Accecante ed avvolgente.


Tante famiglie si fermano ad ammirare le tue piccole opere d’arte, ma l’espressione di quel bambino ti aveva rapito, tanto quanto lo era stato lui davanti alla tua splendida vetrina. Stringeva la mano della madre, ma il suo sguardo incantato sembrava sporcato da un malinconico velo di tristezza, intima e profonda.
Non un semplice capriccio. Ti eri avvicinato a lui, richiamandolo dolcemente alla realtà:
“Dimmi quale preferisci, e sarà tuo” 
“Mio?... Ecco, io… io… Li costruisci tutti tu?” 
“Sì, piccolo”
“Wow… Ne faresti uno speciale?”
Potevi mandare in frantumi tutta la speranza e l’entusiasmo che in quel momento avevi letto nei suoi lucenti occhioni neri?
Certo che no: “Dimmi come lo vuoi…”
Avevi lavorato tutta la notte per realizzarlo, ma ne era sicuramente valsa la pena perché in quel momento stavi stringendo tra le mani una delle tue migliori creazioni di sempre. Ci avevi messo tempo, attenzione, cura, dedizione, fantasia, improvvisazione, e tutta la passione che anima il tuo incredibile talento, ma finalmente quel piccolo drago finemente intagliato nel legno, aveva preso forma. L’avevi osservato soddisfatto un’ultima volta, catturato dal dettaglio di quella piccola biglia di vetro che hai dovuto incastonare, dipingendoci sopra pure quattro minuscole stelline: “Goten, il regalo per tuo papà è pronto… Ho fatto del mio meglio”
La stanchezza per le ore di sonno perse cominciava a farsi sentire, ma realizzare il sogno di quel bambino ti aveva ripagato di una soddisfazione interiore dal sapore unico. 
Una luce nuova aveva illuminato il tuo sorriso.
Accecante ed avvolgente.


Uno sguardo veloce alla cerimonia esterna, poi avevi sistemato la persiana della stanza affinché la luce del sole non infastidisse troppo l’anziano paziente. Sì, nonostante solo quel giorno avessero deciso di celebrarne l’inaugurazione, l’operatività interna di tutti i reparti era a pieno regime già da tempo.
Lentamente quell’uomo stava riprendendo conoscenza, tanto da riconoscere il tuo camice bianco.
Le sue condizioni erano precarie: molto debole, respiro assistito, battito cardiaco appena accennato.
Ma nonostante l’età avanzata, aveva compiuto un vero miracolo nel sopravvivere alla delicata operazione del giorno precedente. Una tenacia non comune, meritevole di grande ammirazione. Poteva farcela, per se stesso e per i suoi cari, che a turno gli erano sempre rimasti accanto.
“Ben svegliato. Suo figlio tornerà presto. E’ stato con Lei tutta la notte”
Lo avevi visto emozionarsi, segnando un’invisibile crepa sulla dura corazza che ne rivestiva la rude personalità: “Quella iena del deserto... Si ricorda ancora del suo vecchio”
Lo avevi reso felice.
Una luce nuova aveva illuminato il tuo sorriso.
Accecante ed avvolgente.

 
Avevi completamente perso la cognizione del tempo e ogni barlume di lucidità mentale, di fronte a tutte quelle ore passate a contrastare i morsi laceranti delle contrazioni, con quelle che ritenevi essere sistematiche spinte fallimentari, utili solo a prosciugarti ogni briciolo di preziosissima energia. Oltretutto, più la tua forza si esauriva e più paradossalmente la natura ne pretendeva, scandendo ritmi sempre più veloci e cinicamente regolari, giusto per darti la consapevolezza che lei non ti avrebbe concesso alcuna tregua, ma al contrario, ti avrebbe sistematicamente stritolato.
E la tua voce? Ormai un lontano ricordo. Esaurita da un imprecisato numero di urla assordanti di cui ignoravi la capacità di emissione. Nemmeno te ne importava più, veramente. Tutta la tua attenzione era impegnata a gestire l’ingestibilità della tua prima gravidanza, affinché tuo figlio riuscisse finalmente a vedere la luce.
C’eri quasi, ma dannazione quel momento non voleva arrivare, alimentando il tuo sconforto.
Desideravi vederlo. Con tutta te stessa.
Lo desideravi, lo desideravi.
Eccome se lo desideravi.
E allora al diavolo la fottuta paura del dolore!
All’ennesima lancinante contrazione avevi spinto con tutte le tue forze nella speranza di liberare definitivamente te stessa, e il tuo piccolo, da quella infinita tortura.
Di nuovo avevi affrontato Madre Natura. Di nuovo avevi resistito all’affondo dei suoi laceranti artigli su di te.
Ma qualcosa era cambiato, lo avevi sentito.
Senza forze, fisiche e mentali, avevi alzato lo sguardo e finalmente lo avevi visto: Lui, tuo Figlio.
Lo scorrere del tempo si era fermato a mezz’aria. Nella tua mente l’unica supplicante speranza di sentire anche la sua voce, che dopo un istante durato un’eternità, era arrivata attraverso il suo pianto liberatorio.
Lui era nato, tu eri ufficialmente sua madre.
Una luce nuova aveva illuminato il tuo sorriso.

Accecante ed avvolgente.



Riapro gli occhi di scatto e riprendo il fiato che istintivamente ho trattenuto.
Che stupido ottimista sono stato nel leggere i pensieri delle anime più lontane.
Davanti a me un fiume di vittime innocenti: i ricordi insanguinati e le urla terrorizzate degli spettatori trucidati allo stadio mi hanno bombardato la testa, strazianti e devastanti; gli ultimi scorci di vita di chi si trovava oltre gli spalti, in città, mi hanno strappato anche l’anima.
Con un profondo sospiro cerco di soffocare la rabbia che sento scorrere nelle mie vene, ma mi ritrovo con le mani strette a pugno e le unghie conficcate nei palmi. Premo forte. Così forte, che ora alcune gocce del mio sangue inquieto si stanno fondendo con l’inchiostro nero della penna che ho spezzato tra le mie dita.

Quante Vegeta? Quante vite hai accecato, avvolto, e soprattutto bruciato con la tua luce mortale?
Dall’alto di quella tua ignobile M stampata in fronte che non riesco a togliermi dalla testa.

M come Majin

M come Menefreghista
Hai idea di quanto sia difficile preservare la fragilità di una vita?
Una vita che prova a… vivere
Una vita che prova a… sopravvivere
Una vita che prova a… nascere  
No. Evidentemente no. Li hai sterminati tutti senza un briciolo di compassione, nella più totale indifferenza di quale fosse la Storia di Vita che ognuno di loro stava raccontando.
Hai spazzato via amicizie, legami, speranze, sogni, progetti, sacrifici.
Nessuna pietà. Nemmeno verso quella giovane infermiera che al tempo aveva aiutato la nascita del tuo primogenito. Hai ricambiato il favore prendendoti la sua vita e, peggio ancora, quella di suo figlio, al quale hai concesso solo la possibilità di gridare a squarciagola il raggiungimento del suo faticoso traguardo, cancellato per mano tua pochissimi istanti dopo.

M come Malizia
Hai agito sempre con cinica, inquietante, malvagia, e consapevole… intenzionalità di voler fare del male.
Tutte le tue azioni sono state perfettamente pianificate per sfruttare a tuo favore ogni singola occasione presentatasi al tuo cospetto: con l’inganno ti sei accaparrato l’uso di un potere non ancora maturato, e con la crudeltà hai sfidato di proposito il tuo personale avversario, provocandolo con lo sterminio di innumerevoli innocenti. Così, con disarmante lucidità, sufficienza, e mancanza di rispetto verso la loro vita. Per cosa poi?
 
‘Volevo disperatamente tornare ad essere il sayan crudele e spietato di un tempo…
Ti confesso che ora mi sento molto meglio’


M come Matta bestialità
La violenza si addice alle bestie. Loro in quanto tali, agiscono per istinto, natura, sopravvivenza.
Tu? Il nero della tua anima corrotta circonda il contorno dei tuoi occhi iniettati di sangue, mentre i lineamenti del tuo viso si sono trasfigurati in sembianze pressoché animalesche. Cosa ti distingue da una bestia?
Nulla, se non quello che dovrebbe essere il tuo intelletto.
Ma come tutta la schiera di sporchi assassini a cui appartieni, hai usato la forza della violenza per uccidere secondo la malizia dei tuoi pensieri. Per futili, egoistici, ignobili motivi.
Nello specifico? Hai ucciso come assurda provocazione.
La vera differenza? Il tuo ghigno malvagio sfacciatamente divertito: indicava soddisfazione ed eccitazione.
Hai provato piacere e sensazione di onnipotenza per la strage appena compiuta.
Le bestie non arrivano a tanto. I mostri sì.

M come Morte
La mancanza di rispetto per gli altri si paga. Con la vita. La tua.
Arriverai al cospetto del mio giudizio: Cerchio VII – Violenti. Primo girone.
Ricorderai in eterno il fiume di anime che hai massacrato: immerso fino alla gola nel sangue bollente delle acque infernali.

Così è deciso.
Re Yammer
(Parole 1.666)
   
 
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