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Autore: Slits    01/07/2009    5 recensioni
Alzò lo sguardo incontrando il viso rilassato del proprio sfidante.
« Le tue spade sono già sguainate. »
« Mi sono sempre chiesto che sapore avesse il sangue di un traditore… » le labbra del biondo si spezzarono in un ghigno insolitamente compiaciuto prima di aprirsi e parlare ancora una volta. Persino l’aria sembrò incrinarsi al suono di quelle ultime parole.
« Puro veleno. Ti andrebbe di morire nel tentativo di spillarne una goccia, spadaccino? »
Persino lei non riuscì a non inchinarsi al richiamo dell’imminente battaglia.

In un mondo in cui l'unico modo per sopraffare l'avversario è usare l'inganno, il Governo avrà a disposizione una nuova arma.
Un mugiwara muore. Dalle sue ceneri nasce la vera minaccia.
[Sanji/Nami; Franky/Robin]
[OOC; !Angst]
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nami, Sanji
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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25. Reflection
________

Era rimasta a lungo inginocchiata sul gelido terriccio di quell’arena.
Immobile, a cercare qualcosa di cui ormai credeva di aver unicamente immaginato l’esistenza. Continuava a scrutare negli occhi languidi di quel ragazzo, sforzandosi pur di riuscire ad oltrepassare la fredda barriera di odio in cui sembravano aver trovato riparo. Era una speranza la sua, la sola cosa che ancora le avesse permesso di tener a debita distanza le proprie mani dal metallo della sua arma.
Eppure più lo osservava, più provava a leggere dentro quei laghi ghiacciati e più la realtà le veniva incontro in un unico, grande passo. Travolgendola senza troppi riguardi.
E la sola certezza che in quel momento il suo mondo le offrisse era che niente sarebbe mai più stato come prima. Che nulla probabilmente di ciò che avevano passato era mai appartenuto a quella realtà.
Aveva vissuto bene nella sua culla di menzogne, era arrivata a cucirsele addosso come una seconda pelle pur di non lasciar trapelare niente di se. Ed adesso, messa a nudo nuovamente, sentiva freddo per la prima volta.
Nonostante il sangue caldo lungo la sua pelle, nonostante il calore delle proprie ferite.
Le sollevo' il viso in modo che potesse guardarlo negli occhi, poi le afferro' i capelli tirandoli con forza.
- Continui a parlare di affetto, di ideali… mi chiedo come la tua lingua non si sia ancora attorcigliata da sola per il disgusto. –  
La alzò da terra afferrandola da un braccio e la colpi' con una ginocchiata in pieno stomaco. La senti' piegarsi in due dal dolore e mugugnare qualcosa che non riusci' a comprendere. Abbandono' la presa lasciando che si sdraiasse per terra e si rannicchiasse su se stessa.
Ed allora sorrise, Trevor.
Sorrise incurante di quella voce che dentro di se aveva incominciato ad urlare.
Sorrise mentre la sentiva dilaniare ancora una volta il suo petto ed aumentare il battito oramai inesistente del suo cuore. Sorrise e sorrise ancora una volta.
Non era mai stato così bene, non si era mai sentito così vivo come in quelli istanti.
- Sei ancora viva? Bene! Allora posso congratularmi con te, Nami-san! – ancora quel nome pronunciato come se fosse intriso di puro veleno. Ancora quello sguardo di fuoco, mal celato da una grottesca espressione aristocratica.
Ancora quella voce che la spinse ad alzarsi e andargli incontro.
Il solito sguardo basso, il solito passo incerto. Ogni passo che muoveva verso di lui, del resto, sapeva essere un passo verso la morte.
Una morte solo apparente perche' quando riapriva gli occhi, si rendeva conto di essere ancora viva e l'unica cosa che riusciva a fare era rimpiangere di non essere morta per mano dell'uomo che amava con tutta e stessa. Ormai quella le sembrava l'unica soluzione possibile, non trovava niente che le desse la forza di andare avanti...prima era lui a dargliela, ora l'unica cosa che le dava era dolore.
Si, voleva morire per mano sua, voleva che fosse lui a farlo perche' il suo volto era l'ultima cosa che voleva vedere prima di chiudere per sempre gli occhi. Voleva semplicemente portarsi dietro il ricordo dell'unica persona che avesse mai amato in vita sua.
Il suo inizio e la sua fine.
- Facciamo un nuovo gioco, ti va? – chiuse gli occhi e si preparò all’ennesimo colpo inferto al cuore, uno di una lunga lista che non sarebbe mai finita.
Ma ciò che ricevette fu un semplice schiaffo così forte da farla cadere per terra. Sentì il sangue uscirle dal naso e la guancia bruciare. E in quel preciso momento capì che per quella volta sarebbe stato diverso, che non vi sarebbe stata alcuna violenza psicologica. Ma solo puro piacere nel farle del male.
- Giochiamo al gioco del massacro e vediamo quanto resisti prima di implorare la mia pietà! -  la colpì con un calcio preoccupandosi di caricare con tutta la forza di cui era capace il colpo. Doveva soffrire, il più possibile, doveva arrivare ad un passo dalla morte.
- Non ti sto sentendo implorare, quindi deduco che posso continuare, no? - e poi colpì ancora, ancora e ancora. Sempre più forte, sempre più ferocemente. Qualsiasi parte del suo corpo era un possibile bersaglio per lui, ogni centimetro della sua pelle doveva diventare un livido.
Non aveva nessuna intenzione di fermasi, lo capì lui e lo capì lei.
- Che resistenza! Non ti ho ancora sentito dire nemmeno una parola, devo impegnarmi di piu' per caso? -  la sollevò di nuovo sbattendola contro la parete più volte. Ogni colpo ricevuto sperava scioccamente che fosse l'ultimo, ma non era così. Sapeva che ce ne sarebbero stati altri, lo sentiva dalle mani di lui. Ormai non aveva più la forza nemmeno di aprire gli occhi nè di guardarlo. Quello non era il suo Sanji, era uno sconosciuto. Era una persona che non riconosceva e che non voleva guardare.
- Beh? Posso continuare all'infinito, sai? – una spinta che la portò contro la ghiaia del terreno. Urlò dal dolore, il primo vero urlo da quando lui aveva iniziato a giocare.
Ed allora si fermò. Ma non era clemenza la sua, semplicemente voglia di contemplare il risultato dei propri sforzi dalla miglior angolazione possibile.
Si tolse la giacca e si sfilò la pistola dalla cinta. In quel momento non gli serviva.
Si allontanò con il suo solito passo prima di accendersi una sigaretta e rimanere immobile, a godere della vista di tutto quel dolore. Lo faceva sentire bene, per lui era come una pura boccata d’ossigeno.
- Mi sei simpatica, sai? Voglio darti un’ultima soddisfazione prima di eliminarti una volta per tutte. – Quando le missioni toccavano a lui era solito restare in silenzio e godere della paura impressa sul volto delle proprie vittime. Gli piaceva vederla crescere sino a divenire un’entità compatta, ancor più nera della notte stessa.
Sapeva che erano i suoi occhi ad alimentarla. Sapeva che in quello sguardo limpido come il più azzurro dei cieli il riflesso della morte fosse vivido come se marchiato a fuoco, e ne godeva. Fino a smetter quasi di respirare ed anche più.
- Voglio vedere quanto quella gruccia per abiti che ti porti sempre dietro sia effettivamente pericolosa. Colpiscimi. – lo sussurrò come se fosse la cosa più naturale al mondo.
E forse per lui non sarebbe potuto esser altrimenti. Era stato cresciuto nel dolore, la sua anima nera aveva imparato a vivere bene in quella culla di risentimento.
Era il solo modo in cui riuscisse a portare alla luce quel vuoto che sentiva aleggiare dentro di se. Con rabbia, con crescente frustrazione.
Vi erano altre vie probabilmente, ma non per lui.
Era un dannato e più nulla lo avrebbe potuto salvare, era questa la cruda realtà dei fatti. E lentamente aveva imparato ad accettarla, quella consapevolezza. Ora non bruciava quasi più.
- Colpiscimi, puttana! – lo gridò con rabbia, avvicinandosi con estrema lentezza. Ogni cosa in lui era un paradosso; ogni singolo movimento.
Dalla voce al portamento, dalla rabbia alla gentilezza. Tutto lo attraversava senza colpirlo realmente.
Aveva preferito lasciarsi scivolare addosso qualsiasi emozione, come la pioggia acida che da mesi oramai non squarciava più quel cielo così insolitamente terso.
Dentro di lui invece vi era sempre stato il diluvio. E quell’acqua alla fine lo aveva corroso, annientato riuscendo quasi a trarne la propria ninfa vitale.
Lui si era semplicemente lasciato plasmare da quella tormenta, incurante di qualsiasi altro detrito avrebbe potuto trascinare con se. Rabbia, dolore, pace. Amore.
Inutili costanti di un’esistenza priva di alcun significato. E come costanti destinate a variare al mutare di quelle stagioni dentro di se. Di quell’inverno perenne.
La sollevò con un movimento fluido del polso, stringendo incurante la presa contro i contorni rigidi della sua trachea.
Senza rispetto, senza sentimento. Come un automa costruito per adempiere ad un singolo ordine.
- Colpiscimi! – strinse talmente tanto da sentire le unghie affondare teneramente nella sua carne e sollevarne i lembi. Ed allora cadde.
A piccole gocce su quelle dita di pianista. Vischioso ed infido come solo il sangue può essere, ed in parte offuscato dal sapore aggrumato della sua pelle.
- Cosa ti frena, puttana? L’orgoglio? La paura? -  sorrise al suono del suo ennesimo rantolo affaticato.
- Cos’altro sei disposta a perdere in nome di stupidi sentimentalismi? –
- E’ per amore che adesso sto lottando, e per difenderlo dal tuo sporco riflesso ... –
- Appunto. Stupidi sentimentalismi. – si lasciò trapassare come una bambolina di poco conto.
Sentiva la propria fine vicina, sentiva ogni parte del suo corpo farle male. Ma una parte di lei era ancora intera, salva da quella violenza che stava subendo. Era il suo cuore.
- Lo senti il vuoto che c’è qui, Sanji? È talmente forte che i tuoi colpi rimbombano nell’aria… eppure io non riesco a sentirli. Perché non ci sono, perché non esistono più…
Perché è bastato il calore di una famiglia a farli dissolvere… credi… credi saremo forti abbastanza da riuscire più a sentirlo sulla pelle? – le sue parole lo colpirono facendolo fermare improvvisamente.
Qualcosa di familiare aveva solleticato le sue orecchie, aveva sfiorato la sua mente. Qualcosa in quelle parole aveva suscitato un brivido che non aveva saputo controllare.
E delle immagini improvvise si affacciarono fra i suoi pensieri.
Un uomo ed una donna… una cucina, risate, gioia. Amore.
Giocavano con un pacco malfermo di farina. Lei glielo lanciava addosso e lui la pregava di fermarsi perché non resisteva più. Ed intanto rideva.
Una risata così bella da far risplendere quel viso, quelli occhi.
Lei era Nami, lui… lui chi era?
Un viso sfocato, dei lineamenti indefiniti. Occhi da non poterne capire il colore.
Chi poteva essere quel ragazzo insieme a lei?Non riusciva a capirlo, il viso era troppo confuso.
Ma di una cosa era sicuro; quei due erano felici, quei due erano innamorati.
Scosse la testa cercando di mandare via quelle immagini confuse, aveva cose più importanti di cui occuparsi.
La guardò un’ultima volta ed in quel preciso istante decise di fermarsi.
La lezione le sarebbe bastata, per quella volta. E poi lui non uccideva le donne.
Lo considerava al pari di mostrare le proprie debolezze, senza troppe remore o timori. Accanirsi con qualcuno ancor più debole non avrebbe mai dato la stessa soddisfazione che fronteggiare un avversario degno di questo nome.
Le voltò le spalle ed incominciò ad incamminarsi verso l’uscita di quell’arena.
Chiuse gli occhi per respirarne a pieno l’aria; quando era toccato a lui stare lì non ne aveva mai avuta l’occasione.
Era un luogo di morte, ma incredibilmente trasmetteva quiete. La sentiva, la percepiva. Avrebbe voluto farne parte. Ma dentro di lui regnava un tornando invece.
Un colpo squarciò il silenzio.
- Allora visto che sei capace di colpire, ragazzina? – si voltò e la scena che vide lo pietrificò.
- Perché? – chiese semplicemente.
- Perché non era adatta. –
- Avevi detto che sarebbe stata una buona avversaria. – rise, Carlos.
Rise facendosi vanto del proprio ruolo e della propria forza. Rise da dietro quella bolla d’aria che si ostinava a calcare a forza sopra i capelli, come a volersi nascondere dalla crudeltà del mondo. Quella stessa crudeltà che lui stesso amava alimentare ed acquietare subito dopo.
Con l’odore del sangue. Con il sapore amaro della morte.
- Si, l’avevo detto. Ma si lamentava troppo, non intratteneva e soprattutto non mi divertiva come avrei voluto. Ripensandoci poteva diventare un’ottima esca per i miei piraña! –
- Anch’io mi lamentavo. Qual è la differenza? –
- Tu mi servivi, lei no. –
- E’ vero. Noi siamo solo oggetti, macchine a tua completa disposizione. –
- Bravo ragazzo, non mi deludi mai. Torna pure alla base, il tuo compito qui è finito. – lo vide allontanarsi.
Passò accanto a quel corpo che giaceva a terra privo di vita e lo sfiorò un’ultima volta con la punta della propria scarpa.
Buffo come stesse sanguinando come la sua stessa anima…


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