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Autore: keska    01/07/2009    39 recensioni
Tranquilli è a LIETO FINE!
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

Fan fiction ANTI-JACOB!
E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse. Lupacchiotte, siete state avvisate, non uccidetemi poi…
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Edward’s POV

Capitolo riveduto e corretto.

 

Edward

 

Avvicinai il volto al suo cuscino, inspirandone l’odore soave. Improvvisamente una valanga di ricordi mi assalì.

Lei, che arrossiva.

Lei, che mi fissava indispettita e imbronciata.

Lei, che entrava in camera tentando di sedurmi e che mi affascinava con la sua timidezza.

Lei, che mi guardava con gli occhi lucidi e intinsi del piacere che le stavo donando.

Lei, che aveva la paura negli occhi e la morte nel cuore.

Lei, che piangeva invocando il mio nome, perché io potessi in qualche modo salvarla, e affidandosi a me, piangeva ancor di più, sapendo che non le potevo darle aiuto e di quello stesso fatto mi sarei dannato l’anima.

Sempre che io ne possedessi una.

Sentii che in quel momento avrei dovuto piangere, ma la crudeltà della mia natura me lo vietava. Quindi il mio corpo venne scosso da asciutti singhiozzi, ma il dolore di cui si liberavano non era nulla in confronto a quello che si accresceva in me, secondo per secondo, legato esponenzialmente alla durata del suo distacco.

Bella.

Solo quel nome avevo in mente. Solo quel nome sentivo nei pensieri delle persone che erano nella stanza accanto.

Sentivo che mio padre, Jasper e Emmett erano appena tornati.

Allora, di sicuro, non hanno trovato Bella. Una nuova ondata di dolore mi stordii e fui costretto a chiudermi le braccia intorno al petto per tentare di contenerlo. In quel momento mi sentivo fragile. Che assurdo paradosso. Io, un vampiro indistruttibile, sentirmi fragile.

Tentai di concentrarmi su qualsiasi altra cosa, per evitare di annaspare.

Sentivo mia madre e mia sorella Rose parlare con Charlie.

Già, Charlie. Il coinvolgimento della polizia era stato inevitabile considerando che ad assistere alla scena c’erano degli umani. I suoi pensieri su Jacob, in quel momento, erano completamente stravolti. Stentava a capacitarsi di quello che poteva essere successo a sua figlia.

 Sentii anche quelli di Alice, che si trovava sull’attico, la stanza che aveva preparato per Bella. Doveva essere una sorpresa. Si sentiva colpevole. Ma non potevo biasimarla né rincuorarla, perché in quel memento era esattamente quello che provavo anch’io.

Chiusi gli occhi e vidi ancora i suoi, color cioccolato, sgrananti, pieni di lacrime e la sua voce spaurita che invocava il mio nome, mentre io la fissavo impotente, consapevole che qualunque mio movimento l’avrebbe condotta alla morte e al contempo torturato nel pensiero che non più rosea sorte le sarebbe spettata, se ancora fossi rimasto immobile. Poi, vidi la linea rossa di sangue sul suo collo e a quel punto, decisi di alzarmi dal letto per andare a dirlo a mio padre.

Prima non ce ne era stata l’occasione. Carlisle mi aveva detto che io non sarei stato d’aiuto nello stato in cui mi trovavo e quindi mi aveva spedito a casa sotto la supervisione di mia madre, mentre loro si mettevano sulle tracce di Bella. Non avevo obiettato, mi ero lasciato trascinare, per poi diventare perda dell’assoluto sconforto. Non ero stato in grado di dire una parola, perché le sole parole che in quel momento avrei voluto pronunciare erano rivolte a l’unica persona che in quello stesso momento non potevo avere accanto.

Non appena i miei familiari mi videro, i loro pensieri si tramutarono in compassione e pena. Persino quelli di Charlie. Chiusi gli occhi, ma poi capii che era meglio tenerli aperti se in qualche modo volevo avere ancora una sorta di controllo di me.

Inspirai, lentamente, e poi ricacciai fuori l’aria. Feci un cenno con la testa a mio padre e mi avviai verso lo studio, sapendo che mi stava seguendo.

Entrato nella stanza non sprecai tempo a sedermi sulla poltrona o a fare inutile gesti umani.

«Non l’avete trovata», non suonava affatto come una domanda, e in effetti non lo era, ma mi stupii comunque di quanto la mia voce risultasse piatta, lontana e monocorde.

«No».

Non potei fare a meno di fremere, anche se la verità si era già dimostrata palese.

«Figliolo…», mi chiamò con la mente «Non perdere la fiducia, la troveremo. Non serve a nulla compiangersi».

«Carlisle», dissi, con un filo di voce, che se fossi stato un umano, avrei detto sicuramente di stare piangendo, «l’ha ferita». A quelle parole mio padre sgranò gli occhi. Continuai a parlare, voltandomi di spalle e portandomi una mano fra i capelli. «L’ha tagliata intenzionalmente con un coltello sulla gola». Feci una pausa, quasi incapace di continuare. «Valutavo i suoi pensieri, ma mai avrei creduto che la potesse ferire, mi ricattava, ma non pensavo facesse sul serio. Non ho potuto fare più niente, sono dovuto rimanere immobile, dai suoi pensieri si capiva chiaramente che se non l’avessi fatto non avrebbe esitato a ucciderla…». La mia voce si spense.

I pensieri di mio padre ne facevano trapelare il suo reale stupore. Mi sentii poggiare una mano sulla spalla. «Edward, tu hai fatto quanto potevi. Quanto è grave la ferita?»

Mi voltai nuovamente verso di lui. «Non è molto profonda e fortunatamente non credo abbia reciso l’arteria, altrimenti…»

«Altrimenti in questo momento sarebbe già morta» questo mio padre non poté fare a meno di pensarlo. «Dobbiamo sperare che abbia il buon senso di fasciarla e non lasciare che s’infetti».

Respirai ancora una volta, piano, rievocando i pensieri del cane. «Credo che la curerà. I suoi pensieri erano…» feci una pausa, scuotendo la testa. «Non si rende neppure conto di quello che fa, agisce per impulsi e poco per ragione. Ma Bella… lei è… così fragile», conclusi sconsolato.

«Non più di qualsiasi altro umano. Ce la farà. Comprendo la tua apprensione, ma ora ci dobbiamo impegnare per ritrovarla, hai trovato qualche altra notizia nei loro pensieri?»

Mi sentii inutile. «Non sono riuscito a capire dove si nasconderà. Niente, nulla».

«Edward… Tu sai cosa vuole da lei?»

In quel momento strinsi i pugni con tutta la forza con cui avrei voluto avventarmi sul suo collo e sbriciolargli le friabili ossa, in tanti minuscoli e dolorosi pezzi, e sentire la sua carne calda torcersi e sfaldarsi sotto la pressione delle mie mani sanguinarie mentre gli mozzavo il suo ultimo respiro in gola e godevo nel sentire il suo ultimo ansito.

«Figliolo» Vidi la mia immagine dagli occhi di mio padre. Il mio volto, era quello di un assassino, mentre digrignavo i denti e facevo risuonare nel mio petto un ringhio cupo.

«Vuole abusare di lei» dissi con assoluta freddezza.

Mio padre annuì e con i suoi pensieri mi espresse tutto il suo rammarico e la sua sincera amarezza. Data la mia reazione lo sospettava. «Jasper e Emmett sono di nuovo usciti a cercarla, ma la pioggia sta facendo scomparire le loro tracce e la polizia ci sta intralciando. Ci siamo rivolti ai lupi, ma loro non ne sanno nulla. Sono sgomenti, e mi sono sentito di credere alla parola di Sam e soprattutto a quella di Seth. Sono sinceri. Sono andati ad informarsi da Billy e…».

«L’ha ripudiato» intervenni io, ricordandomi dei suoi pensieri.

Mio padre annuii e poi continuò «Dicono che in questi ultimi tempi non si sia mai trasformato in lupo».

In quel momento, non avevo idea del perché il mio subconscio - che ormai aveva preso il controllo di me -, scelse proprio quello, scatenò la mia ira.

«Come ha potuto portamela via? Come?» sbottai urlando, rovesciando una sedia. Mio padre non fece nulla per fermarmi. «Sono stato un empio, un folle, a farla andare sola! Dannazione! Le sarei dovuto rimanere accanto, in ogni momento, gliel’avevo promesso! Invece appena poche ore dopo me la lascio portare via, sotto i miei occhi, senza che io possa fare nulla! Mi sono sentito così impotente, non ho potuto fare nulla! Ogni sua lacrima, ognuna, avrei voluto raccoglierla! Avrei voluto stringerla fra le braccia, consolarla! Averi dovuto farlo, avrei dovuto trovare il modo! Maledizione Carlisle!» sentii un singhiozzo, secco e asciutto, scuotermi il petto e mi lasciai andare contro la parete, la testa fra le mani «Com’è possibile che ora sia nelle mani di quel maniaco, come?! Quale giustizia divina permetterebbe una cosa del genere? Quale?! Quale dio, quale demone!» mossi la testa, in avanti e indietro, come per scacciare quel peso che mi opprimeva «Non posso perderla Carlisle. Lei è tutta la mia vita, tutta la mia esistenza…» queste ultime parole, le pronunciai con tutta la sofferenza che in quel momento trasudavo.

Mio padre, che fino a quel momento era rimasto immobile, si fece strada fra le sedie rovesciate e i libri sparsi ovunque. Si sedette per terra, accanto a me, prendendo la mia testa e posandosela sulla spalla. «Edward, sono convinto che quanto dici tu sia vero. Non meritavi una punizione del genere, no davvero, non proprio tu. Non sappiamo né se un dio esiste né se è a lui che dobbiamo appellarci. Ma so per certo che non possiamo fare nulla in questo memento, tranne tentare di concentrare tutte le nostre forze per ritrovare Bella. E ti assicuro anche che tu hai fatto tutto il possibile per proteggerla. Ora, possiamo solo salvarla, e se anche tu ti impegnerai sono sicuro che ce la faremo» poi, mi sorrise e aggiunse «se Bella fosse qui, non vorrebbe vederti in questo stato. Lei conta su di te e per questo devi fare del tuo meglio per salvarla. Adesso, nel presente. Del passato non dobbiamo curarci ora. Ora, dobbiamo combattere per ritrovarla e sono sicuro che ce la faremo».

Nelle successive ore ringraziai la mia natura di vampiro che mi concesse di dedicarmi completamente alla ricerca di Bella senza dover dare ascolto ai bisogni primari che avrei avuto da umano.

Jasper e Emmett erano usciti, ancora sulle tracce di Bella a Jacob. Mia madre si stava informando dei progressi fatti dalla polizia, più per formalità che per effettivo bisogno di farlo. Ci eravamo trasferiti a casa dei miei genitori, dove potevamo disporre di tutti i mezzi ci sarebbero potuti servire.

Io e Rose stavamo di fronte al computer, tentando di individuare un posto dove il randagio, e non potei pensare a lui senza digrignare i denti, potesse essersi nascosto. Mio padre Carlisle era al telefono con i licantropi, in cerca di nuove informazioni, e Alice era ancora chiusa in camera sua. Si sentiva totalmente inutile senza le sue visioni.

«Rose, torno subito» le dissi alzandomi dalla sedia.

«Va bene… Continuo a cercare». I suoi pensieri erano carichi di apprensione per Bella. Non le avrebbe mai augurato una sorte simile alla sua.

Le feci un cenno affermativo con il capo e corsi veloce su per le scale.

Bussai alla porta di mia sorella.

«Entra, Edward». Feci come mi diceva e le andai accanto sedendomi al suo fianco sul letto. «Ti prego, se puoi, perdonami» pensò disperata.

Vidi nella sua mente formarsi l’immagine di me che la rassicuravo.

«Grazie».

Il mio umore non era affatto ancora migliorato, ma tentavo di incanalare tutto il mio odio e il mio malumore nella sfrenata ricerca della mia piccola Bella.

Mi vidi di nuovo nella mente di Alice. Adoravo quel nostro modo di conversare. «Riesci a concentrarti per vedere intorno a lei?» le chiedevo.

«Ci sto provando, se ci riuscirò giuro che sarai il primo a saperlo»

Annuii, le strinsi la mano nelle mie e uscii dalla stanza.

Quando fui in salotto mio padre, mia madre e mia sorella Rosalie mi vennero accanto.

Mi padre cominciò a parlare. «I licantropi si trovano in una posizione di difficoltà. Hanno cercato fra le loro leggende se in passato si siano verificate situazioni simili. Solo in un caso è accaduto che un licantropo si sia comportato in maniera così sconsiderata, e in quel caso hanno agito contro di lui. Ma in questo frangente, non si sentono di biasimarlo…». Dal mio petto nacque un ringhio cupo, che mio padre ignorò. «Non si sentono di biasimarlo come non si sentono di incoraggiarlo. Poiché è nella sua natura andare contro i vampiri, ma, aggiungono, è nella sua natura anche proteggere gli umani. Quindi, in conclusione dei fatti non agiranno se non quando sarà strettamente necessario, e si impegnano, una volta ritrovato, a segregarlo con loro a la Push…»

A questo punto non mi trattenni. «Perché credono forse che quando lo ritroverò lo lascerò in vita?», ringhiai ancora «Mai».

Carlisle tentò di acquietarmi «Edward, se lo ucciderai senza che ci sia un valido motivo, considereranno il patto rotto e ci ritroveremo con problemi ancora maggiori».

«Perché, non c’è già un valido motivo?» sbottai.

«Sai bene cosa intendo, non rendere le cose più difficili. Per ora concentriamoci per trovare Bella».

A quel punto intervenne Esme. «Pensate sia il caso di chiamare in aiuto il clan di Denali?».

Carlisle scosse il capo, pensieroso. «No, ora il problema è rintracciarlo, la forza è dalla nostra parte e non vedo il motivo di creare altri possibili contrasti fra loro e i licantropi. Sarebbe superfluo e infruttuoso».

Anche gli altri parvero essere d’accordo. Mia madre era molto in pena per Bella, ma tentava in tutti i modi di non esprimere il suo dispiacere, per non farmi stare peggio di quanto già non stessi.

«Bene», disse infine Carlisle dopo un attimo di silenzio. «Mettiamoci al lavoro».

In pochi secondi ci ritrovammo tutti intorno al tavolo da pranzo, su cui era poggiata un’enorme cartina del Nord America.

Sentimmo il rumore della porta di casa che sbatteva al passaggio di Alice. Era andata a prendere il gelato per Bella. Voleva che quando fosse tornata tutto sarebbe stato come se non fosse mai andata via. La mia famiglia ignorò discretamente quel passaggio. In una famiglia come la nostra non potevamo permetterci di essere invadenti.

«Allora» cominciò risoluto mio padre, guardando l’orologio «sono passate quattro ore e mezza. Che auto aveva con sé?».

«Lamborghini Diablo, blu notte, molto probabilmente rubata».

«Probabilmente non si trasformerà, sarà costretto a seguire le autostrade e la velocità media a cui può viaggiare in pieno giorno non è più di 120 km/h», disse Rosalie.

Mio padre annuì, prese una cordicella e un pennarello; lo legò ad un estremità e presa la misura con l’unità di misura in sala sul fondo della cartina e segnò un cerchio che aveva come centro Forks. «Se è vero che ha seguito i percorsi stradali, 300 km di raggio potrebbero bastare per ora».

Tutti ci sporgemmo per tentare di visualizzare un possibile luogo dove avrebbe potuto nascondersi.

«Port Angeles come Seattle, come pure Portland o Everett! Comprende metà dello stato di Washighton e anche parte del Canada», esclamò Rosalie.

Mi presi la testa fra le mani, scompigliandomi i capelli.

«Dove si sarebbe potuto nascondere? Un luogo affollato o poco popolato?» chiese mia madre.

«No, non andrebbe mai in città…», mormorai debolmente.

Carlisle aggiunse, «…Non con la polizia di mezzo. Sapeva che sarebbero intervenuti…».

«Sì».

Improvvisamente il suo cellulare squillò. «Jasper».

«Si è diretto a Nord. Li abbiamo seguiti fino a Everett, ma da lì le tracce si facevano inconsistenti, pensiamo che stiano andando verso Vancouver, ma che senso ha portarla in Canada? Verso l’Alaska e quindi verso Denali? Inoltre si sta per scatenare una bufera di neve e non credo che siano in grado di fronteggiare climi così rigidi. O almeno…»

«Non Bella» conclusi, disperato. Il mio cuore, già fermo, mancò nel mio petto, lasciandomi il vuoto.

«Siete certi che siano passati da Everett?» chiese mio padre.

«Si, proprio quando stavano ritornando indietro, abbiamo trovato una traccia».

«Che genere di traccia?»

«Credo sia meglio dirvelo quando saremo tornati, siamo già in strada, inutile continuare in queste condizioni, in cui loro non possono essere più veloci di noi, ma in cui si possono disperdere. E’ come cercare un ago in un pagliaio. E, se è vero quello che ci ha detto Edward, che sarebbe anche disposto a ucciderla se ci avvicinassimo troppo, non sarebbe prudente girovagare senza una meta precisa. Non è una gara di velocità, è una gara d’astuzia, quindi dobbiamo sviluppare un piano».

«Sì, tornate. Credo anch’io che sia meglio», chiuse la comunicazione e aggiunse, rivolgendosi a noi «dobbiamo aspettare che torni Jasper per sviluppare un piano».

«Carlisle…», sospirai, e mi decisi a parlare, anche se con tono del tutto assente. «Sicuramente avrà perso molto sangue e sarà debole. Se come dice Jasper c’è una tormenta di neve da quelle parti, e stanno procedendo verso Nord, allora…», ansimai, «allora potrebbe indebolirsi maggiormente…», nascosi il volto fra le mani. «Non voglio perderla, non posso…».

«Edward», sentii una mano posarsi sulla mia spalla, «è vero che il rischio di ipotermia, unito alla sua debolezza potrebbe rappresentare un pericolo per la sua salute, ma sai bene che è solo un rischio. E’ una ragazza giovane e forte e devi anche considerare, seppur sia una prospettiva spiacevole, che Jacob ha 42° corporei in media. Inoltre non è detto che siano diretti al Nord…» aspettò che alzassi il volto e spostassi le mani, «non abbattiamoci, forza e coraggio e la ritroveremo».

Non passò un’ora, che Alice fu di ritorno con i gelati - fragola e limone, i suoi preferiti -, e con un mucchio di cuscini colorati sistemati nell’attico di casa nostra. «Al suo ritorno dev’essere tutto perfetto, come se non ci avesse mai lasciati». Alice sembrava determinata nel suo compito, ma io sapevo benissimo che in realtà era disperata come me. Si adoperava in casa mia, correndo da una parte all’altra e sistemando ogni cosa che non fosse già perfetta. Avrei fatto volentieri come lei, pur di fare qualcosa…

Invece mi sentivo, ancora una volta, totalmente impotente, mentre il tempo passava e non potevo far altro che tentare di concentrarmi su quella cartina, più di quanto non mi fossi mai concentrato e individuare le zone in cui il cane avrebbe potuto nascondersi. Mi sembrava di impazzire nel non poter far nulla di realmente concreto. Andava totalmente contro la mia natura abbandonare la vita di Bella, la mia stessa vita, senza fare qualcosa di pragmatico per riaverla con me.

Carlisle si avvicinò nuovamente a me, prese lo stesso filo di prima e tracciò una circonferenza di maggiore diametro.

«Otto ore».

Mi lasciai sprofondare sulla sedia.

In quello stesso istante Jasper e Emmett, seguiti a breve distanza da Alice, entrarono in casa. Mi alzai di scatto dalla sedia, sentendo l’odore del sangue di Bella arrivarmi alle narici. Scattai con la testa verso di lui.

Jasper aveva fra le mani un pezzo di stoffa bagnato del suo sangue. Glielo strappai di mano, inspirandone l’odore. Non fece alcuna resistenza.

«E’ la traccia. L’abbiamo trovata sul ciglio della strada. L’odore era quasi scomparso ormai, e non l’avremmo mai trovato se non fosse stato per le tracce di sangue».

La strinsi forte in un pugno.

«Non sappiamo cosa significhi. Le sarà caduto? Forse è una benda?».

A quel punto prese la parola Emmett. «Crediamo anche che lui le abbia fatto aprire il finestrino, perché c’era un odore diffuso più forte lì vicino… Non sappiamo cosa possa averlo portato a farglielo fare… E’ un gesto sconsiderato…», constatò semplicemente.

«Forse stava davvero male…» pensò per un attimo mio padre, lanciandomi poi un’occhiata di sincero dispiacere in risposta alla mia di penosa disperazione.

Emmett si accorse del mio ulteriore peggioramento d’umore. «Può anche darsi che l’abbia convinto ad aprirlo con l’inganno. E’ molto furba quella piccoletta, non dobbiamo sottovalutarla».

«Quindi avrebbe lasciato cadere quel pezzo di stoffa intenzionalmente?», chiese Esme, perplessa.

Jasper confermò i suoi sospetti. «Credo di sì, per lasciare una sorta di traccia».

«E’ la stoffa della canottiera a righe che le ho dato stamattina…» pensò Alice addolorata. Combatteva con il desiderio di scappare via.

In quel momento mi sentii come stranito, colpito da una strana idea. Osservai il pezzo di stoffa che avevo tra le mani. Addolorato, rammentai l’immagine del suo corpo, il suo pudico rossore mentre si vestiva. Qualcosa che non quadrava, ma ancora non riuscivo a capire cosa. Come se qualche pensiero, qualcosa di palese, sfuggisse ai miei occhi. Mi persi nella contemplazione di quel rosso acceso, senza riuscire a trarne alcuna informazione, se non rammaricarmi maggiormente alla vista delle gocce di sangue di cui era macchiato.

Bella… aveva lasciato cadere quel pezzo di stoffa di proposito. Per non far perdere le loro tracce? No. Aveva ragione Emmett, lei era molto più furba di così.

C’era qualcosa. Un messaggio che lei voleva mandarmi e che era proprio lì, sotto i miei occhi e che io dovevo tentare di decifrare.

Sentivo tante cose, tutto e niente. E tentavo di scovare la verità, stracciare le apparenze, formulare possibili ipotesi, ma ogni mio tentativo si riconduceva al suo volto spaventato. La verità mi sembrava come l’acqua, che tentavo di afferrare a mani nude mentre mi sfuggiva costantemente dalle dita. E non potevo costruirci niente, perché non creava alcun fondamento.

Improvvisamente, i miei occhi misero a fuoco un dettaglio che non avevo precedentemente valutato. La stoffa, sfilacciata su un lato, si incontrava con un solo filo bianco. La sua maglia era a righe.

«Edward» mi sentii chiamare mentalmente da mio padre, mentre una sua mano si posava su una mia spalla. «Stai bene figliolo?».

Inghiottii un fiotto di veleno che mi aveva invaso la bocca.

Notai che nella stanza non c’era più nessuno, solo mio padre. Dai suoi pensieri preoccupati mi resi conto che due ore erano passate; ore non infruttuose. Ero stato completamente immobile tutto quel tempo. Era nella mia natura d’altronde.

«Carlisle» lo chiamai. Nella mia voce percepivo una flebile e debolissima speranza, nata nell’aver fatto anche un seppur minimo passo avanti. Nata dall’aver agito in qualche modo.

«Sì, Edward?» chiese ad alta voce, invitandomi a parlare.

«Bella aveva una canottiera a righe», feci una breve pausa, chiusi gli occhi e gli riaprii lentamente. «Che motivo ci sarebbe stato di strappare con questa precisione una riga? Non l’ha tagliata con le forbici».

Mio padre rimase qualche istante pensieroso. «Pensi che potrebbe aver tentato di inviare un messaggio?».

«Sì».

«Ne sei sicuro? Insomma… Credo che quella stoffa le servisse per farsi una benda, è normale che l’abbia tagliato in una striscia. La stoffa dev’essere più cedevole nel punto in cui si innestano le cuciture…».

«No. Ne sono certo», inspirai «me lo sento».

«Va bene, ma in tal caso, penso che il messaggio sia destinato a te».

Sospirai, sconsolato, mentre anche gli altri entravano nella stanza.

«Credi davvero che possa essere un messaggio?» mi chiese Jasper, stringendo Alice, che mi fissava con sguardo triste.

«Sì» risposi laconico. E quella risposta mi fece inevitabilmente pensare a Bella, e a come mi rimproverava ogni volta che la rispondevo a quel modo.

Sentii una calma innaturale avvolgermi, effetto del potere di Jasper su di me.

«Grazie», gli dissi solo.

Mi guardò con determinazione. «Se è come dici tu, concentrati, isolati da tutto il resto, pensa solo a quel pezzo di stoffa. Se il messaggio è indirizzato a te, è riferito a qualcosa che deve averti detto in confidenza, o che se che può esserti rimasto impresso».

«Sono un vampiro!» ringhiai «A me rimane impresso tutto!».

«Qualcosa più di un’altra. Concentrati, rievoca i ricordi. Alice ed Esme rimarranno qui. Noi stiamo uscendo - in direzioni diverse. Alla polizia risulta che non siano andati in alcun distributore di benzina nello stato di Washington o nel sud del Canada, potrebbe aver portato delle riserve con sé, ma il portabagagli di una Lamborghini non può contenere più di quattro taniche da venticinque litri, quindi…».

Prese la parola Rosalie «Quell’auto fa 400 km con un pieno e la capienza massima del serbatoio è 100 litri, non si sono mai fermati, perché non hanno trovato segni di frenate o  cambiamenti nell’odore, quindi…».

«Quindi adesso si devono essere fermati. Aveva sin dall’inizio intenzione di fermarsi vicino. Sono propenso a pensare a Vancouver, perché erano diretti verso Nord. Quindi io e Emmett andremo a cercare a Nord, mentre Carlisle e Rosalie verranno con noi per un po’, poi si separeranno a andranno verso Est».

Serrai la mascella. «Vengo con voi».

Jasper scosse il capo, dai suoi pensieri capivo che il suo stesso piano non lo convinceva. «Tu resti qui e tenti di decifrare il messaggio. Dobbiamo seguire tutte le strade, fidati Edward, solo in questo modo la troveremo».

Per tutto il tempo successivo non feci altro che tentare di concentrarmi su quel brandello di stoffa. Esme e Alice, accanto a me, facevano lavorare i loro pensieri in direzioni diverse. Tentavo di valutare i loro, i miei, e di trovare un punto d’incontro o un nuovo punto di partenza.

«Hai detto che la maglietta era a righe, vero?» chiese mia madre.

Rispose Alice, senza sollevare il capo. Era accovacciata sul divano, con le ginocchia al petto. «Sì, righe rosse e bianche. Era la sua canottiera».

«Quindi… il fatto che lei abbia strappato una sola striscia, dovrebbe dire qualcosa…?» concluse Esme, perplessa.

«Una striscia… una riga… ti dice niente Edward?» mi chiese Alice.

Scossi il capo.

«Striscia macchiata… tagliata con precisione…».

«Un gioco di parole? Un anagramma?».

«Forse un messaggio nascosto? No…».

Il tempo passava, e persino per la mia mente di vampiro, sentivo che quel pezzo di stoffa, quel messaggio, quel qualcosa la occupava completamente. Nessuna distrazione, nessun pensiero che non fosse quel brandello.

Jasper e Emmett telefonarono alle prime luci dell’alba, mentre Carlisle e Rosalie decisero di tornare indietro che era mezzogiorno. Il motivo era sempre lo stesso: nessuna traccia, nessun indizio. Bella non si trovava. E noi, allo stesso modo, non avevamo fatto nessun passo avanti.

Ormai stavo cadendo nello sconforto più totale e la mancanza di Jasper si faceva sentire.

Ancora una volta mi ritrovai con le mani fra i capelli e il petto scosso da singhiozzi, mentre mia madre mi accarezzava dolcemente, tentando in ogni modo di confortarmi, anche se i suoi pensieri erano molto, troppo simili ai miei.

Mi sentivo così vulnerabile e bisognoso di conforto. Era una sensazione che non avevo mai provato da quando avevo conosciuto Bella. Perché quando l’avevo conosciuta, ero io quello che le aveva sempre dato conforto, e non so cosa avrei dato per poterlo fare ancora.

Quando Carlisle e Rosalie ritornarono, anche i pensieri di mio padre, che finora erano stati così confortanti e determinati, avevano perso la loro verve. Era davvero preoccupato per Bella, considerandola ormai come una figlia.

Mi serviva un appiglio, qualsiasi cosa per sfuggire al buio tetro che inesorabilmente mi stava circondando. E in quel buio sprofondai sempre più, aiutato dalle ricerche inconcludenti e dai passi avanti che non venivano fatti. Dalle chiamate disperate di Charlie e da quelle altrettanto sconfortate dei miei fratelli.

Nulla più aveva senso, neppure il tempo; il vero senso della mia esistenza, era scomparso. Perché Bella era il senso della mia vita.

Improvvisamente, qualcuno mi gettò quell’àncora.

Tutti gli sguardi dei presenti erano puntati su Alice, mentre solo io e lei potevamo vedere.

Una stanza buia. Bella, seduta su un letto, che piangeva, spaurita, la testa fra le mani. Poi un urlo e lei che si accasciava sui cuscini.

Alice crollò a terra, carponi, lo sguardo perso nel vuoto, mentre Jasper le correva accanto per sorreggerla.

Ora tutti fissavano ci, aspettandosi che qualcuno dicesse qualcosa. Non io. No, non avrei parlato. Questa volta, avrei agito. Lo dovevo a Bella. Dovevo trovarla e aiutarla. In qualsiasi modo.

Scattai fuori dalla porta, correndo alla maggiore velocità che potessi permettermi. Nel giro di due minuti fui a casa mia, nella mia stanza da letto, e lì mi bloccai.

Inspirai il suo odore, ancora molto forte fra quelle mura. Mi sedetti sul materasso, le gambe incrociate, e portai davanti agli occhi il brandello di stoffa rossa della sua canottiera.

In un attimo una lampadina si accese nella mia testa. Una cosa che prima non avevo valutato.

Rossa. Ecco il perché di quella precisione. Avrebbe anche potuto strappare un pezzo di stoffa bianco, invece no. Mi voleva dire qualcosa collegato a quel colore. Una riga rossa.

Subito pensai alla ferita che la aveva inflitto Jacob, ma scacciai quel pensiero, poiché non portava nulla se non dolore.

Rossa. Rosso come sangue? Il suo sangue? Perché lei era la mia cantate?

Scossi il capo. No, decisamente assurdo.

Lasciai andare la striscia rossa fra le coperte e mi sollevai dal letto, osservando la stanza. Ogni volta che spostavo lo sguardo vedevo Bella, con i suoi occhi vispi color cioccolato, fissarmi, come se fosse proprio lì con me.

Osservai i suoi dipinti. Era davvero brava, Alice aveva ragione: Bella aveva talento. Osservai il disegno che mi aveva fatto la mattina di due giorni prima. Chiusi gli occhi a quel pensiero felice e proprio per questo doloroso.

Poi, il mio sguardo si posò sul mio quadro preferito. La Cortigiana. Avevo già capito che le piaceva, anche se ogni volta che lo guardava, aveva quella strana luce negli occhi. Sospirai affranto, muovendomi alla mia velocità fino a trovarmi di fronte al dipinto.

Sfiorando con la punta della dita la tela, mi ricordai della mattina dopo che avevamo fatto l’amore la prima volta.

Le avevo detto che mi piacevano i colori vivaci di quel dipinto e lei mi aveva raccontato la storia. Le avevo detto che mi piaceva il rosso del vestito della cortigiana

Improvvisamente, tutto mi fu chiaro.

Goat Rocks.

 

   
 
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