Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: ely natassia    28/03/2018    2 recensioni
"Non potresti essere migliore, nemmeno se ti fossi rimasta accanto per tutti questi anni.
Ricordami, amore mio"
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kuchel Ackerman, Levi Ackerman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C'era una stanza piccola e sporca, in quel bordello piccolo e sporco in cui sei nato. Un letto malconcio, addossato alla parete; un tavolo quadrato che dondolava su tre gambe, perché la quarta era zoppa: dal piano di sotto si lamentavano del rumore, così per tenerlo in equilibrio mettevo un fascio di lettere sotto alla gamba rotta.
Erano l'unico bene personale che possedevo, le lettere dei miei genitori; ma eravamo una famiglia di reietti, e poche righe scarabocchiate ormai non avevano senso per noi: il tempo e l'umidità si portavano via l'inchiostro, mentre la vita aveva cancellato quelle parole dal mio cuore molti anni prima.

C'era una bacinella nella stanzetta, la usavo per lavare gli stracci che poi ti drappeggiavo addosso come fossero stati vestiti veri; e a dire la verità con quella roba addosso sembravi una bambola un po' sgualcita... Chissà se potrai mai perdonarmi.

Non si respirava, nella camera piccola e sporca. E non ci si muoveva, se tu fossi stato solo un pochino più grande non ci sarebbe stato posto per tutti e due: non puoi ricordarlo, ma lo chiamavamo "il nostro buchino".

Era bello, il nostro buchino. 

Quando la sera provavi a camminare su quei pochi centimetri liberi tra il letto e la porta, diventando sempre più sicuro sui piedini; quando per cena c'era un pezzo di pane bianco da bagnare nell'acqua calda che mi ostinavo a chiamare zuppa. Quando la notte ti svegliavi piangendo, perché il sonno dei bambini è misterioso, e ti stringevo per riuscire a calmarti. Era bello il nostro buchino.

C'erano le volte in cui non riuscivo a tranquillizzarti: non facevi rumore, ma tremavi forte e il tuo petto si alzava ansioso, mentre il pianto che non potevi gridare sembrava restarti dentro, chiuso dietro quella minuscola bocca che ti rifiutavi di aprire.
Sapevo bene quanto potessero urlare i bambini così piccoli, avevo sentito le loro voci risuonare dalle stanze delle giovani madri del bordello, seguite nel migliore dei casi dall'accendersi di un lume, e nel peggiore da un'eco di maledizioni ubriache; ma tu non strillavi: qualunque fosse il tuo piccolo dolore, ti si fermava in gola prima di giungere alle labbra. E io, io lo ammetto, ero grata del tuo silenzio, delle tue lacrime che non avrebbero svegliato il custode né disturbato il lavoro delle altre.
Ti amavo più di ogni cosa, ma dovevo farti tacere: cercavo di calmarti in fretta, di rimetterti a dormire; e poi piangevo, io, per tutta la notte. Non so a cosa pensassi in quei momenti, soltanto piangevo.

Quando non riuscivo a farti addormentare, ti raccontavo delle storie felici sperando che poi le avresti sognate (o magari le avrei sognate io...): ti parlavo del villaggio in cui vivevano i miei nonni, della casa con il cancello verde, delle botteghe ai bordi della strada; di me bambina e dei miei compagni di giochi, del cane sdraiato sulla soglia a sonnecchiare sotto il sole. Dei cinguettii fuori dalla finestra, che ogni mattina d'estate mi invitavano a uscire anche se era ancora troppo presto per alzarsi.

Ne parlavo come se tutto questo avesse ancora potuto tornare, come se fosse stato il futuro e non il passato. Eppure una voce mi fermava a un tratto, a metà frase, e mi diceva che non era vero; che il villaggio era cambiato, e i negozi non esistevano più. Che gli amici erano lontani, volti irriconoscibili sparsi nella folla, oppure se n'erano andati. Che i cani erano tutti morti, da un pezzo, che i personaggi delle mie storie erano morti anche loro, portando con sé ognuno un piccolo universo, ormai dissolto nell'aria.

Mi ripetevo questo, ma intanto ti eri addormentato.

Ora hai una camera tutta tua, con una scrivania pulita e una mensola per le tue foglie di tè: e puoi camminare per la stanza senza paura di inciampare, e hai vestiti veri, e molte vite dipendono da te... Ma spero che da qualche parte, nel profondo del cuore, tu possa ricordare il nostro buchino: le cose belle, i momenti insieme.

Non potresti essere migliore, nemmeno se ti fossi rimasta accanto per tutti questi anni.

Ricordami, amore mio, ricordati della stanzetta piccola e sporca; dell'acqua grigia nella bacinella, e del lettino accanto alla parete. Ricordati che ti ho lasciato solo perché non potevo più restare con te, ricordati che il mio ultimo pensiero è stato tuo.

Ricorda che non ti ho mai davvero abbandonato. Ricordati, ricordati della tua mamma.

   
 
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