Anime & Manga > Captain Tsubasa
Segui la storia  |       
Autore: Yoshiko    29/03/2018    5 recensioni
È trascorso molto tempo dal viaggio dei ragazzi a Kyoto. Era autunno, la città li aveva accolti nella sua splendida cornice di aceri rossi, promettendo un soggiorno piacevole tra visite ai giardini e ai templi, colloqui per nuovi ingaggi e prove per uno spot televisivo. La spensieratezza di quei giorni si era infranta di colpo e gli strascichi di quei tragici avvenimenti continuano tuttora a segnare le loro vite.
Holly e Patty sono a Barcellona, Benji ad Amburgo, Mark è atterrato in Italia inaspettatamente accompagnato, e il resto del gruppo si trova in Giappone finché un’amichevole contro l’Italia di Salvatore Gentile e Dario Belli li riunisce tutti, ancora una volta.
Rain è il sequel di Leaves che a sua volta è il continuo di Snow. Per capire la storia e seguirne l’andamento è consigliabile avere un po’ di pazienza e cominciare dall’inizio, anche per la presenza di personaggi out of character, già presentati nelle precedenti fanfiction.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Kojiro Hyuga/Mark, Salvatore Gentile, Yoshiko Fujisawa/Jenny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Time'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ottavo capitolo



Philip dormì poco quella notte e non fu solo colpa del fuso orario. Si girò e rigirò nel letto, incapace di prendere sonno, mentre le immagini della festa si accavallavano una dietro l’altra davanti ai suoi occhi sbarrati nel buio della stanza. Si scervellò per ore, sui perché che non capiva. Perché Jenny era in Italia, come ci era arrivata, da quanto tempo, perché si fosse messa con Gentile, cosa aveva provato a vederlo di nuovo, dopo che lui l’aveva lasciata, dopo tutto quel tempo… E poi c’era quel fastidio sordo, che premeva come un pungolo nel petto togliendogli il respiro, di vedere Jenny insieme a un altro. Più del perché la sua ex fosse lì, si angustiava che ci fosse Gentile al suo fianco, al posto che lui stesso aveva occupato fino a pochi mesi prima. Era una sensazione spiacevolissima che gli saliva su per la gola e gli dava la nausea. E quando gli si affacciavano inevitabili nella testa i pensieri di loro due insieme, di ciò che avevano sicuramente fatto, un senso di impotenza lo costringeva a stringere i pugni e serrare le labbra, smettendo di respirare finché il dolore quasi fisico che provava non si affievoliva fino a scomparire. Quella sera, quando aveva visto Gentile baciarla, la sorpresa aveva spazzato via ogni altro sentimento, ma adesso, nel buio della camera, nel mezzo della notte, soffriva terribilmente di ciò che era stato costretto a guardare. I suoi pensieri andavano inevitabilmente più in là del bacio. Vedeva le mani di Gentile muoversi sulla pelle nuda di Jenny e faceva uno sforzo enorme per scacciare dalla testa quelle immagini devastanti. L’idea di loro due a letto insieme era furiosamente inaccettabile. Conosceva Jenny dalle medie, stavano insieme dal primo anno del liceo. Avevano scoperto l’amore l'uno con l'altra e da quel momento non si erano più staccati. I sei lunghissimi anni vissuti insieme erano stati per Philip di una gioia e di una felicità senza pari. Poi, ad un passo dal matrimonio, era comparso David McFay che aveva distrutto le loro vite, le aveva sconvolte, aveva annientato anche loro. Nel giro di un anno si erano allontanati fino a perdersi, fino a gettare all’aria tutto il passato che avevano costruito insieme e il futuro che avevano progettato. Il pensiero che adesso l’italiano avesse preso il suo posto in tutto, facendo con lei ciò che avevano fatto anche loro gli toglieva il sonno, lo rodeva da dentro, lo faceva soffrire tremendamente.
Quella notte Philip si girò nel letto per ore, mentre il mal di testa saliva ogni minuto di più, inarrestabile come la marea. Ad un certo punto si alzò per andare in bagno e quando tornò la luce del comodino di Julian era accesa. Con la schiena poggiata contro il cuscino, l’amico stava trafficando con il cellulare. Alzò gli occhi su Philip.
-Non riesci a dormire?-
-No. Ti ho svegliato?-
-In Giappone è mezzogiorno, per cui non credo che sia stato tu a farlo.-
Philip tornò verso il letto e si ficcò sotto le coperte.
-Ne approfitto per controllare la posta… Ti dispiace?-
-No.-
Si girò dall’altra parte e infilò la testa sotto il cuscino. Alle sette meno dieci si svegliò di nuovo, di soprassalto, in un bagno di sudore. Spalancò gli occhi così sconvolto che in un primo momento non riuscì neppure a capire dove si trovasse. Era stato lo stesso sogno a svegliarlo, quell’incubo che mesi e mesi prima lo aveva perseguitato per settimane in un susseguirsi di terribili immagini legate tutte ad un’unica, grande sofferenza: la villa di Kyoto di Miller, la gita a Nara da solo, l’albero che aveva preso a pugni, David che scendeva dalla moto e veniva assalito dal padre, le rose bianche fatte a pezzi, il livido sul volto di Jenny. Poi le tempie ricominciarono a pulsare. Un dolore che minacciava di fargli scoppiare la testa. Con le mascelle contratte ascoltava quel martellamento incessante, gli sembrava di avere una fucina dentro il cervello. A ogni colpo gli tremavano le palpebre e gli spiragli di luce che filtravano dalla finestra gli opprimevano le tempie.  
Si volse verso il letto di Julian e lo trovò vuoto. Poi sentì l’acqua scorrere in bagno e capì che si era già alzato. Si tirò su e una fitta insopportabile gli fece serrare gli occhi e trattenere il respiro.
-Cos’hai?-
Si volse. Julian era tornato in camera e lo guardava curioso. Indossava ancora il pigiama.
-Mi scoppia la testa. Hai finito di lavarti?-
L’altro annuì e Philip si alzò, andando con un passo incerto verso il bagno. Aveva bisogno di sentirsi bene, non di un cerchio alla testa che non gli avrebbe dato tregua per tutta la giornata. Mentre si lavava il viso, sprazzi dell’incubo gli tornarono davanti agli occhi. Li scacciò con un gemito soffocato, facendoli scorrere via insieme al sapone. Si tirò su, puntellando le mani sul bordo del lavello, il volto gocciolante, i capelli bagnati sulla fronte, lo sguardo sul proprio riflesso nello specchio. Aveva gli occhi arrossati e cerchiati da una fievole ombra scura, i capelli in disordine. Il sonno gli riempiva ancora lo sguardo, su una guancia c’era una striscia rossa lasciata dal cuscino. Non poteva dirsi propriamente in forma.
-Julian, faccio la doccia!-
La voce del compagno arrivò attraverso la porta chiusa.
-Io sono pronto, scendo. Sto morendo di fame.-
Philip gli rispose con un mugolio, poi si spogliò, chiuse gli occhi e lasciò che l’acqua calda gli colpisse il viso. Si chiese se avrebbe rivisto Jenny, quel giorno, e mentre lo faceva non poté assolutamente evitare di ripensare all’incontro della sera prima, a come lei lo aveva guardato, quando Landers l’aveva fatta voltare. Nei suoi occhi non c’era stato niente, né sorpresa né gioia. L’aveva fissato seria, impassibile, senza che un minimo gesto o un accenno di sorriso gli avesse permesso di intuire che era contenta di vederlo. E come poteva esserlo, dopo ciò che lui le aveva fatto? Dopo ciò che lui le aveva detto, dopo come l’aveva trattata l’ultima volta che si erano parlati? E poi, quando lui aveva cercato di toccarla, si era scostata. Si era allontanata, aveva impedito che anche un solo dito la sfiorasse. Era finita addosso a Mark, si era lasciata abbracciare da Gentile, mostrando inesorabilmente che era soltanto il suo tocco a infastidirla. Lui lo sapeva. Lo sapeva da mesi, lo sapeva da quasi un anno e questa cosa lo aveva fatto quasi impazzire di dolore.
Prese ad insaponarsi furioso i capelli, sforzandosi di pensare al programma della giornata. Non vedeva l’ora di scendere in campo e sfogare sul pallone tutto il suo scontento.

*

Jenny si svegliò piangendo nel letto di Gentile, le dita contratte sul lenzuolo spiegazzato, il corpo irrigidito, i piedi ghiacciati. Mentre risaliva gradualmente dai successivi strati sempre meno densi e vischiosi del sonno, si mosse piano, cercando di ritrovarsi, cercando di capire cosa avesse sognato, cosa l’avesse destata. Sentiva solo l’angoscia che bruciava. Gli occhi spalancati nel buio della stanza, il cuore che le batteva assordante nelle orecchie, Jenny cercò di respirare perché l’aria le si era fermata in gola, nell’urlo che non aveva emesso. Una boccata d’ossigeno le inondò i polmoni e solo allora provò a muoversi. Non ci riuscì, un peso sullo stomaco la bloccava contro il materasso. Il panico l’assalì, si irrigidì e poi cercò di liberarsi. Tastò cautamente il braccio caldo che la cingeva e ricordò dove si trovava. Salvatore era disteso accanto a lei, sotto le coperte, e dormiva profondamente. Non si era accorto del suo incubo, non si era svegliato. Il cuore smise di assordarla e sentì il suo respiro tiepido accanto al viso. Si volse ma non riuscì a vederlo. Nella debole luce del giorno che filtrava dalla strada attraverso le persiane chiuse, fu in grado di scorgere solo l’ombra scura del suo corpo e fili dei suoi capelli dorati che sembravano accendere le lenzuola. Si portò una mano al viso e lo sentì bagnato, le lacrime le rigavano le guance. Poi lui si mosse.
-Jenny?-
Lei si irrigidì e si passò svelta le dita sugli occhi. Insonnolito, Salvatore notò il gesto.
-Stai piangendo?-
-Ho avuto un incubo, non me ne sono neppure accorta.-
Lui non disse niente. Forse non gli interessava, forse era ancora troppo assonnato per aver voglia di parlare, forse intuì che era meglio non ficcare il naso. Nella penombra della stanza, Jenny cercò un orologio ma non lo trovò.
-Che ore sono?-
Gentile allungò un braccio verso il comodino.
-Quasi le otto.- tornò a voltarsi verso di lei e lasciò scorrere tra le dita una lunga ciocca nera che giaceva sul cuscino. Indubbiamente gli piacevano, quei capelli così scuri e setosi, dello stesso colore dei suoi occhi, come il cioccolato fondente. Così scuri, così diversi dai suoi. Ma non era solo quella cascata folta e liscia ad attirarlo. C’era anche il suo corpo minuto, così diverso da quello delle ragazze che finora aveva frequentato, modelle alte e slanciate. La statura di Jenny non era di quelle che attirano l’attenzione dei maschi italiani eppure la sua apparente fragilità, la delicatezza delle sue forme erano un richiamo irresistibile all’istinto di protezione di un uomo.
E poi c’era anche l’altro discorso. Il fatto che Jenny fosse entrata nella sua vita in un momento critico, con il potere di fare la cosa più importante di tutte: consentirgli di non stare a rimuginare troppo sul tradimento della sua ex, un tradimento che aveva annientato il suo amor proprio, ferito il suo orgoglio e dato uno scossone non da poco alla sua immagine pubblica.
Tutto sommato la presenza di Jenny era stata una distrazione migliore di innumerevoli serate passate in locali poco raccomandabili. Lei gli aveva offerto su un piatto d’argento due stimolanti obiettivi da perseguire: far incazzare Landers e cimentarsi in una nuova sfida di seduzione, che si era evoluta in una relazione tranquilla e serena. Jenny aveva rappresentato per Salvatore una manna scesa dal cielo a tirarlo fuori dal tunnel di rabbia e frustrazione in cui l’aveva gettato la scoperta del tradimento della sua precedente ragazza. Era successo mentre lui era in convalescenza dopo l’infortunio al ginocchio dovuto al brutto fallo di Louis Napoleon durante una partita contro la Francia. Il periodo di stop sportivo e la lunga e dolorosa riabilitazione li aveva allontanati. Lui non aveva più potuto mantenere il ritmo della loro frenetica vita sociale, ricca di inviti a cena, partecipazione a spettacoli, a programmi televisivi, conferenze, eventi di beneficenza e eventi pubblicitari. Così, una sera, anzi un giorno, la foto di lei e del suo art-director che si baciavano sui sedili posteriori di una macchina parcheggiata all’ombra di un albero, fuori del parco del Valentino, era comparsa su una rivista patinata. A quel punto si era scatenato il finimondo. Sui giornali Salvatore era diventato il fidanzato tradito, abbandonato, inconsolabile, dal cuore spezzato e persino “bello fuori e distrutto dentro”. Dire che era stato umiliante era davvero poco.
Jenny si mosse al suo fianco, lui si girò e le fu addosso. Gli bastò guardarla perché la tensione scaturita da quei tormentati ricordi si sciogliesse. Sentì il suo seno morbido premergli contro il torace, i fianchi contro il suo stomaco. Si tirò su un gomito, puntellandosi sul materasso, accanto alla spalla di lei, e con l’altra mano scese delicatamente, un tocco quasi impalpabile, sul fianco, dove la felpa si era sollevata lasciandolo a contatto con la pelle nuda e calda. Mosse le dita e sentì la stoffa sottile delle mutandine, dopodiché si chinò a baciarla.
Jenny si sforzò di non scostarsi di nuovo, di non respingerlo ancora, come aveva fatto la sera prima. Ci provò con tutta se stessa. Lo sentì infilarle una mano tra i capelli e le dita scivolare dietro, sulla nuca. Serrò gli occhi su quella carezza, concentrando i sensi su quel tocco innocente e delicato, mentre Salvatore dischiudeva le labbra di lei con la lingua. Se soltanto il bacio di Gentile avesse potuto farle dimenticare… E invece no, fu peggio.
D’improvviso lo sguardo sconvolto di Philip comparve come un fantasma dietro le palpebre serrate. Jenny fu scossa da un brivido e poi, esattamente come era successo la sera prima, si irrigidì. Stavolta Salvatore non fu colto alla sprovvista. Forse se lo aspettava, chissà. Jenny lo vide tirare indietro la testa. Aveva gli occhi colmi di passione, le pupille dilatate nelle iridi azzurre. Le sembrò di scorgere un dilemma in fondo ai suoi occhi, che risultavano chiari anche nella penombra. Forse voleva insistere, provarci fino in fondo. Eppure si trattenne. Puntellandosi sulle mani, si scostò, permettendole di allontanarsi. La mortificazione di Jenny fu tale che le salirono le lacrime agli occhi.
-Posso andare in bagno?-
Quella frase raggiunse Salvatore come una ventata gelida, a raffreddare i suoi bollenti spiriti. Si tirò indietro, accigliato.
-Certo che puoi.- la lasciò alzarsi, la cascata di capelli scuri scese di colpo ad accarezzarle le spalle e si adattò alle pieghe della felpa.
Lui la guardò deluso, profondamente contrariato. Non disse altro, si limitò ad osservarla: il suo corpo spariva avvolto dalla felpa che le stava enorme. La guardò uscire e sparire nel corridoio.
Jenny girò l’angolo e quando capì che lui non poteva più vederla si fermò, le gambe tremanti, le forze appena sufficienti a tenerla in piedi. Si appoggiò con le spalle al muro, le labbra serrate, sensi di colpa che si mescolavano ad un infinito sollievo. Non era andata poi troppo male, in fondo. Salvatore avrebbe potuto infuriarsi, finire con l’insistere e prendersi ciò che voleva. Forse si sarebbe spaventata, forse glielo avrebbe lasciato fare. Invece non era successo niente di tutto questo e di ciò doveva essergliene grata.
Si portò una mano al petto, dove il cuore batteva all’impazzata. Respirò a fondo ma non riuscì a scacciare quel senso di disagio, quasi di paura, che l’aveva assalita mentre era sotto di lui, bloccata dai suoi baci. Sapeva che sarebbe successo, Nicole l’aveva avvertita. Non sarebbe stato così facile dimenticare. Eppure niente in Salvatore le ricordava David. Né il suo volto, né il colore dei suoi occhi, né il suo sorriso, né il suo profumo, né la sua voce. Era solo una costruzione della sua mente che mandava segnali di pericolo dove non c’erano, perché Gentile aveva appena dimostrato, e ben due volte, di non essere pericoloso. Salvatore poteva al contrario rappresentare il suo “esperimento”, la sua salvezza. Con lui doveva provare a lasciarsi andare, a superare le proprie paure, a lasciarsi tutto definitivamente alle spalle. I suoi baci le piacevano, lui le piaceva, e allora perché temere il resto? Forse sarebbe stato tutto più facile se Mark, quella sera di San Valentino, non li avesse interrotti.
Salvatore udì la porta del bagno chiudersi, poi si volse verso il comodino e afferrò il cellulare. Lo accese e si alzò. Una valanga di bestemmie gli invase lo schermo, Mark ce lo aveva mandato in tutte le lingue. Lanciò occhiate distratte al display mentre si vestiva, ridendo dell’indignazione del ragazzo. La sera prima a mezzanotte e un quarto aveva cercato di rintracciarlo e quando aveva capito che non ci sarebbe riuscito aveva preso ad insultarlo. Fu contento di aver spento il telefonino e di avergli dato buca, anche se neppure quel pezzente di Landers avrebbe potuto disturbarlo visto che non aveva fatto niente che potesse essere interrotto. Cercò di essere ottimista, alla faccia di Mark, sicuro di trovare presto un’altra occasione. Entrò in cucina sbadigliando e puntò la caffettiera.
Jenny lo raggiunse che il caffè iniziava a gorgogliare, spandendo il suo aroma nella cucina. Aveva indossato di nuovo i vestiti di Amy che le stavano perfetti. Esitò quando i loro sguardi si incrociarono, poi si fermò davanti a lui incerta, l’espressione tesa da un leggero timore. Con la barba lunga era ancora più bello perché la sua peluria, che aveva tutte le sfumature dell’oro nelle tonalità più calde, sottolineava la vampata azzurra dei suoi occhi. Salvatore spense il fornello e, nonostante tutto ciò che non gli aveva concesso, l’accolse con un sorriso.
-Hai fame?-
-Un po’.-
-Mi dispiace per il bacio di ieri sera.-
Lei spalancò gli occhi.
-Ti dispiace di avermi baciata?-
-Tu non volevi che lo facessi.-
Jenny abbassò il viso, ricordando l’imbarazzo del giorno prima, quando l’aveva stretta a sé e le aveva sfiorato le labbra con le proprie, metà nazionale giapponese che li osservava sgomenta e Philip ad un passo che non aveva reagito, come se la cosa non lo riguardasse.
-Ti ho baciata perché non mi è piaciuto come ti ha guardata.-
-Chi?-
-Il tuo ex.-
Jenny si mosse a disagio.
-A lui non interesso più.-
Gentile versò il caffè nelle tazze che erano già sul tavolo, chiedendosi se lo credesse davvero. Era strasicuro che non fosse così, ma non era nel suo interesse farglielo notare. Le porse la tazza e lei la strinse tra le mani, il vapore e il profumo della bevanda che le solleticavano il viso e l’olfatto.
-Mi riaccompagni a casa?-
-A casa?-
-Sì, voglio indossare i miei vestiti.-
-Non hai le chiavi, come pensi di entrare?-
-Se facciamo in fretta troviamo Mark ancora lì.- se solo il cellulare avesse funzionato avrebbe potuto avvertirlo che stava rientrando e lui l’avrebbe aspettata. Fu tentata di chiedere a Salvatore di farlo, poi lasciò perdere.
-Landers ormai sarà uscito. I giapponesi iniziano gli allenamenti alle nove e sono già le otto e mezza.-
-Davvero?-
-Me lo ha detto Aoi.-
-Ma io devo recuperare le chiavi, in qualche modo.-
Lui annuì.
-Ti porterò al campo. Ma prima andremo a fare shopping.-

*

Alle otto e trentacinque Mark raggiunse la sala da pranzo dell’hotel. I compagni erano in piedi, sparpagliati tra i tavoli, e stavano facendo man bassa della colazione a buffet. O almeno ci provavano. Gamo si aggirava tra le pietanze e studiava con occhio critico tutto ciò che si infilavano nel piatto.
Bruce raggiunse il tavolo che aveva deciso di occupare nello stesso momento in cui lo faceva anche Mark.
-Merda, non è possibile… Gamo non ci lascia mangiare!-
Holly lanciò un’occhiata critica al piatto del compagno.
-Mi pare il contrario.-
-Avevo chiesto un’omelette al bacon ma il mister ha annullato l’ordine.- si sedette affranto -E mi ha fatto rimettere a posto un panino. Come accidenti si fa ad andare avanti così? Io se non mangio non carburo.-
-Tu non carburi se non ti abbuffi.- Mark valutò serio il vassoio del compagno pieno da scoppiare. Conteneva un’abbondante porzione di insalata di patate e pollo, due salsicciotti ripassati sulla piastra, una fetta di formaggio con due rotelle di salame, un uovo sodo innaffiato di maionese, un toast con burro e marmellata, una ciotola di yogurt con corn-flakes e un croissant alla nutella. Lanciò un’occhiata all’invitante buffet disposto su un lato della sala da pranzo. Prima di andare a riempirsi il piatto, si lasciò cadere sulla sedia libera che trovò sul suo percorso e alzò una mano per chiamare il cameriere e ordinare il caffè.
Rob gli arrivò accanto e lo guardò scontento.
-Mark! Quello era il mio posto!-
-Hai detto bene, “era”. Siediti da un’altra parte.-
-No, cavolo!- neanche a parlarne. Rob voleva stare vicino a Holly. Si era alzato prestissimo, era sceso nella hall alle sette sperando di intercettarlo e lo aveva aspettato, con lo stomaco che protestava da matti. E finalmente, quando Holly era comparso nella hall lo aveva tampinato per sedersi al suo fianco, dall’altra parte di Patty.
-Ci sono altri posti liberi, Landers.- s’immischiò Philip, brusco -Qui c’è Aoi.-
Mark incrociò il suo sguardo glaciale, poi quello supplichevole di Aoi che continuava a ronzargli alle spalle, il piatto in mano, incapace a rassegnarsi a sedersi da un’altra parte.
-Rompicoglioni.- capitolò e gli lasciò il posto, con la sensazione che il malumore di Philip e le lagne di Rob avrebbero avuto un’influenza negativa su tutta la giornata. Girò intorno al tavolo e si sedette tra Patty e Tom.
-Non hai fatto colazione?- gli chiese lei.
-Sono uscito presto per venire con l’autobus.- fu quasi un lamento, da cui trasudò tutta la sua infelicità. Se la sera prima invece di sparire con Gentile Jenny fosse tornata a casa, quella mattina si sarebbe rimpinzato ciò che lei gli avrebbe sicuramente preparato. Invece non s’era vista e quando aveva provato a chiamarla aveva trovato il numero staccato. L’aveva aspettata finché aveva potuto, gironzolando per casa il più possibile. Poi era dovuto uscire per non arrivare tardi. Adesso, oltre al fastidio, sentiva farsi largo dentro di lui anche un velo di preoccupazione. Sapeva dov’era, sapeva con chi e immaginava anche a fare cosa. Sperava soltanto che Gentile non si stesse comportando da perfetto stronzo quale era.
-Salvatore non ti ha dato un passaggio?-
Mark trasalì quando Rob lo nominò.
-Non lo vedo da ieri, il maledetto.- serrò i pugni sulla tovaglia e spostò d’istinto gli occhi su Philip che sorseggiava il caffè guardando da tutt’altra parte. Si chiese cosa stesse pensando, se nella testa gli frullassero gli stessi pensieri che assillavano anche lui. Fece per dirgli qualcosa, per riscuoterlo quasi, ma Patty lo anticipò.
-Dov’è Jenny?-
-Non ne ho idea.-
-Mi hai risposto così anche due mesi fa quando ti ho telefonato per chiederti sue notizie.-
Mark finse di non capire che Patty non aspettava altro che il momento giusto per rinfacciarglielo. Cercò di evitare ogni polemica e si sforzò di risponderle calmo.
-è stata lei a pregarmi di non dirti niente. Cosa dovevo fare?-
-Dirmelo lo stesso! Stavo morendo di preoccupazione!-
Landers le dedicò un fastidioso sorrisetto.
-Fortuna che non sei morta.- la canzonò -Poi ti ha chiamata, no?-
-No!- Patty si irrigidì -Mi ha lasciato un messaggio sulla segreteria telefonica di casa quando sapeva che non avrei potuto risponderle!-
-E perché te la prendi con me?-
-Dovrei ringraziarti?- lo vide alzare le spalle e si sentì rimescolare -Sai dov’è o no?-
-No, non lo so. Ma lo immagino e dovresti immaginarlo anche tu perché sai con chi è andata via ieri sera.-
Philip smise di mangiare, perché all’improvviso lo stomaco gli si chiuse. Si stava sforzando di non ascoltarli, anche se non riusciva a farne a meno. Continuando a tenere gli occhi bassi, prese a girare il cucchiaino nella tazza per mescolare nelle due dita della bevanda lo zucchero che ormai si era sciolto da un pezzo. Jenny doveva aver trascorso la notte a casa dell’italiano e tutto questo implicava necessariamente che avessero dormito insieme, facendo ciò che lui non riusciva neppure a prendere in considerazione. I muscoli dello stomaco gli si contrassero per l’ansia, in uno spasmo strinse il cucchiaino tra le dita e le nocche gli divennero bianche. Poi i suoi occhi tornarono a posarsi sui compagni che avevano continuato a parlare, forse di Jenny, forse anche di Gentile. Fu contento di non aver sentito. Mandò giù il caffè di colpo, la smania impellente di allontanarsi da loro e non ascoltare su di lei neppure una parola. Posò la tazzina sul piatto, si alzò, afferrò da sotto la sedia il borsone sportivo che conteneva la divisa, gli asciugamani e il cambio e uscì dalla sala da pranzo senza dire una parola. Gli amici lo seguirono con lo sguardo finché riuscirono a vederlo, poi Landers incrociò l’espressione rassegnata di Tom.
-Ha preso l’abitudine di fuggire quando si parla di Jenny.- spiegò quello.
Patty annuì.
-È successo anche a casa di Benji.- il ricordo le fece venire un dubbio -Dì un po’ Mark, quando alle quattro e mezza di mattina Benji ti ha telefonato, lei era con te?-
-Non ricordo con precisione di quale sera stai parlando, ma immagino di sì.-
-E noi che pensavamo di averti disturbato!-
-Chi vi ha mai detto il contrario? Stavo andando a dormire!-
-Appunto! Cosa ci faceva Jenny a casa tua a quell’ora?- lo incalzò l’amica, decisa a vederci chiaro. Mancavano ancora dei tasselli al puzzle che stava cercando di ricostruire.
-Patty, la smetti per favore?- ringhiò -Stai diventando assillante.-
Lei lo guardò offesa, poi capitolò.
-Va bene, la smetto! Ma almeno dimmi per quale motivo Jenny è venuta in Italia!-
-Che ne so? L’ha deciso lei, mica io. Visto che lei e Philip si sono lasciati, avrà voluto allontanarsi da Furano.-
-E allora perché è venuta a Torino da te e non da noi a Barcellona?-
-Sicuramente temeva che le facessi il terzo grado come lo stai facendo a me!-
Holly posò le posate sul piatto e smise di mangiare, intenzionato a reprimere sul nascere quella che poteva diventare una spiacevole discussione. Mark stava cominciando a innervosirsi sul serio e Patty s’era messa in testa di farlo esplodere.
Rob lo anticipò, con la sua incontenibile curiosità.
-Davvero Jenny è la ex fidanzata di Philip?-
-Certo che lo è.- Holly prese in mano la conversazione -Sono stati insieme per anni.-
-Perché non me lo hai detto, Mark?-
-Che palle Aoi! Ti ci metti anche tu adesso? Per chi mi avete preso?-
-Per uno che sa e che non vuole parlare.-
Holly sospirò.
-Patty, per favore…-
-Ma è vero! Sapeva dov’era Jenny e non ha voluto dircelo!- alzò gli occhi su Julian e Amy che si avvicinavano al tavolo.
-Buongiorno Mark.-
-Buongiorno Ross.-
Amy lo salutò con un sorriso.
-Sei arrivato presto, ho vinto la scommessa!-
-Che scommessa?-
-Julian era convinto che non ti saresti presentato prima delle dieci.-
-Io sono sempre puntuale.-
Ross alzò le spalle e gli sfuggì un sorrisetto.
-Era una scommessa scaramantica.-
Rob lo guardò curioso.
-Cioè hai scommesso con la speranza di perdere?-
Julian annuì e si sedette accanto alla fidanzata. Poi guardò Tom, l’unico a quel tavolo che provenisse direttamente dal Giappone.
-Sei riuscito a dormire?-
-Poco.-
-Philip ed io siamo svegli dalle quattro.-
A Mark venne da ridere, si trattenne con uno sforzo.
-Per forza! L’incontro con Jenny deve avergli tolto il sonno.-
-Non c’è niente di divertente.- borbottò Holly.
Amy si versò del tè, poi spostò gli occhi su Mark.
-Che ci fa Jenny qui in Italia?-
Patty riuscì a stento a trattenere uno scoppio d’ilarità.
-Non chiederglielo, Amy… Altrimenti dice che l’assilli.-
Mark lanciò un’occhiata seccata a entrambe, quella mattina la giornata iniziava proprio male. Si alzò.
-Sapete che vi dico? Ci vediamo al campo.-
-Non mangi?-
-Queste due m’hanno fatto passare l’appetito.-
Non lo raggiunse il campo, Mark. Gli bastò mettere piede nella hall per cambiare idea. Philip sedeva solitario su una poltrona di pelle nera, la borsa sportiva tra i piedi. Fissava serio la porta a vetri dell’hotel che si apriva e chiudeva sull’andirivieni degli ospiti e non lo vide avvicinarsi.
-Perché accidenti vi siete lasciati, tu e Jenny?-
Si volse di scatto e lo osservò in un modo che a Mark non gradì affatto.
-Lei non te lo ha raccontato?-
-No, non mi ha detto niente.-
Philip provò un improvviso sollievo. Jenny non gli aveva parlato di come l’aveva vergognosamente lasciata, non gli aveva confidato quanto l’aveva fatta soffrire. Jenny aveva scelto di tacere. Avrebbe dovuto essergliene grato, invece prenderne atto servì soltanto a farlo sprofondare ancora di più nella palude dei suoi sensi di colpa.
-Se non lo ha fatto lei, perché dovrei dirtelo io?-
-Per esempio per riconoscenza!-
-Riconoscenza per cosa? Per aver lasciato che si mettesse con Gentile invece di provarci di persona?-
Il ragionamento di Philip gli rimescolò il sangue.
-Senti un po’, pezzo di cretino…- strinse i pugni mentre gli occhi dell’amico lampeggiavano all’insulto -Non è che per caso l’hai lasciata tu per quello che è successo a Kyoto? Non è che per caso non avere più l’esclusiva ti ha fatto passare la voglia di starci insieme? Spero in quella testaccia bacata che ti ritrovi, non sia arrivato a pensare che la colpa di tutto sia di Jenny! Che lei abbia incoraggiato quel maledetto! O che se le sia cercata! Perché se hai fatto una cosa del genere sei davvero uno stronzo infame!-
Le accuse di Mark lo colsero impreparato e lo ferirono nel profondo. Non aveva mai pensato neppure una volta ad una sola delle sue supposizioni. Non erano quelli i motivi che lo avevano allontanato inesorabilmente da lei. Landers non aveva capito niente, non ne sapeva niente e non doveva neppure giudicarlo. Si alzò furioso, con due passi lo raggiunse e lo fronteggiò.
-Cosa cazzo ne sai tu di quello che c’è stato dopo Kyoto?- lo afferrò per la felpa, serrando con forza le dita -È da ieri sera che metti bocca in qualcosa che non capisci! Non azzardarti più a parlarne e neppure a sparare sentenze! Tu non puoi permetterti di giudicarmi! Come ti ho già detto ieri, non puoi assolutamente capire quello che abbiamo passato!-
Mark non si lasciò intimidire né dalle parole, né dalla foga con cui venne assalito. Lo guardò negli occhi colmi di collera, gli zigomi arrossati dall’ira.
-Quello che avete passato era un motivo in più per restare insieme! Non dovevate sposarvi? E l’anello? Che gliel’hai comprato a fare?- gli afferrò i polsi e li strinse per farsi mollare.
Le domande di Mark seguitarono a entrargli dentro, affilate come lame.
-Vaffanculo Landers! Non puoi assolutamente capire!- lo scosse con tutta la forza, facendolo ondeggiare.
-Cosa state combinando voi due?-
Si volsero all’unisono. Nella hall, davanti alle porte dell’ascensore, c’era Marshall che li guardava e, accanto a lui, Benji che sorrideva. Lo sgomento durò un istante, poi il sollievo li assalì. Era una fortuna che fosse stato Freddie e non Gamo a beccarli.
Philip mollò la stretta. La vergogna di essere stato sorpreso durante uno scatto d’ira fece evaporare tutta la collera che si era scatenata nei confronti di Mark. Lui era il capitano, non poteva permettersi un comportamento simile. Doveva sedarle lui, le liti. Non provocarle.
-Se avete voglia di scaldarvi, perché non andate al campo e cominciate a correre? Evitiamo di finire sui giornali per queste stronzate.-
Merda, i giornalisti! Philip non ci aveva neppure pensato! Eppure c’erano, lì, nella hall, e li studiavano rapaci, in cerca di notizie. Li avevano ascoltati? Che avevano capito? Si morse la lingua, era un idiota.
-Benji accompagnali.- Marshall diede una rapida occhiata all’orologio -Vado a sollecitare gli altri, non ci vuole un’ora per far colazione!-
A Landers l’ordine piacque ancor meno che al portiere e, uscendo dall’hotel, esternò tutta la propria contrarietà.
-Allora ci controlli tu, Price?-
Lui sbuffò, poi emise la sentenza.
-Anche se è divertente guardarvi amoreggiare come due piccioncini, per quanto me ne importa una volta al campo potete anche massacrarvi di botte.- Benji lanciò un’occhiata a Philip -Callaghan, lo sai, io tifo per te!-
Mark alzò le spalle, sentendo il proprio stomaco che iniziava un allegro ritornello. Un moto di scontento lo assalì. Per colpa delle amiche (Jenny compresa, anche se non presente) e di quel cretino di Philip, alla fine non era riuscito a fare colazione. Aveva persino ordinato un cappuccino e adesso il cameriere non avrebbe saputo a chi servirlo. Che spreco! Sperò che qualcuno se lo prendesse e non lo mandasse indietro. S’incamminò a testa bassa, precedendo Benji e Philip che lo seguivano in silenzio. Il portiere, dopo averli scherniti con due frasi, sembrava non aver più niente da aggiungere.
I campi sorgevano su un’ansa del fiume Po, a poche centinaia di metri dall’hotel. Per raggiungerli bastava imboccare un largo marciapiede, intervallato da tigli dalle foglie nuove e verdissime e lampioni che la sera tingevano il lastricato grigio di sfumature arancioni. Oltre le alte protezioni di reti d’acciaio che circondavano i terreni di gioco il fiume scorreva lento, il sole di quel mattino di tarda primavera che baluginava tra le sue placide onde.
Rob arrivò di corsa e li superò, portando con sé una ventata d’allegria che infastidì tutti. Allungò a Mark la borsa che lui aveva dimenticato nella sala da pranzo e li fissò entusiasta.
-Finalmente un po’ d’attività! Non vedo l’ora di giocare con Holly!-

*

-È qui che vi allenerete?-
Mentre Salvatore faceva manovra per parcheggiare lungo il marciapiede, Jenny osservò il centro sportivo che si estendeva davanti ai suoi occhi, più in basso, in una zona di verde a ridosso del fiume. C’erano quattro campi da calcio d’erba curatissima, gli edifici degli spogliatoi in acciaio e vetro, un bar con dei tavolini sparpagliati sul piazzale, un ampio parcheggio recintato e custodito, riservato solo a chi aveva il permesso di entrare. I tifosi e i giornalisti si accalcavano fuori, al di là della recinzione dei campi.  
-Sì. È vicino all’hotel. I tuoi amici possono venirci a piedi.-
Lei si irrigidì.
-Non sono i miei amici.-
-Ah no? Rob non è un tuo amico? Landers non è un tuo amico?- fermò la macchina, tirò il freno a mano e spense il motore. Poi si volse a guardarla, sorrise e si chinò su di lei così all’improvviso da farla sussultare. La baciò, si scostò e valutò divertito la sua espressione, per metà imbronciata e per metà sorpresa -Ti bacio adesso, visto che dopo non posso farlo. Va bene?-
Lei arrossì.
-Non ho mai detto che dopo non puoi baciarmi!-
Salvatore le accarezzò una guancia divertito.
-Allora ti bacio sia adesso che dopo.- cercò di avvicinarsi ancora ma lei chinò il viso. Esitò incerto -Ti sei offesa?-
Scosse la testa.
-Solo che…- esitò imbarazzata -Insomma, non avresti dovuto comprarmi tutto questo.- indicò con un gesto della mano gli abiti che indossava, poi sollevò di colpo gli occhi che lampeggiarono di ironica amarezza -O forse hai voluto ringraziarmi per la bella notte trascorsa insieme?-
-Non c’entra niente quello che non è successo stanotte. Ti ho comprato i vestiti perché mi andava di farlo, perché stiamo insieme, perché guadagno più di te e posso permettermelo.- e perché voleva che Callaghan capisse che tra loro non doveva intromettersi, ma questo non glielo disse.
-E l’i-phone?-
-Il tuo cellulare non funzionava più.-
-Che motivo c’era di comprare quello più caro? L’ultimo modello in commercio?-
Gli occhi di Salvatore si illuminarono di un lampo azzurro di divertimento.
-Jenny, io le cose o le faccio bene o non le faccio. Non capisco perché tu la prenda così. I soldi sono miei e li spendo come voglio. Chiuso il discorso.-
Il ragionamento di Gentile non faceva una piega e fu costretta ad accettarlo, anche se lui l’aveva lasciata per quasi un’ora nelle mani di una commessa della Rinascente che l’aveva rivestita dalla testa ai piedi, compresa la biancheria intima. Smontò dalla macchina quando lo fece anche lui e lo seguì sul marciapiede. Insieme imboccarono il sentiero di ciottoli bianchi e grigi che s’infilava tra due campi, li percorreva per tutta la lunghezza e sboccava nell’edificio del bar.
Non riuscì proprio ad evitare di far scorrere lo sguardo sull’erba per cercare Philip, consapevole che se voleva dargli un’occhiata doveva approfittare di essergli lontana. Farlo dopo avrebbe significato rischiare di incrociare i suoi occhi e provare di nuovo quella devastante sensazione di vuoto che la sera prima l’aveva lasciata senza forze.
La nazionale giapponese indossava le casacche d’allenamento e si era divisa in due squadre, una azzurra e una bianca. Philip faceva parte della squadra azzurra e correva verso la porta di Benji, gli occhi fissi sulla palla che in quel momento era tra i piedi di Mellow. Non avrebbe segnato, Jenny lo sapeva. Aveva visto giocare Benji contro Holly e aveva imparato che solo pochi sarebbero riusciti ad infilare una palla nella sua rete. Al massimo uno sfigatissimo autogoal di Bruce, cosa già successa, che poteva coglierlo impreparato. A parte ciò, Benji era diventato veramente troppo bravo.
Tra le due squadre giapponesi si susseguì una serie di passaggi veloci ma approssimativi e il pallone finì tra i piedi di Patrick Everett, della squadra azzurra. Paul Diamond, in bianco, glielo tolse e lanciò lungo verso il centrocampo. Sandy Winters lo agganciò e scartò uno dei Derrick, lasciandolo a terra a riempirlo di parolacce.
-I passaggi non sono precisi.-
Jenny lo aveva notato da sola, così cercò di giustificarli.
-Sono stanchi per il viaggio e per il fuso orario.-
-Quindi miglioreranno?- il tono dell’italiano risultò scettico.
Lei si volse e l’espressione imbronciata ricomparve sul suo viso.
-Certo che sì!-
Salvatore si appoggiò alla rete con le mani, intrappolandola.
-Mi piace quanto ti arrabbi, i tuoi occhi diventano più profondi e luminosi, le tue labbra si arricciano in un modo molto sexy…- la fissò sorridente e proseguì -E poi, quando ti faccio i complimenti e arrossisci, sei bellissima…- si chinò per baciarla, quasi per metterla alla prova.
Jenny gli puntò una mano sul torace e lo scostò, reprimendo l’imbarazzo e affrontandolo con una sfumatura di divertimento.
-Lo stai facendo apposta?-
-A fare cosa?-
-A starmi così scandalosamente vicino.-
Salvatore rise.
-Se potessi ti salterei addosso, non lo faccio per decenza.- si scostò da lei, lasciandola libera di muoversi.
Jenny si guardò intorno, sperando che nessuno dei compagni di Philip, né lui e né tanto meno le amiche, li avessero notati. Le parve che stessero guardando tutti da un’altra parte. Sospirò di sollievo. La verità era che non si sarebbe mai sognata di andare al campo se Mark la sera prima le avesse infilato nella borsetta anche la sua copia delle chiavi di casa. Lui non lo aveva fatto e adesso doveva mettere le mani su quelle del ragazzo per poter rientrare.
Ripresero a camminare uno accanto all’altra, Gentile che svettava su di lei, molto più alto. Aveva ficcato le mani nelle tasche della giacca e procedeva al suo fianco senza toccarla. Di questo gli fu grata. Arrivarono dietro la porta di Benji e lì si fermarono ad osservare il gioco che continuava frenetico, Gamo dalla panchina che urlava ordini e consigli. Holly correva verso di loro, la palla sembrava essere attratta dai suoi piedi, tanto il suo dribbling era preciso. Scartò Julian e saltò Clifford, ma quando vide che anche Tom gli andava incontro per fermarlo, fece un lancio lungo verso Philip che correva sulla fascia, a destra, in posizione migliore per tentare il gol. Il compagno intercettò il passaggio e si preparò al tiro mentre Peter Shake lo inseguiva per togliergli il pallone. Jenny sapeva che se a Benji non riusciva a segnare neppure Mark, forse neanche Holly, di certo non avrebbe potuto farlo Philip. Tuttavia seguì interessata l’azione, incapace di togliere gli occhi dalla sua espressione concentrata che conosceva così bene, dalle gocce di sudore che gli imperlavano i lati del volto, dai muscoli tesi delle braccia e delle gambe, pronti a scattare.
Lo sguardo del giovane guizzò verso la rete e verso Benji, per quel microsecondo necessario a prendere la mira, e proprio in quell’istante nel suo campo visivo entrò qualcosa che prima non c’era, un elemento di disturbo che lo distrasse mentre colpiva il pallone. La sfera volò oltre la traversa, così alta da colpire la recinzione proprio in cima. Per un pelo non la oltrepassò. Benji alzò il viso per seguirne la traiettoria con gli occhi, poi scoppiò a ridere.
-Da quando in qua i tuoi tiri sono così alti?-
Philip frenò lo slancio e si fermò, restando piantato nell’area di rigore, le braccia tese lungo il corpo, i pugni serrati, gli occhi sulla schiena di Benji che girava intorno alla porta e recuperava la palla, incapace di credere di aver fatto un errore così grossolano.
Gamo prese a sbraitare come un pazzo, spaventando a morte Bruce che aveva raggiunto le panchine per mandar giù un sorso d’acqua. La bottiglietta di plastica quasi gli fuggì di mano.
-Callaghan! Cosa diavolo combini? Come hai potuto mancare la porta?-
Philip si volse di scatto verso la panchina, bianco come un cencio. Non c’era giustificazione ad un errore simile. Non c’era assolutamente. Non aveva nessuno davanti, oltre a Benji. Nessuno dei compagni lo marcava.
Salvatore abbassò su Jenny uno sguardo carico di divertimento.
-Ci ha visti e ha sbagliato.-
Lei avrebbe voluto negare ma non lo fece, non sarebbe stato lusinghiero nei confronti di Philip. Era meglio che la pensasse così, piuttosto che pensasse che il capitano della nazionale giapponese in campo non valeva nulla.
-La tua presenza lo turba.- insistette l’italiano, facendola arrossire e spingendola ad abbassare gli occhi sull’erba.
Poi Freddie afferrò il fischietto che gli pendeva al collo ed emise un suono acuto per interrompere il gioco. Per quanto lo riguardava, Gamo poteva pure arrabbiarsi, ma erano atterrati in Italia solo il giorno prima e la stanchezza del lungo volo si faceva sentire su tutti, capitano compreso.
-Dieci minuti di pausa!-
Salvatore non capì, ma osservò curioso i giocatori raggiungere le panchine.
-Si fermano?- Jenny annuì e lui continuò -Perfetto, vai a prendere le chiavi di Mark, così ti riporto a casa.-
-Non vai ad allenarti?-
-A quest’ora?- alzò le spalle con noncuranza -È troppo tardi, non ne vale la pena.-
-E il tuo allenatore non si arrabbia?-
-Come no? S’incazza da morire ma poi gli passa.-
Philip si passò un braccio sulla fronte per asciugarsi il sudore e i suoi occhi tornarono a posarsi suo malgrado sulla causa del tiro mancato. Non poté farne a meno. Jenny e Gentile avevano raggiunto l’ingresso della recinzione ma lei non si decideva ad entrare. Un cappotto di panno nero l’avvolgeva stretta e le bande di un foulard azzurro le scendevano ai lati del collo. Mentre si asciugava il sudore con l’asciugamanino che gli aveva allungato Evelyn, continuò a osservarla mentre lei si avvicinava, per fortuna da sola.  
Jenny vide Mark tirarsi da parte con il cellulare stretto in mano. Teneva l’asciugamano appeso al collo e gli occhi bassi sul telefonino a digitare lo schermo mentre camminava spedito lungo la linea laterale per allontanarsi dai compagni. Capì che quello era il momento che aspettava e gli si accostò guardinga, costeggiando il bordo campo fin quasi alla bandierina d’angolo.
-Mark…- lui sobbalzò, Jenny si accorse di averlo spaventato e rise -Tutto bene?-
-Tutto bene un corno! Ti stavo telefonando!-
-Perché?-
-Come perché? Per sapere che fine avevi fatto!-
-Lo sai che fine ho fatto! Ieri sera sono andata via con Salvatore!- proseguì prima che potesse farlo lui -Sono venuta a prendere le chiavi di casa.-
-Se te le do, io rimango senza.-
-Torno più tardi a riportartele. Tanto mangi con loro, no?-
Bruce li guardò parlottare distanti, poi raggiunse Holly e lo tirò da una parte.
-Secondo me Philip ha sbagliato il tiro perché ha visto Jenny.-
Holly si irrigidì e si lanciò un’occhiata intorno, sperando che nessuno, soprattutto l’amico tirato in ballo, avesse udito.
-Taci Bruce, non dirlo neppure per scherzo!-
-Secondo te? Non ho ragione?-
-Forse, ma stai zitto lo stesso.-
-Come se fosse un segreto… Tanto lo hanno capito tutti!-
-Piantala Bruce!-
Quando Mark andò a recuperare le chiavi nello spogliatoio, Amy, Evelyn e Patty si avvicinarono a Jenny.
-Com’è stato?- s’informò Evelyn curiosa.
-Com’è stato cosa?-
L’amica la sgomitò.
-Su che hai capito benissimo. Ti sei divertita stanotte?-
Jenny la fissò incredula e si rifiutò di rispondere. Quello che faceva o non faceva con Salvatore erano esclusivamente affari suoi. Si volse verso Amy.
-Grazie per i vestiti. Appena torno a casa li lavo e domani te li restituisco.-
-Non ti preoccupare, non sono mica urgenti. Ne ho altri con me.- la guardò con un sorriso contento -Avevo paura che non saresti venuta.-
-Già, ed è stato un peccato che ieri sera te ne sia andata così presto.-
-Non era presto, Patty. Era passata mezzanotte.- gli occhi le finirono involontariamente su Philip.
Se ne stava seduto a terra tra Peter Shake e Julian e osservava l’erba del campo con l’interesse professionale di un giardiniere, evitando che i suoi occhi, lasciati liberi di vagare a caso, si posassero su di lei.
Mark tornò verso Jenny e le diede le chiavi.
-Ricordati di riportarmele.-
-Ripasso più tardi.-
Evelyn li guardò e capì che quella sì che era una notizia.
-Abiti da lui, Jenny?! Stai da Mark?!-
La meraviglia la indusse a gridare e la sentirono in troppi. Philip reagì abbassando la testa, per impedire che gli amici scorgessero sul suo volto l’incredulità e lo sgomento. Jenny, da parte sua, decise che era meglio filare, tanto più che aveva recuperato le chiavi e Salvatore la stava aspettando.
-Ci vediamo dopo.-
Evelyn la guardò, un lampo d’interesse le attraversò gli occhi.
-Quindi torni sul serio?- fece un passo verso di lei, la prese sottobraccio e quasi la scortò verso l’uscita del campo, dove Gentile l’aspettava -Jenny, dopo devo chiederti un favore enorme. Un favore che solo tu puoi farmi.-
Lei si tese, il suo tono accattivante la mise in guardia.
-Che favore?-
-Te lo dico dopo, dobbiamo parlarne con calma. Dobbiamo organizzarci, pianificare…-
Sorrise a Gentile e li salutò allegra, speranzosa. Forse, grazie all’aiuto di Jenny, l’intervista al fustaccio della Juventus sarebbe andata in porto. Tornò felice dalle amiche, mentre Gamo fischiava la ripresa della partita d’allenamento. I ragazzi rientrarono in campo borbottando stanchi.
-Gentile è proprio bello. Jenny è una ragazza fortunata.-
Amy la fissò perplessa. Dopo quello che l’amica aveva passato un anno prima, non se la sentiva di dire che fosse fortunata. Evelyn non l’aveva più vista dopo Kyoto e nessuno si era preoccupato di raccontarle con quale enorme sofferenza Jenny avesse dovuto affrontare l’amore incondizionato del fidanzato e gli scioccanti incontri con Nicole.
Patty sembrò leggerle nel pensiero.
-Sarebbe stata più fortunata se fosse rimasta con Philip.-
Amy annuì, eppure Evelyn non sembrò convinta.
-Benji dice che stare lontani non può far loro che bene.-
-E quando l’ha detta questa cosa?-
-Ieri sera, ne stava parlando con Tom. Ha detto che uno si rende conto di quello che ama solo quando lo perde.-
Patty sospirò paziente.
-Evelyn, Jenny e Philip si amavano anche prima. Non avevano bisogno di lasciarsi per capirlo.-
-Vuol dire che ora lo capiranno meglio.-
-Non se Gentile le sta così addosso.-
Le ragazze si volsero. Non si erano accorte che Mark aspettava il suo turno per entrare in campo e che aveva ascoltato ogni singola parola. Evelyn sospirò.
-Anche io vorrei che mi stesse addosso uno così.-
-Callaghan!- il grido perentorio di Gamo li fece sobbalzare -Mettici la concentrazione, quando giochi! Che altro hai da metterci? Landers, dagli il cambio!-
Philip capì che l’allenatore lo aveva visto. Il mister lo aveva visto sbagliare l’ennesimo passaggio, mandando la palla in rimessa laterale. Merda, e adesso? L’idea gli venne fulminea, raggiunse la panchina zoppicando mentre Gamo lo esaminava con uno sguardo carico di collera.
-Ti sei fatto male?-
-Non è niente, solo un crampo.-
-Non ti ho mai visto giocare così male! Anzi…- si corresse imbufalito -Non stai proprio giocando!-
-Mi dispiace, solo che non…-
-Non me ne frega niente che ti dispiace! Piuttosto mi interessa sapere che hai intenzione di fare! Vuoi scendere in campo contro l’Italia o preferisci restare in panchina?-
Philip si sforzò di reagire in qualche modo, perché quando Gamo si straniva diventava pericoloso.
-Certo che voglio giocare! Non sono venuto fin qui per stare in panchina!-
-Meglio così, Callaghan! Meglio così! Per oggi sorvolo sulle tue prestazioni pietose, ma se domani non ti dimostri all’altezza ti rispedisco in Hokkaido a fare compagnia agli orsi. E non me ne frega niente che sei il capitano! È chiaro?-
Annuì rapido, perché Gamo era capacissimo di mettere in atto la minaccia.
-E adesso vai a farti la doccia così magari ti schiarisci le idee!-
Philip lo fissò allibito, la bocca spalancata. Lo stava cacciando dal campo! Lui era il capitano eppure l’allenatore lo stava mandando via! Indietreggiò furioso, dimenticandosi di zoppicare, e raggiunse la panchina per recuperare un asciugamano e una bottiglietta d’acqua. Amy, pronta, gli porse entrambi senza dirgli nulla. Le fu grato del suo silenzio e la ringraziò con un cenno del capo. Nonostante l’ordine di Gamo, per puro spirito di contraddizione si sedette a terra, sull’erba, a togliersi il sudore dal viso. Lo avevano nominato capitano senza che lui lo volesse, e adesso avrebbe deciso da solo quando lasciare il terreno di gioco, non la ripicca di un allenatore deluso da una prestazione pietosa. Non si accorse che Marshall l’osservava pensieroso, le mani nelle tasche, in piedi davanti alle panchine. Non sentì i due uomini parlare di lui.  
-Che accidenti ha Callaghan? Che gli prende? Ne sai qualcosa, Freddie?-
-Sarà semplicemente stanco del viaggio. Prima di preoccuparci diamogli ancora un giorno di tempo.-
Gamo annuì, tornando ad esaminare Philip. Teneva gli occhi fissi su qualche punto imprecisato del campo, non seguiva la palla, sembrava distratto. Che aveva? Perché lo deludeva in quel modo? Anni prima, durante il girone di qualificazione della Coppa del Mondo Under19, Philip lo aveva sorpreso dimostrandosi perfettamente in grado di tenere unita una squadra fatta a pezzi per l’assenza di Holly, di Tom, di Mark, di Benji, i loro giocatori migliori. Ricordava ancora come se fosse ieri che quando era stato nominato allenatore della nazionale giovanile, con i suoi modi bruschi, la sua intransigenza e i suoi metodi, aveva faticato non poco a ottenere il rispetto e la stima dei ragazzi. E ci era riuscito soltanto grazie a Philip, che ad un certo punto aveva capito che se volevano arrivare in finale, l’unica cosa sensata da fare era diventare il tramite tra l’allenatore e ciò che restava della loro squadra.
I giocatori, soprattutto alcuni, non avevano preso bene né la beffa della finta nazionale giapponese né la minaccia di restare fuori dalla rosa dei prescelti se non si fossero dati da fare sul serio. Gamo aveva mandato via Landers, Becker, i Derrick, Everett, Yuma, costringendo Philip a prendere in mano una squadra distrutta, sbandata, senza più certezze, senza gli elementi migliori. E Philip era insperatamente riuscito a motivare e tenere uniti i superstiti, incoraggiandoli incessantemente a tirar fuori il meglio di loro, sia in campo che durante la convivenza del ritiro. Philip si era praticamente immolato, aveva subito gli scazzi dei compagni, la collera del mister, e aveva fatto il miracolo. Nella squadra attuale solo lui e Holly, che comunque non aveva ancora ottenuto il nullaosta, avevano altrettanto ascendente sui ragazzi. Philip li incitava quando era necessario, li spronava, li consolava. Coordinava. Incoraggiava. Dirigeva. Sosteneva. Insomma, Gamo contava così tanto su Callaghan che era persino arrivato a perdonargli il ritiro-beffa a Shintoku di due anni prima. Ma ora?
La quiete di Philip, seduto sull’erba, durò pochissimo.
-Perché non parli con Jenny? Sono sicura che avreste molte cose da dirvi.-
Il ragazzo sollevò gli occhi a fatica. Aveva sperato di salvarsi, che le amiche avessero abbastanza tatto da lasciarlo in pace. Forse Amy e Patty sì, ma Evelyn sicuramente no. Evelyn era curiosa e aveva dimostrato già dalla sera prima che la situazione sua e di Jenny le interessava moltissimo. Non le ripose, si puntellò sulle mani e si tirò in piedi. Uscì dal campo senza neppure guardarla, lasciandola di sasso.
-Non ci posso credere, è scappato di nuovo. Secondo voi ho detto qualcosa di sbagliato?-
Amy sospirò.
-È evidente che l’argomento Jenny non si può toccare.-
-E come faremo a convincerlo a tornare con lei?-
-Non possiamo far niente per convincerlo, Eve. Deve capirlo da solo.-
-E se non ci riuscisse?-
-Allora è uno stupido.-
Philip si passò una mano tra i capelli e ne tirò un ciuffo sulla nuca fino a sentire dolore. Lo aiutò a riscuotersi. Evelyn non sapeva quello che diceva. Non si rendeva conto che anche parlando con Jenny non avrebbe potuto risolvere nulla. Ciò che si frapponeva tra lui e la sua ex non era qualcosa di concreto. Non serviva parlarne. Era qualcosa di emotivo, qualcosa di impalpabile, una specie di muro invisibile che in un anno non era riuscito ad abbattere e che adesso era diventato invalicabile probabilmente perché, senza accorgersene, era stato proprio lui a renderlo sempre più alto. In quei mesi che erano stati lontani, il pensiero di Jenny era rimasto sopito in un angolo della mente, insieme ai ricordi delle sue carezze, al suo profumo, al piacere dei suoi baci, alla felicità dei suoi sorrisi. Ora che tutto ciò che aveva cercato di dimenticare era tornato ad essere reale, ad avere un corpo, uno sguardo, una voce, che altro poteva fare se non sforzarsi di non provare nulla?
Aprì la porta dello spogliatoio ed entrò. Stava andando tutto storto. Jenny che compariva, l’incubo che tornava, gli allenamenti che andavano in malora… Avrebbe voluto mollare, se solo avesse potuto… Si tirò via l’asciugamano dal collo e lo gettò sulla panca. Poi si spogliò in fretta perché sapeva che la partita d’allenamento stava per terminare, era questione di minuti, e voleva godersi la doccia senza seccatori intorno. Non fece in tempo. Si stava ancora lavando quando sentì la confusione dei compagni che rientravano. Chiuse l’acqua e afferrò l’asciugamano.
-Philip, ci sei?- lo chiamò Holly.
Non fece in tempo a rispondere che Mark cominciò a sbraitare.
-Vaffanculo Peterson! Se mi marchi ancora così la prossima volta ti spezzo una gamba!-
-Una frase del genere che esce proprio dalla tua bocca, Landers.- Benji rise forte -Da quando il calcio è diventato uno sport da femminucce?-
-Taci, Price! O ti ficco in gola quella merda di cappello!-
-Provaci, deficiente.-
-Questa non è una nazionale di calcio ma un circolo di poeti.-
-Fai poco il principino, Ross, perché intanto t’ho scavalcato due volte. Che facevi? Studiavi le costellazioni?-
-Quello lo faceva Callaghan!- rise uno dei Derrick -Ha lanciato il pallone in orbita.-
-Nell’orbita di Salvatore Gentile.-
-E di Jenny.- aggiunse Bruce.
Risate. Ridevano di lui. Philip si sfregò il cotone sulle braccia e sulle gambe, poi li raggiunse di là.
-Stai bene?- gli chiese Tom mentre gli altri, sudati, lo superavano e si sparpagliavano nelle docce.
-Certo che sto bene!-
-Sparisci Sandy!- ringhiò Clifford -Io ho la precedenza su di te, lo sai!-
-Che palle, sempre la stessa storia! Mai una volta che non mi tocchi aspettare!-
James Derrick si avvicinò a Winters, costretto ad attendere anche lui il proprio turno.
-Se non fosse così grosso ti aiuterei a farlo fuori.-
-T’ho sentito!- replicò Clifford continuando a insaponarsi.
-E chissene frega! Non mi fai paura, sai?-
Bruce non ci aveva neppure provato, a conquistarsi una doccia. Era stanco morto e non gli andava di affrontare la prepotenza dei compagni. Non aveva abbastanza energie per farsi valere. Per ammazzare l’attesa, si liberò dei calzini sudati e puzzolenti. Poi alzò gli occhi su Philip che stava infilando un paio di jeans.  
-Insomma, cos’è che combini?-
L’amico si volse, stralunato.
-In che senso?-
Holly approfittò dell’incipit di Bruce per dirgli chiaro e tondo ciò che pensava da quando Gamo lo aveva fatto uscire dal campo.
-Sai che il mister non parla mai a vanvera, vero? Ci manca solo che ti rispedisca in Giappone.-
-Non lo farà.- Philip si mostrò più sicuro di quanto fosse in realtà.
-Sai che perdita.- borbottò Bruce polemico -Non stai combinando un cazzo!-
L’altro si sentì rimescolare di stizza.
-Meno male che in squadra ci sei tu. Così è sicuro che contro l’Italia vinceremo.-
-Hai proprio ragione, Philip!- rise Benji -La presenza di Harper è fondamentale. Come farebbe quella pippa di Warner senza le sue parate di faccia-da-culo?-
Holly si guardò nervosamente intorno in cerca di Ed. Non lo vide, fortunatamente era nelle docce. Ma c’era Mark che ringhiò qualcosa. Lo ignorò e spostò gli occhi su Philip, intento ad indossare una maglietta e su Bruce fermo di fronte, le mani puntate sui fianchi, che riprendeva a parlare.
-Sapere che Gentile si fa Jenny può darti il nervoso, lo capisco ma…-
Philip si irrigidì. Sentirsi sbattere davanti ciò che non gli dava pace dalla sera prima lo rimescolò e le parole vennero fuori a valanga, in un estremo tentativo di difesa.
-Cosa capisci? Non puoi capire proprio un cazzo, Harper! Non puoi capire neppure se ti sforzi! E poi cosa c’entra Jenny? Ci siamo lasciati, cosa me ne frega se sta con Gentile?-
A Benji sfuggì un sorrisetto, la risposta del compagno gli risultò improbabile. Philip se ne accorse e si tese.
-Che hai da ridere?-
Il portiere si limitò a scuotere le spalle, tanto ci pensò Bruce a rispondergli.
-Ha da ridere perché non sei credibile. Perché a te Jenny interessa ancora pure se ti sforzi di ignorarla… Chi credi di fregare? E poi, se vedere Jenny con Gentile non ti desse fastidio, non saresti neppure così nervoso!-
Philip scattò in piedi, facendo sobbalzare Holly.
-Ti ho detto che non capisci un cazzo, imbecille! La chiudi da solo quella ciabatta o vuoi che ci pensi io?-
-Tu hai sbagliato il tiro in porta perché hai visto Jenny!-
Nello spogliatoio calò un improvviso silenzio, si udirono soltanto gli schiamazzi di chi era nelle docce. Tom cercò inutilmente di intervenire.
-Bruce…-
La collera offuscò la vista di Philip e gli tolse il fiato.
-Ho inciampato!-
Benji rise, non poté farne a meno.
-Che scusa stupida!-
-Sei proprio un cretino, Philip!- Bruce diede voce a tutto il suo repertorio -Forse hai ragione! Forse è vero che di Jenny non ti frega un cazzo! Sai che ti dico? Che ha fatto bene a mollarti e a mettersi con Gentile, sei proprio un uomo senza palle!-
Philip serrò i pugni, conficcandosi le unghie nella carne. Se Bruce voleva rinfacciargli il fatto che come capitano non stesse dando il meglio di sé, si sarebbe sforzato di accettare il rimprovero. Se lo avesse insultato perché in campo non si era impegnato quanto avrebbe dovuto, ci sarebbe passato sopra. Se gli avesse recriminato che non si stava affatto comportando come il suo ruolo prevedeva, avrebbe potuto dargli ragione. Ma assolutamente gli era impossibile accettare che infilasse Jenny nel loro litigio, che si servisse di lei per ferirlo. Quello no, non poteva sopportarlo. Esplose. Con due falcate lo raggiunse, lo afferrò per la maglia e lo spintonò indietro, caricandolo con tutto il proprio peso. Lo schiantò con violenza contro gli armadietti, il frastuono del metallo colpito dal corpo del ragazzo riecheggiò tra quelle quattro mura. L’urto lasciò Bruce senza fiato.
-Vaffanculo Harper!- ringhiò, la tentazione incontenibile di piantargli un pugno in faccia per togliersi da davanti quel muso da scimmia. Ebbe voglia di fargli male, davvero male.
I polmoni svuotati, Bruce boccheggiò in cerca d’aria. Sollevò le braccia, serrò le dita intorno ai polsi di Philip e cercò di liberarsi dalle mani del compagno che gli premevano sul collo, stringendogli la maglietta con una tale forza da togliergli il respiro.
Holly gettò stizzito i pantaloncini su una panca e balzò verso di loro.
-Che state facendo? Vi ha dato di volta il cervello?- afferrò un braccio di Philip ma non riuscì a smuoverlo.
-Non immischiarti, Holly! Fatti i fatti tuoi per una volta!- paonazzo, Bruce cercò di nuovo di allontanare Callaghan -Questo cretino ha bisogno di una lezione!-
-E vuoi dargliela tu?- domandò Mark incredulo, mentre le labbra di Philip si incurvavano in un sogghigno.
L’urlo esasperato di Holly perforò i loro timpani.
-Questi sono fatti miei! Almeno finché farete parte della mia squadra!-
-Non è la tua squadra, non sei il capitano!-
Le grida attirarono gli altri. Clifford comparve strofinandosi i capelli che gli stavano dritti, sparati in aria più del solito. Li guardò e rise.
-A che gioco state giocando? “Cambiare i connotati di Bruce fino a renderlo figo”?-
-Impossibile.- rise Benji che si stava divertendo un mondo.
-Siete tutti dei cretini.- Holly lanciò un’occhiata esasperata a chi gli stava intorno -Mark, Clifford, datemi una mano a far ragionare queste due teste calde.-
Benji sospirò scontento: ecco, il divertimento era finito.
Philip si impose di calmarsi, più che altro per non sentire più le urla di Holly. Scambiò con Harper un ultimo sguardo incandescente e gli mollò la maglia. L’amico si massaggiò la nuca e il bernoccolo spuntato dall’urto con l’armadietto.
-Stupido cretino.-
-Piantala Bruce!- lo redarguì Holly -Non voglio più sentire una parola!-
Philip finì di vestirsi in fretta, allontanando dalla mente le loro chiacchiere. Li sentiva parlare ma non voleva ascoltarli. Idioti, maledetti idioti e ancor più idiota era lui che raccoglieva le provocazioni di quel ritardato di Harper. S’infilò i calzini con gesti bruschi e nervosi, poi fu la volta delle scarpe. Infine afferrò la borsa e uscì dallo spogliatoio immusonito e furente, seguito dagli sguardi sconcertati degli amici.
Holly puntò gli occhi in quelli di Mark.
-E adesso che facciamo?-
-Perché lo chiedi a me?-
-Perché Jenny vive con te.-
-E allora?-
-E allora falli tornare insieme!-
-Come se ieri sera non ci avessi provato! Era così semplice! Si incontrano, si parlano, si chiariscono e tornano insieme. Ma si è messo in mezzo Price a rovinarmi il piano e a mandare tutto a scatafascio!-
-Mark, tu la facevi troppo facile.-
-No, non era facile, era lineare! Era una conseguenza causa-effetto!-
-Era un’idiozia che non avrebbe funzionato in ogni caso.-
-Non finché tra i piedi ci sei tu, Price.-
Il portiere alzò le spalle e si diresse verso le docce. Tom lo tampinò, visto che ora era il suo turno di lavarsi.
-Stai ridendo da un’ora, Benji. Cos’è che ti diverte tanto di questa situazione?-
-Come si stanno incasinando le cose. Sembra che qualcuno si sia messo ad aggrovigliare tutto, giusto per far loro un dispetto.-
-Secondo me sarebbe meglio se evitassi di ridere dei loro problemi. Philip è già nervoso, senza che continui a sghignazzargli in faccia.-
-Problemi? Questi li chiami problemi? Sono stupidi litigi tra adulti che ragionano come bambini. O magari di bambini che si spacciano per adulti. Come non ridere di una simile farsa?-
Tom sospirò, affranto da tanto cinismo, mentre regolava l’acqua della doccia. Alzò la voce per farsi sentire, oltre il pannello divisorio.
-Potresti anche aver ragione, ma finché ci stanno male c’è poco da divertirsi.-
-Ci stanno male perché hanno deciso così. Ci vorrebbe un secondo a rimettere le cose a posto. Basterebbe affrontare la questione con maturità… Ma come possono? Sono troppo infantili. Comunque vedrai, a Philip e Jenny cambiare letto non può fare che bene. È l’occasione buona per capire se e quanto si amano.-
Tom lasciò perdere, perché il ragionamento del compagno sembrava basarsi su solide motivazioni. Benji si lavò e si asciugò in fretta per uscire da quello spogliatoio che attanfava di sudore. Aveva un sacco di cose a cui pensare. Non era solo la vita di Jenny e di Philip ad andare in pezzi. Anche lui era sulla buona strada per perdere d’un botto tutto ciò che aveva conquistato in anni e anni di fatica. Meglio berci su una birra.
Freddie Marshall si sedette sconsolato al bar, ad arrovellarsi su una serie di problemi che gli erano caduti addosso tutti insieme e che non sapeva come risolvere. Per il primo, quello che più lo angustiava, aveva chiesto aiuto a Pearson, anche se Kirk si era già mosso da solo. Bisognava trovare al più presto una nuova squadra per Benji se, al suo ritorno all’Amburgo, la situazione non fosse migliorata. E possibilmente una delle più prestigiose, altrimenti lui non avrebbe accettato. Il secondo problema era riuscire ad ottenere in tempi brevi il nullaosta di Holly, perché nonostante l’accordo con Van Saal mirato a consentirgli di tornare a Barcellona per giocare la partita della Liga in programma per la prossima domenica, l’allenatore continuava a tardare ad inviare quel maledetto documento. Poi c’era il nullaosta di Mark che non arrivava. In questo caso il problema era la burocrazia italiana, che si muoveva paurosamente a rilento. Alzò gli occhi dall’aperitivo e intercettò Benji mentre questi si avvicinava soprappensiero ai tavolini, assetato di silenzio, di tranquillità e soprattutto di una buona birra ghiacciata, pure se Gamo non avrebbe approvato. Lo chiamò e il ragazzo gli si avvicinò guardingo, le mani ficcate nelle tasche, la borsa su una spalla.
-Toglimi una curiosità, Benji.-
-Anche due, Freddie.-
-La ragazza che è venuta al campo insieme a Salvatore Gentile è la fidanzata di Callaghan?-
Benji annuì.
-Ex fidanzata.-
-Gamo aveva qualche dubbio ma Kirk ne era sicuro.-
Certo che ne era sicuro, Pearson. A Kyoto l’aveva conosciuta bene. Sentì che Marshall continuava e si sforzò di ascoltarlo.
-Che ci fa qui?-
-Chissà…-
-C’era anche ieri sera, al party di benvenuto, vero?- il giovane glielo confermò con un cenno del capo -Forse è il caso di chiederle di non venire ad assistere agli allenamenti.-
Il cervello di Benji prese a correre. Marshall gli aveva appena dato modo di compiere per Philip e Jenny un gesto molto più sensato dei pastrocchi di improbabile utilità di quel cretino di Landers. -E glielo dice lei, a Salvatore Gentile, che non può portarsi la ragazza al campo?-
-Quando è comparsa, Philip ha sbagliato il tiro.-
Benji sbuffò, maledicendo l’emotività del compagno. Che bisogno c’era di cannare un tiro solo per aver posato gli occhi su Jenny? Se Freddie se n’era accorto, lo aveva notato sicuramente anche Gamo.
-Callaghan dice che ha inciampato.-
Marshall scosse la testa e tacque. Non era convinto e Benji non poteva farci nulla. Anzi, più di così si rifiutava di fare. In fondo cosa gliene fregava a lui di Callaghan? Non era mica suo fratello. Aveva altri problemi molto più importanti da risolvere, per esempio quello con Amy che continuava insistentemente a ignorarlo. Si allontanò da Freddie con un’alzata di spalle e raggiunse pensieroso il bancone del bar, per la tanto sospirata birra. Poi arrivò Gamo e, per amore della tranquillità, fu costretto a cambiare ordinazione.

*

Salvatore Gentile attraversò senza fretta il parcheggio, regalando ai fan il suo miglior sorriso. Si tirò la borsa su una spalla, imboccò il sentiero che conduceva agli spogliatoi e lo percorse senza troppa fretta anche se era in uno spaventoso ritardo. Odiava gli allenamenti in ogni loro forma e nessuno sarebbe mai riuscito a fargliene fare più dello stretto indispensabile. Il mister all’ora di pranzo lo aveva chiamato furibondo per rimproverargli la sua scandalosa condotta. Era o no un giocatore della nazionale? Erano o no in vista di una partita?
Si guardò intorno. Due dei quattro campi erano occupati, uno dalla nazionale giapponese. Mentre passava accanto ai nipponici, li osservò con un’occhiata divertita. Quelle schiappe asiatiche non avevano nessuna speranza di vincere contro di loro eppure continuavano ad allenarsi, con l’assurda convinzione di riuscire a sconfiggerli. Roba da matti!
Spalancò la porta dello spogliatoio ed entrò, piombando nel solito disordine e nell’olezzo acre delle scarpe e dei calzini abbandonati. Quest’ultimi erano ovunque, lo spogliatoio era un tripudio di calzini: sulle panche, negli armadietti, che spuntavano dalle borse, ficcati disordinatamente nelle scarpe. Si sfilò i vestiti con calma perché far infuriare l’allenatore lo divertiva, era il suo secondo passatempo, dopo il calcio. O forse il terzo, dopo le donne. Al quarto posto far incazzare Landers e al quinto era arrivata una nuova sfida: far schiattare di gelosia Philip Callaghan. La sera prima era bastato che sfiorasse le labbra della sua ex per far infuriare sia l’uno che l’altro. E non sarebbe stato male approfittare dell’occasione per infliggere al capitano della nazionale giapponese, oltre alla sconfitta della sua squadra, una bella batosta sentimentale. A lui piaceva vincere su tutti i fronti.
Finì di spogliarsi. Indossando la divisa si concesse il tempo di riflettere sull’aspetto negativo di tutto ciò, vale a dire su come Jenny l’avesse mandato gentilmente in bianco la sera precedente e quella stessa mattina. Tirò con forza i lacci degli scarpini e li annodò stretti, il suo rifiuto non gli andava proprio giù. Che fare? Senza dubbio riprovarci.
Raggiunse i campi nel momento di pausa di entrambe le squadre, il massimo della sfiga. Così dovette sorbirsi i rimproveri del mister sotto gli occhi divertiti di Landers e compagni.
-Ti pare questa l’ora di presentarti?-
-È tardi?-
-A te non sembra?-
-Non troppo.-
Il mister fremette.
-E stamattina? Sei passato a farci un saluto?-
-Esattamente. Visto che non mi sono svegliato, ho pensato fosse corretto almeno venire a salutare.- fece spallucce -Del resto come puoi pretendere che mi alzi all’alba se mi costringi a partecipare a stupide feste che durano fino a tardi?-
-E i tuoi compagni?-
-Li invidio.-
Si fissarono negli occhi azzurri, identici. Solo i capelli avevano una tonalità diversa. Sale e pepe quelli di suo padre, biondi i suoi. Per il resto erano uguali, sua madre lo diceva sempre, persino nel carattere.
-Ieri sera sei stato il primo ad andartene!-
-Per forza! Invece di sbraitare e farti venire l’ulcera, dovresti ringraziare il cielo che dopo il tuffo in piscina non mi sia buscato un malanno.-
-Molto meglio che ti fosse presa una bronchite, almeno avrei avuto la scusa per tenerti fuori!-
-Stronzate. L’Italia senza di me non vale una cippa.-
Rob rise, aggrappato alla rete, mentre traduceva a chi gli era accanto il botta e risposta di Salvatore Gentile e dell’allenatore della nazionale italiana.
Stanco di rimproverarlo, suo padre borbottò ancora qualcosa, poi lo lasciò perdere. Salvatore sapeva che sarebbe andata a finire così e si allontanò a testa alta, godendo della vittoria dell’ultima parola. La presenza di Rob aggrappato alla rete gli rovinò quel momento trionfale, facendogli venire l’amaro in bocca. Le facce di quei musi gialli accalcati alla rete erano divertite, Aoi doveva aver tradotto. La cosa lo innervosì, soprattutto quando si rese conto che Callaghan era nel mucchio degli spettatori. Mark sollevò una mano e lo salutò.
-Ben arrivato!-
Salvatore si avvicinò controvoglia alla rete e lo guardò dall’alto. Landers sovrastava i compagni ma continuava ad essere più basso di lui.
-Che cazzo ti ridi?-
-Dov’è Jenny?-
-Saranno affari suoi?-
-Ho capito, non lo sai.-
Il suo sorrisetto di scherno colpì Salvatore nell’orgoglio.
-Sta finendo una lezione. Ha detto che verrà più tardi.-
Mark parve soddisfatto della risposta e si allontanò, mentre i compagni intorno a lui si disperdevano.
Affondando i tacchetti nell’erba, Holly si avvicinò a Patty che stava riponendo acqua e ghiaccio nella borsa frigo.
-Bisogna fare qualcosa. Non ho mai visto Philip così.-
Lei richiuse il coperchio e annuì.
-Sta giocando proprio male.-
-Non sta giocando affatto, ed è ancora peggio. Sembra che non gliene importi nulla.- lanciò un’occhiata al mister -Se continua in questo modo Gamo non glielo perdonerà. E neanch’io.- rifletté un istante prima di continuare -Marshall stamattina ha chiesto a Benji se non fosse il caso di impedire a Jenny di venire al campo.-
Patty lo guardò incredula.
-Marshall non può fare una cosa simile!-
-Non la farà… Benji dice che non lo farà.-
Spostarono all’unisono gli occhi verso la recinzione. Jenny era appena comparsa, come se l’avessero chiamata. Aveva imboccato il vialetto di ghiaia e avanzava dritta verso di loro. Gli occhi di Holly si trasferirono all’istante su Philip. Era seduto a terra, un asciugamano appeso al collo, le gambe distese per sciogliere i muscoli e le mani poggiate sull’erba dietro di lui, a sostenere il peso della schiena rilassata. L’aveva individuata e seguiva la sua avanzata, apparentemente incapace di toglierle gli occhi di dosso.
-Lui la ama, Holly. Ce lo ha scritto in faccia.- la voce di Patty fu un sussurro -Perché si sono lasciati?-
-Forse lo ha lasciato lei.-
-Impossibile.-
-Perché no? Dopo quello che è successo a Kyoto, non voleva più averlo vicino.-
-Non è così.- provò a spiegargli il suo punto di vista ma non ci riuscì. Uno dei Derrick scoppiò a ridere, Patrick Everett gli diede dell’imbecille e lei capì che quello non era il momento di tirar fuori la questione. Porse a Holly una bottiglietta d’acqua -Ne parliamo dopo.-
Jenny era al cellulare e Philip non riuscì ad evitare di chiedersi con chi, mentre un moto di gelosia possessiva lo attraversava da parte a parte come una scarica elettrica. Distolse lo sguardo quando all’improvviso non fu più Jenny ad avanzare verso il campo ma il passato ad andargli incontro. Osservandola si trovò davanti all’oscurità che si portava dentro da mesi. Fu per istinto di sopravvivenza che i suoi occhi si sforzarono di mettere a fuoco l’unica macchia di colore che aveva davanti, il mazzo di fiori che lei stringeva nell’altra mano. Philip non ebbe dubbi che fosse un dono di Gentile.
Più Jenny si avvicinava e più lui riusciva a distinguere meglio i particolari. Aveva il cappotto sbottonato, che lasciava intravedere una minigonna grigio perla fino al ginocchio. In due giorni era la seconda volta che la vedeva con una gonna. Dopo Kyoto, Jenny non l’aveva più indossata preferendo i pantaloni, soprattutto jeans, più o meno corti ma meglio se lunghi. Spessissimo, quasi sempre, lei aveva ribadito l’inaccessibilità del suo corpo con una cintura stretta in vita. Che adesso avesse deciso di rindossare gonne e abiti era un’importante novità e Philip non poté non chiedersi se lo facesse per Gentile o se ciò significasse che era riuscita a superare almeno in parte quella terribile fase della sua vita.
-Permettimi di dirti che sei stato proprio uno stupido a lasciartela scappare.-
Philip si volse. Ralph Peterson osservava Jenny con ammirazione e la piega di contrarietà che gli corrugava la fronte non era certo rivolta a lei. Non seppe cosa rispondergli, annaspò nelle parole e incrociò gli occhi impassibili di Julian, che ebbe la decenza di tacere. Ma Ralph non lo fece. Era occupato ad esaminare Jenny con tale approvazione, che non si accorse del fastidio provocato dal suo commento.
-Io non l’avrei lasciata per Julie Pilar. Le modelle sono poco affidabili, hanno troppi fan che girano loro intorno, troppe tentazioni. Finiscono per metterti le corna e ti assicuro che non è piacevole. A me è quasi successo.-
-Più che spiacevole direi umiliante.- rifletté Julian.
Di tutte quelle frasi, una sola e unica affermazione colpì Philip come una mazzata. Replicò di getto, senza starci troppo a pensare.
-Non l’ho lasciata per Julie Pilar!- era sconvolgente che i compagni la pensassero così. Doveva fare qualsiasi cosa perché questa voce non girasse. Se poi fosse finita alle orecchie di Jenny? Non l’aveva lasciata perché le aveva preferito Julie. Julie Pilar era ricomparsa nella sua vita mesi e mesi dopo, e se fosse stato ancora con Jenny non l’avrebbe guardata due volte. A lui le tipe appariscenti come Julie interessavano così poco che non era in grado di spiegarsi neppure perché avesse deciso di frequentarla.
-Ti ha lasciato lei?- la curiosità di Peterson venne ripagata da un’occhiata acida -Ho capito, non sono fatti miei… Era tanto per parlare.-
Philip affondò le unghie nella terra, fece forza sulle braccia e si tirò su nel momento in cui Jenny riponeva il telefonino nella borsa.  
La giovane fece il giro del campo e si fermò davanti al terreno di gioco della nazionale italiana, i fiori in una mano, l’altra sollevata all’altezza del volto, le dita strette sulle maglie della rete. Attese paziente finché Gentile si sganciò e la raggiunse.
Philip vide l’italiano lanciarsi un’occhiata guardinga alle spalle, aggrapparsi alla recinzione e scalarla agilmente come una scimmia. Arrivò in cima e saltò giù dall’altra parte, atterrando accanto a Jenny che, sgomenta, fece un passo indietro. Salvatore le tolse di mano il mazzo di fiori e lo agitò di qua e di là facendone cadere qualche petalo. Jenny cercò di riprenderselo ma lui rise e lo sollevò in alto, sopra la testa, impedendole di raggiungerlo. Jenny protestò, si aggrappò al braccio del ragazzo e cercò inutilmente di tirarlo giù. Alla fine rinunciò e, imbronciata, arretrò dicendogli qualcosa. Lui cadde improvvisamente in ginocchio e tese i fiori verso di lei, offrendoglieli con le mani giunte e un sorriso radioso. Jenny lo fissò incredula, le guance che si tingevano d’imbarazzo. Si lanciò un’occhiata rapida alle spalle, così rapida che non riuscì a mettere a fuoco neppure i campi che si estendevano dietro di lei. Poi tornò a guardare Gentile. Lui le disse qualcosa e rise. Jenny gli strappò di mano il mazzo di fiori e se lo strinse al petto, piena di vergogna, mentre l’italiano si alzava ridendo.
-Che buffone.-
Philip si ritrovò Mark accanto. Non era stato l’unico ad assistere allo show. Tornò a guardare la coppia, Dario Belli li aveva raggiunti al di là della recinzione.
-Stiamo cominciando la partita. Che fai? Giochi o no?-
Salvatore lo guardò serio.
-Davvero posso scegliere?-
-Imbecille.-
Jenny gli prese una mano.
-Torna ad allenarti, Salvatore.- lui fece spallucce, così lo pressò -Ci vediamo dopo al bar.-
Si separarono davanti agli ingressi dei due campi. L’italiano tornò dalla sua squadra, Jenny raggiunse le amiche. Un velo di rossore le imporporava ancora gli zigomi.
-A che ora finiscono di allenarsi?- domandò tanto per dire qualcosa.
-Non prima delle cinque. Giocheranno finché c’è il sole.-
-Chi te li ha regalati? Gentile?- Evelyn le sollevò il braccio finché i fiori non le sfiorarono il viso. Ne aspirò il profumo -Che buono…-
Jenny le rispose con un sorriso. Pensasse quello che voleva, a lei non interessava. Era stufa che Evelyn s’impicciasse della sua vita. Allungò ad Amy una busta che conteneva i suoi vestiti ripiegati e la guardò, piena di riconoscenza.
-Grazie, ieri mi hai salvata.- spostò il peso del corpo da un piede all’altro -Adesso devo andare. Ci vediamo dopo.-
-Dov’è che vai?-
-A lavorare, sono in ritardo. A dopo.-
Philip, fermo a qualche metro dalla porta di Ed, la osservò andar via. Warner distolse gli occhi dal compagno e li spostò su Mark. Anche lui dal centro campo stava fissando Jenny che si allontanava. Mentre si sistemava i guanti, si chiese se prima o poi tutto quell’interesse per la stessa ragazza non avrebbe portato guai seri all’intera squadra.

Come già aveva fatto al termine dell’allenamento della mattina, Benji lasciò in fretta e furia gli spogliatoi con i capelli ancora umidi, il cappellino attaccato al passante della cinta dei jeans. Profumato di shampoo e di bagnodoccia, varcò l’ingresso del bar e si diresse spedito verso il bancone, per rifarsi della birra che per colpa delle stupide riflessioni di Freddie e dell’arrivo improvviso di Gamo non era riuscito a godersi prima di pranzo. Si arrampicò sullo sgabello, sollevò gli occhi per ordinarla e si ritrovò faccia a faccia con Jenny che gli sorrideva. La fissò meravigliato.
-Che ci fai lì dietro?-
-Sto lavorando.-
-Davvero?-
-È solo per un paio d’ore, finisco quando ve ne andate.-
-Come accidenti hai fatto a farti assumere?-
Jenny lo guardò, vagamente imbarazzata.
-Ci ha pensato Salvatore… Ma me la cavo bene… A fare il caffè non ci vuole niente e, se ricordi, ho una certa esperienza con i cocktail.- gli strizzò un occhio, Benji rise e lei lo imitò. Poi tornò seria, riacquistando un minimo di professionalità -Cosa prendi?-
-Una birra.- poggiò i gomiti sul ripiano e la osservò meglio. Teneva i capelli legati in una coda e due ciocche più corte le ricadevano ai lati del volto. Sui suoi occhi c’era un’ombra di trucco e un velo di rossetto le colorava le labbra. Il make-up di Jenny era sempre molto discreto. Indossava una magliettina bianca con un nastro arricciato dello stesso colore che le abbelliva una scollatura piuttosto profonda. Quando si chinò sul lavandino, di fronte a lui, Benji riuscì a scorgere l’ombra del reggiseno bianco.
Recuperata la birra, lei aprì la bottiglia e gli riempì il bicchiere.
-Come mai da solo?-
Lui si guardò intorno.
-Cercavo Amy.-
-Amy? E perché?-
-Perché non mi parla.-
-L’hai fatta arrabbiare?-
Benji fece spallucce.
-Può darsi. Nicole è stata contenta di sapere che stai bene.-
-Le hai detto che sono qui?-
-Non avrei dovuto farlo?-
-Certo che sì.-
-L’ansia di Patty che non ti trovava l’ha fatta preoccupare.-
-Mi dispiace.- Jenny si guardò intorno e sperò che qualcuno li raggiungesse presto. Benji era imprevedibile e conversare con lui senza sapere dove sarebbero andati a parare la metteva in agitazione. Erano troppe le cose di cui non voleva parlare.
Lui percepì il suo disagio.
-Di cosa hai paura? Che anch’io ti chieda perché tu e Callaghan vi siete lasciati?-
Il timore le guizzò negli occhi e continuò a tacere nervosa, mentre Benji sorseggiava la birra con evidente godimento.
-So che non sono affari miei e ti assicuro che mi seccherebbe di sentirmelo ribadire, da te o da Callaghan indifferentemente.-
Jenny fece per tirare un sospiro di sollievo, ma all’ultimo si trattenne. Capì che non aveva finito. -Sai che sta frequentando Julie Pilar?-
Lo sapeva, ma sentirselo spiattellare in faccia senza preavviso non le fece piacere. Si sforzò di restare impassibile, anche se un filo di angoscia l’attraversò tutta.
-Ho visto la foto su un giornale. Perché me lo dici?-
Benji alzò le spalle.
-Perché così non ti sentirai in colpa a divertirti con Gentile. Anzi, fallo finché puoi. Approfittane.-
Jenny appoggiò i gomiti sul bancone e si sporse verso di lui, improvvisamente interessata.
-Perché?-
-E perché no?- Benji allungò una mano e le passò dietro un orecchio una ciocca di capelli che le era ricaduta sulla guancia -Non hai niente da invidiare a quella fotomodella. Callaghan è un idiota.-
Il sorriso le sparì dalle labbra.
-Non giudicarlo, Benji. È stato un momento difficile per tutti e due.- si morse la lingua quando si rese conto che lo aveva appena difeso. Philip non meritava di essere difeso, non dopo come l’aveva trattata.
Il portiere esitò solo un istante, poi annuì.
-Hai ragione.-
-Benji?-
Il portiere si irrigidì. Lasciò ricadere la mano con cui le aveva sfiorato il viso e si portò il bicchiere alle labbra. Neppure si volse, tanto aveva riconosciuto la voce. Holly gli spuntò accanto insieme a Ross. Si sedettero lanciandogli un’occhiata in tralice, poi Julian sorrise all’amica.
-Lavori qui, Jenny?-
-Arrotondo. Anzi, devo dire che guadagno bene.- osservò anche Holly -Cosa prendete?-
La risposta dei compagni le scivolò addosso senza lasciar traccia. Non li sentì. Philip entrò nel bar insieme a Mark e Tom. Parlavano, lui non l’aveva ancora individuata e Jenny ebbe qualche istante per osservarlo. Teneva la borsa su una spalla, aveva i capelli umidi per la doccia, indossava un paio di jeans e la felpa della nazionale. Il suo viso era tirato di stanchezza e forse di contrarietà. Quando spostò gli occhi verso il bancone e i loro sguardi si sfiorarono, Jenny si volse di scatto e prese dallo scaffale due bicchieri puliti. Si fece ripetere le ordinazioni e servì i compagni.
Philip, preso atto della sua presenza, si sedette al tavolino più lontano. Davanti a lui si apriva una grande vetrata che si affacciava sui campi. La nazionale italiana si stava ancora allenando. Tom lo seguì per non lasciarlo solo, Mark invece decise di raggiungere Jenny al banco.
-Tra quanto finisci?-
-Appena ve ne andate.-
-Hai fatto la spesa?-
-No. Tu mangi con loro e io stasera ceno fuori.-
La scrutò indagatore.
-E con chi vai a cena? Con Gentile?-
-Con uno dei miei studenti. Mangiamo da Mc Donald’s in piazza e gli correggo i compiti dell’università.-
Holly la guardò curioso.
-Cosa insegni?-
-Do lezioni private di giapponese ad uno studente universitario.-
Benji finì la birra e si alzò. Raggiunse Philip al tavolo, lo guardò negli occhi e gli sorrise ironico.  -Allora?-
-Allora cosa?-
-Un’altra sorpresa?- indicò con un cenno il banco del bar.
Philip abbassò gli occhi stizzito.
-La vita è piena di sorprese.-
Il portiere gli scoppiò a ridere in faccia.
-Hai proprio ragione!-

*

Philip pensò che tutto sommato quella sera avrebbe fatto meglio a non uscire. Il freddo era calato giù dai ghiacciai delle Alpi e il vento soffiava forte, incanalandosi tra i palazzi. Tirò su il colletto della giacca a vento e si guardò intorno. C’erano parecchie persone in giro, forse perché era sabato sera. Gruppi di ragazzi, coppie, famiglie, come se l’intera città si fosse riversata in strada. I bar e i ristoranti erano aperti e la gente entrava e usciva senza sosta. Si accorse che Benji gli camminava accanto solo quando parlò. E ciò che disse lo fece sussultare.
-C’è Jenny.-
Philip si volse di scatto e si bloccò all’istante quando la individuò al di là delle vetrine del Mc Donald’s di Piazza Castello. Un Mc Donald’s che già da solo, con quello stile barocco, pieno di stucchi e dorature, attirava l’attenzione di chiunque non vi fosse mai passato davanti. Jenny sedeva ai tavolini china su un libro e ascoltava ciò che le stava dicendo il ragazzo che aveva di fronte. Ogni tanto annuiva. Il giovane era girato di spalle e Philip non poteva vederlo in faccia, ma riusciva a osservare bene Jenny, la sua espressione concentrata, i capelli lunghi ordinatamente pettinati che le ricadevano da un lato, una penna in mano a seguire il testo che aveva davanti. Ad un certo punto alzò gli occhi verso il suo studente e gli sorrise, mentre il suo sguardo si illuminava di divertimento. Philip la fissò incantato perché aveva dimenticato il calore di un sorriso che troppe volte era stato per lui.
Un uomo lo urtò e si riscosse. Le persone continuavano a passare, ripassare e incrociarsi sotto i portici e lui era rimasto proprio in mezzo. Cercò i compagni tra la gente e non li vide. Dovevano aver proseguito. La cosa non lo preoccupò, anzi si sentì sollevato. Avrebbe potuto fare ciò che voleva senza essere controllato, rimproverato o criticato. Si spostò di lato e si appoggiò ad uno dei pilastri dei portici, esattamente di fronte alla vetrata. Fuori era buio, Jenny non avrebbe potuto scorgerlo neppure se lo avesse cercato, consentendogli di restare a guardarla indisturbato. In fondo che male c’era a starsene lì? Cosa c’era di sbagliato se avesse passato qualche istante ad osservarla? Erano mesi che non la vedeva, mesi lunghi come secoli.
S’infilò le mani in tasca e appoggiò la schiena contro il muro per stare più comodo. Sollevò un piede e si puntellò alla parete. Sotto i portici il vento non entrava e il freddo era in qualche modo sopportabile. E poi lui, al freddo, era abituato.
Continuava a fissare Jenny e più lo faceva, più la vedeva diversa. Era come rifiorita. Ogni suo gesto, ogni sua espressione gli sembrava differente da come l’aveva sempre conosciuta, più decisa, più sicura di sé, forse più affascinante. Fin dalla sera prima, quando l’aveva vista nell’abito bianco, aveva notato che qualcosa in lei era cambiato. Lo aveva capito meglio quel pomeriggio al campo, quando era passata davanti a loro parlando al cellulare, camminando con una sicurezza e una sensualità che avevano giustificato gli sguardi e gli apprezzamenti degli amici. Non riuscì ad evitare di confrontarla con Julie Pilar e immediatamente si disse che preferiva mille volte Jenny. La guardò per la prima volta come probabilmente la guardava Gentile, vedendo ciò che aveva spinto David McFay verso di lei. Scacciò il terribile ricordo e tornò ad osservarla.
Quasi attirati dalla sua presenza invisibile, gli occhi della ragazza si spostarono verso i vetri e fissarono la strada. Philip, celato dall’ombra era così sicuro che non sarebbe riuscita a vederlo che non si spostò né cercò di nascondersi. Lo studente di Jenny controllò l’orologio, poi prese il libro che lei gli porgeva, lo infilò in uno zaino e si alzarono insieme. Lei si avvolse in un’enorme sciarpa grigia appoggiata sulla spalliera della sedia e si mise la borsa su una spalla. Lui radunò i vassoi di entrambi e andò a svuotarli nel cestino. Uscirono insieme dal Mc Donald’s rabbrividendo di freddo al brusco e repentino cambio di temperatura. Il ragazzo la salutò, attraversò in fretta la piazza e Jenny rimase sotto i portici a guardarsi intorno, come indecisa su quale direzione prendere. Poi si incamminò verso Philip, lo superò senza notarlo e proseguì lungo la via.
Lui la seguì senza pensarci neppure un istante. Costeggiarono Piazza Castello, attraversarono due incroci e mentre cominciava a domandarsi se non fosse il caso di smettere di andarle dietro, Jenny si fermò davanti a un bar e attese. Philip rimase dall’altra parte della strada, chiedendosi cosa stesse aspettando. Si rispose da solo quando vide Salvatore Gentile arrivarle alle spalle, di soppiatto, allungare le braccia e stringerla a sé. Jenny sobbalzò e le sfuggì un grido terrorizzato, l’italiano rise divertito dello scherzo. Nonostante le proteste, Gentile non la mollò. Continuando a sorriderle si chinò su di lei e la baciò. Ma non come l’aveva baciata quel pomeriggio al campo. Non quel bacio veloce, di sfuggita. E neppure come l’aveva baciata alla festa, sfiorando appena le sue labbra. Stavolta l’attirò contro di sé, una mano sulla nuca, tra le ciocche di capelli, e l’altra alla base della schiena. A scioccare Philip fu la reazione di Jenny. Le sue braccia circondarono il collo di Gentile, il suo corpo intero si adattò a quello dell’italiano per ricambiare il bacio. La risposta di lei gli fece male. Distolse gli occhi, ciò che aveva visto poteva bastargli per tutta la vita. La frustrazione, la gelosia e la stanchezza gli piombarono addosso tutte insieme. Si guardò intorno cercando di orientarsi, per ritrovare la fermata dell’autobus e tornare in hotel. Era stato uno stupido a fermarsi davanti al Mc Donald’s. Avrebbe dovuto proseguire insieme agli altri. Non stava più con Jenny e quello che lei faceva (se lo ripeteva in continuazione) non doveva assolutamente interessargli.
Mentre aspettava che il semaforo dei pedoni diventasse verde, non riuscì a resistere alla tentazione di voltarsi di nuovo. Non li trovò più, Jenny e l’italiano erano spariti chissà dove.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: Yoshiko