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Autore: deine    08/04/2018    1 recensioni
Terza classificata al contest "Hotel Supramonte" indetto da id_s sul forum e giudicato da 6Misaki.
L'ultimo anno a Hogwarts di Scorpius e Rose.
Rose è sicura che lo sguardo di Scorpius non si sia mai soffermato su di lei più del necessario. Volontariamente esclusa dalla popolarità dei suoi cugini, vaga per la scuola in cerca d'amore.
Scorpius sa di essere un Malfoy. C'è bisogno di aggiungere altro, quando ci si innamora della figlia di Ron e Hermione?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Ron Weasley, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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                                                                      MIA DOLCE ANDROMEDA

 

 

 

Una ragazzina pallida stringe la mano di sua madre. Ha paura, non vede Albus e James; la loro mamma gli ha detto di andare a giocare, prima della cerimonia, e adesso li sta chiamando a gran voce, facendosi strada tra gli altri adulti.

Il pomeriggio è nero pece, per Rose: alla sua altezza, vede solo gambe fasciate da calze scure e pantaloni pesanti.

Il cielo è azzurro, ma lei sa che nessuno lo guarderà.

Lascia la mano di sua madre senza accorgersene e, quando si volta, lei è sparita. Rose non alza lo sguardo, è spaventata. Cammina senza meta, cercando un punto di riferimento. Non piange; nessuno noterebbe il suo flebile lamento nel coro di singhiozzi che provengono da ogni parte del prato.

Sta per perdere le speranze, quando il suo sguardo affannato scorre veloce su qualcosa e ci ritorna automaticamente, come se fosse naturale.

La solidarietà di due occhi grigi, persi quanto i suoi. Alla sua stessa altezza, forse qualche centimetro di più. Un altro bambino.

È naturale per Rose inquadrare e raggiungere il suo simile, catturata dalla fiducia che normalmente accordiamo a chi ci somiglia.

Così Rose si lascia guidare da quel bambino biondo con il completo impeccabile fuori dal cerchio di adulti. Essi sembrano brulicanti e indaffarati come formichine braccate dal destino. Non nota che ai richiami di Ginny si aggiungono anche quelli di Hermione.

Giocano, finché altre voci non diventano troppo simili a ringhi per essere ignorate. Si voltano nello stesso momento.

«Che cosa ci fai qui?»

«Siamo venuti a porgere le nostre condoglianze».

«Fosse stato per tuo padre, avrei seppellito il mio decenni fa».

«Non parlare di mio padre, Weasley».

«Non te ne vergognavi così tanto, quando assassinava persone innocenti».

«Ron, basta».

«Sparisci, cane. Non ti avvicinare mai più alla nostra famiglia. Le tue condoglianze non ci servono».

«Scorpius!»

Il suo compagno si alza e si spazzola i pantaloni. Le lancia uno sguardo carico di un sentimento che Rose non sa decifrare. Non era odio, ma diffidenza.

Scorpius ha già capito qualcosa che Rose imparerà tra molti anni e che non comprenderà mai davvero; con la malleabilità che caratterizza la indole dei bambini, entrambi si adatteranno a regole fredde e morte come sangue versato, come sangue rappreso.

Si pentiranno di avere fatto loro le faide di altri, ma ancora non lo sanno; si avviano verso le rispettive famiglie, senza dirsi addio.

 

 

 

 

 

                                                                             AUTUNNO

 

 

Rose porta occhiali tondeggianti, dalle lenti spesse incorniciate in un filo d'oro.

In classe, serra le palpebre, solleva la montatura pinzando la stanghetta sinistra tra pollice e indice e si passa le dita sugli stanchi occhi cerulei.

Indossa gli occhiali da un mese; l'ultima nitida estate delle sue pupille l'ha passata nello scantinato della Tana, a guardare vecchi film babbani su un datato televisore che apparteneva a suo nonno Arthur.

Sogni in videocassetta le hanno arso gli occhi, ma questo Scorpius non lo sa; si limita a osservare i suoi gesti. Ogni movimento di Rose Weasley per lui è prezioso come un tozzo di pane per un affamato. La studia come un quadro, cercando la firma segreta dell'artista.

Scorpius detesta tutto: i suoi occhi, quando non sono fissi su Rose, roteano senza posa nelle cavità oculari, in segno di disprezzo e noncuranza per ogni cosa; le sbruffonate e i divertissement del clan Potter-Weasley gli fanno arricciare il naso.

Odia essere l'unico in tutta la scuola a trovarli vanesi e arroganti; tutti gli altri, persino i Serpeverde, sembrano succubi di un incantesimo.

L'ammirazione negli occhi dei suoi compagni, anche di quelli più coriacei che la nascondono meglio, non gli sfugge. Tutti vorrebbero essere loro: vorrebbero ballare sui tavoli come James Potter, duellare con la grazia di Albus, volteggiare sulla scopa come Lily Luna, che sfida il cielo con determinazione in ogni condizione atmosferica.

Forse ne è invidioso, ma lo ammette solo quando la sua solitudine gli sembra troppo greve.

Essi sono forze della natura, Scorpius è la pietra che, imperturbabile, viene scalfita dalle loro manifestazioni. Sogna una metamorfosi folle che lo trasformi in tempesta, mille pezzi di granito che esplodano e lo liberino.

Rose è l'unica che la sua insofferenza non riesce a calpestare; è bella ed elegante come un giglio e sottile come un giunco, ma è spenta. I suoi cugini brillano di luce propria, sempre in bilico sulla linea di confine tra splendere e bruciare, ma Rose no: lei ha scelto la semplicità, il grigiore di una vita dimessa e normale, dietro lenti spesse e azzurrine.

Scorpius si chiede spesso cosa l'abbia attratto di lei, sette anni prima, quando uno scorcio di Rose seduta tranquilla in uno scompartimento affollato di scalmanati, un libro tra le mani, gli ha cambiato la vita. Forse il fatto che lei sembrasse fuori posto, come lui.

L'ha guardata per sette anni con occhi affamati; si è beato – se ne vergogna – della sua solitudine. Ha temuto, a ogni risata o sorriso rivolti ad altri, che essi la riaccendessero, che lei diventasse diversa, più simile ai leoni rampanti che la attorniano.

Gli piace pensare di poterla avvicinare in qualsiasi momento, perché lei è sempre sola; immaginare di poter portare con lei il peso della sua diversità; sognare che lei possa alleviare la sua sofferenza e il suo senso di inadeguatezza.

Ma non realizza mai le sue ambizioni. Teme che Rose bruci l'unica oncia di umanità che ha dentro, rifiutando il suo amore e svalutandolo come un'ossessione infantile.

Il suo cuore come un tizzone bruciato, cenere sotto le sue suole.

Scorpius non vuole essere calpestato, e tace.

Ha tentato di parlarle mille volte, ma la paura di diventare lo zimbello della scuola lo perseguita: se non può essere il principe di Hogwarts, non ne sarà neanche il giullare.

Preferisce una sofferenza che può chiudere nel pugno e schiacciare, anche solo per qualche attimo.

Ma lei poi ritorna nella sua mente, sempre, ed è accolta da lui con gratitudine.

Cresce subdolamente da una fiammella e presto brucia tutto il resto.

Torna da me, Rose.

 

 

Rose si è bruciata gli occhi durante un'estate senza sole; ora vive in un mondo di contorni sfocati e colori senza forma né dimensione. Solo quando indossa gli occhiali, i suoi occhi cerulei scompaiono dietro cocci di bottiglia tondeggianti, ma sono più acuti che mai.

Rose guarda i film cercando i particolari che nessuno noterà mai: i movimenti inconsulti e le espressioni parossistiche delle comparse, insetti che zampettano indisturbati dietro baci appassionati, la maestria di una scenografia dipinta.

Quando qualcuno osserverà una fotografia sbiadita della sua Hogwarts, sarà affascinato dai nomi sgargianti che hanno scritto la storia e non noterà null'altro.

La tortura sapere che il viso di Scorpius Malfoy resterà scolpito solo nella sua mente.

Come una sinfonia che raggiunge la spannung dopo pochi minuti e poi cala di intensità, senza però morire, l'amore per Scorpius è rimasto nel cuore di Rose con tenacia inattaccabile e lei è cresciuta con esso per lunghi anni, cibandolo di sguardi rubati e piccoli gesti, finché esso, con la sinuosità di un glicine, ha avvolto il suo cuore battente.

Egli è soltanto un particolare del quadro complessivo, ma, una volta che i suoi occhi l'hanno arpionato, è uscito solo di raro dal suo campo visivo. È ben allenata ad abbassare lo sguardo prima che egli lo intercetti, e per questo motivo sa bene quanto egli disprezzi i suoi cugini.

Scorpius tamburella con le dita, quando sente la risata squillante di Lily riecheggiare nella Sala Grande, porta le mani alle tempie quando Albus si mette in mostra a Difesa Contro le Arti Oscure, sbuffa quando vede qualche primino paonazzo sotto il peso dei libri di Hugo.

Rose si vergogna terribilmente della sua famiglia, dei loro eccessi da monarchi assoluti; il senso di colpa nei confronti dei suoi parenti non conta nulla, quando lo sguardo di Scorpius si fa torbido e lei percepisce bene che nel paiolo del suo disprezzo c'è anche un pizzico di invidia e, forse, ammirazione.

Trova le sue stranezze e i percorsi tortuosi dei suoi pensieri, così evidenti per lei, affascinanti.

Vorrebbe parlargli, ma sa che il suo è un desiderio fatuo.

Uno scherzo del destino ha messo tra di loro un ossimoro: egli non la ama perché è una Weasley, non la odia perché non lo è abbastanza.

È sicura che lo sguardo di Scorpius non si sia mai soffermato su di lei più del necessario.

 

 

A novembre il vento è freddo, ma Scorpius siede su una panchina del parco e legge. Passano due Grifondoro dell'ultimo anno e lo guardano con spregio. Malfoy li ignora. Rose guarda con stupore e disprezzo, mentre uno dei due prende la borsa di Scorpius e ne rovescia il contenuto sul terreno fangoso. I loro passi si accompagnano alle loro risate.

Scorpius rimane accoccolato sul terreno nella ridicola pantomima di un inchino involontario, intento a raccogliere i suoi averi. Rose si avvicina quasi senza volerlo, ma, come posa le mani su un quaderno macchiato, lo sguardo di Scorpius è una condanna che non può sopportare.

Connivenza. Un'accusa dalla quale non può scagionarsi. È colpevole di essere Grifondoro, di essere Weasley, di essere aquila e leone.

«Non voglio il tuo aiuto. Tu sei come loro» sembra dirle lo sguardo di Scorpius. Rose lascia il quaderno tra le sue mani gelide e scappa a nascondersi nella sua torre, il luogo del delitto.

 

Scorpius la guarda andare via con uno sguardo ferito che non riesce a nascondere. Ha visto nei suoi occhi, che bucano il vetro delle lenti, come il sole attraversa la superficie dell'acqua, la diffidenza con la quale tutti si approcciano a lui, come se fosse una specie di bestia feroce, pronta a spalancare le fauci.

Fa male, che lei l'abbia visto sconfitto e aggiogato, ma brucia di più che lei sia scappata da lui.

 

 

                                                                                         INVERNO

 

La neve cade a dicembre, su un paesaggio che ha già perso da mesi ogni vitalità. Il castello tace reverente, sotto la pace del cielo limpido.

 

Pur in un mondo che cerca disperatamente di scrollarsi di dosso le sue etichette, molti si aggrappano con le unghie ai nomi e alle convenzioni, si rifugiano in una categoria per non emergere dalla folla.

Percy McLaggen è un fulmine che spacca a metà il tavolo di Grifondoro; il suo posto sulla panca corrisponde al centro perfetto ed è attorniato da una decina di ragazzine che, le voci sottili come foglie fruscianti, friniscono in coro, elogiando il loro eroe.

Rose riceve una gomitata da sua cugina. Lily la guarda con inequivocabile malizia e Rose arrossisce. Pensa che la cugina l'abbia sorpresa a scrutare il tavolo di Serpeverde, ma, con suo grande sollievo, non è così.

«Percy non ti ha tolto gli occhi di dosso da quando si è seduto» le sussurra Lily all'orecchio. Rose si volta stupita, ignorando le proteste di sua cugina, e si scontra con lo sguardo liquido del re di Grifondoro. Abbassa gli occhi, il volto in fiamme.

Lily equivoca il suo comprensibile imbarazzo. «Ah, allora ti piace! Beh, ho sentito Mandy dire a Vicky che Percy pensava di invitarti...»

Rose smette di ascoltare.

Le piace? Forse no, ma non si è mai sentita desiderata da un ragazzo e, nonostante non sia lui, un fuoco caldo le si attizza nel petto.

Scopre presto che l'amore bollente di Percy è capace di spazzare via il suo dolore con l'irruenza di una mareggiata. Per questo motivo cade sotto il suo incantesimo in fretta. Vuole provare cosa si sente a essere amate e, se Scorpius non può darle amore, allora è giusto che perda il suo, sentenzia l'arbitro inflessibile della sua coscienza.

 

 

Così il timore di Scorpius infine si avvera; la sua amata è lontana, persa in un turbine di emozioni nuove e inedite, che la inebriano e la sconvolgono. È un'altra, lui non la riconosce più.

Rose arriva a lezione – tutte le lezioni – sorridente e scompigliata, ogni centimetro del suo corpo porta i segni di un amore furtivo consumato a mozziconi. Scorpius abbassa lo sguardo; non riesce a vederla senza immaginarla avvolta a Percy McLaggen.

Rose, intanto, assorbe lo stupore dei professori con la leggerezza di una farfalla, getta sul tavolo i libri e i quaderni immacolati e fissa lo sguardo sognante fuori dalla finestra.

Vive il sogno che Scorpius non può darle e ha relegato a malincuore il suo primo amore in un angolo della sua mente. Quel ragazzo diverso è tornato a essere un particolare del suo mondo sfocato; Rose non indossa più gli occhiali, anche se vede a macchie, perché Percy ha detto che senza sta meglio e lei vuole davvero piacergli.

È inverno, ma la primavera regna nel cuore di Rose. È nuova, è diversa: ora può ballare sui tavoli e ridere ad alta voce. Scopre per la prima volta le gioie di essere amata: ora sa che, qualsiasi cosa lei faccia, indossi, dica, qualcuno là fuori la venera. Venera lei, Rose. Non c'è pensiero più dolce, mentre balla abbracciata a Percy sotto la neve.

Scorpius la guarda da una finestra. Non sono mai stati così distanti: una donna in fiamme e un uomo solo¹.

In fondo alla bocca ha l'amaro della perdita.

 

I suoi stessi sogni lo mettono in imbarazzo.

Il suo riflesso lo schernisce dallo specchio, sicuro, senza paura, senza anima. Il giovane Malfoy stringe tra le dita i rimasugli del suo cuore e non sa che farne. È un tozzo di pane secco, che potrebbe sbriciolare nel pugno. Contrae i muscoli della mano, ma si sveglia prima della fine.

Gli sguardi degli altri gli scivolano addosso; durante l'inverno Serpeverde è più freddo che mai e il settimo anno è troppo tardi per tentare di sciogliere la diffidenza degli altri. Se sei solo, sei pericoloso o strano, anche nel covo degli ambiziosi e dei traditori.

Scorpius Malfoy. Un nome parlante, come si suol dire: lo Scorpione, che si tende e si biforca nel manto del cielo sotto la guida di Antares, l'angelo caduto. Malfoy, il marchio del traditore, quello che suo padre nasconde tutto l'anno, invano, perché basta il suo cognome a suscitare il disprezzo delle persone.

A volte passa tutta la notte disteso sulla schiena nell'aula di Astronomia, a riempirsi gli occhi di stelle sotto la vetrata che sormonta la stanza.

Se Rose fosse una costellazione, pensa, sarebbe Andromeda², incatenata alla roccia della sua genealogia; brillerebbe tra Perseo e Cassiopea, oscurata dalla luce del suo sposo e di sua madre.

 

«Mia dolce Andromeda...» confessa, in un sussurro spezzato.

 

La immagina libera, slegata dal suo sangue mitico, bella come un angelo, i capelli rossi a incorniciare un viso rilassato, senza crucci a incresparlo.

Poi chiude gli occhi e nel silenzio della torre la sua fantasia indossa i calzari alati, finché il ragazzo non spalanca gli occhi e, rosso di vergogna, fugge da se stesso.

Capisce, fin troppo bene, che una Weasley non può amare un Malfoy che è troppo spaventato per rivolgerle la parola, ma abbastanza audace da fantasticare su di lei nell'oscurità della sua tana. Deplora il suo nome e il suo carattere; mai come in quel momento si sentirà indegno di lei.

 

   
 
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