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Autore: Swetty_Kookie    10/04/2018    2 recensioni
Jeon Jeongguk, un normale ragazzo che lavora in un semplice bar, farà l'incontro di un misterioso ragazzo, che sconvolgerà la sua vita per sette giorni.
[...]
«Stavo cercando di scrivere una lista di cose da fare. Anche se non so quante cose si potrebbero fare in una settimana.»
|TaeKook| - (Storia presente su wattpad)
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Martedì mattina era la mia giornata libera. Un giorno senza senso. Non era sabato, e di conseguenza non sarei potuto uscire per andarmi a divertire, ma era comunque un giorno tranquillo. Volevo rimanere nel letto tutto il giorno, ed alzarmi solo all'orario di pranzo. O almeno quella era la mia intenzione.

Ero a torso nudo con dei pantaloni della tuta neri, che mi arrivavano sotto al ginocchio, quando mi chiamasti al telefono per la prima volta. Diedi un'occhiata al telefono prima di risponderti.

Le 10:24.

«Pronto?»sapevo chi eri, ma non volevo dare l'impressione di quello che stava aspettando una tua telefonata. Perché in realtà la stavo aspettando eccome.

Di quel ragazzo timido, tramite il telefono, nemmeno l'ombra "Dove sei?" mi chiedesti, senza nemmeno salutarmi.

Mi infastidii, ma non te lo dissi. Mi misi seduto sul mio letto, passando una mano prima su un occhio, stropicciandolo e poi tra i capelli «A casa mia.»

"Ah..- la delusione dalla tua voce era chiara –ero venuto qui al bar. Non lavori oggi?"

Ebbi una stretta al petto, allora non capii perché, ma adesso so che non volevo farti soffrire, non volevo che tu ci rimanessi male «E' il mio giorno libero- ti spiegai, e non sentendo più la tua voce dall'altro lato del telefono, parlai ancora –Ma se vuoi possiamo vederci. Insomma, se mi stai chiamando è per questo, no?»

Odiavo il dover prendere perennemente l'iniziativa. Era stata una tua idea quella di scegliere me, allora perché ero io a doverti spronare?

"Si, cioè... non volevo disturbarti." mi ritrovai a sorridere, anche se tu non potevi vederlo.

«E' ok, dove possiamo vederci?» ignorasti completamente la mia domanda.

"Dici che potrebbe piovere?l mi chiedesti.

D'istinto guardai fuori dalla mia finestra. Era una bella giornata, impossibile che piovesse.

«Non credo.- confessai. Il tuo secondo punto era quello di voler correre sotto la pioggia, ed allora ricordai –Andiamo... a Geoje? E' una foresta poco lontana da Seoul, e capita spesso che piova, anche per giorni a volte.» ci ero andato più di una volta con i miei genitori, ed ogni volta pioveva.

"Jeongguk.- fu la prima volta che mi chiamasti per nome -Perché stai facendo questo?"

Non volevo risponderti, non perché mi vergognassi. Semplicemente, non lo sapevo nemmeno io il motivo per il quale stavo facendo tutto questo per un estraneo... per te «Non puoi solo ringraziarmi?»

Nella mia mente, il tuo silenzio lo avevo interpretato come un accenno positivo con la testa «Ci vediamo tra mezz'ora alla fermata degli autobus.» ti avevo detto, e tu annuisti per poi chiudere la telefonata.

Ed ancora una volta, ero stato io a prendere la decisione.

Davvero non capivo perché lo facevo. Consideravo il mio giorno libero, un giorno sacro. Nemmeno i miei amici mi chiedevano di vederci quando ero a casa in quei giorni. Ma lui no. Ero stato persino io ad organizzare un'uscita. Per cosa poi? Per realizzare un suo desiderio.

Ero completamente impazzito, ne ero certo. Non sapevo però che a lungo andare, sarebbe stato sempre peggio.

Ti raggiunsi dopo quella mezz'ora, che avevo impiegato a riempire lo zaino di cose da portare, sia per me, sia per te. Mi sembrò naturale farlo. Non avresti mica potuto organizzare le tue cose se eri fuori.

Ti vidi seduto sulla panchina, mentre mi aspettavi. Poco più lontani un gruppo di ragazzi con degli zaini, che probabilmente avevano avuto la nostra stessa idea. Vidi che ti guardarono di sottecchi, mentre tu eri troppo impegnato a guardarti la punta delle scarpe.

Mi sedetti accanto a te, lanciando prima loro un'occhiataccia, che solo pochi compresero.

Non ti salutai, semplicemente mi sedetti accanto a te, aspettando che questa volta, fossi tu a parlare per primo.

«Ci hai messo cinque minuti in più.» quello era il tuo saluto. Fantastico.

«Ho perso tempo per preparare lo zaino.» ed io stupido che mi giustificavo pure.

Si era formato un silenzio imbarazzante, interrotto solo dal rumore dell'autobus che si fermò proprio davanti a noi.

Quando ti fermasti davanti al guidatore, che aspettava i tuoi soldi, ti girasti verso di me «Non mi hai detto che avrei dovuto pagare.» lo guardai un attimo, aveva lo sguardo arrabbiato.

Sospirai e finii col pagare per entrambi.

Ci sedemmo a circa metà autobus, lui dalla parte del finestrino, io accanto a lui.

Era arrabbiato con me. Potevo capirlo dal suo modo di fare. Non mi guardava o toccava nemmeno per sbaglio. Ma quella volta lasciai perdere. Gli passerà, avevo pensato.

Non avrei mai immaginato che mi avresti ignorato per tutto il resto della giornata.

Ero letteralmente furioso per il tuo comportamento, mentre tu eri furioso con me per chissà quale motivo e con il tempo, che anche in quella foresta sembrava voler splendere.

Dopo ore a camminare nel più totale silenzio, ci sedemmo su una delle tante panchine in quel sentiero illuminato dalla luce arancione del tramonto, che rifletteva per terra l'ombra degli alberi grandi e sottili. Non sopportavo più il tuo silenzio.

«Posso sapere perché ti stai comportando in questo modo?» ti girasti di scatto, evidentemente sorpreso dalla mia voce, che aveva interrotto il silenzio tra noi, e in quella foresta.

Mi guardasti stranito, ed io con gli occhi t'incitai a parlarmi. Da quando ci eravamo visti quel giorno, non mi avevi sorriso nemmeno una volta.

Ma continuasti a non parlare, guardandomi solamente negli occhi. Così provai ad indovinare «Sei arrabbiato perché ho pagato io? O perché ho detto qualcosa di sbagliato? Dimmelo!» era la prima volta che insistevo per sapere qualcosa. La mia natura da menefreghista mi aveva sempre suggerito di fregarmene, appunto. Ma con te non potevo, non ci riuscivo.

«Non piove nemmeno qui!» dicesti pochi minuti dopo. Era la scusa più idiota che avessi mai sentito.

«E sai arrabbiato con me per questo? Sai che non posso comandare il tempo e far piovere con uno schiocco di dita, vero?» schioccai le mie dita proprio a poca distanza dal tuo viso.

Ti vidi abbassare la testa imbarazzato, e mi sentii in colpa. Mi facevi impazzire con i tuoi comportamenti. Eri un'incognita. E a me dava fastidio con capire.

«Certo che lo so, solo che..»

Quasi come se il destino volesse prendermi in giro, dopo poco più di un minuto dal mio schiocco di dita, le prime gocce di pioggia iniziarono a scendere, prima lentamente, poi sempre più violente, sulla terra e sui nostri corpi.

Il sentiero pian piano iniziò a bagnarsi completamente. Onestamente odiavo quel posto. Odiavo che quando piovesse la terra si appiccicasse alle mie scarpe.

Ma tu iniziasti a sorridere genuinamente, ti alzasti puntando le mani a palmo aperto verso il cielo, quasi come se volessi raccogliere la pioggia.

Eri davvero arrabbiato per la pioggia?, mi ritrovai a pensare.

Iniziasti a correre, mentre la tua risata iniziò a riempire il silenzio. Giocavi con gli scoiattoli, cercando di fargli scendere dall'albero, sul quale loro si erano riparati. Poi venisti verso di me, e mi dicesti «Facciamo una corsa. Chi arriva per ultimo al chiosco, paga la cena all'altro.» ed infondo, cosa c'era di male? Ero già zuppo, al chiosco ci saremmo dovuti andare lo stesso, e se le persone ci vedessero correre penserebbero che corriamo per ripararci dalla pioggia. Quindi annuii.

Lo vidi scattare divertito, tutto l'imbarazzo che aveva regnato nelle ore precedenti era come scomparso.

Avevo lo zaino in spalla, ma non fu questo l'ostacolo che m'impedì di raggiungerti.

Respiravo l'odore del muschio e della natura. Era piacevole, mi faceva sentire sereno.

«Yah, non vale!» dicesti con il fiatone, quando non avevamo percorso nemmeno mezzo sentiero, prima di arrivare al chiosco.

«Mi sa che qualcuno qui non è abituato? Cos'è Taehyung, non ti hanno mai insegnato a correre?» dissi quelle parole scherzando, mentre saltellavo sul posto aspettando che tu mi raggiungessi stanco.

Non sapevo che le mie parole fossero veritiere, solo dopo lo venni a sapere.

«Forse è meglio camminare.» dicesti fermandoti, ed io ti ascoltai, camminando poi vicino a te.

Il nostro respiro era affannoso, a causa della corsa, ma comunque continuammo a camminare verso il chiosco. Il nostro autobus sarebbe arrivato entro mezz'ora.

«E' stato divertente. Anche se mi sento completamente bagnato dalla testa ai piedi.» annuii sorridendoti. Ero felice che in un qualche modo ti fosse piaciuto. Anche se prima stavo per dare inizio ad una discussione.

«Eri davvero arrabbiato con la pioggia?» ti chiesi divertito, ma tu non rispondesti, ed io ti lasciai stare ancora una volta.

Arrivammo al chiosco prima di quanto sperassi. L'autobus non era ancora arrivato, e su una panchina erano seduti il gruppo di ragazzi di questa mattina.

Decidesti di rimanere sotto la pioggia, con la testa bassa, e quando la rialzasti i tuoi occhi erano lucidi. Non ho mai saputo se stessi piangendo o meno. E se lo stavi facendo, la pioggia copriva le lacrime sul tuo viso.

«Non innamorarti di me.» mi dicesti, ed io rimasti alquanto sorpreso da quella tua affermazione.

«Cosa ti fa credere che potrei innamorarmi di te?» volevo davvero sembrare freddo e distaccato, ma in qualche modo mi avevi già preso, senza rendertene conto, senza fare niente di particolare. Non era colpa tua, era solo colpa mia.

«Niente. Vorrei solo assicurarmi che tu non lo faccia. Non voglio farti soffrire inutilmente.» vedesti l'autobus in lontananza allontanandoti da me, e salendo per primo sull'autobus.

Mi avevi lasciato con un nodo al cuore, e tanta confusione in testa.

Volevo chiederti spiegazioni, ma sapevo già che non avresti mai soddisfatto la mia voglia di sapere. Perché io volevo sapere, sapere tutto di te, della tua vita, del tuo carattere, del tuo passato, dei tuoi incubi, delle cose che ti rendevano felici.

Era un pensiero strano visto che non ti conoscevo bene. Anzi, non ti conoscevo proprio. Ed io volevo conoscerti. Mi avevi incuriosito con la tua aria stralunata, i tuoi modi di fare, e il tuo sorriso che si dipingeva sul tuo volto per le minime cose.

E mi facevi uno strano effetto al petto che io volevo continuare a sentire ancora, magari fino a quando non avrei trovato qualcos'altro di più bello, di più emozionante, che mi faccia perdere la testa; o magari avresti continuato a farmi questo effetto per tutta la vita.

Ti vidi agitare la mano, per richiamarmi. Così ti raggiunsi salendo sull'autobus, stessi posti, ma emozioni diverse.

«Sono arrivato per primo, quindi mi offrirai la cena!» dicesti sedendoti.

Ti guardai male, avevo pagato per te i biglietti dell'autobus, e pretendevi anche che ti pagassi la cena. Il mio sguardo contrariato ed infastidito ti fecero fare una risata, ma dentro di me non ero davvero infastidito. Eri tu, ed in un certo senso andava bene.

«Non hai nemmeno finito di correre, perché dovrei farlo io?»

«Non abbiamo finito di correre.- mi correggesti –E comunque la scommessa non l'avevamo annullata, e dato che sono arrivato per primo sull'autobus, pagherai la mia cena!» era una scusa bella e buona.

«Aishringraziami per non avere problemi economici!» avevo rinunciato. In fondo cosa sarebbe stato il costo di una cena, se il tempo che passavo lo passavo con te?

«Mancano solo cinque giorni. Stai con me per altri cinque giorni.» lo dicesti sussurrando, ed io non me la sentii di chiederti il motivo. Ero curioso, ma avevo paura. Ti saresti allontanato da me, prima ancora che potessi prendere coscienza dei sentimenti che già provavo per te.

«Ma adesso sono davvero stanco, e devo andare a casa, non posso fare troppo tardi.» dicesti guardando nel vuoto.

«Cos'hai il coprifuoco?» davvero la mia intenzione era quella di fare una battuta, ma avrei preferito cucirmi la bocca dopo la tua espressione triste, come se ricordassi qualcosa di brutto, e poi la tua risposta.

«Più o meno..» che significava tutto, ma non significava niente.

   
 
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