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Autore: Xion92    10/04/2018    2 recensioni
Introduzione breve: se immaginate un sequel di TMM pubblicato su Shonen Jump invece che su Nakayoshi, probabilmente verrebbe fuori qualcosa di simile.
Introduzione lunga: Un'ipotetica seconda serie, in cui il tema serio di fondo è l'integralismo religioso e il nemico principale è un alieno, Flan, intenzionato a portare a termine la missione fallita nella serie precedente. E' suddivisa in tre parti:
I. In questa parte c'è il "lancio" della trama, del nemico principale, l'iniziale e provvisoria sconfitta di gran parte dei personaggi, l'approfondimento della relazione tra Ichigo e Masaya, fino alla nascita della loro figlia;
II. Questa parte serve allo sviluppo e all'approfondimento del personaggio della figlia di Ichigo, Angel, la sua crescita fisica e in parte psicologica, la sua relazione con i suoi nonni e col figlio di Flan, i suoi primi combattimenti in singolo;
III. Il "cuore" della storia. Torna il cast canon e i temi tornano ad essere quelli tipici di TMM mescolati a quelli di uno shonen di formazione: spirito di squadra, onore, crescita psicologica, combattimenti contro vari boss, potenziamenti.
Coppie presenti: Ichigo/Masaya, Retasu/Ryou.
Nota: rating modificato da giallo a arancione principalmente a causa del capitolo 78, molto crudo e violento.
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti! Stavolta ci ho messo molto più tempo rispetto alle volte scorse, un mese e mezzo più o meno. Ho avuto un po' di difficoltà a scrivere ultimamente perché sono stata poco a casa, per un motivo o per l'altro. Se ancora non avete visto gli ultimi disegni che ho fatto, li trovate su facebook. Ah, tra l'altro, non se ricordate a quella what if Angel/Waffle che vi avevo accennato molto tempo fa... ho iniziato a pubblicarla, anche quella la trovate su fb nelle note. Buona lettura, e scusate il ritardo!

 

Capitolo 85 – L’obiettivo sfuma


Era ancora molto presto. Le sei e mezzo, e fuori, se non fosse stato per le luci della città costantemente accese, sarebbe stato buio pesto. Non era ancora il momento di preparare la colazione. Eppure Keiichiro si alzò, si vestì e scese al piano di sotto senza aspettare. Il giorno prima erano successe troppe cose, quella notte aveva fatto fatica a dormire e rimanere nel letto a oltranza avrebbe solo peggiorato la situazione. Iniziare la quotidiana routine almeno lo avrebbe distratto un po’.
Si recò in cucina, accese le luci e iniziò a preparare il caffè, che avrebbe poi scaldato fra una mezz’ora, quando i suoi due coinquilini e amici fossero scesi. O meglio, quando Ryou fosse sceso. Keiichiro non riusciva a prevedere come si sarebbe comportata Angel, era una persona molto strana per chiunque avesse una percezione del prossimo e dell’ambiente intorno vagamente normale. Lui conosceva bene Ryou, e anche solo dallo sguardo, dai movimenti che faceva e dall’espressione che aveva era in grado di prevedere come avrebbe agito in seguito. Ma lei… lei era troppo imprevedibile per per via degli schemi mentali che aveva. Se fosse stata una ragazza col loro stesso modo di ragionare, Keiichiro avrebbe messo una mano sul fuoco che sarebbe stata a letto per lo meno tutta la mattina, a piangere, a rimuginare, a non aver voglia di far niente. Quando si subisce uno shock simile, è questa la reazione più probabile in un soggetto normale. Ma per Angel, Keiichiro non poteva esserne sicuro. Ad ogni modo, in assenza di ulteriori ipotesi, decise di accettare questa come la più probabile: non contava di rivedere Angel tanto presto quella giornata. Sarebbe stato difficile, per lei, riprendere la vita che aveva sempre avuto prima del combattimento con Waffle. Probabilmente lui, Ryou e gli altri compagni avrebbero dovuto lavorarci su.
Non aveva nemmeno concluso il suo pensiero che udì un rumore di piedi nudi che scendevano giù per le scale. Poteva essere Ryou, ma quando mai si alzava così presto? No, era da escludere: quello non era il passo di Ryou. Ma allora…
Vide Angel apparire sulla soglia della cucina, in pigiama e coi capelli arruffati. Questo entrò in una tale contraddizione con le ipotesi e le elaborazioni che si era costruito nella mente che gli risultò quasi difficile parlare.
“Angel-san… cosa…?” iniziò.
“Ciao, Keiichiro. Sono scesa prima perché mi è venuta fame”, rispose Angel, nel solito tono in cui usava dargli il buongiorno.
“Fame? Ma certo”, si riprese subito lui, fingendo indifferenza. “Vuoi il latte?”
“Col caffè e i tuoi biscotti”, rispose Angel, prendendo il cartone del latte dal frigo e porgendoglielo.
Mentre Keiichiro le dava le spalle mettendo a scaldare il latte col caffè in un pentolino, non si raccapezzava. Ma era presto ancora per trarre delle conclusioni. Decise di indagare meglio.
“Sei in piedi perché stanotte non hai dormito? È comprensibile…”
“No, no, ho dormito benissimo, ma l’appetito mi ha svegliato, allora invece di star sdraiata sono scesa. Non mi aspettavo di trovarti qui”, rispose con tranquillità la ragazza.
I pensieri di Keiichiro si intrecciarono ancora di più. Angel aveva saputo della morte di sua nonna solo la sera prima: com’era possibile che fosse già così distesa, come se non fosse successo niente? Ed in più era appena uscita dall’ospedale.
“Vuoi tornare su a dormire? Ti porto la colazione a letto, se vuoi. Non ti devi sforzare”, le propose con gentilezza.
“Ma no, non ho motivo di tornare a dormire. Anzi, visto che è presto e c’è tempo, dopo mangiato magari faccio un po’ di esercizio. Sono stata immobile per troppo tempo.”
“Presto? Per cosa?” chiese Keiichiro, sempre più incredulo, sistemando la tazza di caffellatte e i biscotti preparati da lui su un vassoio.
“Per la scuola”, rispose Angel, con la massima naturalezza.
Keiichiro si girò a guardarla. “Ma sei uscita dall’ospedale solo ieri, e poi è successo… beh, lo sai… sei sicura di voler tornare a scuola? Non vuoi aspettare qualche giorno e star tranquilla a casa? Ti firmo la giustificazione, non c’è problema.”
Angel scosse la testa. “No, voglio andare a scuola. Perché dovrei stare a casa? Poi oggi pomeriggio si riprende a lavorare.”
Mentre portava verso il tavolo il vassoio con la colazione, dove la ragazza era già seduta, Keiichiro decise di approfittare della sua vicinanza fisica a lei per la prova che gli avrebbe confermato tutto. Si chinò sul ripiano appoggiandole il vassoio di fronte e, quando ebbe la testa all’altezza della sua, in uno spazio di poche frazioni di secondo catturò il suo sguardo fissandola negli occhi. C’erano state molte, troppe volte, in cui Ryou aveva tentato di nascondere la sua sofferenza per la perdita dei genitori comportandosi normalmente, come se non fosse successo nulla. Proprio come stava facendo Angel ora. Solo che il suo sguardo rivelava come si sentiva davvero. La tristezza, il rimpianto, la nostalgia e la disperazione silenziosi, Keiichiro era abituato a coglierli in uno sguardo come niente. Angel, per quel poco tempo, lo fissò di rimando senza mostrare diffidenza e, quando Keiichiro si fu distolto per tornare verso i fornelli, si rese conto con sgomento che quegli occhi nocciola non nascondevano nulla. Angel non cercava di celare la sua sofferenza: lei non aveva sofferenza. Flan le aveva ucciso la nonna e lei non soffriva.
“Sei stato gentile, Keiichiro, come sempre. Vado su a mettermi la divisa”, sentì che diceva Angel dietro di luì, poi udì i suoi passi allontanarsi.
Si girò, si appoggiò al ripiano della cucina e si passò la mano tra la frangia. Era abituato a vedere stranezze da parte della sua giovane coinquilina – anzi, a dire il vero, era abituato a vedere stranezze da parte di tutti, in quel bizzarro gruppo di ragazzi –, ma scorgere la sua indifferenza per la morte dell’unica parente che le era rimasta… non voleva e non poteva credere a un tale livello di insensibilità, non da quella ragazza con la sua morale e i suoi principi così elevati.
Teneva la testa china, e non si accorse subito che anche Ryou era entrato nella cucina.
“Keiichiro, che hai?” lo sentì chiedere.
“Ryou! No, niente, è che Angel… hai visto?”
Il più giovane gettò un’occhiata su per le scale.
“Si comporta come se non fosse successo niente, questo intendi?” chiese.
“Non è questo. Non è che semplicemente si comporta. Lei non soffre per quello che è successo a sua nonna. Non sta male”, tentò di spiegarsi il più grande.
Ryou rimase in un lungo silenzio, con lo sguardo basso, a quelle parole.
“Un po’ la invidio”, fu il suo unico commento.

Tornata in camera sua, Angel fece subito per aprire l’armadio e tirarne fuori la sua divisa invernale, che erano ormai tre settimane che non veniva indossata e cominciava ad avere su delle tracce di polvere.
“Ma prima di vestirmi devo fare una cosa”, disse a voce alta. A Keiichiro aveva detto che avrebbe fatto un po’ di esercizio perché era stata troppo tempo immobile. Ma il vero motivo non era quello, e non avrebbe fatto degli esercizi generici.
Si stese supina sul pavimento, a gambe piegate, si mise le mani dietro la testa e cercò di tirarsi su varie volte. All’inizio fece un po’ fatica, non riuscendo ad arrivare con la testa fino alle ginocchia o sollevando i piedi mentre si tirava su, ma dopo alcuni tentativi il suo corpo vigoroso recuperò prontamente, e la ragazza riuscì a fare trenta addominali di fila prima di sentire il respiro iniziare ad appesantirsi. Nel frattempo prestò la massima attenzione a una qualunque manifestazione di dolore che poteva arrivarle dalla pancia. Nulla. Rimase ferma per un minuto e, invece di fare un altro ciclo di trenta addominali, ne fece uno da quaranta, volutamente sforzandosi per vedere se la fatica avrebbe fatto venire fuori quel problema che si era manifestato il giorno prima. Quando ebbe finito, rimase distesa a terra un po’ affaticata, ma senza la minima traccia di dolore. Allora si alzò in piedi sollevata e rinfrancata nell’animo e corse in bagno a lavarsi prima di mettersi la divisa.

Una volta lavata, vestita e pettinata alla bell’e meglio, la ragazza prese la cartella e scese le scale di corsa, ma, arrivata in fondo, si scontrò con Ryou che era uscito dalla cucina proprio in quel momento.
“Ma devi sempre investire il prossimo, tu?” le chiese indispettito. “Come stai, stamattina?”
“Bene, boss. Ancora è presto, ma sono già pronta. Vado a scuola, ci vediamo a pranzo.”
“Aspetta, Aoyama e Ichigo non lo sanno. Non ti passeranno a prendere.”
“Non importa, vado da sola.”
“Cosa vai da sola? Lo sai che non lo devi fare. Vuoi beccarti un’altra cicatrice in faccia?”, le chiese innervosito Ryou.
Angel rimase in silenzio per un po’. “Hai ragione, boss. Waffle non c’è più ora, ma Flan potrebbe… anche se non sappiamo quando.”
Ryou annuì. “Brava, hai capito.” Prese il suo cellulare dalla tasca e cercò il numero di Ichigo. “Telefonale, va’. Verranno a prenderti volentieri”, le disse porgendoglielo.
Angel attese col cellulare all’orecchio e, quando sentì la voce scocciata di Ichigo che pensava ci fosse Ryou all’altro capo, gridò:
“leader, buongiorno!”
Ryou si strinse la testa nelle spalle. “Non c’è bisogno di urlare, ti sente uguale, ormai lo sai.”
“Oh, sì sì”, annuì a voce bassa Angel. “Leader, buongiorno”, disse con voce normale.
“Angel?”, sentì la voce meravigliata ed incerta di Ichigo. “Buongiorno a te. Come stai oggi?”
“Io bene. Volevo chiederti di passarmi a prendere insieme a Masaya. Non posso fare la strada da sola.”
“La strada? Che strada?” chiese la voce confusa di Ichigo.
“Per la scuola.”
“La scuola?” ripeté l’altra con voce preoccupata. “Ma Angel, sei sicura di esserti rimessa del tutto? Guarda che a scuola puoi venire anche fra una settimana. Con quello che hai passato ieri… non vuoi stare tranquilla? Non ti fa male la testa? Hai abbastanza energie per fare la strada a piedi? Riesci a muoverti senza che ti faccia male niente? Riuscirai a concentrarti per seguire le lezioni?”
Angel accolse questa raffica di domande angosciate in silenzio, ma con lo sguardo attonito. L’esperienza non le era del tutto nuova: quando era più piccola e chiedeva alla nonna di allontanarsi dalla tenda per giocare, anche lei spesso le sparava questo tipo di domande a ritmo serrato, e con lo stesso identico tono di voce che Ichigo stava usando ora.
“Sto benissimo, leader. Voglio riprendere la mia vita normale, e vorrei tornare a scuola oggi. Posso?”
Seguirono alcuni secondi di silenzio. “Va bene. Aspettaci davanti al Caffè, come sempre. Saremo lì alla solita ora”, disse infine Ichigo, ed Angel sentì che cercava di moderare la preoccupazione nella voce e di suonare allegra.

Quando Masaya e Ichigo arrivarono, Angel era già pronta ad aspettarli. I due compagni la guardarono perplessi, come se si aspettassero da lei un certo modo di comportarsi.
“Allora, che pensate mi diranno i compagni di classe? E i professori? Tanaka-sensei sarà contento di rivedermi”, iniziò a dire Angel allegra.
Masaya e Ichigo si guardarono. “Ma Angel, non sei… non sei triste per quello che è successo ieri?”, si azzardò a chiedere Ichigo, senza toccare l’argomento direttamente.
Angel la guardò per un po’. “Non preoccuparti, leader, tutto quello che Flan ha fatto gli ritornerà indietro”, disse convinta.
“Ma non… non è quello che ti ho chiesto”, proseguì incerta l’altra. “Non mi sembri molto diversa dal solito, ecco.”
“Ho capito cosa intendi. Ma vale la pena essere tristi per le cose che si possono aggiustare. Quello che è successo ieri invece non si può cambiare, i morti non tornano in vita”, dichiarò Angel. “Quindi no, non sono triste”, concluse con sincerità.
Ichigo rimase a guardarla sbalordita, fece per aggiungere qualcosa, ma Masaya la toccò sulla spalla facendole no con la testa.
“Bene, allora… che materie abbiamo oggi?”, chiese di nuovo allegra Angel, come se quella parentesi non ci fosse stata.
A scuola, i compagni accolsero con sorpresa e meraviglia il suo ritorno improvviso: Ichigo non gli aveva infatti anticipato che sarebbe tornata, anche perché nemmeno lei si aspettava che avrebbe ripreso le lezioni così presto.
“Ragazzi, vi sono mancata?”, chiese Angel allegra appena entrata in classe, quando ancora mancavano alcuni minuti all’inizio della prima ora.
Alcuni dei compagni, appena la videro, si allontanarono diffidenti, mentre altri, tra cui Moe e Miwa, si avvicinarono stupiti e con un gran sorriso.
“Angel-san!”, esclamarono. “Grazie al cielo sei salva! Ichigo-san ci ha detto! Dev’essere stato davvero terribile incontrare un malvivente per la strada. Ma cosa ti ha fatto, di preciso?”
Angel si girò a guardare perplessa la sua leader, che le rivolse uno sguardo nervoso che le intimava di reggerle il gioco.
“Ah, sì sì!” disse allora subito Angel con tono grave. “Sapeste! Stavo passeggiando per i fatti miei, quando è saltato fuori questo tizio da dietro un angolo che mi ha ordinato di dargli il portafogli e il cellulare. Quando gli ho detto che non ce li avevo non mi ha creduto e mi ha tirato delle coltellate. Per questo…”
Miwa a quel punto si coprì la bocca con la mano e le indicò la fronte.
“Te l’ha fatta lui, vero? Che essere immondo!”, e tutti quanti le scrutarono la cicatrice parzialmente coperta dalla frangia, e anche loro fecero uscire esclamazioni di solidarietà e di dispiacere per quel brutto sfregio.
Angel, a disagio per quella sfilza di menzogne, guardò di nuovo Ichigo, che le annuì tirando un sospiro di sollievo.

Era ormai prossimo l’inizio del turno, e il resto della squadra era arrivato al Caffè.
“Oggi non sarò qui a darvi una mano”, disse Ryou quando furono tutti riuniti. “Ho da fare nello studio. Ora che avete tutte i vostri potenziamenti, ho bisogno di fare un quadro generale per vedere che poteri possono sprigionare una volta combinati. Li avete più o meno tutti sperimentati in battaglia, ma forse c’è qualcos’altro che potete fare che ancora non sappiamo. Credo che mi ci vorrà qualche giorno. Vi farò sapere.”
“Ti impegni così tanto per noi, Ryou-kun”, commentò Retasu, ammirata.
“Non dirlo. È il mio dovere”, rispose lui, socchiudendo gli occhi. Poi li riaprì e guardò Angel. “Va bene, tu puoi non lavorare, finché non te la sentirai.”
“Ma io me la sento, boss”, protestò Angel. “Voglio lavorare, subito come prima.”
Ryou allora tirò un gran respiro e alzò gli occhi verso il soffitto. “Va bene, ascolta. Non posso lasciarti lavorare in mezzo ai clienti messa come sei.”
“Come sarei messa?”, chiese Angel, stupita.
“Il cameriere deve avere un certo decoro, soprattutto la clientela di questo locale è composta da ragazze giovani e… facilmente impressionabili, diciamo”, rispose lui facendo un giro di parole. “Quella cicatrice che hai ti si vede benissimo. Non posso mandarti ai tavoli in quel modo. Da ora in poi, se proprio vuoi lavorare, aiuterai Keiichiro in cucina. Niente di personale, sia chiaro, sono esigenze di marketing”, precisò alla fine come per scusarsi.
Angel ci pensò su, poi annuì. “Se per lavorare dovrò fare questo, va bene.”
“Mi raccomando, Angel”, si premurò Minto. “Non farti mai crescere quella frangia, già così ti si vede benissimo.”
“Ma Angel-san”, obiettò con discrezione Retasu. “Perché… vuoi lavorare a tutti i costi? Guarda che nessuno ti giudica se non vorrai farlo per un po’. Anzi, ti capiremmo benissimo.”
“Ma veramente… non vedo proprio il motivo per non lavorare”, rispose Angel a disagio. “Non sto male.”
I suoi compagni si guardarono l’un l’altro, perplessi e interdetti. Fu Bu-ling a rompere il silenzio.
“Bu-ling ti capisce, Angel-neechan”, disse avvicinandosi e abbracciandola. “Anche Bu-ling dopo che… beh, lo sai… ha ripreso a lavorare subito. Così evitava di pensarci.”
Minto, Retasu e Ichigo annuirono. “Beh, se è per evitare di pensarci hai ragione, fai bene”, dissero con comprensione.
“In realtà non è per…” provò a ribattere Angel, ma infine lasciò perdere.

Quel pomeriggio, mentre i clienti stavano iniziando ad arrivare e lei era in cucina a lucidare i bicchieri e i vassoi, Angel non si sentiva del tutto convinta di quello che stava accadendo. Lei si stava sentendo in uno stato di equilibrio interiore, di relativa tranquillità, eppure molti indizi intorno le stavano suggerendo che il suo modo di comportarsi fosse sbagliato. Sembrava che i suoi amici non fossero affatto contenti del modo in cui si trovava: a quanto aveva capito, lei doveva sentirsi disperata per quello che era successo alla nonna. Ma non solo questo, che poteva essere anche comprensibile, ma la disperazione avrebbe dovuto portarla a uno stato di apatia, di non voler far niente, di voler prendersi una lunga pausa dalla vita quotidiana. Lei non si sentiva così, e questo faceva sì che gli altri la guardassero con un certo grado di anormalità. O meglio, tutti tranne Zakuro. Lei era stata l’unica a non battere ciglio, quando aveva rivelato come si sentiva. Ma era lei sola. Forse si stava comportando in modo sconveniente? Forse avrebbe dovuto davvero sforzarsi di disperarsi di più o mostrarsi chiusa agli altri, per esprimere il suo dolore? O al massimo avrebbe dovuto fare finta? E il non farlo lo avrebbe stigmatizzata?
“Zakuro-san”, sentì che diceva Keiichiro alla ragazza che in quel momento stava riportando un vassoio pieno di piattini sporchi. “Mi vai giù di sotto a prendere altra essenza di vaniglia, per favore?”
Appena Zakuro fu sparita dalla loro vista, e vedendo che oltre a loro due in cucina non c’era nessuno, Angel chiese rapidamente al suo tutore: “posso andare un attimo anch’io? Faccio subito, giuro.”
Keiichiro la guardò senza capire, ma le rispose: “vai pure, Angel-san.”
Stando attenta a non farsi vedere né dal boss né dai compagni, Angel scese di corsa per le scale.

‘Dove sarà l’essenza di vaniglia? Sapevo che è in una scatolina di cartone. Ce ne vorrà prima di trovarla…’ stava pensando Zakuro rimestando nel mucchio di scatoloni ammassati in cantina. Sul serio, quel posto aveva bisogno di una bella riordinata.
“Zakuro! Zakuro!”, sentì rimbombare per le scale una voce femminile che riconobbe immediatamente.
“Oh, sei tu”, rispose con voce tranquilla. “Hai fatto bene a venire. Non trovo l’aroma di vaniglia, forse è in fondo a quell’altro scatolone. Aiutami a cercarlo.”
Angel obbedì, ma Zakuro vide che non stava prestando davvero attenzione a quello che stava pescando. A un certo punto, le sembrò di vederla sollevare per la terza volta la stessa scatolina di zuccherini colorati.
“Senti, Zakuro… pensi che faccia male?” sentì Angel borbottare.
“A fare cosa?”, le chiese la più grande continuando a cercare. “Ecco, qui c’è l’essenza di arancia. Quella di vaniglia dovrebbe essere più sotto.” Anche se Angel non aveva ancora ripreso a parlare, essendo a un metro di distanza da lei percepiva chiaramente il suo disagio.
“Insomma… intendo che faccio male a stare come sto. Gli altri non sembrano felici quando gli dico che sto bene. Forse non è così che si deve fare. Dovrei farmi vedere triste, che piango e sono giù. Però dovrei fingere e non voglio. Ma il problema è più a fondo: perché non mi sento depressa? Perché non affronto questo lutto come gli altri pensano che sia giusto? Ho un modo di pensare sbagliato?” le chiese Angel, con molte esitazioni nella voce e inceppando alla fine di ogni frase. Zakuro si sentì dentro uno scatto di tenerezza. Era evidente che quel problema di comunicazione di cui Angel era affetta non sarebbe riuscita a risolverlo tanto presto. Tuttavia, anche in quel guazzabuglio di frasi, Zakuro riuscì a capire il succo del suo discorso, cosa non affatto scontata se al suo posto ci fosse stata un’altra persona con meno perspicacia.
In tutto quel tempo non aveva smesso di frugare nel suo scatolone, ed infine tirò fuori un pacchettino con dei flaconi di plastica.
“Trovato.” Poi si rivolse alla sua compagna. “Ti dirò una cosa, Angel… ognuno di noi ha il suo modo di affrontare una tragedia.  Forse tu hai trovato il modo di annullare la tristezza derivante dalla morte di tua nonna promettendo vendetta contro Flan. E questo è sicuramente più produttivo che stare a piangersi addosso per quello che si è potuto fare e non si è fatto. Dimmi, se tu non potessi fare niente per vendicarti contro Flan, saresti tranquilla?”
Angel abbassò la testa. “Suppongo di no…”
“Vedi?”, chiese Zakuro appoggiandole una mano sul capo. “Non è vero che non sei triste, hai solo incanalato la tua tristezza in un altro sentimento che ti permette di agire. E questo è molto nobile. Non sono tante le persone in grado di trasformare una possibile fonte di tristezza in qualcosa che le rende attive. Ci sono anche persone che si lasciano prendere dalla depressione quando un loro caro muore. Ci sono persone che, per dimenticare e per incomprensioni, si allontanano dal resto della famiglia. E comunque ricordati sempre, è meglio avere un parente morto che un parente da cui ti sei allontanato.”
Le ultime frasi non riuscì a pronunciarle senza sentirsi la voce tremare. Smise di guardare Angel in faccia e abbassò lo sguardo verso il pavimento. Sua madre erano ormai tre anni che la aspettava in America, ma lei non era ancora pronta a perdonarla, e non sarebbe riuscita a rivederla. Perché allora non le aveva creduto? Era solo colpa sua se suo padre era morto, di questo era certa.
“Mi dici queste cose perché le hai vissute in prima persona?” chiese Angel con tono comprensivo.
Senza rispondere alla domanda, Zakuro allungò all’altra ragazza il flacone che ancora stringeva in mano. “Porta questo a Keiichiro, per favore. Adesso voglio stare un po’ da sola. Torno su fra poco”, disse con la voce traballante.
Angel, dopo aver chinato la testa in segno di rispetto, afferrò in tutta fretta la scatolina e si precipitò su per le scale, mentre Zakuro rimase sola, insieme ai suoi ricordi. Ci mise un po’ prima di riuscire a metterli da parte e risalire al piano di sopra per continuare il suo lavoro; non sapeva se sarebbe riuscita tanto presto a far pace col suo passato, né se in futuro sarebbe riuscita a ripensarci con più serenità. Una cosa però parzialmente la consolava: il sapere che la sua giovane compagna, grazie a lei e alle sue parole, era riuscita a ritrovare la sua, di serenità, ed ad accettare il suo rapporto quasi distaccato col lutto che aveva avuto. Così come lei, a distanza di anni, aveva accettato di convivere col proprio cercando di allontanarlo dai suoi ricordi e di dimenticare, senza sapere se ci sarebbe mai riuscita.

Le cose proseguirono più o meno tranquille fino al giorno dopo: dopo pranzo, quando i ragazzi erano tutti riuniti ma ancora il Caffè non era aperto, Masha apparve fra di loro agitato, sbattendo frenetico le alucce. “Un chimero! Un chimero!”
“Molto bene!” esclamò Ryou. “Tokyo Mew Mew, intervenite!”, comandò.
Ichigo, a quelle parole, annuì prontamente, ma, dopo un attimo di esitazione, si rivolse ad Angel. “Per questa volta rimani qui. Sei uscita dall’ospedale da poco, forse è meglio che ti riposi un altro po’.”
“Ma se sto benissimo!”, protestò Angel. Si rivolse a Ryou, guardandolo implorante. “Boss, per favore, lascia andare anche me! Sono guarita, non voglio più stare a guardare, voglio combattere!”
I compagni avevano fretta di partire, e Ryou, messo alle strette, sembrava in difficoltà. Era evidente che era combattuto tra la tentazione di tenere Angel al sicuro dopo la tremenda battaglia che aveva sostenuto e l’assecondare il suo spirito guerriero e il suo desiderio di sentirsi utile. Si consultò brevemente con Retasu con lo sguardo prima di prendere una decisione.
“Vai anche tu.”
La ragazza tirò un respiro di sollievo. “Andiamo, ragazzi!”, spronò eccitata i suoi amici. Anche Ichigo lasciò andare un sospiro di frustrazione, ma Masaya seppe rinfrancarla: “stare insieme a noi è tutto quello che desidera. Bastasse così poco per rendere una persona felice!”
Masha fornì alla bell’e meglio le coordinate in cui era apparso il mostro.
“È un parco qua vicino”, disse Zakuro. “Non c’è bisogno che tagliamo per i tetti. Possiamo passare da terra.”
“Allora via!”, gridò Ichigo e, dopo che tutta la squadra si fu trasformata, partì al galoppo con i suoi compagni dietro di lei.
Mew Angel, man mano che la squadra proseguiva la sua corsa, aumentava sempre più la sua velocità, e fu quasi sul punto di superare Mew Ichigo, rimanendole però subito dietro. Quest’ultima, girandosi, la notò e le lesse il suo umore eccitato ed entusiasta nel viso, constatando che avrebbe potuto facilmente superarla e portarsi in testa al gruppo, se avesse voluto; evidentemente non lo faceva perché per la sua etica era impensabile mettersi davanti al proprio leader. Ma una domanda, come un lampo, le attraversò la mente: quanto effettivamente c’era di diverso, ora, fra loro due? La distinzione tra leader e subordinata era ancora valida, per loro, o era solo una questione formale? Per la prima volta, Mew Ichigo si rese conto che, se avesse rallentato un po’ la corsa permettendo a Mew Angel di superarla, non ci sarebbe stato nulla di diverso o sbagliato nella squadra. Intimamente era una cosa che non avrebbe mai accettato perché era sempre decisa a proteggerla a tutti i costi, ma mettendo da parte i sentimenti e facendo funzionare solo il pensiero, la sua decisione di alcuni mesi prima di rendere Angel una potenziale leader in caso di bisogno era, e rimaneva, perfettamente valida. Fu un pensiero che durò solo per un attimo, perché la loro priorità ora era trovare il chimero ed ucciderlo. Il parco dove li aveva indirizzati Masha non era lontano, e in pochi minuti si ritrovarono lì.
La porzione di parco che dava sulla strada era costituita da un vasto prato, ma poco più oltre iniziava un boschetto, di ridotte dimensioni, ma sufficientemente grande perché un chimero di stazza media ci si potesse nascondere.
“È lì, Masha?”, chiese Mew Ichigo al suo robottino.
“Sì! Sì!”, rispose lui.
“Va bene. Qualcuno dovrebbe andare avanti ad indagare. Se è davvero lì, ci potrebbe scoprire se andiamo tutti insieme”, ragionò Mew Ichigo.
“Andrà Bu-ling!”, si avanzò la più piccola.
“Bene”, annuì Mew Ichigo. “Noi ti aspettiamo qui.”
“Ma fa’ attenzione!”, si raccomandò Mew Lettuce.
I ragazzi rimasero a guardare Mew Pudding partire in una corsa silenziosa verso il gruppo d’alberi. Meno di un minuto dopo era già di ritorno, emozionata.
“Un serpente”, riportò, allargando le braccia per dare l’idea delle dimensioni. “Un grosso serpente tutto nero. Nel boschetto c’è una zona dove gli alberi non ci sono, e sta arrotolato nell’erba. Bu-ling crede che stia dormendo.”
“Benissimo, grazie”, le sorrise Mew Ichigo.
“Un serpente…”, commentò Mew Mint disgustata e rabbrividendo, ed anche Mew Lettuce sembrava poco convinta.
“Non facciamoci spaventare”, disse però Mew Ichigo. “I chimeri più potenti li abbiamo già uccisi tutti. Questo è un mostro comune come ne abbiamo affrontati molti. Basterà solo elaborare una buona strategia e lo elimineremo senza fatica. Hai detto che sta dormendo, Mew Pudding?”
“Oh, sì!”, annuì la piccola. “Molto, molto profondamente.”
“Allora andiamo”, comandò Mew Ichigo.
In silenzio, il gruppo di guerrieri iniziò a procedere verso il luogo dove doveva star riposando il mostro. Camminavano lenti, cercando di fare il meno rumore possibile quando appoggiavano i piedi: sapevano che anche una vibrazione del terreno di troppo avrebbe potuto svegliare il loro avversario, ed era necessaria la massima cautela. Quando, tra il fitto degli alberi, lo intravidero, si bloccarono all’istante: da arrotolato sembrava non tanto grande, ma calcolarono che, in tutta la sua lunghezza, doveva misurare almeno quindici metri.
“D’accordo, ascoltate”, bisbigliò Mew Ichigo ai suoi compagni, che fecero capannello attorno a lei. “Dobbiamo elaborare un strategia. Più semplice ed efficace possibile.”
“Sta dormendo”, fece notare Mew Zakuro. “Ed io ho un’arma a lunga gittata. Basterà immobilizzarlo, e poi potremo attaccare tutti insieme ed ucciderlo come niente. Lui è un chimero normale, e le nostre armi sono molto potenti, ormai.”
Mew Ichigo annuì. “È una buona idea. Però…” e lo sguardo le cadde su Mew Angel, che stava ascoltando in silenzio. Le venne in mente che era tanto tempo che non combatteva una lotta contro un chimero comune. Era stata per settimane ai margini, sentendosi inutile per il resto della squadra, e anche se questo pensiero in un certo senso gratificava Mew Ichigo, perché più Mew Angel stava da parte e meno rischiava, d’altra parte era consapevole che, per lei, sentirsi disutile per i suoi compagni era un grosso stigma. Così, presa da uno slancio di affetto verso di lei, decise di mettere da parte le proprie premure verso Angel e di farle un regalo: renderla la chiave di quella battaglia, la possibilità di mettersi di nuovo alla prova e di dimostrare le proprie capacità, l’avrebbero gratificata moltissimo, Ichigo ne era sicura.
“Angel, vieni qui”, la chiamò sottovoce facendole un cenno.
Subito l’altra le si avvicinò, con le orecchie ritte, attenta e pronta agli ordini.
“Ascolta, tu sei brava a fare gli agguati…” iniziò a spiegarle Mew Ichigo, e già a quelle prime parole notò con piacere che le pupille di Mew Angel si stavano dilatando. “…quindi, ecco quello che dovrai fare: cercherai di arrivare fino a dietro il mostro. Vedi laggiù? Dalla parte opposta in cui siamo ora. Noi rimarremo qui. Quando sarai arrivata dietro di lui, partiremo all’attacco. Ma il mostro di sicuro ci sentirà e cercherà di attaccarci. Quindi, un attimo dopo che saremo partiti noi, salterai anche tu e bloccherai quel serpente in modo che non possa colpirci. Così noialtri lo attaccheremo tutti insieme e vinceremo subito.”
“È un buon piano anche questo, Ichigo”, approvò il Cavaliere Blu.
“Ma perché complicarsi la vita in questo modo?”, domandò seccata Mew Mint. “Il piano di Zakuro-san è molto più svelto ed efficiente. Perché non facciamo come dice lei?”
“Lascia fare, Mew Mint”, la placò Mew Ichigo. “Ho i miei motivi per aver deciso quest’altro piano. Richiederà più tempo, ma andrà ugualmente bene. Ci sono altre obiezioni?”
Nessuno parlò, tranne Mew Pudding che mostrò il pugno col pollice alzato. “A Bu-ling il piano di Ichigo-neechan piace! Quel brutto serpentaccio alla fine della giornata sarà una borsetta!”
Mew Ichigo si rivolse a Mew Angel. “Hai ben chiaro tutto? Ti sto mettendo in mano una grande responsabilità.”
L’altra annuì decisa. “Tranquilla, leader. Non ti deluderò.”
“Allora vai”, la incitò Mew Ichigo.
Mew Angel si guardò attorno studiando l’ambiente per alcuni istanti, poi, dopo essersi accovacciata, iniziò a strisciare verso l’esterno del bosco.
Appena si fu allontanata a sufficienza, Mew Ichigo si voltò verso Mew Mint, che ancora appariva scettica. “Se avessimo utilizzato il piano di Mew Zakuro, Angel non avrebbe potuto fare niente e sarebbe rimasta a guardarci. Sai ormai quanta disparità di potere c’è, fra noi e lei. Con quest’altro mio piano, invece anche lei può avere la sua parte, e per lei non essere un peso per la squadra conta molto”, le sussurrò.
“Oh… capisco”, commentò Mew Mint, ammirata e rinfrancata. “Ma questa non è una semplice parte. Le hai affidato il ruolo chiave. Devi fidarti molto di lei.”
“Assolutamente”, rispose convinta Mew Ichigo, rimanendo a fissare intensamente Mew Angel che si stava allontanando. “Affidale una missione, e stai certa che la porterà a termine a costo di morire.”

Nella mente di Mew Angel, dal momento che aveva ricevuto quel compito nella missione del giorno, tutto si era ripulito, e ogni cosa, ogni pensiero, che poteva non riguardare il suo obiettivo si era dissipato. Soltanto un concetto ora le risuonava nel cervello: portare a termine ciò che le aveva ordinato la sua leader. E per fare ciò doveva mettere in moto tutte le abilità tipiche dei cacciatori che anche lei possedeva.
Ma come prima cosa doveva fare una breve analisi del suo nemico: aveva incontrato diversi serpenti nella sua vita, e alcune informazioni fondamentali su di loro le sapeva. Hanno palpebre trasparenti, quindi vedono anche quando dormono, e più che i rumori sentono le vibrazioni del terreno. Osservò con attenzione l’ambiente in cui si trovava. Il bosco non era molto grande, gli alberi che lo componevano non erano fitti come in una foresta spontanea, ma l’erba era alta, c’erano vari cespugli, e il sole invernale che filtrava dalle fronde creava giochi di luce ed ombre che facevano proprio al caso suo. Ci avrebbe messo un po’ di tempo: non poteva puntare dritta alla parte opposta della radura. Doveva fare un giro il più ampio possibile per minimizzare le possibilità di essere scoperta.
Da accovacciata, quasi si sdraiò a terra e, sentendo il ventre sfiorare le zolle e i ciuffi d’erba, iniziò lentamente a strisciare, tenendosi appena sollevata e mantenendo il contatto col terreno solo con le punte delle dita e dei piedi. Rimanendo allungata e parallela al suolo, abbassò le orecchie all’indietro sulla testa, mantenne la coda rigida e cominciò ad avanzare, con molta lentezza. Riusciva a muoversi nella boscaglia come solo un felino sa fare: quando, strisciando, doveva sollevare le mani e i piedi per procedere, staccava l’arto dal suolo nel silenzio più assoluto, senza emettere un minimo fruscìo, né una minima vibrazione. Andava avanti, con la coda dell’occhio sorvegliava il serpente che dormiva acciambellato, mentre ogni suo senso era proteso nella ricerca dei luoghi più idonei in cui muoversi. Nella sua elastica agilità e con la sua divisa scura, Mew Angel individuava ogni zona d’ombra, ogni punto in cui non ci fossero troppe foglie secche, ogni zona coperta dai cespugli. Con il suo sensibile udito, sentiva ogni lieve soffio di vento che le rivelava quale zona era più rischiosa in quanto vi erano troppe foglie cadute e rametti; con le sue pupille dalla vista acuta che guizzavano esaminando ogni zona a lei prossima, riusciva a scovare la strada più appropriata e che presentava un numero maggiore di nascondigli; dove la vista non era sufficiente arrivava infine col tatto, se allungando una mano stava per appoggiarla in una zona che avrebbe prodotto uno scricchiolio, riusciva a capire la natura del terreno ancora prima di scaricarci il suo peso, ritirando la mano all’ultimo; nel frattempo teneva la coda rigida e distesa, parallela al terreno, per darsi il maggior equilibrio e non rischiare di sbilanciarsi. In tutto questo la ragazza si sentiva il sangue ribollire, e l’ebbrezza data dalla caccia annebbiarle il cervello quasi come un oppiaceo, ma senza che questo la distogliesse dal suo obiettivo che, a onor del vero, man mano che procedeva si stava smantellando sempre di più del dovere verso la sua leader che lei si era prefissata all’inizio. Era un bene che l’ordine che le aveva dato Mew Ichigo coincidesse con l’esito della sua battuta di caccia, perché man mano che andava avanti Mew Angel sentiva l’istinto primordiale del predatore solitario e indipendente occuparle sempre di più la testa. Scovare la preda, avvicinarsi a lei, puntarla, saltarle addosso, affondarle le zanne nella carne sentendo la vita fluirle via col sangue. Per lei ora c’era solo questo, tutti i suoi sensi erano puntati verso quello scopo. Se poi, da un lato, la sua mente e il suo sentire erano proiettati interamente sull’esito della sua battuta di caccia, la sua percezione dell’ambiente circostante si andava sempre più affievolendo: o meglio, più che affievolirsi si andava fondendo con esso. Sentiva la sua energia vitale fluire dal suo corpo sull’erba, sui cespugli, sugli alberi che la circondavano, sentendo poi il vuoto rimasto venire colmato dall’energia di quell’erba, di quei cespugli, di quegli alberi che scorreva verso di lei. Non importava che quello fosse un misero parco all’interno di una metropoli e non una foresta selvaggia: la natura che la circondava era autentica, e lei stava perdendo la sua individualità di donna per diventare sempre di più un tutt’uno con essa. Com’era sempre stato durante tutta la sua vita, del resto: era stata concepita sull’erba, in un mezzo agli arbusti e ai cespugli, in un bosco era nata, nella natura selvaggia era cresciuta. Non era niente di nuovo, per lei, il trovarsi in perfetta sintonia con essa. Arrivò a giungere alla certezza che, se quel serpente avesse girato lo sguardo verso di lei, non sarebbe riuscito comunque a vederla, e non tanto perché si mimetizzava, ma perché era entrata in una tale comunione con quello che le era intorno da risultare indistinguibile dagli elementi naturali. Si sentiva tesa e robusta come quei rami, quei tronchi e quelle radici fra cui scivolava; si mescolava perfettamente con le macchie d’ombra che producevano le foglie sugli alberi; i suoi capelli, agitati appena dal vento, emettevano lo stesso fruscìo che passava tra l’erba. Quei flussi di energia la percorrevano, uscendo da lei, scorrendo tra gli arbusti, e tornando a lei.
Dopo un buon quarto d’ora di avanzamenti, arresti, cambi all’ultimo di traiettoria, immettendo aria nei polmoni il minimo necessario e solo dal naso per evitare ogni rumore, rendendosi conto con piacere che l’immobilità forzata e prolungata non aveva minato in modo apprezzabile la sua agilità, la giovane guerriera riuscì ad arrivare alla parte opposta del bosco, trovandosi di fronte alla sua squadra, con la radura e il serpente in mezzo che dormiva a separarli. Raccolse gli arti sotto il corpo, tenne le orecchie appiattite sulla testa e avvolse la coda attorno al busto. Si sentiva i muscoli, tutti, tesi sotto la pelle morbida come fili d’acciaio e, quando lo avesse deciso, sarebbero scattati come una molla in tutta la loro forza e potenza verso quella creatura davanti a lei. Presa dall’ebbrezza e dall’eccitazione, si passò la lingua sul labbro superiore e, facendo scorrere lo sguardo sulla sua preda e sull’ambiente intorno a lei, riuscì a individuare la squadra, che non si era mossa dal suo posto. Loro erano sempre lì, immobili, che aspettavano l’evolversi degli eventi. Anche se erano lontane, Mew Ichigo e Mew Angel incrociarono i loro sguardi, e con un semplice scambio visivo si comunicarono che erano pronte.
Era molto semplice: la squadra sarebbe partita all’attacco; il serpente, risvegliato dal rumore che avrebbero inevitabilmente prodotto, avrebbe subito puntato verso di loro; subito dopo Mew Angel sarebbe saltata dal suo posto, avrebbe raggiunto la testa del mostro e gli avrebbe conficcato l’arma nel collo in modo da distrarlo; a quel punto le Mew Mew avrebbero attaccato, finendolo con pochissima spesa di energie. Nulla di più semplice.
Un guizzo di un orecchio di Mew Angel diede il via al piano. Mew Ichigo sollevò un braccio. “Attacchiamo!”, gridò, e al suo comando tutta la squadra si slanciò in avanti. Come previsto, subito il serpente si risvegliò e si sollevò, col muso proteso verso il gruppo di guerrieri. Una frazione di secondo dopo, i potenti muscoli della combattente distesa a terra scattarono, in un salto che Mew Angel aveva calcolato essere di almeno sei metri di altezza, visto quanto quella bestia aveva sollevato il collo. Nel mentre che staccava i piedi da terra, la ragazza aveva già preso tutte le misure: quando fosse giunta quasi sul collo della bestia avrebbe evocato la sua Angel Whistle, si sarebbe aggrappata alle scaglie della sua testa e le avrebbe conficcato la punta dell’arma nella carne con tutta la forza che aveva. Questo era quello che doveva fare, e che avrebbe fatto a qualunque costo.
Ma, mentre era sospesa in aria a metà del balzo, accadde qualcosa che non aveva previsto, qualcosa di cui non aveva tenuto conto. Nel mezzo del suo salto, quando già era a quasi tre metri da terra, protesa e con le mani avanti, gli occhi fissi sulla preda e nient’altro che il suo obiettivo in testa, una coltellata le colpì l’addome, ben peggiore di quella che aveva avvertito due giorni prima quando aveva saltato dalla finestra. Si sentì spezzare il fiato, la vista e la percezione della realtà annebbiarsi, il corpo paralizzarsi e quel dolore che le schiantava il ventre propagarsi a ondate in ogni sua estremità. Mew Angel, presa dal male, interruppe involontariamente il salto a metà, cadendo di schianto sul prato sottostante, non riuscendo nemmeno ad atterrare in piedi, ma battendo una spalla e finendo riversa sul fianco.
A quell’esito imprevisto, il resto della squadra, che in sintonia con la compagna era ancora protesa nel suo attacco, cercò immediatamente di frenare per non finire dritta nelle fauci del mostro, che visto che il colpo di Mew Angel non era andato a buon fine non era stato distratto da lei e puntava gli altri ragazzi.
“Spostatevi! Spostatevi!”, gridò allarmata Mew Ichigo. I ragazzi riuscirono ad arrestarsi all’ultimo secondo e a schivare con uno scatto prima che le zanne del serpente li afferrassero.
Mew Angel, che l’aveva sentita, da terra aprì gli occhi annebbiati. Non vedeva bene, la luce le pulsava contro le pupille e le ondate di dolore che le salivano dalla pancia le impedivano di rendersi conto delle distanze e della profondità. Vide con difficoltà il serpente, frustrato per aver mancato l’attacco, girare la testa e scorgerla inerme tra l’erba. Subito cercò di rimettersi in piedi per allontanarsi da lui, ma si rese conto con terrore di trovarsi quasi in uno stato di paralisi. Il suo corpo e i suoi muscoli non rispondevano ai comandi.
Vedendo che la ragazza non si muoveva, il serpente fece schizzare il muso spalancato verso di lei, al che Mew Angel strizzò gli occhi, certa di ritrovarsi con le ossa frantumate e masticate di lì a due secondi.
“Attenta!”, riuscì a udire la voce di Mew Zakuro. Aprì gli occhi e vide che il Ribbon ZaCross Pure Up della più grande si era avvolto attorno al muso del mostro, chiudendogli la bocca. Il chimero, ora diventato furioso, si contorceva e si dimenava, sferrando codate a destra e a manca.
I ragazzi si erano sparpagliati sul campo, agitati perché si trovavano all’improvviso col piano andato in fumo e senza ordini su come procedere.
“Calmi! Stiamo calmi!”, gridò Mew Ichigo, cercando di recuperare un po’ d’ordine. “Mew Zakuro, continua a tenerlo fermo!” Si rivolse poi al Cavaliere Blu: “non possiamo attaccarlo indisturbati, se continua ad agitarsi così.”
Il guerriero captò quello che gli stava dicendo. “Penso io a questo!”, le gridò.
Si slanciò contro il rettile passandogli davanti, in modo che la testa immobilizzata non lo potesse colpire e, mentre era sospeso in aria, gli lanciò contro la sua spada, inchiodandogli la coda al suolo.
“Perfetto! Non può muoversi! Avanti!”, gridò Mew Ichigo.
Lei, Mew Mint e Mew Lettuce sferrarono in sincronia ognuna il proprio attacco contro il chimero, che si dissolse istantaneamente senza opporre ulteriori resistenze.
Mew Angel, a cui nel frattempo il dolore era diventato via via meno intenso, si rialzò in piedi con fatica gettando all’intorno uno sguardo desolato.

“Abbiamo vinto… anche stavolta!”, esclamò Mew Ichigo, calmando il fiatone.
“Sì, ma… non è andato come doveva andare”, interruppe il suo entusiasmo Mew Mint, irritata. “Vedi cosa succede a rendere le cose volutamente più complicate?”
Si diresse verso Angel, che stava ferma in piedi, senza convinzione e tenendo lo sguardo basso.
“Allora, ci vuoi spiegare cosa ti è successo? Ci hai fatto quasi ammazzare tutti”, la rimproverò.
A quelle parole, Mew Angel strinse appena gli occhi e si morse il labbro inferiore.
“Suvvia, non è la fine del mondo”, cercò di intervenire Mew Lettuce. “Non è il caso di arrabbiarsi.”
“Sì, comunque abbiamo vinto, no?”, aggiunse Mew Pudding.
“Con me liquidare il tutto in questo modo non funziona”, fu però irremovibile Mew Mint. “Dunque? Perché non rispondi? Devo pensare che l’hai fatto apposta, per aggiungere quel tocco di difficoltà alla battaglia che non guasta mai?”, incalzò rivolgendosi a Mew Angel.
Mew Ichigo guardò uno ad uno i suoi compagni. Anche loro avevano lo sguardo preoccupato e grave, e fissavano la colpevole in attesa di una spiegazione. Poi diede un’occhiata a Mew Angel: teneva gli occhi e le orecchie basse, con la colpa scritta su ogni parte del suo corpo, la coda ciondoloni, il viso abbattuto e lo sguardo spento. Non stava cercando in alcun modo di discolparsi o di ribattere alle accuse che Mew Mint le stava rivolgendo. Sebbene anche lei si sentisse un po’ irritata per il suo fallimento, e l’altra ragazza avesse mancato una missione che lei le aveva affidato, non riuscì a sopportare di vederla ridotta in quello stato.
“Basta, ragazzi, lasciatela stare”, sbottò. “Angel è uscita ieri l’altro dall’ospedale, è ovvio che ancora non abbia recuperato del tutto la padronanza dei movimenti.” Le si avvicinò e le appoggiò una mano sulla spalla. “Scusami. Non dovevo affidarti subito un compito così impegnativo. È stata anche colpa mia.”
Mew Angel, a quelle parole, sollevò per un attimo il viso e la guardò con incredulità, per poi riabbassare la testa subito.
“Ma Angel, cos’hai?”, le chiese il Cavaliere Blu con tono preoccupato. “Nessuno ti sta mettendo in croce. Siamo solo preoccupati per te. Non vuoi dirci cosa ti è successo?”
“No, niente di grave, ora sto bene”, rispose lei, con la voce appesantita. “Non riaccadrà. Lo giuro.”
“Sì… sarà meglio”, concluse il discorso Mew Mint, ma con la voce più tranquilla.
Mew Angel guardò tutti i suoi compagni, con un lampo di terrore negli occhi. “Per favore, non dite niente di tutto questo al boss e a Keiichiro. Potrebbero preoccuparsi per niente.”
I ragazzi si guardarono l’un l’altro. “Va bene, quello che è successo rimarrà tra noi.”

La serata passò lenta. Quando fu pronta la cena, Keiichiro dovette chiamare Angel almeno tre volte prima che lei, abbandonata su una sedia della sala e con le braccia incrociate sopra lo schienale, si rendesse conto che le stesse parlando. A tavola, consumò il suo pasto con gli occhi bassi, guardando fissa nel suo piatto, mesta e senza dire una parola ai suoi due capi. Ryou e Keiichiro ogni tanto si lanciavano degli sguardi interrogativi e preoccupati, ma lei a mala pena li notava.
In genere Keiichiro preparava sempre un po’ più della quantità di cibo sufficiente per tre persone, perché Angel, che consumava molta energia, tendeva a riempirsi il piatto almeno due volte, ma quella sera mangiò senza convinzione una sola porzione di cibo e andò a mettere le sue stoviglie nel lavandino senza chiedere altro.
Stava per uscire dalla cucina, quando Ryou la fermò. Le disse qualcosa, ma Angel non riuscì ad afferrare.
“Che hai detto?”, gli chiese distratta.
“Vuoi dormire in camera mia stanotte?”
“Come?”
“Vuoi dormire in camera mia stanotte?”, le chiese Ryou per la terza volta, e stavolta la ragazza riuscì a carpire il tono apprensivo in cui lo stava dicendo.
Lo guardò meravigliata per capire se diceva sul serio. “Nel letto con te, boss?”
“Non nel mio letto, ovviamente”, si ritrasse lui, girando il viso arrossato. “Ti metterei una brandina attaccata al muro.”
Angel rimase in silenzio, riflettendo su quella possibilità. Non riusciva a capire perché il boss avrebbe dovuto permetterle di dormire nella sua stanza. Ora che ci pensava, c’era stata una volta, mesi e mesi prima, in cui lo aveva pregato di poter dormire con lui perché aveva paura a stare da sola, ma lui si era rifiutato, probabilmente per vergogna e imbarazzo. Ora invece era lui stesso a chiederglielo?
“Così in caso di bisogno di supporto psicologico, puoi chiamare subito uno di noi”, le disse Keiichiro, comprensivo, mentre Ryou annuiva di fianco a lui. “È normale che ti senti così triste, più passerà il tempo da quello che ti ha detto Flan e più ti renderai conto di quello che è successo. Ieri probabilmente ti sentivi come sempre perché ancora era passato troppo poco tempo.”
Angel rimase sbalordita a quelle parole, anche se, grazie al suo autocontrollo, riuscì a non darlo a vedere. Loro credevano che il suo stato di malessere fosse dovuto alla tristezza per la morte di sua nonna? E certo, visto che non sapevano che a causa sua la missione del giorno era quasi fallita, che altre cause avrebbero potuto imputare al suo stato di malessere?
“Grazie, ragazzi, ma davvero, non ne ho bisogno. Posso dormire benissimo in camera mia”, replicò cercando di suonare più allegra.
I due uomini si guardarono nervosi. “Va bene. Ma se hai bisogno, sai che ci siamo”, le disse Ryou, fermo.

La ragazza, tenendosi premuto il cuscino sulla testa, sbirciando da una fessura guardò l’orologio sul comodino. L’una di notte. Non aveva dormito per niente. Le parole di Minto le risuonavano in testa da quel pomeriggio: ci hai fatto quasi ammazzare tutti… ci hai fatto quasi ammazzare tutti... Era vero. Ed era per questo che non aveva ribattuto quando lei le aveva gridato contro: perché era la pura verità, detta nel modo più crudo e schietto possibile. C’era stata un’altra volta, molto, molto tempo fa, in cui nella sua prima lotta insieme alla squadra, Angel si era gettata diretta contro un chimero ed era rimasta ferita alla schiena oltre ad aver messo in pericolo gli altri. Allora Ichigo l’aveva sgridata in modo molto serio, ma si ricordava bene che lei, Angel, ci era rimasta male più per il fatto che la sua leader si fosse arrabbiata con lei che per la sua imprudenza in sé. Quella volta i concetti di “lavoro di squadra” e “collaborazione”, lei non li capiva. Adesso invece si sentiva coperta di vergogna per aver messo nei guai tutti quanti, oltre naturalmente al fatto che sua madre le aveva affidato il ruolo più importante del combattimento e lei aveva fallito, deludendo le sue aspettative che, lo aveva percepito mentre le stava dando istruzioni, erano molto alte. Ma c’era anche qualcosa di peggio in tutto questo, ossia il motivo per cui aveva mancato il colpo. L’anno scorso aveva commesso un’imprudenza dovuta ai suoi schemi mentali ancora improntati sull’individualità e non sullo spirito di gruppo, ma questa volta, purtroppo, non era una cosa che dipendeva da lei. Quel dolore che l’aveva spezzata in due era lo stesso che aveva avvertito due giorni prima, anzi, forse ancora più intenso. L’aveva inibita completamente per quasi un minuto, e si era manifestato all’improvviso proprio quando aveva compiuto il primo atto che una persona normale non farebbe, ossia un salto di sei metri. Ora che ci pensava, lei e i suoi compagni erano arrivati al parco correndo normalmente per le strade, visto che era vicino, non erano passati saltando per i tetti. Ecco perché prima quel male non si era manifestato. Ed ecco perché non era successo nulla nemmeno il giorno prima, quando aveva fatto dei semplici addominali: ne aveva fatti molti, ma era uno sforzo fisico che anche una persona normale avrebbe potuto sopportare, per quello non aveva sentito dolore.
Era questo il motivo per cui aveva fallito la sua missione, ed era per questo che aveva messo in pericolo i suoi amici. Per quel dolore cronico alla pancia che, ogni qualvolta si manifestava, la portava ad un lungo stato di paralisi, e che si sarebbe ripresentato ogni volta che avesse compiuto un’azione non normale nella vita quotidiana, ma normale in un combattimento. E questo voleva dire…
‘Vuol dire che, ogni volta che combatterò, questo dolore tornerà’, pensò Angel sentendosi il sangue ghiacciare.
Si ripeté il concetto alcune volte nella mente per rendersi meglio conto di ciò che questo comportasse, finché arrivò alla conclusione più terribile a cui potesse giungere.
‘…non sono nient’altro che un’invalida’, pensò mordendosi il labbro inferiore fino a sentirsi in bocca il sapore del sangue.
Era così. Nella sua vita di normale ragazza poteva anche essere tornata come nuova, ma per quello che rappresentava il suo dovere, la sua missione e il suo succo della vita, non era diversa da una persona ordinaria sulla sedia a rotelle. Non avrebbe mai più potuto combattere come prima, quella ferita alla pancia non le sarebbe mai andata via. Ogni volta che avesse sfruttato fisicamente i suoi poteri, avesse saltato, si fosse mossa troppo velocemente, avesse insomma fatto qualunque cosa che una persona normale non farebbe, quel dolore l’avrebbe schiantata. E questo si traduceva in: non poter più vivere pienamente la sua vita, esprimendo il suo carattere e la sua personalità in modo completo; non poter essere di aiuto e supporto alla sua squadra; non poter vendicarsi contro Flan; non poter difendere il suo paese una volta tornata alla sua terra di origine.
A tutto questo, si aggiungeva l’amarezza per il tradimento subìto: non da un’altra persona, ma da se stessa. O meglio, da una parte di se stessa: in fondo, fin da quando era piccola, a parte i suoi nonni non aveva avuto nessun’altra persona ad aiutarla, nel suo mondo primitivo. Certo, lei stava di solito in loro compagnia, ma si allontanava spesso da casa, per un motivo o per l’altro, e quindi capitava che lei vedesse effettivamente i suoi nonni solo quando si mangiava o era ora di dormire. E, quando loro non c’erano, c’era sempre e solo un’unica, importantissima cosa che la aiutava: il suo corpo forte, vigoroso e sano. Era soprattutto grazie a questo che era stata in grado di sopravvivere per tutti quegli anni. I nonni avevano fatto la loro parte ma, se fosse stato solo per loro, Angel sapeva che sarebbe morta dopo pochi anni. Aveva sempre saputo che quella terribile selezione naturale, che nel suo mondo aveva decimato tante persone di condizione fisica media o scarsa, col suo corpo aveva svolto il suo lavoro alla perfezione rendendolo robusto, energico e resistente. Ancora prima che della famiglia prima e degli amici poi, era sempre stato prima di tutto il suo corpo quell’elemento su cui Angel aveva sempre fatto affidamento, e che non l’aveva mai tradita. In quindici anni non si era ammalata, mai. Temprata dalle dure condizioni in cui viveva, era sicura di non aver mai preso nemmeno un raffreddore. E, quando aveva perso il suo potenziamento, aveva contato ancora sulla sua salute e forza fisica, più che in passato, basando la sua strategia e i suoi colpi di battaglia esclusivamente su di esse. E adesso il suo organismo, che era sempre stato così rigoglioso e saldo, ora non poteva più esserle di aiuto. Se almeno avesse avuto il suo potenziamento, avrebbe potuto essere comunque di aiuto alla sua squadra e, con un po’ di prudenza e accortezza, combattere ugualmente. Ma le sue compagne, in fatto di poteri, erano ad un livello troppo avanzato ormai, tra lei e loro c’era uno stacco enorme. E anche i chimeri non avrebbero risentito del suo misero attacco non potenziato. Non poteva attaccare né parare coi suoi poteri; finora era riuscita a sopperire attaccando e parando sfruttando le risorse del suo corpo, ma ormai non poteva più usare nemmeno quelle. Non poteva fare più niente.
Angel tirò fuori la testa da sotto il cuscino e ve la premette sopra rendendosi difficoltosa la respirazione. “Non sono utile proprio a nessuno…” digrignò i denti sentendo la stoffa intorno agli occhi bagnarsi, e sentendosi una ferita nell’orgoglio e nella dignità sanguinare sempre di più. “Waffle, che cosa mi hai fatto…?”
Non riuscì a fare a meno di pensare a lui: lei poteva aver vinto l’ultimo combattimento contro di lui, poteva anche averlo ucciso, ma lui era riuscito a infliggerle un destino ben peggiore della morte. Il non poter combattere, il non sentirsi utile, il vedersi svanire da davanti agli occhi lo scopo di una vita… davanti a questa prospettiva, che la agghiacciava, Angel avrebbe mille volte preferito morire.
“Perché non mi ha ammazzata quel giorno?... perché? Perché non sono morta in ospedale, sotto quei ferri? Se avessi saputo che sarebbe finita così, avrei rifiutato le cure.”
Nonostante il suo sereno rapporto con la morte, Angel non l’aveva mai davvero desiderata. L’aveva semplicemente accettata come una possibilità, ai suoi occhi essa non era un tabù o qualcosa da rifuggire a qualunque costo. Ogni volta che combatteva, lei sapeva che poteva finire uccisa dal nemico di turno, e ai suoi occhi questa – il morire in combattimento per una giusta causa – era la fine più nobile e onorevole che potesse esserci. Ma era solo un’eventualità che non rifuggiva, e spesso poetizzava e idealizzava, e non aveva mai ricercato la morte di proposito. Non si era mai sacrificata per nessuno, e aveva sempre cercato, in ogni circostanza, di tenersi stretta la sua vita. La sua lotta contro Waffle ne era un esempio: pur di non finire uccisa da lui, avrebbe potuto compiere il rituale dell’harakiri squarciandosi la pancia con la sua arma, ma era una possibilità che durante la battaglia non le era venuta in mente. In ospedale era finita in condizioni gravissime, ma aveva lottato in ogni modo per poter recuperare le forze e rialzarsi il prima possibile. Perché Angel era viva in ogni senso che si poteva attribuire alla parola. Ma per la prima volta nella sua vita, mentre, vinta dalla stanchezza, sentiva di star lasciando lo stato di veglia per entrare in quello del sonno, la ragazza provò l’intenso desiderio di non risvegliarsi mai più una volta chiusi gli occhi.


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Qui c'è solo una cosa da dire: se avete notato, a un certo punto ho vagamente accennato al passato di Zakuro come se volessi approfondirlo, senza però poi dire nulla che non si sapesse già. In realtà mentre scrivevo il capitolo ho pensato a qualche teoria su cosa potesse esserle effettivamente successo e di metterla per iscritto, ma poi ho lasciato perdere tutto perché, facendo così, mi sono resa conto che il suo personaggio ci perdeva. Mi spiego, io ho sempre visto il lasciare il suo passato sul vago nella prima serie come un difetto di sceneggiatura, ma poi, tentando di riempire quel buco, mi sono resa conto che il fatto di avere un passato misterioso, che neppure gli spettatori conoscono, fa parte del fascino del suo personaggio, e non me la sono sentita di andare a sviscerarlo facendo perdere a Zakuro quell'aura di mistero che lei ha proprio grazie al fatto che della sua vita privata non si sappia nulla. Ci sono quei personaggi, come Masaya, che ad analizzare e approfondire il loro passato ci guadagnano, e altri, come Zakuro, che ci perdono e mi darebbe quasi l'idea di togliergli qualcosa se lo facessi... ma, come sempre, visto che per me le opinioni dei lettori sono importanti, chiedo a voi un'opinione in merito. Vi piacerebbe sapere cosa è successo a Zakuro quando era piccola, oppure vedete questo buco di caratterizzazione (chiamiamolo così) come un suo punto di forza?

Grazie infinite per la pazienza, aspetto come sempre le vostre opinioni e ci vediamo al prossimo capitolo!

   
 
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