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Autore: SparkingJester    11/04/2018    2 recensioni
Un giovane bambino cercando conforto dal tedio di un lungo viaggio mercantile, incontra un cavaliere dal passato e dal carattere decisamente imprevedibili.
Partecipa al contest ASYLUM di Haykaleen.
Pacchetto: Bipolarismo.
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si fece così pomeriggio, nuovi pakras vennero offerti ed il loquace Ax proseguì il racconto col suo giovane ospite.
«Indovina cosa successe.»
«Cosa?»
«Andiamo indovina!»
«Ma dimmelo, che ci provo a fare!»
«Dannazione, sei una noia. Va bene te lo dirò. Elohette venne a trovarci!»
«Cosa!? Davvero?»
«Oh, sì. Lei, il suo nuovo stupido marito e Lord Bisbak vennero a presenziare l’inaugurazione della nuova gestione dell’arena. Nuovi proprietari, stesso schifo per noi “attori”. Ma quella volta il gladiatore vincitore del torneo sarebbe stato ricompensato non solo con la gloria e la promessa di oro ma con la libertà. Solitamente infatti si muore gladiatori, una volta entrati. Ma la nuova gestione volle mostrare clemenza ed io lo sfruttai per poterne finalmente uscire. O almeno, lo volle la mia coscienza, quella inerme.
Loro non credo ebbero mai notizie di me. Lo dico perché durante quei giochi, con le mie braccia ricoperte di ferro, una scure lunga e larga come questa che ho qui, ma senza dentelli, ed un elmo dalle fattezze di un teschio, massacrai decine, che dico, centinaia di contendenti! La competizione si svolse in più fasi, più giornate con sfide particolari. Il mio corpo era ancora sotto il controllo del secondo me stesso, la mia coscienza si concentrò solo sull’osservare Elohette, sul ricordare chi eravamo prima di divenire assassini spietati e privi di ragione.
Non mi riconobbero, nascosto dall’elmo. Superai tutte le fasi ed arrivai alle finali. Mutilai tutti gli ultimi contendenti, lasciandoli in vita solo per poter urlare e dimostrare ai presenti cosa significa combattere contro di me: soffrire atrocemente e morire ugualmente.
La folla non mi interessò mai, ma era in visibilio per me. Urlarono come non mai, lanciarono fiori e cibo in segno di apprezzamento e le trombe suonarono alla mia vittoria. Alzai le braccia, stringendo la grossa scure con una mano sola e guardai verso il cielo. E il cielo mi incantò.»
«Cosa vuoi dire?»
«Non so cosa successe nella mia mente ma… mi bloccai. La mia coscienza sentì nuovamente la presenza del corpo ma qualcosa di caldo e tossico fece irruzione e pressione nella mia testa.»
Il ragazzino sembrò teso, come durante una storia dell’orrore. Ax ne alimentò gli effetti facendosi grosso e abbassando il tono della voce, recitando:
«Ma guardati, Ax. Ancora prigioniero.
Disse.
Togliamoci una volta per tutte queste catene.
Di cosa parli? - Gli risposi. Anche se in realtà parlavo tra me e me.
Pensi che io abbia dimenticato? Ti ricordi come ci hanno trattato a Nem?
Non ci hanno mica ucciso.
Ci hanno imprigionato e privato della vita, se non è questo uccidere, cosa lo è?»
Ax alternava persino le voci, con abilità e una strana determinazione.
«Non posso ascoltarti. Voglio un’altra possibilità con Elohette.
Elohette? Dimentica quella sgualdrina. E’ come tutti, ti tradirà.
Hai dimenticato che possiamo essere felici?
Felici? Vieni a vedere qui dentro cosa hai combinato.
Uno di noi potrà avere il controllo del corpo. Uno soltanto.
Vuoi essere tu? Ci rovineresti! Ci faresti sfruttare, ti inginocchieresti.
Ma di che parli!
La gente ti userà, sei una macchina omicida. A nessuno frega se sei un bravo bambino colto ed educato. Ti hanno venduto come si fa con i buoi e le pecore. Sbattuto di cella in cella solo perché “esistiamo”. Tutto per colpa di mamma e papà!
Non provare a nominarli! Loro ci hanno voluto bene, nonostante avessero le loro vite.
Non provarci con me, ci hanno mentito e nascosto la reale natura del mondo. Tutti continuano a farlo. Ti sottometteranno se non lo farai prima tu con loro.
Dannazione!
Dannazione lo dico io! - E urlammo entrambi.
Sembra che anche il mio corpo urlò, raggiungendo un acuto urlo di battaglia spaventoso. Coprii gli applausi e lasciai tutti esterrefatti.
Mi tolsi l’elmo con foga e guardai Elohette, fin sopra gli spalti, dritta negli occhi. Con la furia nel mio sguardo e la mia testa solcata dalle cicatrici. Mi riconobbe, senza dubbio. Oltretutto solo io portavo il marchio facciale dei Nem.»
«Non dirmi che…»
«Esatto. Massacrai tutti, ma proprio tutti!»
L’aria spaventata di Hud preoccupò Ax, ma non riuscì a fermarsi.
«Le mie voci iniziarono a combattere tra di loro e nel frattempo, il mio corpo se la spassò. Saltai ad un’altezza considerevole, degno di un demone, e fracassai la testa ad uno spettatore. Poi un altro e così via, saltando allegramente e affettando chiunque fosse a tiro. Arrivai fin sopra il piano dei nobili e sono sicuro di aver tagliando a metà per lungo Lord Bisbak senza nemmeno farci caso. Ma ricordo bene di aver afferrato la povera Elohette per la gola ed averla scaraventata giù da dieci metri fin sotto gli spalti. Saltai e le atterrai con i piedi sulla pancia, uccidendola del tutto, e poi la decapitai. Feci tutto con un sorriso demoniaco sullo sguardo ma quando ebbi la sua testa tra le mani, iniziai a piangere. Feci una pausa per l’intensità del pianto, i sussulti al cuore, le lacrime a fiotti. Ma non bastò, ancora piangendo ricominciai il massacro e con una forza disumana portai con me più vite che potei. Fuggirono gli altri, per giorni nessuno osò avvicinarsi all’arena ed io mi nutrì, come un morto vivente, di cadaveri crudi e sonno leggero, pieno di ansie ed incubi. Tornai il silenzioso e solitario Ax di un tempo.»
«La tua vita è davvero triste, Ax.»
«Grazie, eh. Peccato che la pacchia finì. Arrivò l’esercito e mi prese in custodia. Ancora una volta incatenato, ancora una volta condotto in una cella. Stavolta ancora più a Nord, uscii dal deserto ancora una volta dunque ma fui condotto comunque in una nuova caverna. Ai lavori forzati, schiavo essenzialmente. Circondato ancora una volta da bruti e scontrosi criminali. Non esattamente un posto divertente, ero anche il più giovane.»
«Ti hanno portato alle Cave Kendrar? Accidenti, è una colonia di schiavi famosa, sai?»
«E certo che lo so, mi ci hanno messo dentro! La conosco la vita che fanno: cibo scarso, a dormire nelle ore notturne e a spaccare pietre nelle diurne. Più semplice e brutale di così, si muore. E infatti molti ci morirono.»
«Non dirmi che sei scappato anche da lì…»
«Non avere fretta! Lo sai cosa fanno lì gli schiavi?»
«Picconano le pietre?»
«Ma sai perché lo fanno?»
«Mmmh. Effettivamente no.»
«Ecco, quello lo facevamo perché dovevamo scavare gallerie. L’impero Gol, al tempo in cui possedeva le miniere e quindi il traffico di schiavi, cercò di estrarre un materiale particolare: le Gemme Iridescenti.
Hanno capacità magiche particolari, sono molto richieste dai maghi di alto rango e dai criminali più impavidi. Ovviamente il loro traffico frutta milioni di monete d’oro, ti ci compreresti un regno con dieci kili di quella roba!»
«Accidenti, sono un sacco di soldi!»
«Non hai idea di quanto oro ci passava per le mani sotto forma di gemme. Quelle dannate pietre però emanavano una radiazione pericolosa. Molti schiavi morivano come essiccati, privati della loro energia vitale. E come sempre, la vita mi fece ammalare. I sintomi si presentarono ed io iniziai a perdere forza. Ero comunque una bambola mossa dai comandi altrui. Le mie due coscienze non ebbero il coraggio di scontrarsi ancora, dati i risultati dell’ultima volta. La depressione si fece sempre più pesante e con la debolezza della malattia da radiazione, i medici non poterono che ricoverarmi. C’erano alchimisti e stregoni tra i loro ranghi, capaci di giudicare e intervenire dove la magia fosse richiesta, trattandosi di pietre che emanavano e risucchiavano energia.
Ero però molto resistente, che il mio corpo sia maledetto, e si presero la liberà di fare degli esperimenti. Io non ebbi le forze per rifiutarmi e mi feci traportare nel turbinio di iniezioni e riti magici con tanto di candele e glifi tatuati sul corpo.
Passarono gli anni, sette. La malattia arrivò a corrodermi e gli interventi, magici e non, sembrarono inutili contro l’avanzare dei lavori. Non facevo altro che minare, sporcarmi e trasportare quelle dannate gemme avanti e indietro tutto il giorno. Mi imbottivano di medicine, mi benedivano e tornavo a lavorare. Finché un bel giorno non collassai. Diedi un’ultima picconata, poi caddi con la testa e la battei con l’elmetto sulla roccia, rivelando una Gemma Iridescente e svenendoci sopra.
Quando mi risvegliai, il mio corpo era guarito. Mi alzai dal letto, ero nella mia stanza. L’ora dei lavori risuonò tramite la campana del campo ed io mi catapultai meccanicamente fuori.
Mi presi del tempo per osservarmi meglio. Ero in forma, in carne, muscoloso. La mia testa era più liscia del normale e soprattutto… potevo accorgermi di tutto! Avevo ripreso la connessione tra coscienza e corpo. Non provavo più paura, non più rimorso o dolore. Camminai tra la schiera di schiavi, dirigendomi come sempre alla mia postazione ma con una serenità inaspettata. Presi il piccone dalla mano di una guardia esterrefatta, me ne accorsi.
Tutti mi fissarono come avessero visto un fantasma.
Come biasimarli, fino alla sera prima ero uno scheletro con la pelle.
Gli alchimisti e i dottori si precipitarono fuori dalle loro tende e mi circondarono. Mi riempirono di domande, più che altro chiedendomi cosa mi fosse accaduto; ci pensai anch’io.
Già, cosa ci è accaduto?
Parlò però ancora la voce del mi alter-ego. Pensavo di averlo sconfitto, di aver ripreso il completo controllo.
Tranquillo, ce l’hai.
Mi rispose, anche.
Ricordai tutto ciò che mi accadde. Ma intendo tutto, eh. Dall’inizio delle mie crisi: la sfuriata con la ragazza nelle cucine, il volto di alcune serve stuprate e sgozzate nella sala in cui mi preparavo per il matrimonio, il terrore dei ragazzi che uccisi a mani nude nell’arena e dei mille che massacrai con la mia scure. Inclusi gli spettatori, i nobili, Lord Bisbak ed Elohette. Ricordai la sua paura e la sua disperazione. Ogni vuoto causato dalle crisi, fu riempito.
Le guardie mi intimarono più volte di muovermi, ma le mie emozioni si mescolarono e si compressero come lava in un vulcano in procinto di esplodere. Ricordai il dolore provato ed inflitto ma mi tornò anche la voglia di vivere.»
«Caspita…»
«Mi frustarono sulla schiena. Più il dolore aumentava, più il mio sorriso si allargava. Il dolore infine sparì e la serenità mi pervase. Allargai le braccia come ad accogliere una pioggia fredda del cielo, accolsi invece il mio sangue spruzzato per aria. Però restò in aria! Sembrò levitare, sembrò voler uscire dal mio corpo a fiumi come finalmente libero dalla maledizione del mio corpo. Si addensò sopra la mia schiena, come una bolla, prese poi forma e ne uscirono delle braccia ed una testa.
Delle dita si strinsero in pugni pieni di rabbia, un teschio cremisi spalancò le fauci e sibilò, riecheggiando sulla parete di roccia e cunicoli.
La figura spaventosa di un uomo con uno spettro fatto di sangue che esce dalla sua schiena deve aver fatto abbastanza paura ai presenti. Non che mi fossero antipatici. Punire gli schiavisti e punire gli schiavi. Scesi a compromessi con il mio alter-ego ed egli mi prestò la sua forza.
Divenni una belva con quattro braccia: le mie e quelle del torso cremisi che mi si era generato sopra.
Sentii il ferro scorrermi nel corpo e formare proprio quest’arma che vedi qui.»
Disse mostrando la scure mezza dentellata e mezza liscia, alta due metri tra la larga lama ed il robusto manico.
«Questa me la feci costruire molto tempo dopo, ma quella venne creata col ferro del sangue del mio corpo. La spada però si fece sempre più densa. Senza rendermene conto, ancora in uno stato catatonico di felicità, massacrai subito delle guardie, falciandole con le affilate unghie dello spettro di sangue che si allungava e fletteva con maestria.
La spada poi si formò e frantumò ancora. Ossa, carne e pietra. Mi scontrai con l’esercito Gol ed i loro ufficiali, persino quattro Capitani mandarono. Non ci fu verso. Finii col brandire quattro di queste immense e pesanti scuri, una per braccio, forgiate dal sangue di migliaia di uomini, innocenti e non.
Il mio corpo era ferito, spezzato, aperto. Le ossa potevano intravedersi con facilità e il mio braccio destro stava per staccarsi completamente dalla spalla. Per non parlare dei danni a schiena e gambe. Restai in piedi, per qualche motivo. Lo spettro mi sorresse con la forza dell’ira e del sangue, mie e delle vittime di quel giorno.» Ax chinò la testa.
«Ma non potrò mai pentirmi di quel giorno. Fui me stesso, finalmente. Fui libero da ogni costrizione e abbastanza forte da affrontare ogni ostacolo. Le mie metà smisero di essere deluse l’una dall’altra ed iniziarono a scendere a compromessi. Nessuna volle abbandonare il mio corpo e le onde magiche delle gemme devono aver creato un mezzo di comunicazione tra le due. Beata magia.»
«Per tutti i diavoli, allora è vero che sei maledetto. Sei fenomenale, un guerriero con un demone guardiano, sei un eroe!»
«Eroe lo sono diventato troppo, ma questa è un’altra storia. Per te è il momento di andare adesso. Sento la puzza delle tue guardie e di tuo padre, che schifo. Puzzano di alcol.»
«Cosa? Ma che dici?»
«Ti sono venuti a cercare ed ora devi andartene. Saluta la mia armatura, giovane Hud. Mantieni segreta la mia presenza e non prendere esempio da me.»
«Ma io…»
«Vai e non discutere con il Folle Cavaliere, o potrei avere un’altra delle mie crisi!»
Scherzò, spaventando comunque il giovane Hud. I due si scambiarono un sorriso e si separarono silenziosamente.
  
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