Capitolo 33
Il dono della vita
“Ho capito che
nella vita ci sono tante vite, per quante volte in vita abbiamo amato”.
Evgenij
Aleksandrovič Evtušenko
Due
mesi dopo
“Brr,
che freddo!” Anche Kurt era arrivato. Nadine lo accolse alla porta e gli prese
il soprabito bagnato della prima pioggia autunnale. “Di cosa vorranno parlarci
i ragazzi?” chiese con una punta di apprensione, stringendosi nelle spalle,
ancora infreddolito. “Non lo so …” rispose la donna con voce serena, sorridendo
“… Ma posso immaginarlo.” Nadine aveva capito già da tempo che tra suo figlio e
Brigit era maturato un sentimento più profondo, che andava oltre alla loro
storica amicizia, che si palesava nella tenerezza dei loro sguardi complici e
dei loro gesti premurosi. “Sei sempre un passo avanti tu, eh?” disse Kurt per
prenderla un po’ in giro. “Tu invece sei sempre in ritardo. Sbrighiamoci che
sono già tutti qui.” ribatté, fingendosi indispettita e insieme raggiunsero il
salotto. Kurt sedette di sbieco sul bracciolo della poltroncina accanto a sua
moglie e lo stesso fece Nadine mettendosi vicino a Werner, entrambe le coppie
di fronte ai loro figli seduti sul divano. “Allora? Di cosa volevate parlarci
di così importante?” fece Nadine, con l’aria di chi ha già capito tutto. I due
ragazzi sembravano nervosi ed esitanti. Brigit abbassò lo sguardo sul tavolino,
guardando la teiera che aveva smesso di fumare mentre Andrej alzò gli occhi al
soffitto. Poi fu lui a prendere la parola: “Io e Brigit non sappiamo quando né
come è successo, ma abbiamo scoperto di amarci.” “Ma è meraviglioso!” esclamò
Engel, scambiandosi con Nadine un sorriso sgargiante mentre i due giovani
innamorati ricercavano la mano l’uno dell’altra. “Ma c’è dell’altro.” continuò Andrej
più serio. Brigit si morse un labbro e, con voce tremante, disse: “Sono
incinta.” In quel pomeriggio al lago, coperti soltanto della luce rossa del
tramonto, le carezze del vento fresco di fine estate non avevano portato loro
solo un brutto raffreddore, ma anche qualcosa di inaspettato, che faceva paura
e sorridere allo stesso tempo: un figlio. Nel salotto piombò un silenzio
imbarazzante. Anche i respiri sembravano più sommessi. Nadine non sapeva cosa
fare né cosa dire, se esprimere parole di rimprovero o di rallegrata
comprensione mentre Werner si alzò quasi di scatto facendola traballare dalla
sua scomoda posizione. “è inammissibile,
Andrej! …” disse, portando le mani sui fianchi “… E adesso cos’hai intenzione
di fare?!” “Voglio sposarla.” rispose il ragazzo sicuro e, al tempo stesso, con
voce tremante mentre Engel si mosse dalla poltroncina per andare a stringere la
mano di sua figlia. “Adesso dovete prendervi le vostre responsabilità,
rimboccarvi le maniche per questa creatura e, se siete davvero sicuri di
amarvi, iniziare una nuova vita insieme.” intervenne Kurt molto più pacato di Werner.
“Siete davvero pronti per fare questo passo così importante?” continuò Engel,
rivolgendosi con tenerezza a Brigit la quale rispose con un flebile ma
determinato sì. Solo Nadine era rimasta inerme, impigliata ad un vortice di
sentimenti diversi e contrastanti che non riusciva ad esprimere. Infine ruppe
il silenzio, nascondendo in parole di apprensione la sua vecchia, malinconica
paura di lasciar andare Andrej. “Decidete per amore e non per aggiustare le
cose.” disse e il ragazzo ribadì: “Abbiamo già deciso.” Suo figlio era
cresciuto e ormai pronto per spiccare il volo.
“La
mamma dello sposo sarà la donna più bella.” fece Werner compiaciuto,
guardandola nel suo lungo vestito blu notte. Nadine ricambiò lo sguardo attraverso
lo specchio e, sorridendo, indossò anche l’altro orecchino. Ma nei suoi occhi
traspariva un velo di tristezza e nel suo sorriso, che assomigliava più ad un
ghigno, si delineava una curva di inquietudine. Werner se ne accorse subito. Le
si avvicinò e, prendendola per le mani, la indusse a guardarlo in faccia. “Cosa
ti turba, Nadine?” le domandò con estrema apprensione e lei per un attimo
abbassò con aria sofferente lo sguardo. Poi sospirò debolmente. I suoi occhi
brillavano di lacrime trattenute, sfidando il luccichio degli orecchini. “Credi
che Andrej sia davvero pronto?” domandò e Werner rispose con un’altra domanda:
“E tu sei pronta?” Aveva centrato in pieno la vera causa del suo malessere.
Nadine abbassò di nuovo lo sguardo per poi dissentire, scuotendo lievemente il
capo. “Ho paura che non sia pronto per affrontare le difficoltà che verranno.”
disse e Werner, accarezzandole la guancia, ribatté con dolcezza: “E noi lo
eravamo? Quante difficoltà ci hanno messo alla prova! E noi eravamo soli, non
potevamo contare su nessuno. Andrej e Brigit sono due ragazzi in
gamba e poi saprebbero a chi chiedere aiuto.” Concluse con uno sguardo profondo
e un sorriso rassicurante mentre la testa di Nadine si affollava di ricordi
belli e brutti della loro vita insieme: il dopoguerra e la rinascita, le
lacrime delle incomprensioni e le risate dei momenti felici, la trepidante
attesa dell’arrivo di Andrej, la gioia e la fatica di essere genitori adottivi,
le aspettative deluse e l’accettazione dei limiti dell’altro, il loro amarsi
all’immenso e litigare per nulla, quel loro perdersi, ricercarsi e amarsi
ancora … “Hai ragione.” fece Nadine e, sorridendo, strofinò un po’ la palpebra inferiore
per impedire ad una lacrima di sfuggire. “Conserva le lacrime per il
matrimonio.” le disse Werner con espressione serena e lei sorrise più gioiosa.
I
fiori d’arancio che profumavano la chiesa, la commozione che scintillava gli
occhi, lo scambio delle fedi nuziali e le promesse di gioventù tra Nadine e
Kurt si realizzavano nei loro figli. Poi il lancio del riso sugli sposi, lo
scambio di auguri, il volo delle bianche colombe e per la vita della ragazza
sopravvissuta a Ravensbrück iniziava un nuovo capitolo. Cinque mesi dopo, il
senso e l’essenza di una vita intera erano racchiusi tra le sue braccia, in
quei due occhietti grigi che sembravano fissarla, riconoscerla e in quella
manina un po’ violacea che le stringeva forte il dito. Nadine ebbe la sensazione
di aver già vissuto quel momento. Forse era il ricordo di un sogno o un augurio
di speranza, una scena creata dalla sua mente per sopravvivere alla
disperazione di Ravensbrück. Sorrise e una lacrima le rigò il
viso: cullare tra le braccia il suo nipotino, che adesso dormiva beatamente,
valeva ogni attimo vissuto, le gioie e i dolori di una vita intera, tutte le
lotte per continuare a sopravvivere e poi vivere a pieno la propria vita. La
vita che stringeva tra le braccia era il dono più grande che Dio potesse farle
e nel suo lieve respiro era l’anelito di un futuro di felicità, la melodia
appena percettibile che sovrastava i rumori del passato. E ricordò: quella che
stava vivendo era una scena che spesso aveva immaginato a Ravensbrück
per aggrapparsi alla vita, l’eco di una voce amica che nel fango dell’umanità
negata la incoraggiava a sperare ancora. Avrai
una splendida famiglia. Stringerai tra le braccia i figli dei tuoi figli. Sarai
felice. E lo era per davvero. Porse ad Andrej il suo bambino e, stringendo
la mano di Werner che era poggiata sulla sua spalla, pianse di gioia, grata
alla vita per averle donato un altro e il più prezioso frammento di felicità.
E ridere
guardando il mondo
con la felicità
di quando
il cielo è
immenso.
E mai
dimenticare
quel che ci ha
fatto vivere.
Patty Pravo,
Cieli immensi