Capitolo dodici.
« Every tear that falls is a smile that's lost. »
Led Zeppelin, Walters Walk
Rientrai all'orfanotrofio mezz'ora dopo il coprifuoco.
Non era stato difficile non farsi scoprire: era
bastato solo scavalcare la recensione in ferro. In punta di piedi attraversai
il cortile vuoto.
Era buio e quegli alberi aveva un'aria piuttosto sinistra, e mi resi conto che
c'era una certa differenza a camminare in quel posto di notte, quando di giorno
era luminoso e tranquillo.
Lucas era uscito con me, ma in quell'istante stava fuori con una tipa che aveva
adocchiato. Molto furbamente se l'era portata dietro per salutarla, e
quella aveva scoperto dell'orfanotrofio. Mossa sbagliata! Contando il fatto che
per tutto il tragitto avevo dovuto sorbirmi tutti i rumori del loro sbaciucchiamento.
Lucas me l'avrebbe pagata.
Entrai nell'edificio attraverso il grande portone di zanzariere e arrivai in
corridoio.
Mi portai una mano sulla guancia e la strofinai
energicamente con la mano un bel po' di volte, facendomi quasi male; quella
brunetta – di cui mi sfuggiva il nome.. vabè – mi aveva lasciato un mucchio di
tracce di rossetto sul viso. Ci mancava solo che mi trovassero con del rossetto
addosso, sveglio a quell'ora a
gironzolare per i corridoi!
Quando pensai di aver tolto tutto il rossetto dalla
mia faccia, ripresi a camminare, diretto ai dormitori maschili. Il silenzio per
i corridoi era totale e i miei passi risuonavano nell'oscurità.
Passai rapidamente per la sala comune, sentendomi
praticamente al sicuro perché ormai ero quasi arrivato, quando sentii dei
rumori.
Allora mi frenai di scatto in mezzo al corridoio, e
trattenendo il fiato tesi l'orecchio al massimo per sentire meglio. Sembravano
dei singulti, dei singhiozzi soffocati.
Sospirai, pensando che qualche bambino o bambina fosse
rimasto proprio nella sala comune a piangere per qualche motivo. Il mio buon
senso prese il sopravvento e decisi di entrare per portare il mocciosetto nei
dormitori dei più piccoli a dormire: non era sicuro che rimanesse lì, di notte,
da solo.
Entrai allora nella sala comune. Era tutto immerso
nella semioscurità, ad eccezione di alcuni raggi lunari che provenivano dalle
finestre e che creavano disegni e strisce di luce sul pavimento. I singhiozzi
continuavano; mi facevi spazio tra i tavoli colorati ed infine notai una figura
accucciata all'angolo, con la schiena contro il muro, accanto ad una finestra.
Il viso della figura era nascosto dalle ginocchia, ed
entrambe le sue braccia abbracciavano proprio queste, mentre dei lunghi capelli
chiari si posavano sulla sua schiena, arrivando quasi a sfiorare il pavimento.
Una striscia di luce la illuminava per metà, e quando fui più vicino il mio
cuore cominciò a battere fortissimo.
La figura non si era accorta di me e continuava a
scuotesi ad intervalli regolari per via dei singhiozzi. Mi accucciai vicino ad
essa.
“Halls, che diavolo ci fai qui?” sussurrai, con un tono non troppo dolce.
Astrid sobbalzò vistosamente in aria, ma non si mosse dalla sua posizione. I
singhiozzi smisero un attimo, e vidi la sua testa alzarsi di pochissimo. Il suo
occhio caldo e scurissimo mi fissò per un attimo.
“Oh, Gabriel..” sussurrò con voce strozzata, e in una
frazione di secondo si mosse e mi abbracciò.
Vidi soltanto una massa di capelli biondi travolgermi
e le sue braccia stringermi forte per le spalle. Rimasi immobile, ad occhi
sbarrati a fissare il muro, indeciso tra il non darle nessuna soddisfazione
dopo che m'aveva esplicitamente evitato, o a darle il mio conforto. Alla fine,
dopo non molto, vinse la seconda opzione.
La strinsi forte, mettendole entrambe le braccia
attorno alla vita, e avvicinandola sempre di più a me, tanto che i nostri corpi
si appoggiarono uno sull'altro. Il cuore mi andò a tredicimila e chiusi gli
occhi, affondando il viso fra i suoi capelli ed ispirando il loro profumo;
improvvisamente mi sentii meglio.
Astrid riprese a singhiozzare sulla mia spalla.
Evidentemente piangeva: mi resi conto di quanto potesse essere delicata e
fragile, e di quanto fosse incantevole tenerla stretta al sicuro fra le mie
braccia. Sembrava una bambina, in quel momento, e mi sentivo in pena per lei.
Con una mano presi a carezzarle i capelli, mentre i singhiozzi erano più
frequenti. Che cos'era successo? Cos'era potuto accaderle per ridurla così in
lacrime?
“Astrid,” le sussurrai vicino l'orecchio, “Calmati..”
Feci per sciogliere l'abbraccio, ma di tutta risposta lei si strinse ancora di
più a me, scuotendo la testa velocemente.
Allora continuai ad abbracciarla e a carezzarle i
capelli; di certo non potevo lamentarmene. Passarono venti minuti abbondanti
così, poi i singhiozzi s'arrestarono.
“Astrid, stai bene?” le chiesi, sempre sussurrando.
Non ci fu nessuna risposta. Allora, molto lentamente,
levai le braccia dalla sua vita e le passai entrambe ai lati delle sue spalle,
e la scostai da me. Lei mi lasciò fare e rimasi un attimo così, con le mani
sulle sue spalle, cercando di guardarla: ma aveva lo sguardo bassissimo e si
fece ricadere di proposito i capelli davanti al viso, per nasconderlo.
“Mi faresti il favore di guardarmi?” le chiesi.
Astrid rimase qualche attimo immobile come se stesse
valutando la proposta; poi alzò lentamente il viso verso di me, scoprendosi del
tutto.
Mi lasciai scappare un'imprecazione.
Astrid aveva il labbro spaccato, dal quale il sangue
luccicava in maniera sinistra alla luce della luna; aveva un occhio nero e un
piccolo taglietto sanguinante sullo zigomo sinistro.
“Porca troia, Astrid, che cazzo ti è successo?” alzai la voce, guardandola ad
occhi sbarrati, e scuotendola appena dalle spalle.
Gli occhi di Astrid si riempirono lentamente di lacrime.
“Parla!” la incitai. Ero morto di paura.
Astrid si portò una mano vicino al collo.
Abbassai lo sguardo e notai che non c'era nulla: il
suo crocifisso d'argento era sparito.
“La mia croce..” sussurrò impercettibilmente, mentre una lacrime le sfuggiva
dagli occhi, cadendo sul mento, seguita da altre, “Me l'hanno rubata..”
Mi alzai in piedi di scatto, mentre lei riprendeva a piangere.
Il mio cervello lavorava in maniera velocissima ed il
cuore continuava a battere forte, ancora.
“Non mi lasciare..” sussurrò Astrid, alzandosi in piedi a stento. Tremava
ancora.
“No che non ti lascio,” le dissi, e le passai un
braccio attorno alla vita per reggerla, “Anzi, vieni con me.”
Astrid annuì, chiudendo gli occhi. Notai che lo zigomo aveva ripreso a
sanguinarle pericolosamente. Con lei abbracciata era più difficile camminare,
ma era leggera; e dopo aver preso la mano la condussi facilmente verso la mia
stanza.
Aprii la porta e me la richiusi alle spalle con un piede.
Lentamente la portai verso il letto e la feci sedere
là, lasciandola. Lei mi guardò fisso.
“Aspetta qui, eh? Dobbiamo disinfettare quei tagli. Farà male.. brucerà un
po'.” dissi.
Lei annuì, abbassando di nuovo lo sguardo. Mi
allontanai verso il bagno e frugai dappertutto, accorgendomi che le mani
tremavano anche a me.
Chi era stato lo stronzo – o la stronza,
nell'eventualità – a ridurla così?
Se solo.. se solo era accaduto qualcos'altro, se solo
l'avevano toccata in maniera diversa..
Qualcosa mi sfuggì dalle mani e cadde sul pavimento, riducendosi in mille pezzi
e facendo un fracasso infernale.
“Gabriel?” sentii Astrid sussurrare.
“Tutto bene!” mentii, guardando il disastro sul pavimento; ma a quello avrei
pensato dopo. Afferrai del disinfettante e alcuni batuffoli di cotone, e
scavalcando alcuni pezzettini di vetro che stavano sul pavimento, ritornai da
lei.
Mi aspettava seduta sul letto, con quell'espressione
impaurita con la quale l'avevo trovata lì in sala comune a piangere da sola; la
guardai e notai che la sua bellezza mozzafiato era sempre lì, anche sotto quei
tagli e quel sangue.
Mi avvicinai al letto; era attaccato al muro, così
Astrid si appoggiò la schiena su di esso e io mi misi a cavalcioni su di lei.
Eravamo pericolosamente – e fin troppo deliziosamente – vicini, ma ero troppo
preoccupato e nervoso per imbarazzarmi o pensare a qualcos'altro.
Astrid chiuse lentamente gli occhi mentre io aprivo la
bottiglietta di disinfettante, ne mettevo un poco sul batuffolo e lo passavo
delicatamente sullo zigomo, quello ridotto peggio.
Astrid si fece sfuggire un gemito di dolore.
Le sue mani strinsero il copriletto: evidentemente
aveva bisogno di qualcosa da torturare per distrarsi e per evitare di urlare
per il fastidio al viso.
“Fa male?” chiesi, giusto per dire qualcosa,
preoccupato persino di quel silenzio.
“Un pochino.” disse con una velatura di sarcasmo, stringendo gli occhi.
“Mi dispiace,” osservai, “ma devo.”
Passai alle labbra, guardandole attentamente, avendo voglia di baciarle; ma per
ovvi motivi, non potevo.
Dopo una decina di minuti terminai l'operazione.
Buttai via il batuffolo e mi alzai dal letto, posando
la bottiglietta di disinfettante sul comodino.
“Per l'occhio non ho niente.” dissi, guardandola attentamente. “Dovresti farti
dare qualche pomata o qualcosa del genere domani.”
Lei annuì e riaprì gli occhi. “Gabriel.. grazie.” mi guardava fisso.
Feci spallucce. “Di nulla.”
Il silenzio tornò sovrano.
“Allora,” dissi poco dopo, “Chi è stato? Cos'è
successo?” incalzai. Forse non avrei dovuto chiederle niente: ma era importante
sapere cosa le era successo.
Astrid abbassò per l'ennesima volta lo sguardo, così
mi avvicinai di nuovo a lei sedendomi sul mio letto, al suo fianco.
“Non devi avere paura di me, Astrid,” continuai, “non sono mica scemo. Non dirò
niente a nessuno.”
Sospirò e si voltò per guardarmi meglio.
“Erano tre. Due ragazzi e una ragazza. Non avevo fatto
nulla: stavo ritornando in camera mia dopo cena. Mi hanno picchiata, mi hanno
rubato la croce.”
La ascoltai, sentendomi male. “Ti hanno.. ti hanno fatto qualcos'altro?”
Astrid mi guardò attentamente, poi capì. “No.” disse poi.
Sospirai di sollievo. “Beh, tra i due mali questo è quello minore.”
Astrid non disse più nulla. Io ero pensieroso.
“E dimmi, sai chi erano?” chiesi ancora.
“Non li avevo mai visti prima d'ora. Un ragazzo, mi pareva che avesse un
tatuaggio sulla mano. E l'altro ragazzo era robusto.”
“E la ragazza?”
“Beh..”
Astrid mi guardò con occhi grandi.
“Penso che tu la conosca. Era quella ragazza che
dicevi che ce l'aveva con te, quella che una volta che parlavamo si è fermata a
guardarci..”
Amanda!
Quella brutta stronza.
E conoscevo anche quegli altri due pezzi di merda.
Eccome, se li conoscevo.
Rimasi un attimo in silenzio a riflettere. “Ho capito.”
Mi alzai dal letto e mi avvicinai al comodino.
Aprii un cassetto, frugai dentro e ne uscii un
coltello a serramanico, che tenevo in camera per pura precauzione, nulla di
che.
“Gabriel? Cosa stai..” chiese Astrid, evidentemente
preoccupata, fissandomi.
Feci scattare il manico di legno e la lama venne
fuori. La feci scattare di nuovo chiudendola ed per finire infilai il coltello
nella tasca posteriore dei jeans.
“Non ti preoccupare,” le dissi sorridendole, “Non ho
intenzione di uccidere nessuno.”
Almeno credevo.
“Astrid, chiuditi dentro a chiave.” le dissi, allontanandomi da lei ed
avvicinandomi alla porta. “Io torno subito.”
Astrid balzò giù dal letto e mi raggiunse, venendomi di fronte.
“Gabriel, che diavolo vuoi fare, non metterti nei guai..” mi sussurrò
animatamente, guardandomi come se volesse implorarmi.
“Astrid..” dissi con decisione, prendendole delicatamente il viso con entrambe
le mani e guardandola dritto negli occhi. “Tu non ti devi preoccupare di nulla.
Ritorno fra dieci minuti al massimo. D'accordo?”
Astrid mi guardò negli occhi per qualche attimo con aria indecisa, poi annuì.
La guardai sorridendole e, come se fosse la cosa più normale del mondo, chiusi
gli occhi e sfiorai le mie labbra sulle sue, quasi impercettibilmente poiché le
aveva spaccate e non volevo farle del male.
Feci per lasciarla andare, ma lei mi trattenne
prendendomi i polsi con entrambe le mani e mi baciò di nuovo, con più
decisione. Sussultò perché evidentemente si era fatta male, e poi mi lasciò
andare.
La guardai per degli attimi confuso, per quel bel ma inaspettato gesto. Le
sorrisi con aria idiota e uscii dalla camera, trovandomi in corridoio. Rimasi
un attimo immobile al buio: quel gesto era bastato per stordirmi e farmi
passare tutta la rabbia che avevo in corpo. Poi però ripensai alle ferite di
Astrid, all'averla trovata sola e in lacrime, e la rabbia mi travolse come
delle ondate. Ero piuttosto sadico, sì, quindi sentimenti come la vendetta non
erano nuovi per me.
Avanzai di qualche passo e mi fermai proprio davanti ad una porta un tantino
graffiata, tanto che quasi tutta la vernice era andata via. Sospirai
profondamente e senza pensarci ulteriormente entrai: la porta era,
fortunatamente, aperta.
Ma se fosse stata chiusa probabilmente l'avrei
sfondata.
La stanza era più piccola rispetto alla mia e c'erano
un armadio, una scrivania, e due piccoli letti singoli ad entrambi i lati della
camera. Proprio in questi c'erano due ragazzi: Seth, il ragazzo col tatuaggio
di un teschio sul dorso della mano e l'amico babbeo più robusto di cui non
sapevo neanche il nome.
Quando li vidi lì addormentati beatamente la rabbia
salì ancora di più. Così mi avvicinai al letto di Seth, e, senza preoccuparmi
minimamente di fare rumore, gli urlai in faccia.
“Seth Ryan, pezzo di merda, svegliati!”
Quello aprì gli occhi di scatto e mi guardò con aria spaventata.
“Gabriel Reeve..” mormorò, la voce impastata dal sonno, “che diavolo vuoi? Esci
subito da qui, per la miseria!”
“Cosa diavolo voglio?!” continuai ad urlare, praticamente ignorandolo,
stringendo le mani a pugno per la rabbia.
“Alzati, Ryan, dai!” lo incitai.
Seth si alzò e mi guardò come se fossi un alieno.
Mi avvicinai ad un palmo dal suo viso e gli sussurrai
minacciosamente.
“Così ti diverti a picchiare le ragazzine, eh?” incalzai.
Seth fece un ghigno. “Ti hanno già informato, eh, Reeve? Sei sempre così
informato.”
“Non fare il coglione con me, Ryan, sai che posso ridurti in pezzettini.”
Non rispose, ma sostenne il mio sguardo.
“Sei una vera merda. Consiglio a te, a quel leccaculo e alla troia lì di
smetterla.” continuai.
“Altrimenti che cosa..”
Non gli feci finire la frase. Con un unico gesto presi il serramanico dalla
tasca, lo feci scattare e glielo avvicinai alla gola. “..altrimenti ti taglio
la gola mentre dormi. Chiaro?”
Seth deglutì e guardò la lama pericolosamente vicina al suo collo.
“Cristallino.” disse poi tornando a guardarmi.
Allontanai il coltello dalla sua gola, lo chiusi e lo rinfilai in tasca. Il mio
sguardo cadde sul comodino di Seth: su di esso il crocifisso di Astrid
splendeva alla luce della luna.
Lo presi e me lo infilai in tasca, insieme al
coltello.
“Bene.” gli sorrisi amabilmente. “Sogni d'oro.”
Lo allontanai da me con uno strattone e Seth barcollò all'indietro come se
fosse ubriaco.
Mi avvicinai alla porta e notai che anche l'amico
babbeo mi fissava. Così, feci con le dita il gesto di sparargli e me ne andai
fischiettando, chiudendomi la porta alle spalle.
G R A Z I E :D