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Autore: Yoshiko    12/04/2018    7 recensioni
È trascorso molto tempo dal viaggio dei ragazzi a Kyoto. Era autunno, la città li aveva accolti nella sua splendida cornice di aceri rossi, promettendo un soggiorno piacevole tra visite ai giardini e ai templi, colloqui per nuovi ingaggi e prove per uno spot televisivo. La spensieratezza di quei giorni si era infranta di colpo e gli strascichi di quei tragici avvenimenti continuano tuttora a segnare le loro vite.
Holly e Patty sono a Barcellona, Benji ad Amburgo, Mark è atterrato in Italia inaspettatamente accompagnato, e il resto del gruppo si trova in Giappone finché un’amichevole contro l’Italia di Salvatore Gentile e Dario Belli li riunisce tutti, ancora una volta.
Rain è il sequel di Leaves che a sua volta è il continuo di Snow. Per capire la storia e seguirne l’andamento è consigliabile avere un po’ di pazienza e cominciare dall’inizio, anche per la presenza di personaggi out of character, già presentati nelle precedenti fanfiction.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Kojiro Hyuga/Mark, Salvatore Gentile, Yoshiko Fujisawa/Jenny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Time'
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Decimo capitolo



La pioggia scrosciava violenta contro le persiane e quel ticchettio, insistente e continuo, aveva finito per svegliare Mark. Erano le tre e mezza e fuori s’era scatenato il finimondo. Un lampo illuminò la stanza di un bagliore accecante, poi un tuono scoppiò poco lontano. Sbuffando indispettito da quel baccano, Mark scalciò via le coperte con un movimento troppo brusco. Un crampo alla gamba lo bloccò sdraiato. Le fitte gli salirono al cervello, il dolore fu insopportabile. Imprecando a denti stretti si girò sulla pancia e puntò il piede contro il letto, stendendo il muscolo del polpaccio. Premette il viso contro il cuscino e mugolò di sofferenza. Terribile! Era veramente terribile! Inspirò ed espirò a fondo, mentre a poco a poco le fitte si placavano. Impiegò diversi minuti prima di tornare padrone dell’arto. Agitò le dita del piede, poi tentò di stirare la gamba per allungare i muscoli. Vide di nuovo le stelle. Maledetto Gamo, maledetti i suoi allenamenti infernali. Maledetti tutti! Riprese fiato, riuscì a voltarsi, a sedersi sul letto e, con precauzione, a mettersi in piedi. Zoppicò verso la porta, il polpaccio ancora teso e irrigidito. I tuoni rombavano senza sosta, con quel fracasso e quel dolore sarebbe stato impossibile rimettersi a dormire. Fece una rapida capatina in bagno, poi scese di sotto aggrappato alla balaustra, arrancando in modo da appoggiare il peso del corpo su un piede solo. Sulla soglia della cucina, nel buio della casa, un’ombra gli guizzò davanti.
-Mark?-
La voce di Jenny lo fece sobbalzare. Altra fitta alla gamba, seguita da un insulto.
-Ma cazzo! Mi hai fatto prendere un co… lpo.- un singhiozzo gli spezzò l’ultima parola -Merda! Ci mancava anche que… sto.-
Jenny lo fissò, poi scoppiò a ridere.
-Ti è venuto il singhiozzo.-
-Grazie a te! Grazie tante!-
Lei s’infilò nel buio della cucina.
-Bevi dell’acqua.-
Mark la seguì e accese la luce. Poi attraversò la stanza zoppicando e si lasciò cadere su una sedia. Lei gli porse il bicchiere.
-Cosa hai fatto alla gamba?-
-Niente. Un crampo.- bevve un sorso d’acqua e trattenne il fiato. Prima di parlare si assicurò che il singhiozzo fosse passato -Che fai in piedi? Non riesci a dormire?-
-Come posso dormire con un baccano simile?-
-Già, è infernale.-
Rimasero in silenzio, ad ascoltare il temporale che si abbatteva sulla casa e sulla città. Nella testa di Mark si accavallavano pensieri su pensieri, la mente resa lucida, nonostante l’ora, dal crampo che gli aveva fatto vedere le stelle.
-Philip ce l’ha con me. Credo che sia perché non l’ho avvertito che eri qui.- lanciò un’occhiata a Jenny, immobile e rigida come una statua -Mi evita, non mi parla. Te l’avevo detto che sarebbe finita così.-
Lei si riscosse, fingendo un’irritante incredulità.
-Davvero ti dispiace così tanto che non ti parli?-
-Non mi dispiace, mi innervosisce.-
-Allora ignoralo.-
-Come stai facendo tu?- la vide annuire -Perché invece di evitarvi come due bambini ostinati non vi riappacificate?-
Gli rispose con un’aria di finta indifferenza. Come se l’argomento di cui stavano parlando, invece di essere il ragazzo con cui era stata insieme per anni, riguardasse la lista della spesa.  
-Semplicemente perché non abbiamo litigato.-
-No?-
-È finita e basta.-
-Quindi ti ostini a non volermi dire perché vi siete lasciati.-
Gli occhi di Jenny si spostarono sulla finestra. Sui vetri venivano giù rivoli d’acqua, il rumore della pioggia faceva da sottofondo alla loro conversazione.
-Non sono tenuta a dirtelo e poi ormai non è importante.-
-È il motivo per cui vi siete lasciati, come può non essere importante? Sicuramente si tratta di qualcosa che potreste risolvere, se solo ci provaste! Ormai vi conosco bene e conosco ancor meglio i vostri stupidi litigi!-
-Non abbiamo litigato, Mark! Vuoi capirlo una buona volta?- Jenny si accorse di aver quasi gridato. Quando tacque la sua voce continuò ad aleggiare nella cucina. E sotto, la pioggia che cadeva violenta, battendo contro i muri dell’edificio sull’asfalto.
-Non può finire, Jenny! Non così!-
-Mark…- lei si aggrappò con le mani al bordo del tavolo. Il respiro accelerato, le guance appena arrossate. Cercò disperatamente di mostrarsi conciliante ma dal suo tono di voce trasudò un profondo malessere -Non ho voglia di parlarne e non sono affari tuoi.-
-è qui che ti sbagli Jenny! Sei ospite a casa mia o no? Per colpa di Philip, o tua. O di tutti e due, o no?-
Le lo fissò gelida.
-Se non vuoi avermi tra i piedi dillo chiaramente. Troverò un’altra sistemazione.-
-Non hai capito niente, non sto dicendo questo!-
-Per favore!- di nuovo la voce della giovane si alzò di un tono -Possiamo evitare di parlarne?-
-Jenny, i problemi vanno affrontati di petto… devi affrontare Philip di petto…-
-Quella fase l’ho passata.- nei corridoi dello stadio di Sapporo lo aveva fatto e ne era uscita sconfitta -Non voglio parlarne e ti sarei davvero grata se evitassi l’argomento una volta per tutte.-

Alle tre e mezza Julian si mosse nel letto e aprì gli occhi, nelle orecchie l’eco del tuono che lo aveva svegliato. Si irrigidì quando un lampo illuminò la camera. Lo scroscio della pioggia venne seguito dallo schiocco di un altro tuono.  
Si volse verso Philip. Teneva la testa sprofondata sotto il cuscino e non riuscì a capire se il fragore del temporale avesse svegliato anche lui. Quando si mosse per alzarsi però, riemerse dalle coperte e si girò a guardarlo.
-Vado da Amy.- lo avvertì, infilandosi in fretta una felpa e i pantaloni della tuta -I tuoni la terrorizzano.-
Sparì nel corridoio richiudendosi piano la porta alle spalle. Philip accantonò il fastidio di vedere il compagno usare il maltempo come scusa per infilarsi nel letto di Amy. Non erano affari suoi. Gli occhi chiusi, ascoltando il ticchettio della pioggia contro i vetri, si chiese se anche Jenny si fosse svegliata e se, impaurita dai tuoni, si fosse infilata nel letto di Mark. Era stupido solo pensarlo. Jenny non aveva paura dei tuoni e lui non poteva essere geloso di Landers. Non era lui a starci insieme, era Gentile. Però Jenny e Mark abitavano nella stessa casa da mesi, Jenny cucinava per lui, lavava i suoi vestiti, gli stirava le camicie, gli rifaceva il letto, metteva in ordine le sue cose. Lo accoglieva con un sorriso al suo ritorno la sera, uscivano insieme per fare la spesa, per fare shopping o andare a cena. Non avrebbe voluto dilungarsi sulla loro idilliaca convivenza, ma non riusciva a non pensarci. Era qualcosa che gli vorticava nella testa come un satellite senza fermarsi mai. Era qualcosa che non riusciva ad accantonare e che forse andava anche al di dà della gelosia. Era un vero e proprio malessere.
Julian bussò piano alla porta della stanza di Amy, rabbrividendo al freddo del corridoio. Lei lo aspettava e aprì all’istante. Lo accolse tremante di paura e si rifugiò tra le sue braccia senza neppure dargli il tempo di entrare. Julian s’infilò nella camera lanciando un’occhiata carica d’ansia al corridoio deserto, il timore che qualcuno li vedesse. Poi richiuse la porta.
-Amy, è solo il solito e incasinatissimo temporale…-
-Che come al solito mi terrorizza.- gemette -Che ci posso fare?-
S’infilarono sotto le coperte e Julian la strinse a sé. Aveva i piedi ghiacciati ed era spaventata, come al solito. O forse anche di più, visto che era costretta ad affrontare il suo terrore in un luogo sconosciuto, lontano da casa, lontano dalla sua stanza, lontano dal suo letto.
Tirò su la coperta e se la avvolse addosso, ricoprendo anche lei. Sentì il suo corpo scaldarsi a poco a poco, il suo respiro agitato che gli accarezzava il collo rallentare pian piano. Passarono i minuti, il temporale imperversava.
-Amy, hai litigato con Benji?-
Forse quello non era il momento adatto, ma la domanda gli uscì da sola. Da quando erano arrivati a Torino, da quando aveva visto la fidanzata tenersi alla larga dal portiere e la curiosità si era scatenata incontrollabile, aveva cercato il momento giusto per informarsi, ma non gli era capitata l’occasione. La sentì reagire irrigidendosi.
I minuti scorrevano e Amy restò in silenzio. I tuoni squassavano l’aria, ogni boato era un sussulto. Rispose quando Julian non si aspettava più che l’avrebbe fatto.
-Dopo la partita contro il Bayern l’ho chiamato. Lo so, non avrei dovuto.- fece una pausa -Ovviamente lui non aveva voglia di sentirmi, mi ha assalita e mi ha riattaccato il telefono in faccia. Credo che ce l’abbia ancora con me.-
Julian non lo credeva. Price era pronto a perdonarla. La sera del party l’aveva braccata per parlarle e forse scusarsi. Benji non si scusava mai, pensava sempre di aver ragione, ma forse per Amy avrebbe fatto un’eccezione. Le passò una mano sulla schiena, su e giù per tranquillizzare lei e se stesso dai dubbi che lo assillavano da mesi.
Rimasero svegli, Amy a tremare e lui a rimuginare, finché il temporale non fu passato. Poi, poco prima delle cinque, quando stava finalmente per cedere al sonno, la ragazza udì delle voci nel corridoio. Si alzò dal letto svegliando Julian.
-Amy? Dove vai?-
-Qualcuno qui fuori sta parlando.- raggiunse la porta a piedi nudi e la socchiuse.
Nel corridoio, due camere più in là, Bob Denver era chino a terra e raccoglieva sconsolato un sacchetto trasparente di biancheria pulita, appoggiato davanti alla porta. Accanto a lui Johnny Mason ne teneva tra le mani un altro e frugava al suo interno. Dietro di loro, Alan e Ted percorrevano il corridoio passando in rassegna tutti gli altri.
-Che state facendo?-
Quando Bob udì la sua voce, sussultò come un bambino pescato a rubare caramelle. Si volse.
-Buongiorno Amy.-
-Hanno confuso le consegne della lavanderia.- Mason sbuffò e lanciò il sacchetto sul pavimento, davanti ad un’altra stanza -Queste non sono le nostre magliette.-
La porta dei Derrick si aprì.
-Ma che casino è? Il temporale di stanotte non vi è bastato?- chiese James mentre Jason alle sue spalle si strofinava gli occhi con una mano -Vogliamo dormire!-
Alan Crocker tornò esaminando una busta.
-Hanno fatto un casino, pure ieri si sono…- s’interruppe quando nel suo campo visivo entrò all’improvviso Julian. Lo fissò stralunato -Perché sei in camera di Amy?-
Ross impietrì. Merda, si era fatto beccare! Non gli era passato neppure per l’anticamera del cervello che avrebbe dovuto restarsene nascosto. Il resto della combriccola, che bighellonava nel corridoio, li raggiunse.
Amy arrossì, Julian si pietrificò. I gemelli lo assalirono.
-E bravo Ross! Ti dai da fare anche in ritiro!-
-Attività fisica diurna e notturna! Se lo sapesse Gamo!-
Bob, le mani puntate sui fianchi, fissò la coppia con un cipiglio che voleva essere disapprovazione anche se provava praticamente solo invidia.
-Sempre così funzionano le cose. C’è sempre chi predica bene e razzola male.-
Julian non ebbe la prontezza di rispondere. Reagì allontanandosi da Amy, perché se Gamo o Marshall fossero stati svegliati dalla confusione in corridoio e l’avessero beccato sulla soglia della stanza della fidanzata, avrebbero tratto le loro ovvie conclusioni. Allora sì che sarebbero stati dolori. Scambiò una significativa occhiata con Amy, poi raggiunse la propria camera e bussò con frettolosa insistenza per farsi aprire da Philip. Poche ore prima, nella fretta di andarsene, non aveva pensato a prendere la card per rientrare.
Johnny Mason gli si avvicinò e gli indicò il sacchetto della biancheria posato a terra.
-Quella roba è tua?-
-Non dovrebbe?-
Philip aprì la porta con un diavolo per capello.
-Stavo dormendo, Julian!-
Porca miseria, impiegava ore ogni volta per prendere sonno e quando finalmente ci riusciva, ci si metteva Ross a svegliarlo. Le sue scuse gli entrarono da un orecchio e gli uscirono dall’altro, mentre la sua attenzione veniva catalizzata da mezza nazionale a zonzo per il corridoio.
-Che state combinando?-
Julian tolse il nastro adesivo dalla busta e frugò tra le maglie insieme a Carter.
-Hai ragione, Ted. Questa roba non è nostra!- la mostrò a Philip che scosse la testa.
-Dai qua…- Jason Derrick gliela tolse dalle mani, la controllò e non trovandoci niente di suo, la passò a Bob. Nel frattempo gli abiti, con tutti quei rimestamenti, si erano ridotti a cenci spiegazzati.
-Ci siamo! Eccolo qui!- Denver agitò la busta in direzione di Mason, il suo compagno di stanza.
-Philip, tanto perché tu lo sappia, stanotte Julian si è infilato in camera di Amy e si è dato alla pazza gioia.- lo mise al corrente Jason Derrick seccato -Non è mica giusto…- socchiuse gli occhi -O lo sapevi?-
Lui lanciò un’eloquentissima occhiata a Ross, un’altra a Amy che era rimasta a guardarli sulla porta. Il sorrisetto divertito che la ricerca delle buste della lavanderia le aveva fatto salire alle labbra, si dissolse in un attimo. Philip non riuscì a credere che fossero stati così fessi da farsi beccare. Lui non voleva entrarci, in queste cose. Si spazientì.
-Che te ne frega, Derrick? Trovati una donna e datti alla pazza gioia anche tu!-
-Come se fosse facile.- rise Alan, causando uno scoppio di ilarità tra i compagni.
Jason invece ammutolì. Non si aspettava di essere zittito in quel modo. Non era lui ad essere in torto ma Ross.
-Diamine Philip!- saltò su James a difesa del gemello -Tu sei il capitano, non puoi rispondere così! È Julian che ha sbagliato, non Jason!-
Era ancora l’alba e Philip ne aveva già abbastanza di tutti loro. Represse la stizza e scavò dentro di sé in cerca di una diplomazia a cui non ricorreva più da mesi.
-Cosa vuoi che faccia, allora, Jason?-
Quello guardò prima Philip, poi Julian e infine Amy, che se ne stava in silenzio, mortificata.
-Niente, lascia stare.-

*

Tirando un profondo respiro, Jenny spinse la porta dell’agenzia, tappezzata di depliant nuovi di zecca. Oltre Berlino, Madrid, Praga e Parigi, avevano aggiunto Amsterdam, Lisbona e la Provenza. Le seccava da morire essere lì ma se non trovava il modo di sistemare le traduzioni, non sarebbe mai stata pagata. Quei soldi le servivano, ormai era agli sgoccioli e le spese pazze in cui l’aveva trascinata Carol nelle settimane precedenti l’arrivo della nazionale giapponese avevano quasi prosciugato i suoi risparmi. Mai e poi mai avrebbe chiesto un prestito a Mark, figuriamoci a Gentile. Suo padre, da quando era partita da New York dopo Natale contro la sua volontà, non le versava più uno yen. Avrebbe potuto ricorrere alla nonna, ma i guadagni del ryokan adesso entravano quasi integralmente nelle casse della società di David. Non aveva seguito la questione economica della cessione dell’edificio, non sapeva di preciso che percentuale spettasse ai nonni, ma aveva la netta impressione che si accontentassero del minimo indispensabile per tirare avanti in quegli ultimi anni. Se glielo avesse chiesto l’avrebbero sicuramente aiutata, ma forse per loro mandarle dei soldi sarebbe stato un sacrificio. Tanto valeva che se la cavasse da sola, come aveva sempre fatto per ogni altra cosa.
Mise piede nel negozio e si guardò intorno. Come al solito Morris Brown era solo. Quando la vide entrare si tolse gli occhiali, li posò sul tavolo e le sorrise. Jenny si chiese che accidenti facesse tutto il giorno, come passasse il tempo, di quante cose si occupasse, perché in tutta sincerità a lei sembrava che trascorresse la maggior parte delle giornate a scaldare la sedia navigando su internet.
Brown le fece cenno di accomodarsi. Jenny scostò la poltroncina di fronte a lui, quella riservata ai clienti dell’agenzia, e si sedette.
-Ho dato un’occhiata alla traduzione. Hai fatto un buon lavoro.- frugò tra le carte che aveva sulla scrivania e recuperò i fogli che lei gli aveva consegnato il giorno prima.
Jenny fissò interdetta i segni a penna rossa che intravide sul primo foglio. Morris si era preso la libertà di aggiungere e cancellare frasi a suo piacimento. Represse un moto di scontento, allungò una mano, strinse tra le dita la prima pagina e se la portò davanti agli occhi.
-Mi pare che lei abbia fatto numerose correzioni. La mia traduzione non è andata bene?-
-Sono sciocchezze.- sfogliando le pagine mostrò a Jenny una gran quantità di segni rossi -Possiamo vederli insieme. Non ci metteremo molto.-
Lei valutò rassegnata che come minimo ci sarebbe voluta un’ora. Erano quasi le dieci e non aveva nessuna intenzione di passare lì dentro tutta la mattinata. Lo fissò di sottecchi, chiedendosi se non l’avesse fatto apposta per pagarla di meno. Scorse attentamente le righe e si rese conto che aveva cambiato persino la punteggiatura. Represse un moto di stizza mentre Morris si alzava, girava intorno al tavolo e si avvicinava alla porta del negozio. Jenny si volse e lo vide ruotare il cartello appeso, mostrando all’esterno la scritta “CHIUSO”. Poi tornò verso di lei con un sorrisetto.
-Faremo in fretta.-
Lei non ricambiò il sorriso e non gradì il suo gesto. Cercò di ignorare la sensazione di disagio che d’improvviso quell’uomo le causava e riprese a scorrere con gli occhi le correzioni. Forse la cosa migliore da fare era assecondarlo, concentrarsi sul lavoro e finire presto. Se non fosse andata lì per essere pagata, se quei soldi non se li fosse guadagnati tutti e con tanto lavoro, si sarebbe alzata e se ne sarebbe andata. Se le traduzioni non erano state apprezzate, lei non poteva farci niente. Diede un’occhiata all’orologio. Il tempo non passava. Da quando aveva messo piede nell’agenzia erano trascorsi appena tre minuti.
-Vuoi del caffè?-
Scosse la testa e gli lanciò un’occhiata mentre Morris, col thermos in mano, si riempiva un bicchiere di plastica. Anche se era lontana, Jenny percepì l’aroma della bevanda. Quel tizio se la prendeva comoda e invece lei non vedeva l’ora di finire.
-Ho un appuntamento, non posso trattenermi molto.-
-Allora diamoci da fare.-

Quando Jenny non gli rispondeva al telefono, Salvatore si innervosiva. Detestava essere ignorato, era più forte di lui. E alla quinta telefonata non risposta dopo più di un’ora di tentativi, la ragazza gli stava dimostrando che poteva ignorarlo alla grande. Con un diavolo per capello parcheggiò la macchina in doppia fila, smontò, s’infilò tra le auto posteggiate lungo il marciapiede e raggiunse l’entrata dell’agenzia. Notò il cartello con la scritta “CHIUSO” ed esitò. Jenny gli aveva detto che sarebbe passata lì… Si guardò intorno, sotto i portici. Non la vide e tornò ad osservare le vetrine del negozio. Notò la luce accesa, allora accostò il viso alla porta e sbirciò dentro. Trovò Jenny in piedi che dava le spalle all’ingresso. Riusciva a vedere solo la sua schiena e, dietro il volantino dei campi di lavanda della Provenza, parte dell’uomo che le stava davanti, vicinissimo. Troppo vicino. Come se non bastasse, una mano di lui era sul suo braccio, quasi a volerla trattenere.
Questo a Gentile non andò giù, quel tizio le mani doveva tenerle a posto. Spalancò la porta facendola sbattere sui cardini e con due passi fu tra loro. Li squadrò. Jenny aveva le guance arrossate, gli occhi scintillanti. Il suo petto si alzava e abbassava in un respiro concitato. L’uomo le lasciò di scatto il braccio e lei si tirò indietro di un passo.
Salvatore non capì cosa stesse succedendo. Continuò a guardarli, prima uno, poi l’altra, e non riuscì a rendersi conto di cosa avesse appena interrotto. Di qualsiasi cosa si trattasse non gli piacque per niente. Trasse le proprie conclusioni: quello stronzo aveva allungato le mani.
-Cosa stava facendo?- ringhiò in italiano, Jenny non capì ma Morris sì.
-E lei chi sarebbe? Non ha visto che siamo chiusi?-
-Sono il suo ragazzo.- indicò Jenny e incrociò la collera nei suoi occhi.
-Non vuole pagarmi!- lo accusò lei in inglese.
La furia di Gentile si scatenò. Si volse verso Morris.
-Che significa che non vuole pagarla?-
-C’erano alcuni errori, la traduzione non va bene!-
-Cosa cazzo c’entra? Il lavoro l’ha fatto. Io vengo pagato anche quando sbaglio! Le dia subito il compenso che avevate concordato!- gli costò un enorme sforzo non prendere a pugni quella faccia da maniaco.
L’uomo, la bocca spalancata dalla sorpresa e da un velo di terrore, di fronte ad una reazione tanto brusca e improvvisa indietreggiò di un passo. Incespicò contro le rotelle della sedia e urtò la scrivania. Il portapenne si rovesciò e parte dei fogli sui quali stavano lavorando finì sparpagliata a terra. Non sembrò neppure accorgersene. Jenny invece li avrebbe raccolti, se Gentile, quando accennò a chinarsi per farlo, non l’avesse afferrata per un braccio, bloccandola dov’era. Morris fece il giro del tavolo, portandosi al sicuro dalla furia del ragazzo. Aprì un cassetto, frugò all’interno mandando tutto all’aria ed estrasse la busta bianca che aveva già preparato. L’allungò a Gentile. Quello l’afferrò brusco e spinse Jenny davanti a sé fuori dal negozio. La trascinò verso la macchina, dove un vigile era già pronto a fargli la multa.
-Sto andando via.-
Aprì lo sportello del passeggero, aspettò impaziente che Jenny salisse e chiuse la portiera con violenza. Era furibondo. Salì dall’altro lato e non si preoccupò neppure di sapere se il vigile la multa gliel’avesse fatta. Gettò sulle gambe di Jenny la busta con i soldi, mise in moto e partì.
Lei non disse una parola e Salvatore non fiatò per tutto il tragitto. Parcheggiò nel centro sportivo, girò intorno alla macchina e le aprì lo sportello, in attesa che Jenny scendesse. Lei lo fece scontenta perché il campo era l’ultimo posto in cui voleva andare.
-Perché mi hai portata qui?-
-Meglio qui che in giro per Torino a metterti nei guai.-
-Non mi sono messa nei guai!-
-Perché sono arrivato io! Scendi!-
Lei gli ubbidì intimorita. Salvatore borbottò qualcosa di incomprensibile, chiuse la macchina, recuperò la borsa sportiva dal portabagagli e un istante dopo le fu così vicino che lei istintivamente indietreggiò.
-Devi rispondere al telefono quando ti chiamo!-
-Non l’ho sentito! Avevo tolto la suoneria!-
-Me ne sono accorto!- l’afferrò per un polso e s’incamminò sul vialetto verso il campo dei giapponesi trascinandosela dietro. Jenny incespicò, poi capì qual era la loro meta e lo supplicò.
-Lasciami! Non voglio andarci!-
Tentò di farsi mollare ma non ci riuscì. Salvatore continuò imperterrito a trascinarla con sé. Dopo ciò che aveva visto la voleva al sicuro e il posto più sicuro che riusciva a immaginare in quel momento era il campo delle schiappe, insieme alle amiche, sotto gli occhi vigili di Landers. In pratica il posto più sicuro per Gentile era esattamente quello dove Jenny avrebbe evitato in ogni modo di andare. Ciò che desiderava di meno in assoluto era finire in pasto alla curiosità di Evelyn, che sicuramente stava assistendo alla loro performance fuori dal campo e che l’avrebbe riempita di domande. Ci mise un secondo a individuarla. Era vicino alle panchine, insieme a Patty e Amy.  
Agitò con forza il braccio su e in giù, cercando di liberarsi dalla stretta dolorosa di Gentile. Non ci fu niente da fare e lo odiò furiosamente per l’umiliazione a cui la stava sottoponendo. Con un ultimo, disperato tentativo puntò i piedi a terra, lo strattonò con tutta la forza della disperazione e riuscì a sbilanciarlo. Si aggrappò alle maglie della rete che stavano costeggiando e Salvatore fu finalmente costretto a fermarsi.
-Perché mi hai portata qui? Non voglio andare da loro!- lo supplicò con un filo di voce. Quando sentì le guance bagnate si passò una mano sul viso.
-Cosa sarebbe successo se non fossi arrivato?- gli occhi dell’italiano emisero un balenio azzurro e Jenny chinò la testa. Non tentò neppure di rispondergli, era troppo infuriato. E infatti lui l’assalì di nuovo, scuotendola per il braccio che ancora le stringeva -Non l’hai visto? Stava per saltarti addosso, quel maiale!-
Lei spalancò gli occhi e boccheggiò in cerca d’aria. Salvatore si stava sbagliando. La sua collera era scaturita da qualcosa che lui aveva travisato. Qualcosa che non era assolutamente successo e che non sarebbe mai successo. Non aveva capito nulla, se non fosse arrivato se ne sarebbe semplicemente andata senza i soldi e…
-Che cazzo stai facendo, stronzo bastardo?-
La voce infuriata di Mark anticipò ogni tentativo di spiegazione. Si volsero sorpresi, Jenny addirittura sobbalzò di spavento.
-Lasciala immediatamente!-
Gentile lo fece, ma non perché glielo ordinò Mark. La mollò perché ormai tenerla stretta non aveva più senso.
-Come ti permetti?- lo incalzò Landers -Che razza di modi sono? Ti ha dato di volta il cervello?-
Salvatore lo fissò, la sua intromissione lo esasperò. Perché Landers non era ad allenarsi? Perché si ficcava in mezzo a cose che non lo riguardavano?
-Fatti i cazzi tuoi!-
-Lo sono!-
Jenny assistette impotente a quello scambio di brevi frasi in italiano, sperando che Gentile si tenesse per sé i suoi sospetti e le sue assurde conclusioni. Quando vide Patty accorrere, capì che l’amica sarebbe stata la sua salvezza.
La ragazza si fermò accanto a Jenny e posò gli occhi prima su Mark, poi su Gentile. La sua presenza servì a sedare istantaneamente gli animi, riportando ragionevolezza in entrambi.
-Mark, non gridare. Ti si sente fino alla panchina.-
Quello sbuffò.
-Io non grido se lui tiene le mani a posto.-
Non fece in tempo a dirlo che Salvatore sollevò un braccio e scostò dalla guancia bagnata di lacrime di Jenny una sottile ciocca di capelli che vi si era incollata.
-Ti ho fatto male?- si preoccupò di chiederle d’un tratto.
Lei scosse la testa.
-Allora ci vediamo dopo?-
Annuì. Salvatore le sorrise rassicurato e corse via, ad affrontare a testa alta le urla di suo padre, che avrebbe certamente sbraitato per l’ennesimo ritardo.
-Mark, hai finito di fare i tuoi comodi?-
I tre si volsero. Holly era a pochi metri da loro, più o meno al centro campo. Fissava indispettito il compagno, i pugni sui fianchi. Non lo infastidiva soltanto il fatto che Mark, per correre da Jenny, avesse interrotto gli allenamenti, ma anche che era toccato a lui richiamarlo all’ordine. Avrebbe dovuto pensarci Philip.
-Vai Mark.- Patty gli sorrise rassicurante -è tutto a posto adesso.-
Lui spostò gli occhi su Jenny.
-Lo spero.- borbottò e corse via.
Patty lo guardò allontanarsi, poi si puntellò le mani ai fianchi e scrutò l’amica.
-Adesso spiegami come sei riuscita a far infuriare Gentile così.-
-Ti giuro che non lo so. Ha fatto tutto da solo.- Jenny si guardò intorno, tesa. Evelyn era vicina, troppo. Non voleva che ascoltasse, che si impicciasse come al solito. Si spostò e Patty la seguì. Solo quando furono lungo il vialetto che conduceva al parcheggio, Jenny si decise a parlare.
-Non è successo niente, ma Salvatore non l’ha capito.-
-Non ti seguo… quando?-
-Ero all’agenzia a prendere il compenso per le traduzioni. Quell’uomo non voleva pagarmi e Salvatore ci ha trovati a discutere…- abbassò gli occhi a terra -E anche piuttosto animatamente. Salvatore ha travisato, non so cosa abbia pensato.- arrossì di vergogna -Oddio, lo immagino. Non ha capito…- s’interruppe, ricordò d’un tratto la busta bianca che aveva infilato nella borsa. Non aveva neppure controllato se la cifra fosse giusta. Tirò fuori le banconote, le contò rapida e si irrigidì. Alzò sull’amica uno sguardo sorpreso -È di più!-
-Ti ha pagata di più?-
-Si è sbagliato.-
-O forse Gentile non aveva capito tanto male.-
Lei si volse di scatto.
-Che vuoi dire?-
-Che ha aggiunto la mancia a cui accennava ieri Evelyn.-
-Non è possibile, Patty.- Jenny si sentì spezzare dentro, la sua sicurezza vacillò. Si era dimostrata una stupida ingenua, di nuovo. Non aveva percepito il pericolo e stavolta l’aveva scampata per un pelo.
-Jenny…-
Non aveva capito nulla, probabilmente quel tizio ci avrebbe provato. Per questo aveva voltato il cartello chiudendo l’agenzia quando lei si era seduta al tavolo. Non c’era bisogno di chiudere il negozio per controllare le traduzioni. Per questo aveva perso tutto quel tempo a fare stupide e inutili correzioni. Per poterla trattenere più a lungo.
-Jenny…-
Aveva previsto che quella mattina sarebbero rimasti da soli, aveva calcolato tutto, magari anche di saltarle addosso se Salvatore non fosse piombato all’improvviso tra loro.
-Jenny…- Patty le mise una mano sul braccio e la scosse -Tutto ok?-
Lei scattò indietro, come se il tocco dell’amica l’avesse bruciata. Poi si rese conto della propria reazione e le lanciò un’occhiata di scuse.
-Sarebbe successo ancora?- la domanda le sfuggì, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Era stata una stupida, di nuovo! Le ricacciò indietro, non voleva piangere. Ne aveva versate già troppe, di lacrime. Deglutì un paio di volte e quando il groppo che aveva in gola si fu sciolto, riuscì a tornare a respirare normalmente. Allungò una mano e prese quella di Patty, per farle capire che non erano la sua presenza e il suo tocco a turbarla.
L’amica intrecciò le proprie dita alle sue in un gesto di rassicurante vicinanza.
-Jenny, me lo sto chiedendo da mesi… Perché tu e Philip vi siete lasciati?-
Lei distolse rapida gli occhi, quelle parole la spinsero ad allontanarsi di nuovo. Ritirò la mano, rifiutando sia la domanda sia il contatto fisico che, per un attimo, le aveva avvicinate come era successo mesi e mesi prima. Lo sguardo le si annebbiò, fissò il campo ma non vide nulla. Tutto sembrava avvolto dalla foschia, forse erano di nuovo le lacrime, scaturite stavolta dal ricordo di una sofferenza troppo grande. Una sofferenza che aveva cercato di seppellire dentro di sé, ma che era ritornata a galla in quegli ultimi giorni e che l’amica adesso aveva fatto emergere di nuovo. Nonostante ciò si sforzò di risponderle. Patty non meritava di essere ignorata, non dopo quello che aveva fatto per lei.
-Credo che…- non era facile spiegare -Ci siamo persi per strada.-
-Ma vi amate ancora, vero?-
Jenny non ebbe l’energia né tanto meno il coraggio di accettare un’ipotesi che non si era mai sognata di prendere in considerazione. Patty pensava l’impossibile. Se Philip l’aveva lasciata, significava che aveva smesso di amarla. Altrimenti sarebbero rimasti insieme, in qualche modo sarebbero riusciti a uscire dal baratro, avrebbero trovato la forza di riemergerne.
-Ti prego, non parliamone.- farlo le faceva ancora troppo male e oltretutto, riflettere su un rapporto morto e sepolto da mesi, non l’avrebbe portata da nessuna parte.
Patty annuì.
-Ti fermi a pranzo con noi?-
-Non lo so.- si guardò intorno titubante. Dopo ciò che era successo in agenzia non era sicura di desiderare la compagnia di Salvatore e forse non voleva restare neppure da sola. Ma con i compagni, a mangiare all’hotel, meno che mai. Non seppe decidersi. I suoi occhi si posarono distrattamente su un uomo che percorreva risoluto il viale di accesso ai campi, la macchina fotografica appesa al collo. Fu quel particolare a farle squillare nella testa un campanello d’allarme. I giornalisti non avevano il permesso di oltrepassare l’ingresso del centro sportivo. Se volevano intervistare o fotografare i calciatori, erano costretti ad aspettarli fuori, oltre i cancelli. Il custode non lasciava entrare nessuno, né loro né i fan. Perché allora quell’uomo era lì?
-Salve!- Bill Steiner le salutò sollevando la mano.
Osservarono diffidenti i suoi occhi brillare.
-Oggi è il mio giorno fortunato. Jenny Lohan, la ragazza di Salvatore Gentile, vero?-
Le sue parole svelarono in un attimo chi avevano davanti. Patty si irrigidì e fece un passo indietro, sulla difensiva. Serrò le labbra e i suoi occhi scintillarono d’astio.
-Come ha fatto a entrare?-
Lui si portò una mano alla tasca dei pantaloni.
-M’è costato parecchio, ma spero che ne sia valsa la pena.- puntò gli occhi in quelli di Jenny -Se permette vorrei farle qualche domanda.-
Fu Patty a rispondere per lei.
-No, non permette.- afferrò l’amica per mano con l’intenzione di portarla via. L’uomo si piazzò al centro del sentiero, impedendo loro di passare.
-Si tratta solo di un paio di domande.- insistette mellifluo.
-Le ho detto di no! Jenny, andiamo.- quello non si scostò quando cercarono di superarlo -Insomma, ci lasci passare!-
-Su, faccia la brava, signora Hutton…- le strizzò un occhio per tentare di ammorbidirla.
Tornò a guardare Jenny, che non aveva detto una parola, l’incredulità a riempirle gli occhi. Non riusciva a convincersi che quel giornalista fosse davvero lì per lei. Evelyn non si era sbagliata, persino Mark aveva avuto ragione. Quell’uomo era venuto a cercarla.
-Ha deciso per quale squadra tiferà nella prossima amichevole, signorina Lohan? Per il Giappone o per l’Italia?-
Le labbra di Jenny si socchiusero di stupore, mentre il senso di quella stupida e inutile domanda le entrava in testa. Non era esattamente ciò che si aspettava, aveva in mente tutt’altro, così finì per sfuggirle un sorriso.
-Sa che non ci avevo pensato?- si volse verso Patty, apparentemente colpita dal problema -Secondo te chi dovrei tifare?-
-Per chi ti pare, Jenny.- rispose secca -Vieni, andiamo via.-
Steiner la incalzò ancora. L’atteggiamento della ragazza non era del tutto ostile e forse sarebbe riuscito ad ottenere qualche risposta. Cambiò argomento, si fece più spudorato.
-Sa che il suo ex fidanzato ora frequenta Julie Pilar?-
Jenny si irrigidì.
-Sì che lo so ma non mi interessa, quindi non vedo perché dovrebbe interessare a lei.-
-Perché ci sono persone disposte a spendere il prezzo di una rivista, per leggere queste cose.-
-E a lei, per scrivere queste cose, non secca correre dietro agli ormoni della gente?-
L’inaspettata impertinenza di Jenny gli fece abbassare la guardia. Patty lo scostò brusca.
-Ci lasci passare.- riuscì a superarlo e a trascinare l’amica con sé.
Evelyn le accolse curiosa.
-Non ditemi che quello è Steiner!-
Le due assentirono all'unisono.
-Che voleva ancora quel deficiente?-
-Voleva sapere se so chi frequenta Philip.-
-E tu che gli hai risposto?-
-Che lo so.-
-E basta?-
Lei annuì.
-Lo spero proprio! Se rispondi a lui e non a me, giuro che non ti rivolgerò mai più la parola!-
-Non gli ho detto niente.-
-L’hai provocato e deriso, Jenny. Non avresti dovuto parlargli così.- Patty avrebbe continuato a rimproverarla se la sua attenzione non fosse stata catturata da Gentile che varcava svelto il cancello del campo degli italiani e, inseguito da un compagno di squadra che gli gridava dietro qualcosa, puntava dritto sul giornalista.
L’uomo li vide solo quando Salvatore gli mise una mano sulla spalla. Il giovane biondo gli si rivolse in inglese, gli occhi azzurri che lampeggiavano di fastidio.
-Chi le ha dato il permesso di entrare?-
Steiner abbassò la macchinetta fotografica e lo fissò sorpreso. Quasi non credette a tanta fortuna. Prima Lohan, poi Gentile… Doveva assolutamente approfittarne. Salvatore continuò ad assalirlo mentre Alex Marchesi, dietro di lui, cercava di arginare la sua collera.
-Lo sa che qui non può stare? Se ne vada!-
-Lascialo in pace, Salvatore. Che fastidio ti dà? Dobbiamo allenarci piuttosto…-
Gentile neppure lo sentì.
-Stava fotografando la mia ragazza, vero?-
-Può darsi. È vietato?-
-Sì, lo è.-
Marchesi lo tirò per un braccio.
-Salvatore, dobbiamo allenarci.-
Gentile si scrollò il compagno di dosso e nello stesso tempo tentò di mostrarsi pacatamente ragionevole nei confronti del fotografo. In fondo la colpa era di chi lo aveva fatto entrare.
-Se non vuole avere grane, le consiglio di andarsene alla svelta.-
-Va bene, me ne vado. Ma prima lei risponda ad un paio di domande, ok? Sa che la sua ragazza è l’ex fidanzata di Philip Callaghan?-
Gentile lo fece a denti stretti.
-E allora?-
-Allora pensa che Jenny, ora che si sono rivisti, potrebbe piantarla in asso per tornare con il suo precedente ragazzo?-
-Non penso nulla.- ringhiò furioso, i nervi frementi di una collera che continuava a salire.
-E alla sua ex… l’indossatrice con la quale aveva dichiarato tempo fa che si sarebbe sposato, pensa ancora?-
Steiner, senza saperlo o forse sapendolo, infilò non solo un dito ma tutta la mano in una piaga ancora aperta e sanguinante e spinse. L’accenno alla ragazza che lo aveva tradito fu inaccettabile, Salvatore reagì e reagì male. Lo afferrò per il collo stringendo forte e caricò il pugno. Gli occhi di Steiner furono attraversati da un lampo di autentica paura. Capì troppo tardi di essere nei guai. Ma il colpo non arrivò. Alex afferrò al volo il braccio piegato del compagno pronto a scattare e lo costrinse ad abbassarlo, impedendogli di aggredire quell’importuno giornalista e di conseguenza cacciarsi nei guai.
-Lascialo in pace Salvatore. Non ne vale la pena.- l’altra mano di Gentile non aveva mollato la stretta, le dita del ragazzo serravano ancora il collo del giornalista -Basta cazzo! Vuoi beccarti una denuncia?-
Steiner continuò a tenere i propri occhi in quelli azzurri e pieni di collera del giovane. Le labbra dell’italiano erano tese in una linea sottile. Poi le dita che lo stringevano allentarono la presa e riuscì a liberarsi.  Fece un passo indietro massaggiandosi il collo, la voce strozzata.
-Me ne ricorderò…- indietreggiò ancora, per mettersi al riparo dalla furia del ragazzo.
-Lo spero bene! Adesso se ne vada e faccia attenzione a non ricapitarmi più davanti!-
Stringendosi al petto la macchinetta fotografica, Steiner si curò di mettere ancora più distanza tra lui e il calciatore. Era chiaro che Salvatore Gentile non gli sarebbe stato utile in nessun modo. Meglio stargli alla larga e concentrarsi su Jenny. Lei era l’unica che avrebbe potuto avvicinare senza pericolo, purché quel maledetto moccioso non fosse nei paraggi.

*

Philip ci aveva pensato quella notte, dopo che Julian lo aveva lasciato solo per stringersi al pigiama di Amy. Si era scervellato per ore e alla fine aveva trovato la tanto sospirata soluzione ad uno dei suoi problemi più grandi. Con quel pensiero fisso che gli aveva ronzato nella testa di continuo, aveva finito di pranzare ed era andato in cerca di Gamo. Aveva un bisogno impellente di togliersi la rogna, non poteva più aspettare. Lo trovò al bar insieme a Marshall. Sul ripiano del tavolo era aperto un quotidiano sportivo giapponese su cui erano sparpagliati dei fogli scritti a mano, con linee e schemi tracciati alla rinfusa.
Quando lo vide avvicinarsi, Freddie gli sorrise.
-Hai bisogno di qualcosa, Philip?-
Lui annuì, si frugò nelle tasche e tirò fuori la fascetta da capitano. I due uomini si lanciarono un’occhiata sorpresa mentre la posava sul tavolo.
-Ho bisogno di liberarmi di questa.-
Gamo fremette.
-Cosa significa?-
-Significa che rinuncio a…-
L’allenatore balzò in piedi, puntandogli un dito contro.
-Ti proibisco di dirlo!-
Philip lo fissò ostile, deciso a perorare la propria causa. Maledisse la sua caparbietà. Perché doveva essere così ostinato? Perché si rifiutava di vedere ciò che ormai era chiaro a tutti? La sua totale incapacità di guidare la squadra era persino sotto gli occhi dei giornalisti. Non gli importava della figura di merda che stavano facendo?
-L’ha visto anche lei che non sono in grado!- e quella mattina all’alba, nei corridoi dell’hotel, assalendo Jason in quel modo quando Derrick aveva avuto tutte le ragioni per lamentarsi del comportamento di Julian, l’aveva dimostrato per l’ennesima volta.
Marshall si intromise, tirando Gamo giù sulla sedia.
-A tutti capita di passare un brutto periodo, Philip. E non è il caso di farne una tragedia. Gabriel ed io siamo sicuri che anche questa volta sarai perfettamente in grado di svolgere il ruolo di capitano della nazionale.-
Lui scosse la testa.
-No, stavolta no.-
-I tuoi compagni hanno fiducia in te, Philip. E anche noi. Tu per primo dovresti credere in te stesso e invece non lo stai facendo.-
Il ragazzo si agitò a disagio. Quello che sembrava un discorso profondo, era solo una grande balla. I suoi compagni non avevano più fiducia in lui. Se ne rendeva conto da come lo guardavano, da come li sentiva bisbigliare, da come smettevano di parlare quando lui si avvicinava, da come sbuffavano e lo fissavano quando qualcosa non andava. Il suo istinto di mollare tutto e scappare stava vincendo la lotta contro il suo senso del dovere, perché se il suo dovere non era più in grado di farlo, a che serviva trascinare nel baratro l’intera squadra? Lo sapeva per certo. Se Gamo si fosse intestardito a fargli tenere per forza quella maledetta fascia, la partita sarebbe andata a puttane. Quando accidenti arrivava il nullaosta di Holly? Ecco, il nullaosta poteva essere la sua unica via di fuga.
-Presto la fascetta passerà ufficialmente a Holly. Che differenza fa se in modo non ufficiale se la prende qualche giorno prima?-
-La fascetta la terrò io.- Marshall se la ficcò in tasca -E spero che la notte ti porti consiglio.-
Philip ne dubitò ma non replicò. Si allontanò, sollevato per il peso madornale che si era appena tolto dalla tasca. Non soltanto non voleva guidare la squadra perché non si sentiva in grado di far propri i problemi e le esigenze dei compagni, ma a dirla tutta avrebbe preferito tornarsene in Giappone, rinunciando a giocare.
Recuperò la borsa sportiva che aveva lasciato nella hall, oltrepassò la porta a vetri dell’entrata e si diresse verso i campi. Era presto, più di un’ora dall’inizio degli allenamenti, ma di salire in camera o gingillarsi nella hall con i compagni non se la sentiva. Ripensò al pranzo e a Jenny, seduta al tavolo con le amiche. Gli dava le spalle, di lei vedeva i capelli lunghi che le scendevano sulla schiena, scorgeva i movimenti del suo corpo, l’inclinazione della sua testa. Avercela di continuo davanti agli occhi lo aveva radicato nella sua decisione di mollare la fascia e per chiudere in bellezza, alla fine del pranzo Benji gli si era avvicinato con un sorrisetto.
“Non ti dispiace se ci provo con Jenny, vero?” gli aveva chiesto lasciandolo di sasso “Tanto che ci sta a fare qui? Torino non fa per lei, né con Gentile né tanto meno con Landers.”
Philip era ammutolito e lo aveva osservato mentre si avvicinava a Jenny, le diceva qualcosa e poi le scostava la sedia mentre lei si alzava. A quel punto anche lui si era messo in piedi, si era ficcato le mani in tasca, aveva toccato con le dita la fascetta e aveva deciso di cercare alla svelta Gamo per liberarsene una volta per tutte.
Forse era finito in un incubo e non riusciva più a svegliarsi.

Jenny aveva lasciato le amiche davanti all’hotel ed era tornata a casa da sola. Non le andava di incontrare Philip, non voleva parlare con Mark e non intendeva trovarsi ancora faccia a faccia con quel fastidioso giornalista. Quella sera, potendolo, avrebbe evitato volentieri anche Gentile. Non voleva vedere nessuno, neppure lui. Quel pomeriggio aveva visitato con le amiche il Museo del Cinema che era piaciuto immensamente a tutte. Carol le aveva accompagnate. Si era praticamente autoinvitata, incastrando per la mattina successiva quattro appuntamenti di lavoro. Jenny aveva notato con sollievo che l’esuberanza e l’allegria della ragazza avevano conquistato le amiche. Grazie alla sua presenza Evelyn aveva smesso di riempirla di domande su Salvatore, indirizzando tutta la sua curiosità sulla nuova conoscenza. Tuttavia una cosa l’aveva infastidita. Carol si era prodigata in particolar modo per Patty e questo non le era andato giù, dal momento che aveva scoperto che la ragazza aveva un debole per suo marito.
Carol non si era più fatta vedere al campo, non aveva più incontrato Holly e non le aveva più detto nulla su di lui. Perché? Perché dopo quelle poche frasi che si erano scambiati alla festa, lei non aveva più tentato di avvicinarsi? Jenny non capiva e non voleva neppure chiedere, temendo che le sue domande smuovessero una situazione che sembrava essersi risolta da sé. Il comportamento bizzarro di Carol, che mostrava interesse per Patty e disinteresse per Holly, aveva finito per mandarla in confusione quindi, per godersi la visita al museo, aveva smesso di pensarci.
Percorse il vialetto d’accesso al villino di Mark con le gambe sempre più pesanti, il desiderio impellente di raggomitolarsi sotto le coperte e non uscire più. Malaya aveva fatto le pulizie, avrebbe trovato una casa linda e profumata, l’ideale per rilassarsi. Sperava che la donna filippina avesse fatto in tempo anche a stirare, perché a lei quel giorno non andava proprio. Non desiderava altro che farsi una doccia, infilarsi il pigiama, ficcarsi a letto e dormire.
Fece scattare la serratura e aprì la porta. Entrò in casa e inciampò in una grande e ingombrante valigia abbandonata in mezzo all’ingresso. La fissò incredula, da dove saltava fuori?
-Mark?- una voce femminile provenne dal salotto. Una voce che non era quella della donna filippina.
Jenny scavalcò irritata la valigia. Fastidio mescolato a sorpresa. Mark non le aveva detto che aspettava ospiti. Era la madre? Una parente? Un’amica? L’amante? Entrò nel salotto, una sconosciuta le stava venendo incontro. Si guardarono sgomente, forse la donna ancor più stupita di lei. Indossava un tailleur azzurrino sopra una camicia bianca e un velo di trucco copriva appena la stanchezza che traspariva dal suo viso. Sicuramente non era la signora Landers. Aveva i capelli tagliati corti e doveva avere al massimo trentacinque anni. Più o meno l’età di Nicole, anche se non era affascinante come la matrigna di Benji.
Jenny socchiuse le labbra, ma l’altra fu più veloce.
-E tu chi saresti?-
-Io?- esitò confusa. Non sapeva che dirle, come risponderle. Prima doveva cercare di capire chi fosse la donna che aveva davanti -Mi scusi, ma lei chi è? Una parente di Mark? Come ha fatto a entrare?-
La scrutò con attenzione, ad una prima valutazione, quella donna non solo non era la madre di Mark, ma sicuramente neppure l’amante, a meno che all’amico non piacessero donne più grandi di lui. Poteva essere una parente. Forse una zia o una cugina?
-Mi ha fatta entrare la colf.-
Le volse le spalle e tornò verso il tavolo del salotto, dove aveva appoggiato le sue cose alla rinfusa: la borsa, un foulard, un paio di occhiali da sole, il portamonete, una bottiglia d’acqua da mezzo litro ormai vuota, un pacchetto di sigarette e un cellulare. La donna afferrò il pacchetto, ne tirò fuori una, se l’accese. L’aspirò a fondo e sparse il fumo per tutto il salotto.
Jenny si irrigidì.
-In questa casa non si fuma.-
-Ah, davvero?- si guardò intorno e agitò la sigaretta -Non so dove spegnerla.- ed era chiaro che non aveva neppure intenzione di farlo -Quindi tu chi saresti? Non la colf, ovviamente.-
-Ovviamente.- ripeté lei.
-Ti dispiace non farmi l’eco? Mi irrita.-
La sconosciuta tirò un’altra boccata di nicotina, poi si sedette al tavolo. Frugò nella borsa e prese un posacenere da viaggio. Vi lasciò cadere la cenere della sigaretta e aspirò di nuovo. Jenny la fissò incredula, quella tizia aveva tutta l’intenzione di continuare a fumare. Si sentì rimescolare, la stanchezza si affacciò di nuovo e d’un tratto non seppe che fare, come gestirla. Eventualmente, come mandarla via. Erano le sette, gli allenamenti dovevano essere finiti da parecchio. Perché l’amico non rientrava?
-Potresti dire a Mark che sono qui? Così sistemiamo la faccenda e puoi tornare a casa.-
-Questa è casa mia.-
-No, questa è casa di Mark.-
Jenny fremette indispettita. Diamine, aveva ragione. Eppure non poteva permetterle di avere l’ultima parola.
-Mark mi sta ospitando e…-
-Ed è meglio se lo avverti che sono arrivata.-
-L’aspettava?-
-No, gli ho fatto una sorpresa.-
E che sorpresa, pensò Jenny. Chissà se Mark sarebbe stato felice di trovarsi in casa quell’irritante tipa, che non si era tolta le scarpe quando era entrata e spandeva il fumo della sua puzzolente sigaretta in ogni stanza. Socchiuse le labbra per dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma proprio in quel momento la serratura della porta d’ingresso scattò.
-Jenny? Sei a casa? Cosa diavolo…- anche Mark finì addosso alla valigia -Jenny!- gli bastò lanciare un’occhiata al bagaglio per convincersi che la ragazza stesse tagliando la corda, come aveva minacciato più volte di fare -Che accidenti stai combinando?-
Mentre si toglieva le scarpe, lei gli comparve davanti, gli occhi lampeggianti di fastidio.
-Perché non mi hai detto che aspettavi ospiti?-
-Che ospiti?-
Jenny indicò il salotto, Mark avanzò e l’odore di fumo l’avvolse. Poi vide la donna in piedi accanto ad una poltrona, la riconobbe e gli prese un colpo.
-Porca miseria…- si piantò al centro del corridoio e non seppe cosa aggiungere, come comportarsi. L’unica cosa che riuscì a fare fu chiedersi perché il destino si accanisse in quel modo contro di lui. Prima Jenny, ora Daisy. Che accidenti stava succedendo? Qualcuno gliela stava tirando con tutte le sue forze ed era quasi certo che si trattasse di Philip -Da quanto tempo è qui?-
Lei era abituata ai suoi modi bruschi da anni, da quando gli si era presentata durante le eliminatorie del torneo delle elementari e gli aveva proposto la borsa di studio per l'Istituto Toho. Non fece caso alla sua reazione, non volle accorgersi della sua mancanza di entusiasmo. Spense la sigaretta nel suo portacenere da viaggio e gli andò incontro, sorridendo entusiasta. Jenny prese atto, allucinata, della sua felicità.
-Come stai, Mark?-
Molto meglio prima di vederla, gli venne da pensare ma non poté dirlo, non poté assolutamente dirlo. Anzi si affrettò a cancellare dalla testa quella risposta così maleducata.
-Avrei dovuto prendere lo stesso volo della squadra, ma avevo delle relazioni da terminare. Non ero neppure sicura di riuscire a partire. Mi sono liberata all’ultimo momento e ho trovato un posto sull’aereo per pura fortuna.-
-Ah…- Mark sentì Jenny avvicinarsi, poi la sua spalla contro il braccio. La sua presenza silenziosa e scontenta l’aiutò a ritrovare la voce -Immagino che sia stanca, dopo un viaggio così lungo.-
-Sì, in effetti lo sono.-
-Se vuole le chiamerò un taxi per portarla in albergo…-
-Non ho avuto il tempo di prenotarlo, l’hotel. Pensavo di poter restare da te per qualche giorno.-
Jenny scattò come una molla.
-La stanza degli ospiti è già…-
-…perfettamente pronta!-
La giovane trasalì. Che aveva intenzione di fare, Mark? Di approfittare della presenza di quella donna per sfrattarla? Non stava mica architettando di schiaffarla nello stesso hotel di Philip! Non glielo avrebbe permesso!
-Perché invece non va in albergo con tutti gli altri?-
Lui la spinse bruscamente di lato e le parole di Jenny finirono contro la parete. Continuando a ignorare le proteste dell’amica, che aveva cominciato a borbottare come una pentola a pressione, si avvicinò alla porta d’ingresso e recuperò il bagaglio della Farrell.
-Le porto la valigia in camera.-
-Benissimo.-
L’occhiata trionfante che quell’insopportabile donna rivolse a Jenny, le rimescolò il sangue. Ma che poteva fare? Lanciò al ragazzo uno sguardo di fuoco e provò una voglia immensa di tirargli in testa il telefono del corridoio e tutto l’arredamento disponibile. Bene! Se le cose stavano così sarebbe andata da Salvatore! Senza poter far niente, senza dire una parola, si limitò a guardare Daisy che faceva gli occhi dolci a Mark. Jenny fu scossa da un conato.  
-Posso usare il bagno?-
Il ragazzo annuì e le indicò la porta sotto la rampa delle scale, il bagnetto di servizio. Quando Daisy fu sparita dentro, si catapultò su Jenny. Lei indietreggiò, spaventata.
-Mark?-
-Zitta, non fiatare!-
L’afferrò per un braccio e, tenendo con una mano lei e con l’altra la valigia, trascinò entrambe su per le scale. Entrarono nella camera verde, la camera degli ospiti, la stanza di Jenny. Mark chiuse la porta con un calcio, piazzò la valigia di Daisy accanto alla poltroncina, poi aprì l’armadio e cominciò a gettare i vestiti di Jenny sul letto. Lei lo fissò scioccata.
-Che stai facendo? Mi stai mandando via?-
-No, sto cercando di salvarmi!-
-Salvarti da cosa?-
-Da lei.- afferrò i cesti di vimini che contenevano le cose dell’amica e vi ficcò a forza magliette e maglioni. Lei accorse e gli tolse il cesto dalle mani.
-Piano, fai piano… Che sta succedendo?-
-Porta tutto in camera mia. Immediatamente.-
-In camera tua?-
-Sì, ti trasferisci da me.-
-E tu?-
-Il letto è grande abbastanza per entrambi.-
Jenny restò di sasso.
-Stai dicendo sul serio?-
-Ho la faccia di uno che scherza?- la spinse verso la porta insieme a tutte le sue cose -Muoviti, prima che arrivi!-
Jenny non capì niente ma si affrettò a fare come lui le aveva detto. Così si ritrovò ad infilare tutti gli abiti che aveva nel poco spazio disponibile dell’armadio di Mark. Quello che non seppe dove mettere lo appoggiò sul ripiano più basso, lo avrebbe sistemato con calma in un altro momento. Quando Mark rientrò portando i due cesti colmi degli ultimi oggetti, Jenny si tirò su e lo guardò.
-Allora? Perché deve fermarsi qui? Perché non la spedisci insieme agli altri?-
-Te lo spiegherò, ma non adesso. Devo tornare in hotel.-
-Perché?-
-Gamo ha organizzato una riunione, come se avessimo qualcos’altro da dirci, oltre agli insulti che volano in campo. Vieni anche tu?-
-Tutto pur di non restare da sola con la tua amica.-
Lui sbuffò.
-Non è assolutamente una mia amica.-
-Davvero? Mi sembrava il contrario… anzi più di un’amica.-
-Lascia stare le insinuazioni, non ne ho bisogno.-
-Non sono insinuazioni, è la realtà. Sei il suo tappetino, stai facendo tutto quello che ti dice. Ma chi accidenti è?-
-Te l’ho già detto, te lo spiego dopo.-

Per fare le cose per bene Pearson aveva prenotato la sala delle conferenze dell’albergo e vi aveva riunito l’intera squadra. Daisy era arrivata con il taxi, era stata presentata a chi non la conosceva ed era stata fatta accomodare in prima fila. Mancava solo Mark ma Gamo, indispettito dal ritardo, aveva deciso di cominciare lo stesso. Le ragazze si erano intrufolate per ultime e avevano preso silenziosamente posto sulle poltroncine in fondo. Evelyn si era portata dietro il computer e, collegata alla linea wi-fi dell’hotel, ammazzava il tempo delle inevitabili banalità che intervallavano i discorsi interessanti, girando a casaccio sulla rete.
-Non prendi appunti?- s’informò Patty, più presa da ciò che Evelyn lasciava scorrere sullo schermo che da tutto il resto. Sentì qualcuno soffocare uno sbadiglio e quando sollevò gli occhi in cerca del colpevole, Gamo lo rimproverò.
-Harper, hai sonno?-
-È il fuso orario.-
Evelyn scosse la testa.
-È sempre il solito. Almeno non si facesse beccare.-
-Perché Daisy è qui? Pearson te l’ha detto?-
La giovane fece spallucce.
-Fa parte dello staff.-
-Quando è arrivata?-
-Oggi pomeriggio.-
Gamo finì di parlare e si alzò per distribuire dei fogli ai ragazzi. Poi si affacciò sulla porta e lanciò un’occhiata sul corridoio deserto. Di Landers non c’era ancora traccia. Si avvicinò a Daisy, seduta composta sull’ultima sedia della prima fila.
-Che fine ha fatto Mark? Sa per caso a che ora si degnerà di raggiungerci?-
-Non ne ho idea, pensavo fosse qui. Lui e la sua ragazza sono usciti molto prima di me.-
Bruce spalancò gli occhi.
-Sta parlando di Jenny?-
Gli rispose Jason Derrick.
-Per forza, hai visto altre ragazze con Mark?-
Philip rimase granitico ma represse un moto di fastidio. Jenny non era la ragazza di Mark nel modo più assoluto. Si rifiutò di ascoltare le chiacchiere inopportune dei compagni. Fitte lancinanti gli attraversavano la testa da quasi un’ora, facendogli perdere di continuo la concentrazione. In quegli ultimi mesi l’emicrania lo assaliva sempre più spesso. Forse era colpa di quella roba che aveva mandato giù a casa di Daniel, di cui probabilmente gli erano rimasti residui tossici in circolo nel sangue. Avrebbe voluto chiedere consiglio a Julian. Lui studiava medicina e forse ne sapeva qualcosa, ma si vergognava a confidargli di essersi fatto di ecstasy in più di un’occasione. Oltretutto, a voler essere precisi, non sapeva bene cosa avesse mandato giù alle feste di Baird e questo non gli avrebbe consentito neppure di spiegargli con esattezza quali sostanze avesse ingerito.
Philip non era sicuro che fosse il mal di testa ad impedirgli di dormire o piuttosto il non riuscire a chiudere occhio durante la notte che gli causasse violente emicranie. Magari si trattava semplicemente di stanchezza. E non c’erano dubbi che quel soggiorno in Italia si stesse rivelando più stancante del previsto. Sbadigliò e non si accorse che Peter Shake, una fila dietro di lui, lo teneva d’occhio. Chiuse gli occhi e si portò una mano al viso per premersi con le dita la tempia che gli pulsava sempre più forte. Prima o poi la testa gli sarebbe scoppiata e allora…
Un rumore sommesso lo distrasse. Si volse indietro. Jenny entrò alla chetichella dall’ingresso alle loro spalle, Mark s’infilò dietro di lei e raggiunse silenzioso il resto dei compagni. Pearson, che stava parlando, non si interruppe e diede segno di averli visti chinando appena la testa in un cenno di saluto. Gamo invece scattò in piedi.
-La puntualità è una forma di rispetto verso il prossimo, Landers!-
Mark si irrigidì.
-Non sono io a non rispettare il prossimo ma i mezzi pubblici di Torino.-
Qualche risatina divertita si levò tra i ragazzi. Persino Jenny abbozzò un sorriso anche se cercò di passare il più possibile inosservata mentre prendeva posto accanto alle amiche.
-Eve, chi è quella tizia col tailleur celeste?-
-È Daisy Farrell. L’ex scouter dell'istituto Toho.-
-Il liceo di Mark?-
-Proprio quello. Mark è riuscito a prendere la borsa di studio grazie a lei.-
-Davvero?-
-Sì. Dopodiché la signora ha fatto una brillante carriera. È stata presidentessa dell’ufficio pubbliche relazioni della Nippon Youth e adesso fa lo stesso lavoro per la JFA.-
-Quant’è importante?-
-Ha un certo peso…-
-La conosci?-
-Me l’ha presentata Pearson durante la cena ma l’avevo già vista in altre occasioni.-
-Come ti è sembrata?-
-Normale. Perché?-
-Me la sono ritrovata in casa e pretende di essere ospitata.-
-Non può venire in hotel?-
-È quello che ho detto a Mark, ma lui mi ha risposto che devo lasciarla fare ciò che vuole.-
Ad Evelyn si drizzarono le antenne.
-Addirittura?-
Amy s’intromise, parlando pianissimo.
-È normale che le sia riconoscente. Se lei non lo avesse scelto per la borsa di studio, Mark non avrebbe avuto i soldi per iscriversi ad un buon liceo.-
-Ha fumato in casa e non si è tolta le scarpe.- sbuffò Jenny e poi tacque.
Il suo cellulare in modalità silenziosa prese a vibrare mentre Gamo parlava e faceva dei cerchi con un pennarello blu su una lavagna bianca che era stata messa loro a disposizione. Fu costretta a uscire di soppiatto perché Salvatore, quando alla seconda chiamata non gli rispose, prese ad insistere inondandola di messaggi.
E ora che, nella hall, provava lei a chiamarlo, il cellulare del ragazzo era occupato. Lasciò perdere. Si chiese se fosse il caso di tornare nella sala conferenze. Temeva di disturbare e non voleva rischiare che Gamo si rimangiasse lo spiraglio di cordialità che sembrava aver aperto nei suoi confronti. Oltretutto di ciò che si diceva lì dentro, non le importava un fico secco. Si chiese che ci facesse di nuovo in hotel. Avrebbe fatto molto meglio a rimanere a casa, tanto più che la Farrell era lì.  
La pensò così intensamente, che Daisy le si materializzò accanto.
-Tu ed io dobbiamo parlare.-
L’afferrò per un braccio e la trascinò nel corridoio che conduceva ai bagni, dove nessuno le avrebbe viste, dove nessuno le avrebbe disturbate. Al riparo da occhi indiscreti, la spinse contro il muro. La ragazza urtò la schiena contro la parete restando senza fiato.  
-Jenny.- sputò il suo nome come fosse un insulto -So cosa stai escogitando! Vuoi mettere Mark contro di me, vero?-
La collera contrasse le dita con cui la stringeva. Daisy le affondò le unghie nella manica del maglioncino e Jenny se le sentì sprofondare dolorosamente nella carne. Cercò di tirarsi indietro, non ci riuscì e gemette.
-Mi sta facendo male!-
-Fai le valigie e sparisci alla svelta o sarà molto, molto peggio per te.-
-Non lo decide lei se me ne vado!-
-Scommettiamo di sì? Scommettiamo che domani sei sul marciapiede con tutte le tue cose?-
Jenny si sentì rimescolare di collera, nonostante il dolore. Poi ripensò all’arrendevolezza che Mark aveva dimostrato fin da subito di fronte a quella donna e si ritrovò a chiedersi se davvero l’amico, su istigazione di Daisy, avrebbe finito per cacciarla di casa. Avrebbe dovuto davvero traslocare? Il dubbio la fece reagire furiosa.
-Scommettiamo invece che sul marciapiede domani ci finirà lei? Mark l’ha forse invitata a stare da lui? No, vero? Si è presentata a casa sua con armi e bagagli perché sapeva che non lo avrebbe mai fatto!- si morse la lingua, poiché a pensarci bene era più o meno ciò che aveva fatto anche lei.
Gli occhi di Daisy brillarono pericolosi.
-Piccola impertinente!-
-La JFA non le paga la trasferta? Ha bisogno di scroccare una stanza a chi non vuole averla tra i piedi?-
Daisy sollevò una mano per colpirla, Jenny lo capì e s’irrigidì di botto. Bloccata contro il muro non poté scostarsi e mentre un improvviso terrore s’impossessava di lei, serrò gli occhi e abbassò il viso per evitare che la sberla la raggiungesse in faccia. Il colpo però non arrivò.  
-Lasciami Callaghan!-
Jenny spalancò gli occhi sgomenta. La mano di Daisy era rimasta sollevata, bloccata per aria. Philip, che le teneva il polso, abbassò il braccio costringendo anche lei a farlo ma nonostante l’ordine ricevuto, non mollò la presa. Non era convinto di potersi fidare. Incrociò per un istante gli occhi spalancati e colmi di meraviglia di Jenny poi distolse lo sguardo, maledicendosi per essere intervenuto. A forza di stargli così vicino, la presenza di Jenny gli aveva mandato il cervello in pappa al punto di ritrovarsi, improvvisamente, ad un passo da lei. Se avesse allungato l’altra mano, avrebbe potuto toccarla. Ma come era finito tra loro? Non se ne capacitava! Un attimo prima era in bagno a mandar giù un’aspirina con un po’ d’acqua e un secondo dopo era lì a impedire alla Farrell di schiaffeggiare la sua ex.
-Cosa sta succedendo?-
Non fu la voce di Philip ma quella di Amy a chiedere spiegazioni. Daisy la vide avvicinarsi e strattonò il braccio per farsi mollare.
-Ti ho detto di lasciarmi, Callaghan. Non hai sentito?-
Philip stavolta le ubbidì. Daisy lanciò a Jenny un’ultima occhiata piena di astio, poi si allontanò a testa alta lungo il corridoio.
Amy la guardò allontanarsi.
-Allora? Cos’è successo?-
Nessuno dei due le rispose perché nessuno dei due la udì. Massaggiandosi l’arto dolorante, Jenny teneva gli occhi su Philip che non sapeva dove guardare per non fissare lei. La giovane avrebbe voluto ringraziarlo ma non ne fu capace. Le parole non le uscirono. Restò a guardarlo finché lui, afflitto da un silenzio che nessuno dei due era in grado di spezzare, se ne andò muto come era comparso.
-Jenny, che voleva Daisy?-
Lei distolse con rammarico gli occhi dalla schiena di Philip che spariva dietro l’angolo.
-Mi ha detto chiaro e tondo che vuole che traslochi.-
-Devi lasciare casa di Mark?-
L’amica confermò annuendo.
-Forse ha paura che con te in casa Mark non riesca a dare il meglio di sé durante la partita? O magari nella Juventus?-
-Io non gli do nessun fastidio.-
-Ma lei non lo sa.- Amy fece spallucce -Lasciala perdere, non ci pensare.- le sorrise -Mark ha detto che non avete cenato. Vuoi mangiare qualcosa? Andiamo al bar?-
-No, non ho fame. Mi si è chiuso lo stomaco.- con un diavolo per capello Jenny seguì Amy in bagno -Stava per schiaffeggiarmi, ti rendi conto?-
-Roba da matti! Chissà che le è preso!-
-È una pazza.- la sua voce si incrinò, se ne accorse e lanciò un’occhiata allarmata all’amica che però era già dentro la toilette. Abbassò gli occhi e si guardò le mani, scosse da un tremito convulso, tanto che per fermarle fu costretta a stringerle sulla borsetta e sforzarsi di respirare a fondo, fino a regolarizzare il battito del cuore che sembrava impazzito. Si avvicinò ai lavandini e allo specchio e si fissò. La Farrell aveva tentato di schiaffeggiarla, il colpo non era arrivato ma il gesto c’era stato e la paura anche. Il grido di spavento però le era morto in gola, soffocato all’istante dalla presenza improvvisa e inaspettata di Philip, che era intervenuto e aveva fermato Daisy, avvicinandosi a lei così tanto da percepire la sua presenza fisica.
Jenny infilò le mani ghiacciate sotto l’acqua calda, cercando di analizzare le emozioni che si erano scatenate in un istante tutte insieme, aggrovigliandosi in un misto di terrore, imbarazzo e sconcerto. Erano sentimenti complicati da gestire in simultanea. Non ci capiva più niente, questa era la verità. L’arrivo di Philip in Italia la stava mandando in tilt. Doveva restargli lontana il più possibile.  
Quando tornarono nella hall, Salvatore Gentile aveva appena varcato le porte a vetri dell’hotel e si guardava intorno. Jenny lo raggiunse.
-Come sapevi che ero qui?-
-Non lo sapevo, l’ho immaginato. Sono passato a casa e non ho trovato nessuno. Al cellulare non rispondi. Lo porti con te per appesantirti la borsa?-
Jenny arrossì.
-Ho provato a richiamarti ma era sempre occupato.-
-Ho visto le chiamate, non importa. Andiamo.-
-Andiamo dove?-
-Alex, Dario e gli altri ci aspettano in discoteca.-
Lei provò a rifiutare.
-In discoteca? Non credo di farcela, sono stanca e…-
Gentile bloccò le sue proteste.
-Non ti va la discoteca? Allora che ne dici del discopub della settimana scorsa? Avverto gli altri e ci spostiamo. Beviamo una birretta e tra un’ora, al massimo un’ora e mezza ti riporto a casa…- lasciò la frase in sospeso guardandosi intorno, poi proseguì con un filo di ironia -O qui.-
Lei percepì il suo scontento. Poteva permettersi di rifiutare il suo invito? Poteva continuare ad evitarlo? Il tempo che trascorrevano insieme si stava sensibilmente assottigliando. Cosa le costava accompagnarlo al pub?
-Avverto Mark.- raggiunse il compagno che, seduto tra Holly e Rob, stropicciava i fogli che Gamo aveva distribuito durante la riunione -Vado con Salvatore. Ti ritrovo qui?-
Lui alzò gli occhi.
-Dove vuoi che vada?- bastò il pensiero di tornare a casa con Daisy, loro due soli, a farlo rabbrividire. Piuttosto avrebbe dormito nella hall.

Quella sera Amy aveva deciso di non sedersi al bar con gli altri. Era stufa di sentirsi addosso lo sguardo ironico, sarcastico e polemico di Benji. Forse era diventata paranoica ma si era convinta che lui la tenesse sotto controllo, che la fissasse. Troppo. E lei di conseguenza lo evitava. Del resto che accidenti pretendeva dopo il modo in cui l’aveva trattata al telefono? Che fossero amiconi? Figuriamoci! Lei non voleva parlargli, voleva soltanto stargli lontana. Così, mentre i compagni si perdevano in chiacchiere calcistiche davanti agli appunti di Gamo, diluiti con specialità italiane di bevande calde e fredde, lei aveva cercato un angolo appartato e su una poltrona della hall si era messa a studiare il libro che aveva portato da casa. Per una volta si godeva indisturbata pace e tranquillità.
-Cosa fai ancora in piedi?-
Alzò il viso di scatto, su Jenny che la fissava con un sorrisetto, gli occhi lucidi e le guance arrossate.  
-Leggevo.- chiuse il libro e si alzò.
-Dov’è Mark?-
-Di là al bar. Vuoi che vada ad avvertirlo che sei tornata?-
-Prima ho bisogno del bagno. Urgentemente. Possiamo salire in camera tua?-
-Ti senti male?-
Jenny scosse la testa.
-Ho mangiato poco e la birra mi ha dato il colpo di grazia. Devo fare la pipì, non ce la faccio più.-
-Gentile dov’è?-
-È andato in discoteca con gli altri della squadra.-
-A quest’ora?- erano passate le undici -Non è stanco?-
-Ha energie da vendere. Beato lui.-
Le porte dell’ascensore si aprirono sul quinto piano lasciandole faccia a faccia con Clifford che bighellonava nel corridoio. Per poco non gli finirono addosso.
-Ciao Jenny. Che ci fai da queste parti?-
-Sono di passaggio.-
-Allora non passare troppo in fretta.- le strizzò un occhio -Dobbiamo ancora finire di conoscerci, noi due!-
Bruce chiuse la porta della sua stanza e non mancò di sfottere l’amico.
-Che fai Clif? Ci provi?-
-Scherzi? Non mi permetterei mai!-
-Ecco non ti permettere, perché se tocchi Jenny rischi grosso.-
-Da Callaghan o da Lenders?-
Amy li zittì con un moto di fastidio.
-Quanto siete idioti.-
-Andiamo Clifford, si sta facendo tardi.- lo esortò Bruce -Tra un po’ Gamo fa scattare il coprifuoco.-
-Che palle… Ciao ciao Jenny!-
Mentre le porte dell’ascensore si chiudevano, Yuma sventagliò una mano in direzione della giovane che ricambiò il saluto con un sorrisetto di circostanza.
-Quanto a pettegolezzi, non so chi sia peggio, tra Evelyn, suo cugino e Bruce…-
-Una bella gara.-
In camera di Amy, Jenny andò in bagno, poi tornò e osservò vogliosa il letto, i cuscini e le coperte.
-Ti dispiace se mi stendo un attimo?-
-Fai pure.-
Attraversò la stanza con passo stanco e si lasciò cadere sul materasso come se ce l’avessero sbattuta. Poi scalciò via le scarpe e si sdraiò.
-Non ne potevo più, è stata una giornata interminabile.-
-A chi lo dici.-
Clifford e Bruce raggiunsero il bar e si sedettero in mezzo agli altri.
-Ha un buon profumo la tua ex, Callaghan.-
Philip alzò di scatto gli occhi dagli appunti di Julian. Non disse nulla e l’amico, incoraggiato dal suo silenzio, continuò.
-L’ho incrociata un secondo fa, mi è quasi caduta addosso.-
-Jenny è tornata?- Mark si guardò intorno -Dov’è?-
-Era con Amy al quinto piano.-
Il ragazzo scostò la sedia e si mise in piedi.
-Finalmente! Allora ci vediamo domani. Buona notte.-
Holly l’afferrò per la felpa.
-Buona notte un corno. Dove vai? Finiamo di vedere insieme questi schemi!-
-È tardi.-
-Appunto, cerchiamo di fare in fretta.-
Mark si rimise seduto controvoglia. Acconsentì a restare solo perché gli amici avevano bisogno di lui che conosceva personalmente la maggior parte dei giocatori della nazionale italiana per averci giocato insieme o contro.
Fu Gamo a farli smuovere di lì circa un’ora e mezza dopo, mentre faceva il suo consueto giro di controllo per impedire ai più indisciplinati di fare le ore piccole al centro internet o in compagnia di bevande alcoliche.
-Ma bene! Tutti ancora in piedi! E poi venite a dirmi che è il fuso orario che vi stanca!-
-Non ci siamo accorti dell’ora.- rispose Holly e si alzò all’istante.
Stavolta fu Mark a fermarlo.
-Dove accidenti vai? Non abbiamo finito.-
L’amico mosse appena le labbra, per non farsi udire dal mister.
-Andiamo a finire da un’altra parte, idiota! Lui resterà qui finché ci restiamo anche noi!-
-Da un’altra parte dove?-
-Per esempio in camera di qualcuno.-
Bruce si irrigidì.
-Non nella mia. Io vado a dormire.-
Salirono alla spicciolata, per non insospettire Gamo. Una parte di loro si ritrovò nel corridoio del quinto piano. Solo Patty sembrava avere le idee chiare su dove dirigersi. Voleva salutare Jenny e così puntò dritta verso la stanza di Amy. Dietro di lei gli altri decisero rapidamente di giocarsi a morra cinese la camera che li avrebbe ospitati.  
-Veramente, visto che sei il capitano, dovresti offrirti tu, Philip.- fece presente Clifford, temendo fortemente l’esito della sfida.
-Neanche morto.-
-Non sarebbe meglio continuare domani? Se Gamo ci becca a fare casino, va a finire che si stranisce sul serio.-
-Mi sa che hai ragione, Tom.- fu d’accordo Julian che cominciava a sentire anche una certa stanchezza.
Bruce e Clifford furono i primi a capitolare.
-Allora noi andiamo a dormire.-
Holly li guardò male, ma non poteva certo impedirgli di fare ciò che Gamo aveva ordinato a tutti. Anche Rob capì che la scelta migliore era quella di ficcarsi a letto e tagliò la corda. La maggior parte di loro fuggì così, con la sfida a morra cinese che ancora doveva iniziare. Rimasero nel corridoio in pochissimi, a questo punto davvero incerti se lasciar perdere o decidere almeno i difensori e pensare al resto della formazione l’indomani.
Amy aprì la porta a Patty, soffocando uno sbadiglio.
-Jenny dorme.-
-Come dorme?- Mark le udì, si volse e le raggiunse.
Holly lo vide svignarsela.
-Dove vai?-
-A svegliare Jenny per riportarla a casa!-
-Guai a te!- Amy gli puntò una mano sul torace prima che varcasse la soglia -Jenny può dormire benissimo qui, lo spazio c’è.-
Le sue parole non lo fermarono. Mark sbuffò, la scostò brusco e s’infilò nella stanza. Si arrestò sgomento ad un passo da letto. Diamine era vero! Jenny dormiva! Si era ficcata sotto le coperte e, girata su un fianco, teneva una mano sotto il cuscino e l’altra abbandonata davanti a sé sul materasso. Si accostò, si chinò su di lei ma Amy lo afferrò per la felpa e lo tirò indietro sussurrando.
-Che fai? Non avrai il coraggio di svegliarla!-
-Certo che ce l’ho!-
-Non ci provare Mark!- bisbigliò anche Patty.
Holly si affacciò sulla porta.
-La finiamo qui la riunione?-
Benji si fece largo tra loro.
-Una stanza vale l’altra. Tira fuori quei maledetti schemi, Callaghan, e cerchiamo di concludere.-
-Qui?- Philip lanciò un’occhiata a Jenny che continuava a dormire come se non stessero facendo un gran casino.
-Qui o da un’altra parte che differenza fa? Su, datti una mossa.- il portiere si lasciò cadere su una poltroncina, sotto gli occhi sgomenti di Amy che si trovò improvvisamente la camera invasa.
C’erano Patty, Mark, Holly, Philip, Tom, Benji che la fissava… E Julian? Dov’era finito Julian? Lo chiese.
-Non lo so.- Holly si affacciò nel corridoio ma ormai non si vedeva più nessuno -Forse è andato a dormire.-
Benji sghignazzò, gli occhi fissi in quelli di Amy.
-Poverino, era distrutto, sai? Ho saputo che la notte passata s’è stancato parecchio.-
Lei divenne paonazza. Diavolo, lo spogliatoio della nazionale giapponese era un covo di pettegoli.
Philip si rassegnò a collaborare e sparpagliò i fogli sul tavolino.
-Invece di farti gli affari di Ross dai un’occhiata a questi maledetti schemi.- si guardò intorno -E anche tu, Mark.- molto meglio guardare i fogli, osservare i compagni che discutevano a voce bassa, seguire i loro ragionamenti, che fissare Jenny continuare a dormire indisturbata e lasciare che i propri pensieri indisciplinati partissero per la tangente.
Landers sbuffò, tornò ad avvicinarsi al letto, si sedette e scosse Jenny. Philip per un attimo provò l’istinto di strozzarlo. Pure Amy cominciò a stranirsi di brutto.
-Vuoi lasciarla in pace?-
-È tardi, dobbiamo andare.-
-Ti si è incantato il disco, Landers?- rise Benji -Non riesci a pensare ad altro che a riportarti Jenny a casa?-
Mark ringhiò qualcosa di molto simile ad un insulto. Cosa doveva fare? Non sarebbe mai e poi mai rientrato senza di lei. Doveva svegliarla e portarla con sé a tutti i costi. Al peggio, portarla fuori da lì in braccio, ficcandola in un taxi… Sempre che Callaghan glielo permettesse… Diamine, in che guaio si era cacciato? La scosse di nuovo, facendo brontolare persino Holly che finora se n’era stato zitto. Lo scrollone che Mark le diede stavolta fu talmente convincente che Jenny socchiuse gli occhi e lo guardò giusto il tempo per mettere a fuoco la sua faccia.
-Su, alzati. Dobbiamo tornare a casa.-
-Lasciami dormire.- si rincantucciò sotto le coperte e sprofondò il viso sotto il cuscino.
-Non qui!-
-Qui va bene, Mark. Preferisco dormire con Amy che con te…-
Al ragazzo corse un brivido ghiacciato su per la schiena. Si irrigidì, smise addirittura di respirare. Il silenzio lo circondò così profondo che sentì il cuore martellargli nelle orecchie. Alzò piano la testa trattenendo il fiato e si guardò prudentemente intorno. Anche gli altri avevano udito quella risposta? Dagli occhi stupiti puntati su di lui era evidente. Si sarebbe sotterrato.
-Cosa significa, Mark?-
Ecco Holly, subito pronto a rimproverarlo.
-Non significa niente. Sta sognando, non vedi? Dorme!-
Il secondo intervento fu quello di Benji.
-Ammettilo Landers, te la sei portata a letto.-
-No!- Mark s’infuriò -Puoi accusarmi di tutto Price, ma non di questo! Una cosa del genere non riesco neppure a immaginarla, figuriamoci a farla!-
-Allora non hai uno straccio di fantasia. Per non parlare del tuo spirito di iniziativa, che se ciò che dici è vero vale meno di zero.-
-Non abbiamo fatto nulla, io non l’ho mai toccata!- quasi urlò.
-Abbassa la voce, Mark.- lo rimproverò Amy -E lasciala dormire qui, il posto c’è.-
Philip guardò i compagni e si trovò improvvisamente a chiedersi se lui fosse l’unico a credere nell’innocenza di Mark. O forse aveva deciso di credergli perché desiderava disperatamente farlo? Era stanco di loro, stanco di tutto. Persino stanco di stare in piedi, la schiena appoggiata al muro. Si staccò dalla parete, fece un passo e si sedette su un angolino del letto. Mosse appena il materasso, timoroso di svegliare Jenny. Riprese a parlare di schemi, allenamenti e formazioni.
Poi, ad un certo punto si distrasse. Tornò a fissare Jenny mentre Holly, Tom e Mark continuavano a discutere con Benji a bisbigli, per non svegliarla. In fondo Nicole non aveva potuto far niente per aiutarli. Jenny per settimane aveva trascorso ore e ore a parlare con lei al telefono, ma tutto ciò non aveva salvato il loro rapporto. Prima che Amy la convincesse ad affrontare il lungo viaggio fino a Fujisawa, Jenny e Nicole erano giunte al compromesso di sentirsi per telefono almeno due volte a settimana. Ogni chiamata era un nuovo trauma. Jenny trascorreva il tempo della telefonata raggomitolata sul letto. Giaceva senza forze, il cordless in vivavoce appoggiato accanto al cuscino. Piangeva e piangeva, fino a svuotarsi. Durante la prima telefonata Philip era rimasto seduto a terra nel corridoio, con le spalle contro la porta della sua camera, ad aspettare che il colloquio terminasse. Ascoltare i singhiozzi disperati di Jenny era stato come essere fatti a pezzi con un coltello. La prima volta aveva provato il fortissimo impulso di entrare nella camera per confortarla. La seconda volta, quella di fuggire via. Straziato dalla sofferenza che quelle conversazioni provocavano nella fidanzata, aveva deciso di non restare nei paraggi. Quando Jenny lo avvertiva che Nicole avrebbe chiamato, se era in casa si affrettava ad uscire. Oppure si organizzava per rientrare più tardi.
Jenny gli era grata dello spazio che lui le lasciava, perché in quei momenti provava la necessità di restare sola. Se sapeva che Philip era in casa, non riusciva ad aprirsi e a lasciarsi andare. In tutto questo all’inizio lui neppure si era reso conto di non tagliare la corda per Jenny, ma per se stesso. Perché ogni volta che la sentiva piangere era anche la sua ferita a sanguinare. Quella stessa che, preoccupato per lei, cercava di ignorare. Aveva compreso questa verità distruttiva il giorno in cui Nicole aveva detto a Jenny che voleva parlargli e le aveva chiesto di dirgli di richiamarla. Philip non lo aveva fatto, si era rifiutato. Da quel momento, senza rendersene conto, aveva cominciato a chiudersi sempre più in se stesso, lasciando fuori il resto del mondo, compresa la sua fidanzata. Con il passare delle settimane e dei mesi, Nicole era riuscita in qualche modo ad alleggerire il fardello di sofferenza che si portava dentro Jenny ma non aveva potuto fare niente per far riemergere la coscienza di Philip dai suoi sensi di colpa.
La stanchezza di una giornata pesante dal punto di vista sia fisico che psicologico, con lo scorrere dei minuti finì per trasformare nella mente di Philip le parole degli amici in una soporifera ninna nanna.
-Basta, non ne posso più.- Tom radunò gli appunti -Andiamo a dormire, continueremo domani.-
-Philip si è addormentato.- mormorò Amy in un sussurro -Forse sarò io stanotte a non avere un posto dove dormire.-
Patty si alzò.
-Vieni con me, in qualche modo ci arrangiamo.-
Amy non aveva scelta ed annuì. Poi, mentre i ragazzi si dirigevano verso la porta, si accorse che Mark esitava. I loro occhi si incrociarono.
-E io dove dormo?-
Holly lo udì e si fermò nel corridoio.
-Non torni a casa?-
-A quest’ora? Dovrei prendere un taxi a tariffa notturna!-
-Figuriamoci, il solito spilorcio.- non mancò di sfotterlo Benji.
-Allora non ti resta che dormire nel letto di Philip.- Holly alzò un braccio e indicò una porta -Quella è la stanza di Julian. Sveglialo e fatti aprire.-
Mark non ne fu per niente contento, poi capì che non gli restava altro. Si allontanò sbuffando, trascinando con sé la borsa sportiva che per tutta la sera si era portato dietro come un cane al guinzaglio.
Amy frugò nell’armadio in cerca del pigiama. Sentì richiudere la porta dopodiché, finalmente, il silenzio. Prese della biancheria pulita per il giorno successivo e l’appoggiò sul tavolino. Doveva darsi una lavata e poi raggiungere Patty. Quasi si scontrò con Benji. Mentre gli altri uscivano, lui era rimasto silenzioso e immobile appoggiato alla parete.
Lo fissò terrorizzata, il cuore che le martellava nel petto per la paura. Lui la fissava con quel suo solito sorrisetto di scherno, gli occhi scuri che brillavano ironici, le braccia incrociate, la testa leggermente reclinata da un lato. Sembrava soddisfatto di averla colta di sorpresa. Quando parlò, la sua voce bassa sembrò riempire la stanza.
-Perché mi guardi così? Hai visto qualcosa di tuo gradimento?-
-Mi hai spaventata! Che ci fai ancora qui?-
Entrambi dimenticarono che Philip e Jenny dormivano qualche metro più in là.
-Sono rimasto per parlare.-
-Di cosa? Io non ho niente da dirti.-
-Be’ io sì e approfitto del fatto che per una volta siamo riusciti a liberarci di tutti, compreso il tuo noioso fidanzato.-
-Io non mi sono liberata proprio di nessuno.-
-Puoi metterla così, se preferisci. Tanto il risultato non cambia.-
Amy si lanciò un’occhiata alle spalle, nel suo campo visivo entrò solo il letto con Philip e Jenny che dormivano. Avrebbe voluto che Benji se ne andasse, che non fosse lì in quel momento. Che il pavimento si aprisse e lui venisse risucchiato al piano di sotto. Lo guardò intimorita perché la sua semplice presenza era sufficiente a metterla in ansia. Non sapeva come affrontarlo, non voleva ascoltare ciò che lui aveva da dirle, che sarebbe stato condito dalla sua solita e immancabile ironia. Ma ormai era troppo tardi. Nonostante avesse cercato di evitarlo il più possibile, lui si era dimostrato più furbo.
-Se devi parlarmi, allora fai in fretta così possiamo andare a dormire. Patty mi sta aspettando.-
-È questo che ti insegnano all’università? Come creare problemi e lasciare agli altri il compito di risolverli?-
-Io non creo proprio niente! Ho semplicemente sbagliato a telefonarti! Non puoi neppure immaginare quanto mi sia pentita di averlo fatto!-
-Ed è giusto così. Non avresti dovuto chiamarmi, tanto più che Ross non avrà apprezzato.-
La voce le uscì stentata, le pesò ammetterlo.
-Julian non lo sapeva.-
-Mi hai telefonato di nascosto?- Benji accennò un sorrisetto che si accentuò quando si accorse che gli occhi della giovane brillavano di fastidio.
-Non gli dico tutto quello che faccio!-
-Davvero? Pensavo di sì. Ero sicuro che gli chiedessi il permesso per ogni cosa, persino per parlarmi.-
Amy fremette di stizza ma si sforzò di tenere bassa la voce.
-Ti ho già detto una volta che i miei rapporti con Julian non devono interessarti.-
-Hai ragione, me lo ricordo.- Benji appoggiò le spalle alla porta. Finché non si fossero chiariti non le avrebbe permesso di filarsela.
Lei se ne accorse.
-Lasciami passare.-
-Non abbiamo finito.-
-Per me sì.-
-E invece no.-
Amy lo fissò. Dio quant’era snervante. Tacque, aspettò che parlasse e lui lo fece.
-Da quando sei arrivata a Torino mi stai evitando. Ce l’hai con me?-
-Veramente sei tu ad avercela con me!-
-Io?-
-Sì, tu.- Amy lasciò uscire tutto il dispiacere che si portava dietro da giorni -Non ricordi quello che mi hai detto al telefono?-
-Veramente non molto.-
-Mi hai assalita, mi hai riattaccato in faccia…-
-Può darsi. Non ero molto lucido, quella sera. Stavo cercando di procurarmi un'amnesia.-
-Eri ubriaco.-
Il ragazzo sorrise di nuovo, stavolta più apertamente.
-Probabile, è uno degli effetti della cura. Adesso che sei riuscita a dare a me la colpa di tutto, smetterai di evitarmi?-
-Ti dà fastidio che lo faccia?-
Gli occhi del giovane si socchiusero.
-Immensamente. Detesto far contento Ross.-
Amy non riuscì a non sorridere mentre Benji finalmente si scostava e apriva la porta. Nel corridoio si augurarono la buonanotte.
   
 
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