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Autore: Mari Lace    16/04/2018    6 recensioni
[Seconda classificata al contest Betrayment and infidelity indetto da Skyfall16 sul forum di EFP]
Aoko scopre il segreto di Kaito e reagisce male; passano gli anni, i due costruiscono una relazione ma hanno non pochi problemi.
Cosa succederà quando Kaito rincontra una vecchia conoscenza..?
Non la sentiva da tempo, ma capì subito a chi apparteneva.
«Non saluti, Kuroba Kaito?» mormorò la ragazza seduta accanto a lui. Anche senza vederla, Kaito seppe che stava sorridendo. Non si voltò.
«Potrei anche offendermi», continuò lei. Con la coda dell’occhio la vide sorseggiare un drink dall’inquietante colore rosso. Lo fece pensare al sangue… ma forse era solo suggestione.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akako Koizumi, Aoko Nakamori, Kaito Kuroba/Kaito Kid, Saguru Hakuba
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ci vogliono anni per costruire la fiducia, secondi per romperla ed un’eternità per ripararla.

 

Lui e Aoko erano stati inseparabili sin dal loro primo incontro. Migliori amici per anni, anche quando lui avrebbe voluto diventare qualcosa di più.

Ma quando aveva scoperto il segreto di suo padre e aveva scelto di assumersene il peso indossando il mantello di Kid, non ne aveva fatto parola con lei.

Era diventato un ladro, un ladro che lei odiava.

Aveva mille ragioni per non dirglielo, ma nessuna di queste teneva conto dei suoi sentimenti.

Durante l’ultimo anno del liceo Aoko l’aveva scoperto.

Kaito, il suo migliore amico, la persona di cui più si fidasse al mondo… le aveva mentito continuamente per due anni. Aveva preso in giro lei e suo padre.

Ma soprattutto, ed era questo a ferirla di più, non si era fidato di lei.

Lei, dal canto suo, si era fidata anche troppo.

Il loro rapporto andò in pezzi, Aoko non riusciva neanche più a guardarlo. Tuttavia, e questo stupì molto Kaito, lei non lo denunciò.

Mantenne il segreto che lui non aveva voluto confidarle, anche se non era tenuta a farlo.

Lo fece perché nonostante lui l’avesse tradita, nonostante nessuno l’avesse mai fatta soffrire in quel modo prima, Aoko non poteva impedirsi di amare Kaito. Era un amore fraterno, o forse qualcosa di anche più forte; fatto sta che l’idea di averlo in prigione, di avercelo a causa sua, la faceva star male quasi quanto il suo essere Kaito Kid.

 

«Oi, Kuroba. Ci sei stasera?»

Kaito alzò, infastidito, lo sguardo dallo schermo del suo pc.

Aveva lasciato i panni di Kid da ormai sette anni. L’aveva fatto per Aoko. Aveva sperato di riconquistare la sua fiducia in quel modo.

Non era stato facile, ma dopo un po’ di tempo lei aveva ricominciato a parlargli. Gli aveva dato una possibilità.

Voleva redimerlo, Kaito questo l’aveva capito. Ma aveva capito anche che le cose non sarebbero mai tornate come prima; lo sguardo della ragazza era diverso ora, più disilluso, e pensare che la colpa era unicamente sua lo faceva impazzire.

Si adattò a quella situazione, però. Sapeva che non avrebbe mai amato qualcuno come aveva amato Aoko, come anche allora l’amava.

Per il suo perdono, però, la ragazza aveva posto una condizione.

Kaito doveva entrare nella polizia: quella sarebbe stata la sua redenzione.

Lui non aveva osato opporsi, dopo la laurea aveva dato gli esami necessari ed era entrato nelle forze dell’ordine.

Non era stato l’unico, sfortunatamente. Si era ritrovato Saguru Hakuba come collega; nonostante quest’ultimo non gli desse più la caccia da anni, la sua voce restava nell’elenco di cose che più l’infastidiva.

Quindi ora anche quella semplice domanda, “ci sei stasera?”, pronunciata da lui lo mise di cattivo umore.

«Ci sono dove?» chiese, non realmente interessato. Non aveva certo intenzione di andare in un posto dove sapeva con certezza di trovare Hakuba.

«Al raduno con la classe del liceo» spiegò Saguru pazientemente. «Non ti è arrivata la mail? L’appuntamento è stasera alle 21, dopo cena. Beviamo qualcosa e ci raccontiamo le novità degli ultimi anni».

La mail forse gli era anche arrivata, ma o non l’aveva letta o l’aveva presto dimenticata. Non rispose al collega, ma lui insisté.

«Ti farebbe bene», disse; suonava sinceramente preoccupato. «Sei sempre giù, Kuroba. Sembra che tu ti spenga ogni giorno di più. È così da quando…» lì Hakuba si interruppe. Forse aveva notato qualcosa nell’espressione di Kaito – il ragazzo non si preoccupava nemmeno più di mantenere la sua proverbiale poker face. Non voleva parlare dei suoi problemi, sicuramente non con il detective di Londra.

«Insomma, pensaci» concluse Saguru, prima di uscire e lasciarlo finalmente solo.

L’ex ladro del chiaro di luna tornò a lavorare sul pc. Da quando Hakuba si preoccupava dei suoi affari?

Da sempre, a ripensarci, ma sui suoi affari di cuore non aveva mai osato metter bocca. Mai prima d’allora, almeno.

Aveva ragione, comunque.

Sapeva benissimo cos’avrebbe voluto dire il detective. “Da quando hai smesso di essere Kid”, o “da quando sei entrato a lavorare qui”.

Il problema non era il lavoro in sé. Non capiva nemmeno lui quale fosse esattamente il problema, sapeva solo come si sentiva. Oppresso.

Aveva intrapreso una carriera che da solo non avrebbe scelto, e l’aveva fatto per Aoko.

Loro due vivevano insieme da tre anni.

L’amava e sapeva di esserne ricambiato.

Allora perché..?

Perché si sentiva così dannatamente oppresso?

Perché anche dopo tutti quegli anni loro due non riuscivano ad essere sereni insieme, non completamente?

Non stavano male; i momenti migliori della sua vita Kaito li aveva passati tutti con Aoko.

Tutti, tranne quelli da Kaito Kid…

Sì, bravo, rimpiangi l’errore che ti ha rovinato la vita, pensò amaramente.

La verità era che nessuno dei due era riuscito a seppellire il passato.

Non lui, che a volte ancora si tormentava per aver semplicemente lasciato perdere. L’aveva fatto per un buon motivo, o così si diceva, ma questo non cambiava che si fosse arreso. Non aveva più saputo nulla degli assassini di suo padre, aveva rinunciato per stare vicino ad Aoko, per cercare di vivere il presente. Ma era rimasto inesorabilmente incatenato al suo passato.

Né l’aveva dimenticato lei. Si sforzava di non farglielo pesare troppo, voleva davvero credere al suo cambiamento, ma la delusione era stata troppo forte per poterla ignorare. Non riusciva a fidarsi completamente di Kaito, tendeva a controllarlo, anche senza rendersene conto. Se lui diceva d’essere stato, ad esempio, ad indagare da qualche parte con Hakuba, vedendo quest’ultimo le veniva istintivo chiedergliene conferma.

Non era tanto questo comportamento a ferire Kaito, comunque. Era il suo sguardo.

Nel suo sguardo leggeva sempre – a volte più chiaramente di altre, ma in profondità era sempre lì – un tacito rimprovero. Come se Aoko volesse dirgli che era solo colpa sua se aveva sofferto, se era cambiata in quel modo. Se aveva dovuto mentire a suo padre per coprirlo.

Anche quando l’aveva appena scoperto, Aoko quell’accusa non gliel’aveva mai mossa – non esplicitamente.

Ma lui sapeva di averla fatta soffrire, e i suoi occhi glielo ricordavano ogni volta.

Non era in grado di guardare la donna che amava negli occhi senza sentirsi tremendamente in colpa.

Di affrontare l’argomento apertamente, del resto, non se ne parlava nemmeno.

Era diventato una specie di tabù per loro; che c’era da dire, d’altra parte? Andava bene così.

 

Tornato a casa dopo il lavoro, Kaito non trovò Aoko ad attenderlo.

Un bigliettino attaccato al frigo con un magnete l’informò che era andata a trovare suo padre.

Ricordò che l’ispettore stava male, si era preso un’influenza o qualcosa del genere. Probabilmente la figlia era andata a preparargli la cena.

Era da solo, quindi.

Guardò i fornelli svogliato. Già normalmente non sprizzava gioia, quel giorno poi la mezza predica di Hakuba gli aveva completamente affossato l’umore.

Infilò nuovamente la giacca, e – dopo nemmeno dieci minuti che era rientrato – uscì.

Voleva fare due passi, distrarsi; tutto, pur di non restare a casa solo con i suoi pensieri.

Girò per un paio d’ore. Se gli avessero chiesto dov’era stato non avrebbe saputo rispondere.

Tornando a casa vide un ragazzo e una ragazza dall’altra parte della strada, a pochi metri da lui. Scherzavano e ridevano, sembravano ignari di tutto ciò che succedeva intorno a loro. Sembravano felici.

Gli ricordarono lui e Aoko com’erano una volta, prima che…

Scosse violentemente la testa e girò su una stradina poco frequentata. Avrebbe fatto un altro giro, già che c’era.

Non si accorse di aver raggiunto Il gatto blu, il pub dove la sua classe teneva i raduni da anni, finché non vi si trovò davanti. E allora era già troppo tardi.

«Guarda chi c’è! Kuroba!» sentì esclamare alle sue spalle. Oh no.

Essere circondato fu questione di secondi.

«Non ti vedevo da una vita!»

«Non vieni mai! Sei così impegnato?»

«Che combini ultimamente, Kuroba? E Nakamori come sta?»

Tutte quelle domande gli fecero girare la testa. Riuscì a sfoggiare un sorriso abbastanza realistico e rispose a qualcuno, desiderando solo d’essere lasciato in pace.

Non vedeva alcuni di loro da anni… ma non poteva dire che gli importasse.

Un po’ in disparte dal gruppetto che gli si era formato intorno distinse Hakuba. Quando quest’ultimo lo vide, sorrise. Un sorriso vero, diverso dal suo, che a quella vista s’incrinò.

Voltò le spalle a Saguru e disse che andava a prendersi qualcosa da bere. Entrò nel pub.

Nessuno lo seguì dentro; probabilmente pensavano che, una volta ordinato, li avrebbe raggiunti ai tavolini fuori. Lui, invece, si sedette al bancone.

Quella giornata continuava a peggiorare, aveva dell’incredibile.

Mandò giù la birra in un unico sorso, cercando conforto nell’alcool.

Posò il bicchiere e sorrise amareggiato. Si era fatto tardi, Aoko con tutta probabilità era rientrata. Chissà cos’avrebbe pensato non vedendolo; lui non le aveva lasciato alcun biglietto.

Sospirò, immaginandosela chiamare Keiko per confermare la sua versione, quando le avesse detto dov’era stato. Ordinò un’altra birra e tirò fuori il cellulare. Sarebbe stato meglio avvisarla.

Il barista gli passò la birra, lui stava per passargli i soldi ma qualcuno lo anticipò. «Offro io», annunciò una voce.

Non la sentiva da tempo, ma capì subito a chi apparteneva.

Può andare peggio di così?

«Non saluti, Kuroba Kaito?» mormorò la ragazza seduta accanto a lui. Anche senza vederla, Kaito seppe che stava sorridendo. Non si voltò.

«Potrei anche offendermi», continuò lei. Con la coda dell’occhio la vide sorseggiare un drink dall’inquietante colore rosso. Lo fece pensare al sangue… ma forse era solo suggestione.

Non aveva ricordi proprio piacevoli legati ad Akako Koizumi, l’unica persona dotata di vera magia che conoscesse.

Nonché una psicopatica che aveva tentato per anni di conquistarlo – o meglio, asservirlo.

«Che vuoi, Akako?» le chiese, girandosi finalmente verso di lei.

Era diventata veramente bella, in quegli ultimi anni. Lo era sempre stata, ma adesso aveva un’aria più matura e sensuale. Non c’era da meravigliarsi che cadessero tutti ai suoi piedi.

Il suo sorriso divenne più sottile. «Voglio scambiare due chiacchiere con un vecchio compagno», disse. «C’è qualcosa di sbagliato?»

«Non ho né il tempo né la voglia di stare ai tuoi giochetti» chiarì lui seccato. Vuotò in pochi secondi anche il nuovo bicchiere.

«Non so di che giochetti parli», ribatté lei tranquilla. Finì il suo drink e l’osservò come se volesse mangiarselo. «Perché sei qui? Ti si legge in faccia che preferiresti essere da tutt’altra parte».

«Questi non sono affari che ti riguardino».

Akako rise, una risata inquietante ma allo stesso tempo… attraente?

Rendendosi conto dell’assurdità di quel pensiero, Kaito considerò che forse prendere due birre a stomaco vuoto non era stata un’idea proprio brillante.

«Hai litigato con Nakamori?»

Kaito s’irrigidì. «No. Stanne fuori» le ordinò. L’ultima cosa che voleva era che la strega si immischiasse nella vita di Aoko. Avevano già abbastanza problemi senza il suo contributo.

Akako avvicinò il suo volto a quello del ragazzo. «Ma guarda, sembra ci abbia preso…»

Vedendo il cipiglio minaccioso di Kaito si allontanò e rise ancora.

«Puoi stare tranquillo, non la toccherò» disse, ma per qualche motivo il ragazzo non si sentì affatto rassicurato.

Si alzò. «Mi gira la testa», mormorò, senza sapere bene perché. Non le doveva una spiegazione.

«Non sapevo non reggessi l’alcool. Ti aiuto», disse Akako, alzandosi a sua volta. Lo prese per un braccio e lo aiutò ad uscire dal locale senza che lui potesse opporsi. Non che ci fosse niente di male.

Una volta fuori quasi tutti i loro ex compagni si voltarono a guardarli.

Iniziarono a bisbigliare, ma Kaito non poteva sentire cosa dicevano.

«Kuroba? Che hai, stai male?»

Kaito prima avvertì il fastidio, poi identificò chi aveva parlato con Hakuba.

«Non sono affari tuoi» rispose brusco. Perché si sentivano tutti in dovere d’intromettersi nella sua vita?

«Voglio solo aiutarti».

«Be’, non farlo» ribatté. «Sul serio, l’ultima cosa che voglio è il tuo aiuto» affermò. Non avrebbe saputo dire che ruolo giocasse l’alcool in quell’affermazione, ma dopo averlo detto si sentì soddisfatto.

Saguru stava forse per aggiungere qualcosa, ma Akako lo anticipò.

«Hai sentito, no? Kaito non vuole il tuo aiuto» rimarcò. «Vieni Kuroba, ti porto via da qui» disse, trascinandolo via per un braccio.

Lui la lasciò fare, forse perché voleva allontanarsi dal detective, forse per l’alcool. Forse per un altro motivo ancora. Non lo sapeva, e non lo seppe neanche dopo. Era successo e basta.

Akako lo portò a casa sua e lui semplicemente la seguì.

Con lei era facile; l’aveva respinta talmente tante volte che aveva perso il conto, eppure non si stancava mai di cercarlo. In più di un’occasione l’aveva anche aiutato – non le aveva chiesto di farlo, ma in fondo le era grato. L’infastidiva molto meno di Hakuba, nonostante tutti i problemi che gli aveva dato con i suoi strampalati piani per sedurlo.

Negli ultimi sei anni non ci aveva mai provato, comunque.

Perché con Aoko non era così facile?

In fondo, aveva commesso un solo errore nei suoi confronti…

«Sembri stanco, Kuroba. Andiamo a letto?» propose Akako, un sorriso malizioso sulle labbra.

Quella proposta non lo stupì particolarmente.

Ciò che lo stupì, invece, fu scoprirsi a rispondere di sì. Lo voleva, si rese conto.

Voleva stare con Akako, passare una notte senza problemi e sensi di colpa

Era stanco, troppo per pensare. Si sentiva la testa pesante.

Si diresse verso il letto e quel che accadde dopo, semplicemente, successe.

 

Kaito si svegliò in un letto che non era il suo, ma non se ne accorse immediatamente.

Aveva un’emicrania lancinante. Si tirò su, sedendo con la schiena appoggiata al cuscino.

Quando realizzò dove si trovava sbiancò. Che diamine ho fatto…

I ricordi della sera prima erano piuttosto fumosi, ma un’immagine piuttosto ricorrente c’era, e non lo rassicurava per nulla.

Il volto sorridente e vittorioso di Akako.

Trovarsi in un letto che non conosceva con indosso solo un paio di boxer non lo rassicurò affatto.

Uscì dal letto in preda al panico e per poco non svenne, colto da un giramento di testa. Si era alzato troppo bruscamente. Si riappoggiò al letto. Non appena ebbe recuperato un po’ di lucidità, vide i suoi vestiti ammucchiati sul pavimento e si affrettò a recuperarli.

«Ben svegliato» in cucina lo accolse Akako. La sua espressione soddisfatta era fin troppo chiara; Kaito non chiese nulla.

«Dovresti mangiare, se non vuoi svenire in mezzo ad una strada. Ieri non hai cenato».

«Devo tornare da Aoko» disse, allacciandosi la giacca. Riusciva ad immaginare fin troppo bene l’espressione con cui lei l’avrebbe accolto a casa. Ammesso che lo facesse entrare.

«Per farti rimettere il collare?» il bel volto dell’ex compagna fu deformato da una smorfia.

Lui non rispose, ma quella domanda lo ferì. Suonava spaventosamente corretta. Aprì la porta.

«Ti preferivo quand’eri Kid», scandì la strega. «Anche se allora non ti saresti mai concesso a me».

Anch’io, gli suggerì il cervello a tradimento. Strinse le labbra. «Addio, Akako».

Lei non lo fermò; Kaito aspettò di essere in strada per sospirare di sollievo. Non sapeva se avrebbe potuto resistere ad un approccio più insistente.

I ricordi della sera prima, sebbene un po’ confusi, iniziavano a tornargli. Sentì vivida l’eccitazione che aveva provato, ricordò come si era sentito nel dominare la ragazza.

Si era sentito libero e potente come non gli capitava ormai da molto. Da troppo, probabilmente.

Come dubitava di potersi sentire con Aoko. Provò ribrezzo per sé stesso.

Era giusto così, era la sua punizione. Doveva, voleva scontarla.

Allora perché si era lasciato sedurre da Akako..? Dare la colpa all’alcool era ridicolo, aveva bevuto solo due birre. Sicuramente i suoi freni inibitori avevano allentato la presa, ma Kaito si rese conto che il rapporto con la strega lui l’aveva realmente voluto. L’aveva fatto sentire bene.

Si sarebbe preso a schiaffi, ma nulla poteva cambiare quel fatto.

Ho tradito Aoko… e l’ho fatto consciamente.
















NdA

Ciao a tutti!
Questa storia, scritta per un contest, sul mio pc è già completa. Sono 3 capitoli in tutto, il terzo è una sorta di epilogo più che un capitolo vero e proprio.
Penso di postare il secondo venerdì.
Che dite..? Come reagirà Aoko?
Tra parentesi, io amo questi due. Mi dispiace averli messi in questa situazione, ma... di necessità virtù (?). E vabbè.
Se mi lasciate un parere vi sarò davvero grata <3

Mari
  
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