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Autore: Civaghina    17/04/2018    1 recensioni
Com'era la vita di Leo, prima della terribile scoperta della Bestia?
Com'è cambiata la sua vita quando si è trovato davanti ad una verità così devastante?
La storia di Leo prima di Braccialetti Rossi, ma anche durante e dopo: gioie, dolori, amori, amicizie, passioni, raccontate per lo più in prima persona, sotto forma di diario.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leo, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il padre di Leo (da me battezzato Matteo) è forse uno dei personaggi più controversi e mal giudicati di Braccialetti Rossi; eppure io, quest'uomo, non sono mai riuscita a condannarlo fino in fondo, sebbene abbia sempre dato a Leo tutte le ragioni del caso. Mentre scrivevo questo capitolo, la voce di Matteo è emersa prepotente nella mia testa, ha voluto a tutti i costi raccontarmi come si sta “dall'altra parte”, che abisso di dolore possa essere l'avere appena perso l'amore della tua vita e ritrovarti davanti lo stesso terribile fantasma della malattia che torna, ma che stavolta attacca il tuo bambino. In tre delle sei pagine che vi racconto, l'anima di Matteo la fa da padrone; le altre tre, invece, tornano al nostro protagonista e ci raccontano il suo primo ricovero ospedaliero in assoluto, in previsione del suo primo intervento: l'insofferenza, la forza e i sorrisi ostentati, e l'ingresso in quella che, anche se ancora non lo sa, è destinata a diventare a lungo la sua stanza.


Mercoledì, 27 giugno 2012

Eccoci qua, questa è la tua stanza” mi dice Laura aprendo la porta della stanza numero 2, al primo piano.

La mia stanza.

Non mi piace che l'abbia appena definita così.

Asia entra, mentre io mi prendo ancora un attimo per realizzare che sono davvero qui, che devo restarci per tre giorni, e che domattina sarò in sala operatoria.

Mi decido ad entrare: è parecchio spaziosa, ha il bagno privato, le pareti colorate, due grandi finestre, e due letti, uno vicino alla porta e uno vicino alla finestra, entrambi liberi; appoggio il borsone sul primo letto, e poi mi avvicino ad una finestra per guardare fuori: dà sul parco di ulivi secolari che circonda l'ospedale; è una splendida giornata di sole, ma non eccessivamente calda, e provo l'impellente voglia di uscire da questa stanza, precipitarmi là fuori, e poi correre e correre in mezzo agli alberi, fino a restare senza fiato.

Vado a prendere l'occorrente per il prelievo” mi dice Laura toccandomi su una spalla per richiamare la mia attenzione. “Così dopo puoi fare colazione. Va bene?”; io annuisco, piegando le labbra con disappunto: avrei preferito di gran lunga essere bucato da Ester. “Sotto il comodino c'è il pigiama. La taglia dovrebbe essere giusta, se non va bene dillo che lo cambiamo”; annuisco anche stavolta, mentre lei se ne va, ma non ci penso proprio a mettermi quel pigiama da malato: per quanto mi riguarda, resterò in jeans e maglietta tutto il giorno, e per stanotte ho portato pantaloncini e canotta.

Che fai?” chiedo ad Asia che sta cominciando a disfare il borsone. “Lascia stare.”

Non mi dirai che vuoi farlo tu?!” mi risponde lei, sorridendo un po' stupita.

No, ma starò qui poco, non occorre tirare fuori tutto. Prenderò quello che mi serve quando serve.”

Ma dai, non mi costa niente farlo! Metto tutto nell'armadietto, così sta più in ordine” mi dice lei tirando fuori il beauty con la roba del bagno e un paio di magliette.

Ti ho detto di lasciar stare!” ribadisco alzando la voce, rificcando tutto dentro il borsone e chiudendo la cerniera; non voglio la mia roba in giro per questa stanza, non voglio i miei vestiti nell'armadietto, non voglio sentirmi a casa.

Va bene, scusa” dice lei, richiudendolo bene.

Scusa tu. Ma non ce n'è bisogno. Davvero.”

Ok.”

Anzi, vai pure a casa. È inutile che te ne stai qua tutto il giorno ad appallarti! Torna stasera con papà.”

Ma... come?!” mi chiede lei prendendomi una mano. “Vuoi startene qui da solo?”

Ho la Play, i giga sul cellulare, un paio di Dylan Dog... sono a posto.”

Va bene” sospira Asia rassegnata. “Però aspetto che fai il prelievo, così poi andiamo al bar a fare colazione insieme. A casa ho bevuto solo il caffè, e adesso muoio di fame!”

Ok sorellina” dico sforzandomi di sorriderle.


Accomodati pure, io sono Orietta Greco”.

Orietta è una donna sulla cinquantina, con lo sguardo buono, la voce rauca e il corpo morbido.

Ed è la mia anestesista.

Sono da poco passate le quattro del pomeriggio, ed io sono in giro per l'ospedale dalle otto di stamattina; questa giornata sembra non finire più: dopo aver regalato un altro po' del mio sangue, e aver fatto pipì in un contenitore, è stato il turno della radiografia toracica e dell'elettrocardiogramma; e adesso sono qui, seduto davanti ad Orietta che sta esaminando la mia cartella clinica.

Adesso ti farò alcune domande” mi dice prendendo una scheda pre-compilata dal secondo cassetto della sua scrivania. “È importante che tu risponda sinceramente a tutte, e che non abbia dubbi. D'accordo?”

Sì” annuisco io passandomi una mano tra i capelli.

Sei mai stato sottoposto ad anestesia?”

No.”

Mai? Neanche locale? Neanche dal dentista?”

No. Ho dei denti fantastici, non si vede?” dico sfoggiando uno dei miei migliori sorrisi; non so perché, ma questa donna mi fa sentire a mio agio.

Sì che si vede, perdona la domanda” ride lei barrando la casella NO. “Soffri di qualche malattia cronica?”

No.”

Prendi abitualmente dei farmaci?”

No. Ma da qualche giorno sto prendendo gli antidolorifici.”

Nient'altro?”

No.”

Soffri di qualche allergia?”

No.”

Asma?”

No”; e che palle! Non finiscono più 'ste domande!

Fumi?”

No!”

Sincero...?” mi chiede inclinando un po' la testa di lato.

Ma sì! Giuro!”

Ah già! Non potresti avere dei denti così bianchi, altrimenti!” dice lei strizzando l'occhio, facendomi sorridere. “Assumi stupefacenti?”

Cosa...?!” esclamo trattenendo a stento una risata. “Ma no! Sono stupefacente di mio!”.

Lei sorride, e inserisce la scheda nella mia cartella clinica. “Bene, e questa è fatta. Adesso vieni sul lettino che ti visito. Togli la maglietta”; mi misura la pressione, mi ausculta cuore e polmoni, e poi mi fa stare un sacco di tempo con la bocca aperta per guardarci dentro, tanto che comincia a farmi male la mascella.

Ok, abbiamo finito” dice poi tornando alla scrivania. “Hai il mio lasciapassare per l'intervento.”

Certo che ti sei fissata coi miei denti, eh?!” esclamo rimettendomi la maglietta e raggiungendola. “Sei stata mezzora a guardarli!”; le ho appena dato del tu senza rendermene conto, ma lei non sembra neanche averci fatto caso, e continua a scrivere il referto.

Hai dei denti bellissimi” mi dice sorridendo. “Ma a dire il vero ero più concentrata sulla gola e sull'ugola. Durante l'intervento sarai intubato, ed è importante che io sappia prima se potrebbe risultare difficoltoso, ma nel tuo caso... è tutto a posto”; finisce di scrivere, e infila il foglio col referto nella mia cartella, che sta diventando sempre più piena ogni giorno che passa. “L'intervento è fissato per le nove, quindi verrò nella tua stanza circa tre quarti d'ora prima per la preanestesia, o puntura del coraggio, come la chiamo io! Dovrai essere a digiuno. Puoi fare una bella merenda adesso, ma non cenare. E dalle nove di stasera non bere e non prendere l'antidolorifico. Ti è tutto chiaro?”

Sì... sì.”

Vuoi che te lo scriva?”

No no, mi ricordo tutto”; questa trafila la conosco benissimo, con tutte le volte che mamma è stata operata. “Quanto ci metterò a svegliarmi?”

Direi entro un'ora dalla fine dell'intervento, ma potresti avere sonnolenza o sentirti un po' stordito e confuso per parecchie ore. Potresti avere anche altri effetti indesiderati: nausea, vomito, bocca secca o brividi, ma non è detto. Di sicuro ti farà un po' male la gola, a causa dell'intubazione”; sì, mi ricordo anche tutto questo. “Hai altre domande?”

No.”

Sei sicuro? Vuoi pensarci un attimo?”

No no”; so già tutto quello che c'è da sapere: devo digiunare, domattina mi addormentano, mi prendono un pezzo d'osso, mi richiudono, e mi sveglierò dopo circa un'ora, rincoglionito, col mal di gola, e forse starò di merda.

Ho bisogno che uno dei tuoi genitori mi firmi il consenso informato. C'è qualcuno nei paraggi?”

Verso le sette e mezza viene mio padre.”

Bene, quando arriva mandalo da me. Ci vediamo domani, Mister Sorriso!”.


La mano di Matteo trema leggermente, mentre appone la prima firma, su quel foglio di cui conosce ormai a memoria tutto quello che c'è scritto: ha accompagnato Irene a ogni singola visita con l'anestesista, e lo ha riletto attentamente ogni singola volta, mentre lei invece lo scorreva velocemente e firmava in fretta, come a volersene liberare; lui no, lui lo leggeva meticolosamente, anche se sapeva tutto, e ogni volta c'era quella frase che lo faceva rabbrividire più delle altre: “RISCHI/INCONVENIENTI ragionevolmente prevedibili per la persona”; quella frase lo ha sempre destabilizzato, e la parola “ragionevolmente” messa accanto a quei “rischi” ed “inconvenienti” scritti in maiuscolo, come se fossero urlati, ancora di più. Cosa sia un rischio ragionevole, lui non lo ha mai capito fino in fondo; razionalmente ha sempre cercato di darvi un senso, ma emotivamente è una cosa che non è mai riuscito ad elaborare; per fortuna c'era Irene e il suo piglio deciso, che non ha mai tentennato davanti a niente, e che firmava senza rimuginarci troppo.

Ma adesso è diverso: adesso tocca a lui firmare, e quella biro nera gli sembra pesi una tonnellata; scorre il foglio, disorientato, in cerca del posto dove deve firmare: ha la vista annebbiata e l'ha riperso per l'ennesima volta.

Lì...” gli indica col dito la dottoressa Greco, che dev'essersi accorta che è in difficoltà; e lui si chiede com'è possibile che gli sia sfuggito così tante volte: quel FIRMA DEL GENITORE è scritto in maiuscolo e in grassetto, non si può certo sbagliare; tentenna ancora, poi firma, ripetendosi che è per il bene di Leo, anche se è così terrorizzato dall'esito di quest'intervento che quasi quasi preferirebbe non sapere niente; vorrebbe non doversene occupare, vorrebbe non doversene preoccupare, tenere lontani tutti i brutti pensieri, i pensieri agghiaccianti; vorrebbe che ci fosse qui Irene a firmare al posto suo.

IN CASO DI MINORE: Il/la sottoscritto/a padre/madre dichiara di esercitare la potestà genitoriale e che l’altro genitore è informato: questo è ciò che c'è scritto sotto la firma che ha appena messo. “Mia...” dice con voce tremante mentre solleva lo sguardo dal foglio. “Mia moglie non c'è più”.

La dottoressa annuisce leggermente e accenna un sorriso comprensivo, poi gli indica l'altro spazio dove mettere la seconda firma, e lui lo fa, sentendosi contemporaneamente più pesante e più leggero; è una sensazione alienante. Le porge il foglio e lei firma a sua volta, per poi metterlo via.

Ha qualche domanda da pormi?” gli chiede mentre lui non fa che rigirarsi la fede al dito.

No, ho già parlato con la dottoressa Lisandri”; e tutto il resto lo conosce: lo stordimento al risveglio dall'anestesia, i possibili effetti collaterali, l'attesa del referto che sembra sempre eterna. “Posso andare?” le domanda deglutendo, con la voce che trema ancora.

Certo. Mister Sorriso la sta aspettando?”

Prego...?”.

La dottoressa sorride: “Suo figlio. Mi piace dare soprannomi ai pazienti”.

Lui accenna un sorriso, anche se avrebbe voglia di piangere, mentre pensa che questa donna ha trovato a primo colpo il soprannome perfetto per Leo. “Ah, sì...”

Mi stia a sentire però: vada a prendere una boccata d'aria prima di andare da lui, e provi a rilassarsi un attimo. Se si fa vedere così nervoso, di sicuro non lo aiuta”.

Matteo abbassa lo sguardo, un po' imbarazzato per non essere riuscito a nascondere la sua agitazione, poi si alza in piedi e le porge la mano: “D'accordo, grazie.”

Il suo ragazzo è forte” gli dice lei mentre gliela stringe. “Vedrà che andrà bene”.

Vedrai che andrà bene: la frase che gli ripeteva sempre Irene prima di entrare in sala operatoria; sorride, per quella coincidenza, e si augura che sia davvero così: che vada tutto bene; a dire il vero, non è questo che lo spaventa di più: non è l'intervento in sé, quanto il referto; anche se all'idea di vedere Leo pallido, con quello squallido camice e la flebo attaccata al braccio, gli si stringe il petto in una morsa dolorosa.

Arrivederci” dice lasciando andare la mano della dottoressa e avviandosi verso la porta; forse la dottoressa ha ragione, e lui dovrebbe farsi un giro prima di andare da Leo, ma non ce la fa ad aspettare: deve vederlo subito.

Lo trova seduto sul letto, con le gambe incrociate, intento a giocare alla Play, mentre Asia raccoglie l'accappatoio che lui ha abbandonato sul pavimento, dopo essersi fatto la doccia; la veneziana del vetro che dalla stanza dà sul corridoio è sollevata, e Matteo resta ad osservarlo per qualche secondo prima di entrare: non sembra turbato dal trovarsi lì, sembra il solito Leo, se non fosse per quel braccialetto bianco che gli hanno messo al polso; quello con scritti sopra i suoi dati. Non si vedono da ieri sera: stamattina lui è uscito alle 6 per andare in caserma a sbrigare del lavoro d'ufficio, dato che ha chiesto un giorno di permesso per domani, e Leo a quell'ora dormiva ancora; è rimasto tutto il giorno in ospedale da solo, rifiutando la compagnia di Asia, e da solo ha affrontato il suo primo giorno d'ospedale, e le varie visite e i vari esami preoperatori; è forte e risoluto proprio come sua madre; com'era sua madre, gli ricorda una vocina nella sua testa, provocandogli un magone che cerca di farsi passare alla svelta; proprio non ce la fa a pensare ad Irene al passato: è inconcepibile; ed è inconcepibile pensare che anche Leo potrebbe essersi ammalato.


Poche ore prima di morire, quando ancora nessuno poteva sapere come la situazione sarebbe precipitata in fretta, Irene gli aveva telefonato; era insolito, perché si erano lasciati poco più di un'ora prima; lui aveva accompagnato Leo alla festa, aveva cenato con Asia, e poi si era messo sul divano a guardare la tv; il suono del telefono lo aveva fatto sobbalzare, e si era sentito subito sollevato quando aveva visto che era il numero di Irene e non dell'ospedale.

Ciao!” aveva risposto con tono sorpreso. “Come mai questa chiamata? Tutto bene?”

Sì sì, signor Paranoia” aveva detto lei, e lui l'aveva immaginata con un bellissimo sorriso. “Volevo ricordarti di portare Leo dalla Lisandri, domani pomeriggio. Alle tre.”

Ma sì, me lo ricordo” l'aveva rassicurata lui, anche se in realtà se lo era già dimenticato.

Mi raccomando! Mi preoccupa un po' quella gamba.”

Sì, stai tranquilla... non me lo scordo. Per sicurezza però ricordamelo anche domani!”; lei aveva riso e poi si erano dati la buonanotte.

Ma più o meno due ore dopo Irene era morta, e quell'appuntamento era stato completamente dimenticato; il giorno dopo Leo non lo aveva quasi visto, e la mattina del funerale aveva sottovalutato la sua inappetenza, anche quando si era accorto che scottava di febbre, anche quando erano rientrati, e a pranzo lui aveva toccato appena il cibo e se n'era andato subito a letto; e gli era pure parso che zoppicasse un po', ma era come se non lo avesse visto davvero, come quelle cose che intravedi ma che il tuo cervello non registra immediatamente.

Ed era passato un altro giorno, e lui era andato a lavorare, perché restarsene a casa sarebbe stato intollerabile, e durante una pausa aveva letto il messaggio di Asia che gli diceva che stava accompagnando Leo in ospedale, perché la gamba era peggiorata molto e sembrava anche che avesse la febbre alta; e nemmeno lì si era allarmato, nemmeno quando aveva saputo che la Lisandri aveva richiesto una radiografia e degli esami del sangue. Eppure, quando si è trattato dei suoi figli, lui è sempre andato in ansia alle prime linee di febbre, al primo accenno di mal di testa o di tosse; e se, tutte le volte che è successo da quando sono nati, non ci fosse stata Irene a prenderlo in giro e a dirgli di piantarla, lui si sarebbe sempre precipitato dal dottore, pure in piena notte. Ma stavolta, con Leo, era come stato cieco; lo aveva accompagnato a fare gli esami, anche se aveva aspettato fuori (Leo gli aveva chiesto così, e lui non se l'era fatto dire due volte: era troppo angosciato dal ritrovarsi di nuovo in ospedale), ma ancora non si era davvero preoccupato; evitava di pensarci e, quelle volte che gli veniva in mente, si diceva che di sicuro era un'infiammazione, dovuta ad un movimento sbagliato che Leo nemmeno si ricordava di aver fatto. Quando però l'ospedale aveva chiamato per dire che i referti erano pronti, l'ansia l'aveva posseduto in modo improvviso e incontrollato e più avanzava, accanto a Leo, verso lo studio della Lisandri, più si sentiva mancare il respiro, e la consapevolezza che potesse trattarsi di qualcosa di serio lo aveva sopraffatto; anche quella volta lo aveva aspettato fuori, perché Leo gli aveva chiesto così, e perché fuori lui sperava di rimanerci il più a lungo possibile: fuori da quell'angoscia, fuori da quella paura, fuori da quel panico che aveva appena smesso di provare per Irene. Era rimasto fuori da quella porta, passeggiando nervosamente avanti e indietro per il corridoio per parecchi, interminabili, minuti, e poi la voce di Leo, forte e straziante, gli era arrivata addosso come una valanga; non era riuscito a capire cosa stesse dicendo ma, quel che era certo, era che stava urlando e che stava piangendo; era rimasto paralizzato per qualche secondo, poi aveva bussato alla porta dello studio ed era entrato senza aspettare il permesso; aveva incrociato lo sguardo di Leo, si era inginocchiato davanti a lui, gli aveva chiesto cosa stesse succedendo, ma Leo piangeva e basta, senza riuscire a rispondergli; si era allora girato verso la dottoressa, con il cuore praticamente in gola, e aveva rivolto a lei la stessa domanda.

Si accomodi” aveva risposto lei, senza apparire per nulla turbata dal pianto lacerante di Leo. “Le spiego tutto”; ma mentre stava per alzarsi dal pavimento, Leo gli si era avventato addosso, stringendolo forte, trattenendolo, bagnandogli il collo e la camicia di lacrime.

C'era voluto parecchio tempo, prima che Leo si calmasse e, ogni secondo che passava, lui si sentiva sprofondare sempre più dentro quell'angoscia, quella paura e quel panico che aveva cercato in tutti i modi di evitare; finalmente Leo aveva smesso di piangere e il suo respiro si era acquietato; si era sciolto dall'abbraccio e aveva preso un paio di fazzoletti dalla scatola che c'era sopra la scrivania, si era asciugato gli occhi e il viso, si era soffiato il naso, e poi l'aveva guardato annuendo, come a dargli il permesso di alzarsi. Matteo si era alzato, e si era accomodato nella sedia accanto a lui, mentre la dottoressa chiedeva a Leo se volesse un po' d'acqua, e lui rifiutava; poi, col tono di voce più fermo e pacato possibile, la Lisandri gli aveva detto che occorreva fare altri accertamenti, più approfonditi, e che temevano si potesse trattare di un tumore alla tibia; e quel punto, l'angoscia, la paura e il panico, lo avevano risucchiato e assorbito totalmente, senza via d'uscita. Neanche gli altri accertamenti erano serviti ad escludere quella spaventosa ipotesi, e due giorni fa si era ritrovato davanti al dottor Abele, il chirurgo ortopedico che aveva operato Irene miriadi di volte, a sentirsi dire che si rendeva necessaria una biopsia ossea, a cielo aperto, in anestesia generale; e questo era stato troppo; è ancora così vivo il ricordo di tutto quello che ha passato Irene, di tutto il suo dolore, della sua strenue lotta che lui ha combattuto al suo fianco e che alla fine si è rivelata inutile, che non può proprio accettare di dover ricominciare tutto.

Di nuovo.

Con Leo.

Preferirebbe morire piuttosto che rivivere l'angoscia degli ultimi due anni.

Preferirebbe morire piuttosto che vedere Leo passare quello che ha passato Irene: perdere le forze e i capelli, vomitare, dimagrire, venire rivoltato come un calzino, analizzato, bucato, tagliato, ricucito; vederlo arrendersi, cadere, rialzarsi, lottare ancora e ancora cadere, e poi ancora alzarsi, ma sempre più debole, anche se con quello sguardo fiero, uguale a sua madre, che lei non ha mai perso, fino alla fine.

Si strofina le mani sulla faccia, come per svegliarsi da quell'orribile incubo che si è prospettato nella sua testa, si asciuga gli occhi con il dorso delle mani, prende un bel respiro, e poi si decide ad entrare.


Ciao papà” dico rispondendo al suo saluto, senza sollevare lo sguardo dalla Play. “Finisco la partita”; di solito brontola, e dice che sono “dipendente da quell'affare”, ma stavolta non dice niente e viene a sedersi sul bordo del letto. “Ecco fatto! Tanto per cambiare ho vinto!”

Tanto per cambiare” ripete lui, facendo un sorriso che a me appare un po' forzato; e, a ben guardare, sembra anche che abbia gli occhi lucidi, come se avesse pianto. “Come va?” mi chiede con voce incerta. “Sei agitato?”

Tutto ok” gli rispondo sfregandomi un occhio. “Sono o non sono il re Leone?!” esclamo sorridendo, allargando le braccia.

Eh... L'ho sentito dire, che sei forte.”

Ah sì?” gli domando con tono divertito. “E chi te l'ha detto?”

Mah..., l'ho sentito in giro...”; mi sorride e, seppure sia un sorriso meno forzato rispetto a quello di prima, mi appare comunque molto malinconico.

Sei già stato dall'anestesista?”

Sì.”

Quindi hai già firmato la mia condanna a morte?”

Smettila” risponde lui con tono serio. “Non puoi sempre scherzare su tutto.”

E chi lo dice?”; lui mi rivolge uno sguardo indulgente e scuote la testa.

Oh, cavolo!” esclama Asia all'improvviso. “Ho dimenticato di scongelare il pesce!”

Ed io di comprare il pane...” aggiunge papà. “Non c'è proprio niente in casa?”

Solo insalata.”

Ormai è tardi per andare al supermercato” dice lui guardando l'orologio. “Passiamo a prendere qualcosa da sporto.”

Oh, grazie eh!” protesto io alzando la voce. “Proprio carini a parlare di cibo davanti a me!”

Oh, scusa!” esclama Asia coprendosi la bocca con la mano, imbarazzata. “Non ci ho proprio riflettuto.”

Eh... ed io sto morendo di fame!” dico sbuffando. “E tra poco non posso neanche più bere”.

Asia si avvicina a me e mi fa una carezza sulla fronte, spostandomi i capelli. “Forza fratellone!”.

Io mi stringo nelle spalle e piego le labbra di lato. “Però quando torno a casa mi prepari un pranzetto coi fiocchi!” esclamo puntando l'indice contro di lei.

Promesso” dice lei dandomi un bacio sulla testa.


Sei proprio sicuro che non vuoi che resti qui con te?” mi chiede Asia, circa un'ora più tardi, mentre lei e papà stanno per andarsene. “C'è anche il letto libero!”

Sì, non ce n'è bisogno.”

Va bene, come vuoi... Ci vediamo domattina, allora” mi dice abbracciandomi, per poi prendere la sua borsa.

Io annuisco e le sorrido; nel frattempo si è avvicinato anche papà, che si china a darmi un bacio sulla fronte: “Non fare tardi.”

No... guardo la partita e poi dormo.”

Tanto si sa già che vince la Spagna!” esclama lui strizzandomi un occhio.

Ha parlato l'esperto!” rido io, prendendolo in giro: lui di calcio non c'ha mai capito niente; stranamente, però, stavolta sono d'accordo con lui.

A domani” mi dice sollevando una mano.

A domani...” mormoro mentre guardo lui ed Asia andare via, sentendomi all'improvviso la persona più sola e triste della terra.


   
 
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