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Autore: Yoshiko    26/04/2018    7 recensioni
È trascorso molto tempo dal viaggio dei ragazzi a Kyoto. Era autunno, la città li aveva accolti nella sua splendida cornice di aceri rossi, promettendo un soggiorno piacevole tra visite ai giardini e ai templi, colloqui per nuovi ingaggi e prove per uno spot televisivo. La spensieratezza di quei giorni si era infranta di colpo e gli strascichi di quei tragici avvenimenti continuano tuttora a segnare le loro vite.
Holly e Patty sono a Barcellona, Benji ad Amburgo, Mark è atterrato in Italia inaspettatamente accompagnato, e il resto del gruppo si trova in Giappone finché un’amichevole contro l’Italia di Salvatore Gentile e Dario Belli li riunisce tutti, ancora una volta.
Rain è il sequel di Leaves che a sua volta è il continuo di Snow. Per capire la storia e seguirne l’andamento è consigliabile avere un po’ di pazienza e cominciare dall’inizio, anche per la presenza di personaggi out of character, già presentati nelle precedenti fanfiction.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Kojiro Hyuga/Mark, Salvatore Gentile, Yoshiko Fujisawa/Jenny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Time'
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Dodicesimo capitolo



Mark si svegliò perché aveva caldo, un gran caldo. Il letto bolliva come l’inferno e il suo pigiama era intriso di sudore. Spostò gli occhi sull’orologio che segnava le cinque. Era distrutto e sentiva assolutamente il bisogno di riposare ancora a lungo. E allora perché aveva già aperto gli occhi? Magari per il fatto che il materasso stava andando a fuoco? Scostò le coperte, si alzò e spalancò la finestra. Il gelo l’avvolse ghiacciandogli i capelli sudati sulle tempie. Respirò a pieni polmoni la brezza della notte e poi si tirò indietro, lasciando arieggiare la stanza. Da fuori proveniva solo un silenzio interrotto sporadicamente dal passaggio di qualche macchina. Richiuse i vetri e tornò verso il letto, tutte le intenzioni di riprendere a dormire. Non poteva permettersi di perdere neppure un minuto di sonno. Si bloccò di colpo. Il chiarore dei lampioni sulla strada tracciò i contorni di un corpo adagiato sul materasso. Gli ci volle il tempo di un sussulto per ricordare che la presenza di Daisy aveva costretto lui e Jenny a spartirsi lo stesso letto. La cosa riprese a non piacergli con più intensità di quanto accadesse durante il giorno. Optò per una capatina in bagno e, nel timore di svegliarla, raggiunse la porta in punta di piedi, attraversando la stanza con lo sguardo fisso sull’amica. Pregò che non lo udisse, che non si voltasse. Non avrebbe sopportato di sentirsi i suoi occhi addosso al ritorno, mentre si infilava sotto le coperte al suo fianco come se fossero una coppia. La sera precedente, pure se erano rientrati tardi, era rimasto a orbitare morto di sonno e di stanchezza finché lei si era addormentata. Solo dopo l’aveva raggiunta. Il bacio del giorno prima era stato un madornale errore che Jenny non gli aveva ancora perdonato. E lui non intendeva in nessun modo peggiorare la situazione. Aveva bisogno di averla alleata per tenere a bada Daisy. Maledetta Farrell! Lo aveva impantanato in una palude di casini!
Mentre percorreva il corridoio per tornare in camera, udì un rumore attutito provenire dalla stanza di Daisy. Trattenne il fiato. Un fascio di luce filtrava da sotto la porta. Il timore di incontrarla lo fece fuggire in camera lesto e silenzioso. Molto meglio Jenny, anche sveglia, di lei. Quando mise piede nella stanza lanciò una nuova occhiata sfuggente all’amica addormentata. Poi scostò le coperte e si rinfilò a letto sbadigliando. Jenny, rannicchiata sull’altro lato, percepì il movimento del materasso ed emise un mugolio di protesta. Mark si irrigidì e strizzò gli occhi, cercando di penetrare il buio.
-Ti ho svegliata?-
Nel silenzio della stanza la sentì voltarsi dalla sua parte, ritirandosi ancor più sotto le coperte.
-Jenny, dormi?-
Nessuna risposta, neppure stavolta. Chiaramente ce l’aveva con lui per il bacio, e forse non solo per quello. Probabilmente anche per ciò che era successo in hotel quella sera, quando era piombato all’improvviso interrompendo ciò che stava succedendo tra lei e Philip. Accese il lume accanto al letto e la guardò. Giaceva supina, gli occhi chiusi, il viso imperlato di sudore e i capelli umidi incollati alla fronte.
-Jenny?- allungò una mano titubante e le sfiorò una guancia con la punta di un dito. La pelle vellutata e calda si incurvò al suo tocco. Lei continuò a restare immobile, non aprì neppure gli occhi. Ma la sentì bollente. Quando le appoggiò tutta la mano sulla fronte, allora Jenny lo guardò. Mark vide brillare le pupille sotto le ciglia scure.
-Stai bene?-
La giovane si volse piano, con un movimento lentissimo, e lo osservò con uno sguardo liquido, offuscato. Impiegò qualche istante a metterlo a fuoco, arrivando persino a chiedersi cosa ci facesse Mark accanto a lei.
-Sento freddo.-
-Non ti starà mica salendo la febbre!- l’eventualità lo atterrì, portandolo quasi a gridare. Ci mancava soltanto che si ammalasse, sarebbe stata la ciliegina sulla torta.
Jenny respirò piano, poi scosse la testa per rassicurarlo con un movimento che le costò una gran fatica. Richiuse gli occhi, esausta.
-è solo stanchezza, domani starò meglio.-
Mark lo sperò con tutto se stesso. Recuperò un’ulteriore trapunta con cui coprirla, spense la luce e si rimise a dormire.
Fu lo scampanellio di una serie di messaggi sul cellulare di Jenny a strapparlo di botto dal sonno e farlo balzare seduto.
-Chi cazzo è a quest’ora?-
Si girò verso l’orologio e gli venne un infarto. Erano le dieci! Merda erano le dieci! Scalciò via le coperte e saltò in piedi. Le dieci! Non era possibile! Perché la sveglia non aveva suonato? Porco mondo! Quel giorno Gamo l’avrebbe ucciso… e Philip, dopo quella merda di bacio e l’inopportuna interruzione della sera precedente, sarebbe stato ben felice di banchettare sui suoi resti.
Era maledettamente tardi! Perché accidenti non aveva suonato, la sveglia? Usando solo una mano si sfilò con un gesto da prestigiatore la maglia del pigiama e saltellando come un equilibrista prima su una gamba poi sull’altra, si tolse anche i pantaloni. Li agganciò con la punta di un piede, si volse mezzo nudo verso il letto e li lanciò sulle coperte. Fu in quel momento che vide Jenny, di cui aveva dimenticato la presenza per la seconda volta nel giro di poche ore. Rimase di sasso, in mutande, di fronte ai suoi occhi che, fortuna per lui, erano ancora chiusi. Corse avanti e indietro per la stanza come un invasato alla ricerca dei pantaloni che aveva indossato il giorno precedente. Pur di coprirsi, anche quelli eleganti del completo sarebbero andati bene. Nel disordine dei propri abiti e di quelli di lei sparpagliati ovunque non riuscì a rintracciarli. Allora, un diavolo per capello, l’urgenza di coprirsi e di uscire di casa il prima possibile, si precipitò verso l’armadio, spalancò l’anta e tirò fuori un fascio di vestiti. Vennero via alla rinfusa, più di quanti gliene servissero. Ributtò dentro un groviglio di felpe, magliette e maglioni. Indossò in fretta e furia i jeans lanciando occhiate ansiose a Jenny, che nonostante il trambusto, continuava a dormire. Si allacciò i pantaloni, le andò accanto e le mise una mano sulla fronte.  
Gli sembrò addirittura più calda di prima. Merda, non ci voleva. Jenny aveva davvero la febbre. Cosa poteva fare? Cosa doveva fare? Fremette d’indecisione. Gli allenamenti erano iniziati alle dieci, per cui ormai avevano notato tutti la sua assenza, anche i più distratti. Ed era sicuro che quel maledetto col cappellino aveva già sparato a zero sul suo ritardo. Ma non doveva pensarci, doveva solo sbrigarsi.
Si aggirò frenetico nella stanza radunando le proprie cose, a cominciare dalla borsa sportiva che era rimasta in un angolo fin dalla sera precedente. Ancora a torso nudo, si mise a svuotarla dagli olezzanti panni sporchi ammucchiandoli in un angolo. Ci avrebbe pensato dopo. Infilò nella borsa della biancheria pulita, pensando che se l’autobus fosse passato subito, nel giro di una mezz’ora sarebbe arrivato. Se invece non fosse passato, Gamo lo avrebbe fatto a pezzi e quel che era peggio l’avrebbe fatto davanti a tutti, Price e giornalisti compresi. Ma poteva lasciare Jenny così? Sì che poteva, non aveva scelta.
Uscì e rientrò in camera nel giro di pochi istanti, portando con sé un bicchiere d’acqua e una confezione di aspirine che posò sul comodino.
-Jenny?-
Lei non reagì. E allora, siccome non aveva più tempo, le mise una mano sulla spalla e la scosse più gentilmente che poté. Sotto le sue dita il corpo di lei bruciava.
-Jenny.-
La ragazza socchiuse gli occhi e lo fissò stordita.
-Buongiorno…- la voce le uscì a stento -Che ore sono?-
-è tardi, anzi tardissimo.-
Alzare un braccio per portarselo alla fronte le costò una fatica immensa.
-Non mi sento bene.-
-Certo che non ti senti bene! Ti è salita la febbre! Come hai fatto a fartela venire?- afferrò la confezione di medicinali, l’aprì e tolse una compressa dal blister. Gliela porse, mentre Jenny seguiva i suoi movimenti senza capire -È un’aspirina, prendila.-
Lei gli ubbidì, inghiottì a fatica l’acqua, poi si lasciò ricadere sui cuscini. Osservò il suo torace nudo attraverso un filo di nebbia, i pettorali scolpiti dagli allenamenti così perfetti da far venir voglia di toccarli.
-Mark…-
-Sì?-
-Se non ti vesti penserò che ci stai provando.-
Lui scattò indietro e socchiuse gli occhi.
-Sai che ti dico? Che se ti va di scherzare non stai male per niente!- le volse le spalle offeso e s’infilò una maglietta.
-Non sto male, Mark. Ho solo la testa pesante. Non ho sentito la sveglia.-
-Perché non ha suonato. Abbiamo dimenticato di inserirla.- indossò una felpa veloce come un fulmine, uscì e rientrò di nuovo. Posò sulla fronte di Jenny un piccolo asciugamano bagnato, frugò nella borsetta dell’amica e recuperò il telefonino. Lesse i messaggi di Gentile, commentò il suo romanticismo di dubbio gusto con una smorfia e posò il cellulare sul comodino dopo aver tolto la suoneria. Dopodiché la salutò, uscì dalla stanza e si richiuse la porta alle spalle. Non voleva lasciarla sola ma non aveva scelta. Con la partita che si avvicinava e Gamo che gli avrebbe fatto pagare in una volta tutti i ritardi passati e futuri, non poteva fare altrimenti. Tirò un profondo respiro e scese le scale di corsa.
L’autobus non passò. Ne prese un altro, allungò il percorso di quasi il doppio e fu costretto a prenderne altri due. Arrivò a mezzogiorno meno un quarto. I compagni avevano finito da un pezzo gli esercizi di riscaldamento e stavano giocando una partita.
Dall’altra parte del centro sportivo, nel campo degli italiani, vigeva l’anarchia. Correndo sul vialetto Mark vide che l’allenatore non c’era, o forse si era defilato per farsi i fatti propri e i ragazzi si rincorrevano gettandosi addosso secchiate d’acqua e qualsiasi altra cosa capitasse loro sottomano. La confusione stava impedendo ai giapponesi di concentrarsi sulla palla e Patty, Evelyn ed Amy se ne stavano aggrappate alla rete divisoria a gustarsi divertite lo spettacolo della squadra avversaria.
Gentile individuò Mark non appena il ragazzo imboccò il vialetto. Lo raggiunse e prese a camminare insieme a lui al di là della recinzione.
-Buongiorno Landers! Sai come si dice in Italia? Meglio tardi che mai.-
Mark gli lanciò un’occhiata. Aveva una manica che grondava acqua e degli schizzi di bagnato sui pantaloncini.
-E sai come si dice in Giappone? A sudare senza fatica sono solo gli opportunisti.-
-Non sono sudato, cretino. Si chiamano gavettoni.-
-Si chiama voglia di non fare un cazzo.- Mark non rallentò, tirò solo su la borsa che gli era scivolata dalla spalla.
-E me lo dici presentandoti a quest’ora? Adesso siamo in pausa, abbiamo appena finito di allenarci.-
-Sì, conosco bene il famoso allenamento tra una pausa e l’altra.-
-Lascia perdere, Landers. Lo svago è un concetto troppo difficile per te. A te piace sgobbare, punto.- si asciugò con le dita una goccia d’acqua che gli stava colando da una guancia -Dov’è Jenny? Non risponde al telefono.-
-È a letto con la febbre.-
-Con la febbre?- lo sconcerto arrestò Salvatore dov’era mentre la schiena di Mark seguitava ad allontanarsi -Come accidenti le è venuta, la febbre?- si riscosse di colpo e gli corse dietro ma non riuscì più a raggiungerlo perché il ragazzo svoltò l’angolo e la rete divisoria finì. Il tempo di tornare indietro verso l’uscita e lui era già sparito negli spogliatoi.
Mark si cambiò in fretta distribuendo a casaccio i propri vestiti tra la panca e l’appendiabiti. Uscì difilato dall’edificio con uno scarpino malamente allacciato che si sciolse mentre correva verso i compagni, tra cui si fiondò e cercò di mimetizzarsi per evitare la ramanzina del mister.
Ma Gamo, che lo aspettava al varco, si portò il fischietto alle labbra e ne tirò fuori un sibilo improvviso, acuto, lungo, insistente, assordante.
-Landers!-
Mark si volse verso Gamo e il cenno con cui lui lo richiamò fu inequivocabile. Il ragazzo, già stanco di quella giornata iniziata male fin dall’alba, curvò le spalle e si rassegnò ad uscire a testa bassa, come una vittima sacrificale, diretto verso il bordocampo e l’ennesima lavata di capo.
In tutto questo, come doveva fare con Jenny? Non poteva lasciarla da sola l’interna giornata, qualcuno doveva prendersi cura di lei. La preoccupazione lo spinse ad una mossa azzardata. Deviò verso le amiche e arrivò da loro quasi di corsa. Aveva i secondi contati.
-Patty, Jenny ha la febbre. Devi assolutamente andare a casa a vedere come sta.-
-Cazzo Mark!- la voce di Salvatore fu proprio ciò che ci voleva in quel momento -Fermati quando ti parlo! Maledetto te!-
Gentile non si curò di nessuno. Non gli importò che l’allenatore giapponese fumasse di rabbia di fronte alla sua prepotente invasione di campo. Non gli importò che le amiche di Jenny lo fissassero sconvolte da tanta arditezza. Era furibondo, Landers non doveva osare ignorarlo. Era o no lui Salvatore Gentile? Era o no il più forte difensore della nazionale italiana? E Landers chi accidenti credeva di essere? Giusto il tempo di assicurarsi che Jenny stesse bene e lo avrebbe corcato di mazzate.
-Quanto ha di febbre? Ha preso qualcosa?-
-Un’aspirina! Ha preso un’aspirina!- Mark cercò di liquidarlo, doveva parlare con Patty prima che l’ira di Gamo esplodesse -Non ho il termometro, non so quanto abbia di febbre. Ma ora Patty sta per andare a casa e…-
-Le chiavi?- domandò lei.
-C’è Malaya.-
-Malaya?-
-La donna delle pulizie. Se fai in fretta la trovi ancora lì.- un’idea gli illuminò la mente. Guardò Gentile -Invece di blaterare a vanvera, fai qualcosa di utile e porta Patty a casa mia.-
Si misero d’accordo senza che lei capisse un accidenti di niente e sobbalzò di sorpresa quando Salvatore la prese per un polso.
-Ti dà un passaggio.- le spiegò Mark.
Gentile imboccò l’uscita del campo trascinandosela dietro, recuperò il medico di squadra dalle panchine italiane che stava compilando la Settimana Enigmistica buttato su una panca e attraversò il parcheggio di gran carriera, fino alla sua Giulietta rossa.
Solo guardandoli andar via, Mark si rese conto che se quella mattina avesse telefonato all’unica persona a cui mai avrebbe chiesto aiuto avrebbe trovato subito la soluzione al “problema Jenny”.
-Adesso Landers, se hai finito di fare i tuoi comodi, avrei giusto un paio di cose da dirti!- la voce di  Gamo tagliò l’aria.
-Tipo?-
-Tanto per cominciare non è questa l’ora di presentarsi!-
-C’era traffico.-
-O sei stato a crogiolarti a casa?-  
Secondo Mark il mister alluse a Jenny. Sapeva sicuramente che abitava da lui, lo sapevano tutti. -Magari potessi, ma non posso! La mia casa è invasa!-
-Verissimo! Ed io ho pronta la soluzione che fa per te! Da stasera dormirai con noi qui in hotel! Ho già chiamato la reception per prenotare una stanza!-
Mark strinse i pugni. Era caduto dalla padella nella brace. Certo, se fosse andato in hotel si sarebbe tolto definitivamente la Farrell dai piedi, ma Gentile ne avrebbe approfittato per traslocare da lui e infilarsi nel letto di Jenny, cioè nel suo. Mai avrebbe spianato la strada a quel pallone gonfiato, mai gli avrebbe permesso di scopare dove lui dormiva e mai avrebbe fatto un torto simile a Philip. A costo di litigare con il mister non si sarebbe trasferito mai, MAI, in hotel insieme ai compagni.
-No.-
-Non era una domanda, Landers.-
Mark lo fissò.
-Non posso.- s’infilò nervosamente le mani nelle tasche dei pantaloncini, poi le tirò fuori ma non sapendo dove altro metterle, ve le ficcò di nuovo -Va contro i miei principi.-
-Ah davvero?- la voce di Gamo si alzò di un tono.
-Io ce l’ho già una camera a Torino, perché dovrei pagarne un’altra?-
Benji sghignazzò e si mise comodo ad assistere al botta e risposta dei due, appoggiato con una spalla al palo della porta e le braccia incrociate sul torace.
-Non capisco come possa essere così tirchio pure coi soldi che non sono suoi.- rise Clifford mentre si chinava a terra a stringere meglio i lacci di uno scarpino per prendere tempo e ascoltare l’intera conversazione.
-L’hai sentito, è tirchio per principio.-
-Non paghi tu, Landers! Paga la Federazione!-
-E allora siccome sono soldi della Federazione possiamo sprecarli? Dove sta scritto?-
-E il tempo che tu perdi ogni giorno per attraversare mezza città, quello non è uno spreco per la Federazione?-
Clifford ghignò.
-Sono proprio curioso di sentire cosa gli risponde adesso.-
-Sarà Landers a spuntarla.-
-Tifi per lui, Benji?-
-No, ma lo conosco meglio di Gamo.-
-Da quando ci pagano a ore?-
-Piantala Mark! Farai quello che ti ordino.-
-In campo! Fuori no! La mia vita privata me la gestisco come voglio!-
-Me ne frego della tua vita privata se arrivi tardi agli allenamenti! Il nullaosta non c’è ancora e ho tutto il tempo di decidere se farti scendere in campo oppure no.-
Mark si irrigidì e replicò tranquillo, quasi glaciale.
-Se vuole vincere, deve farmi giocare.-
Tom si domandò quanto sarebbero andati avanti così. Si chiese se i giornalisti, assiepati lungo la recinzione, stessero ascoltando la loro conversazione. Si chiese cosa sarebbe finito sui giornali. Cosa sarebbero riusciti a tirar fuori i redattori dal loro battibecco. I suoi occhi vagarono tra i fotografi all’esterno del centro sportivo fino ad Evelyn che prendeva appunti.
Perché Philip non interveniva e li faceva smettere? Lo cercò e lo trovò dall’altra parte del terreno di gioco. Se ne stava per conto suo come al solito, senza mostrare nessun interesse nei confronti del suicidio del compagno. Sicuramente non li stava neppure ascoltando. Non gliene fregava nulla. Tom fremette e serrò i pugni. Lo avrebbe ucciso e avrebbe ucciso anche Mark, ma per farlo doveva riportarlo in campo sano e salvo. Lo raggiunse di corsa.
-Allora? Quanto dobbiamo ancora aspettare per averti con noi?- lo agguantò per un braccio e lo trascinò con sé -Ti presenti con due ore di ritardo e perdi anche tempo a discutere?-
L’altro gli lanciò un’occhiata innocente.
-Ti pare?-
-Sì, mi pare. Sai benissimo che se a Gamo gira lo sghiribizzo, può sbatterti in panchina per tutta la partita. E, volendo, non solo per questa stupida amichevole!-
Mark sbuffò.
-Non lo farà, se vuole vincere.-
-Lo ha già fatto una volta, non ricordi?-
Cavolo se se lo ricordava! Aveva passato a Okinawa buona parte delle eliminatorie del girone asiatico dei mondiali Under19. Che Tom riesumasse un ricordo tanto bruciante gli diede sui nervi. Finì per assalirlo.
-La ramanzina di Gamo è bastata a mettermi di malumore, non ho bisogno anche della tua!-
-Litighiamo pure tra di noi così siamo a posto…- si fece sentire Warner tornando verso la porta. Passò accanto a Philip -Perché non fai qualcosa?-
Callaghan lo guardò perplesso.
-Per esempio?-
Tom lo udì e gli caddero le braccia. Spinse Mark davanti alla palla.
-Mister, possiamo fare una pausa?- urlò Bruce attraverso il campo.
Gamo saltò su come un grillo.
-Non voglio sentire quella parola! La pausa non esiste, dimenticatevela! È già mezzogiorno e non avete combinato un accidenti di niente! Siete degli sfaticati! Dei rammolliti! Chi non intende spaccarsi la schiena, chi non ha intenzione di arrivare alla partita strisciando e con la bava alla bocca, se ne può tornare a casa all’istante. Vuoi andare a casa, Becker?-
Tom sussultò, che c’entrava lui?
-No mister!-

Incrociarono Malaya sulla porta con un sacco della spazzatura.
-Come sta Jenny?-
-Buongiorno Salvatore. Ho visto che dormiva quindi non sono entrata nella stanza. Ho pulito tutto il resto.-
Patty dedicò alla filippina un sorriso consumato dalla preoccupazione per l’amica. Mentre si sfilava le scarpe per abitudine, Salvatore e il medico la superarono e imboccarono le scale diretti al piano superiore. Lei li guardò interdetta, poi si affrettò a seguirli. Gentile sbagliò stanza, aprì la porta di quella che adesso occupava Daisy. Non trovò nessuno e si fermò confuso. Poi vide Patty superarlo e proseguire lungo il corridoio. Le arrivò accanto, entrò dietro di lei nella camera di Mark e trovò Jenny sprofondata nel suo letto. Il pigiama di Landers giaceva spiegazzato sulle coperte. Non riuscì a capacitarsi di ciò che vide. La sorpresa per un attimo gli tolse il respiro.
-Che diavolo sta succedendo?-
Il medico lo guardò senza capire.
-In che senso?-
Lui non rispose, allentò la stretta alle dita contratte a pugno, scosse la testa e ingoiò la stizza. -Niente.-
Patty posò una mano sulla fronte di Jenny e la sentì caldissima. Aveva il volto arrossato, le labbra socchiuse, i capelli sparsi sul cuscino. Dormiva supina, scossa da brividi di freddo e da un sonno agitato. Nella nebbia della sua testa Philip camminava davanti a lei. Voleva disperatamente raggiungerlo ma non riusciva a farlo. Philip procedeva alla sua stessa andatura ma restava distante anche se Jenny si metteva a correre. E di correre lei non ne poteva più. Lo stava facendo da ore, lo faceva da sempre, correva all’infinito. Correva dietro a Philip e non poteva raggiungerlo, lo chiamava ma non riusciva a fermarlo. Non aveva più fiato, il cuore le batteva all’impazzata, lo udiva martellarle nelle orecchie. Sentiva che nei polmoni non aveva più aria, che bruciavano, che stava per scoppiare. Era disperata. Philip si trovava a pochi passi eppure le risultava impossibile toccarlo. Lo supplicò di fermarsi. Lui non si volse e il grido di Jenny si perse nella nebbia. Lei di fiato non ne aveva più, neanche per chiamarlo. Eppure doveva fermarlo, non poteva lasciarlo andar via così. Non voleva essere abbandonata ancora. Respirò e gridò di nuovo il suo nome premendosi il petto con le mani, il cuore che pulsava di disperazione. Le lacrime che le annebbiavano gli occhi avevano preso a rigarle le guance. Perché non si voltava? Perché non riusciva a raggiungerlo? Chiamò ancora e ancora. Impossibile che non la sentisse, era così vicino! Corse, con le ultime energie si slanciò in avanti e sembrò raggiungerlo. Allungò un braccio e la distanza si dilatò. Philip quasi scomparve. Lo chiamò e richiamò inutilmente. Lui non la udiva, o non voleva udirla. Non si voltava neppure. Avanzava quando lei avanzava, si fermava quando lei si fermava, correva quando lei correva rendendole impossibile raggiungerlo. L’avrebbe perso per sempre.
La voce di Jenny era un gemito, una parola sussurrata che all’inizio Patty non riuscì ad afferrare. Poi d’un tratto il nome che invocava divenne chiaro, lampante. Sussultò e alzò gli occhi su Gentile, che aveva udito e che rimase rigido, serrò le labbra. Qualcosa di indefinito gli attraversò lo sguardo, poi quell’emozione scomparve senza lasciare traccia.
Patty deterse con un fazzoletto le lacrime che rigavano il viso di Jenny e si scostò per far spazio al medico. Lui, dopo una rapida visita, emanò il verdetto.
-Salvatore, ha la febbre talmente alta che è svenuta.-
Lui sbiancò.
-Dobbiamo portarla in ospedale?-
-La tachipirina sarebbe sufficiente se si riuscisse a fargliela prendere.-
-Se deve berla la berrà.-
Patty rientrò in camera con una bacinella colma di acqua fredda. Vide il dottore seduto sul letto e  Salvatore, dall’altra parte della stanza, che frugava imbestialito nell’armadio facendo un casino tra i vestiti di Mark. Patty esitò, fortemente tentata di porre fine allo sfacelo. Rinunciò pensando che in fondo l’italiano aveva tutte le ragioni di essere adirato. Aveva mollato a metà gli allenamenti per correre da Jenny e l’aveva trovata nel letto di Landers a delirare invocando Philip. Che fosse nervoso era comprensibile per cui era dispostissima a sacrificare i vestiti di Mark e lasciarlo sfogare. Il dottore attirò la sua attenzione porgendole una bustina di granulato che, le spiegò, doveva cercare di far bere all’amica per far scendere la febbre.
Gentile si avvicinò stringendo tra le mani un pigiama di Jenny che aveva riesumato chissà da dove.
-Landers dovrà spiegarmi un sacco di cose…- brontolò e spostò gli occhi su Patty -Quando finisce di misurarle la febbre la cambiamo. È fradicia.-
La ragazza annuì. Aspettarono in silenzio alcuni minuti, poi il medico controllò l’orologio, e recuperò il termometro.
-Quasi quarantuno.-
Gentile riprese ad inveire contro Mark.
-Ma porca puttana! Landers è un incosciente! Quando torno al campo lo ammazzo di botte… per questo e per tutto il resto!-
Mentre le sfilavano via il pigiama intriso di sudore, Jenny riprese conoscenza.  
-Salvatore…- lo guardò poi mise a fuoco Patty e si rivolse a lei perché parlare in inglese le costava un certo sforzo -Che succede? Che ci fate qui?-
-Hai la febbre altissima.-
I suoi occhi vagarono per la stanza, vide il medico e tentò un saluto. Tornò a fissare Patty, poi l’orologio e infine Gentile.
-Perché non sei al campo?- cercò di puntellarsi sui gomiti ma era così debole che non riuscì a tirarsi su.
-Perché Landers è un coglione.-  
Il dottore chiuse la borsa e raggiunse la porta lanciando un’occhiata eloquente all’italiano. Dovevano tornare al centro sportivo.
-Ti aspetto di sotto.-
Salvatore annuì.
-Jenny, adesso devo scappare ma torno dopo pranzo a vedere come stai.-
Lo sentirono scendere le scale di corsa, poi il tonfo della porta d’ingresso e il rombo della Giulietta che veniva messa in moto e partiva a tutta birra. Le due ragazze si guardarono.
-Ieri sera hai preso freddo?-
Jenny scosse la testa e spostò gli occhi verso la finestra, sul cielo terso e azzurro. Sospirò affranta. Stare male significava essere costretta a restare chiusa in casa e il pensiero di non poter vedere Philip divenne ad un tratto assurdamente insostenibile.

*

Freddie guardava di sottecchi Gamo agitato, frustrato e particolarmente rompipalle. Compativa i ragazzi che si stavano ammazzando di fatica per stargli appresso ma preferì non immischiarsi. Gabriel era furioso perché le cose nella squadra non stavano andando come avrebbe voluto e non si rendeva conto che il suo nervosismo e il suo scontento servivano solo a peggiorare la situazione. Se Landers si presentava in ritardo agli allenamenti, se Holly era a Barcellona a giocare una partita della Liga contro il Real Madrid, se Callaghan non si comportava come da copione, non potevano farci proprio niente. La sera precedente, dopo cena, aveva provato a riavvicinare Philip. Gli aveva allungato la fascetta ma lui aveva scosso la testa caparbio e si era rifiutato di riprenderla. A quel punto Freddie aveva capito che tanto valeva mettersi l’anima in pace e sperare che il nullaosta di Holly arrivasse presto. O quanto meno che arrivasse. Altrimenti avrebbero dovuto trovare qualcun altro per guidare la squadra. Ma chi?
Evelyn salvò il file e spense il portatile. S’era stufata di scrivere, lo stava facendo dalla mattina. Aveva preso appunti su appunti e non sapeva più che farsene, dal momento che da quando era atterrata a Torino non era riuscita a mandare in redazione uno straccio di articolo che fosse uno. Avrebbero finito per licenziarla prima ancora di assumerla.
-Oggi che Jenny non c’è, è sparita anche Daisy.-
Amy annuì.
-È andata a Milano con Pearson a prendere il nullaosta di Rob.-
-E come lo sai?-
-Me l’ha detto Julian a cui credo che l’abbia detto Freddie, ma non sono sicura.-
-A Jenny dice proprio male, per una volta che poteva starsene a bordo campo tranquilla…-
Amy rise di cuore.
-Tranquilla? Con te? Non credo proprio!- lanciò un’occhiata all’orologio, era quasi l’una. Quel giorno gli allenamenti stavano durando più del previsto, sicuramente a causa del ritardo di Mark. Guardò i ragazzi. Sandy arrancava stanchissimo, una mano sul fianco a stringersi sofferente la milza. Bruce ansimava e Julian, poco distante, incrociò il suo sguardo e le chiese l’ora con un cenno. Gli rispose a gesti.
Freddie seguì la loro muta conversazione. Non sapeva cosa passasse per la testa di Gamo ma per come la pensava lui, Landers non doveva recuperare il ritardo a scapito dei compagni. Si frugò nelle tasche, tirò fuori il fischietto di riserva e soffiò. Gamo sobbalzò.
-È ora?-
-Eh sì.-
-Infatti ho una certa fame.-
-Finalmente!- esalò Bruce tra fastidio e sollievo -Pensavo che ci avrebbero fatto saltare il pranzo! Invece è finita!- corse verso le panchine superando Mark -La prossima volta sei pregato di arrivare puntuale! Evelyn! Passami l’acqua prima che svengo!-
-È lì. Non ce le hai le mani?-
Landers non li udì, la mente presa da tutt’altro. Varcò l’ingresso degli spogliatoi, si fece largo tra Patrick e Sandy, fermi a riprendere fiato tra una panca e un armadietto e recuperò il cellulare. Patty rispose subito.
-Come sta Jenny? La febbre è scesa?-
Lei lo rassicurò mentre Mark rimestava nella borsa in cerca dello shampoo, sforzandosi di distinguere la voce dell’amica attraverso il baccano dei compagni.
-Nel frigo dovresti trovare qualcosa. Poco, perché Jenny non fa più la spesa da quando siete arrivati.- l’ascoltò replicare -No, quella di ieri non conta. Non c’era quasi nulla di commestibile…-
Philip incamerò ogni parola. Si sfilò la maglia sudata e lanciò un’occhiata all’ingresso delle docce. Erano tutte occupate quindi non valeva la pena affrettarsi. Si sedette ad aspettare e ad ascoltare la telefonata di Mark, stavolta senza neppure curarsi di nasconderlo. Si chiese se non fosse un bene che Jenny stesse male. Con la febbre non sarebbe venuta al campo, con la febbre l’italiano non l’avrebbe sbaciucchiata davanti a tutti come faceva di solito, non l’avrebbe portata in giro per locali…
D’un tratto si accorse che Tom, tornato dalle docce, lo fissava di traverso strofinandosi i capelli con un asciugamano.
-Che c’è?-
-C’è che mi sono stufato di fare le tue veci.-
-Hai fatto le mie veci? Quando?-
Tom si sforzò e ingoiò la rispostaccia. S’infilò i jeans con un movimento rabbioso, poi fu la volta della maglietta e della felpa, respirando a fondo per darsi il tempo di calmarsi e non di saltargli al collo.
-Sì, le ho fatte. E se non le faccio io le fa Holly. Chi è il capitano, qui?-
Philip avrebbe voluto cogliere l’occasione per dire a tutti che aveva restituito la fascia a Gamo mollando l’incarico, ma gli occhi accusatori dei compagni erano fissi su di lui e non riuscì proprio a farsi uscire quella risposta liberatoria, perché probabilmente lo avrebbero ammazzato, massacrato, fatto a pezzi una volta per sempre. Deglutì e li guardò, tirando fuori la solita, banalissima scusa.
-Lo sono solo finché non arriva il nullaosta di Holly.-
-Sbagliato, Philip. Non lo sei neppure adesso, non lo stai facendo, te ne stai fregando! La nazionale giapponese non ha un capitano. Te ne sei accorto o no?- Tom prese fiato mentre le guance gli si arrossavano di collera -Così non andremo da nessuna parte! Non vinceremo neanche di striscio questa maledetta amichevole. Faremo solo una colossale figura di merda!-
Yuma si avvicinò preoccupato.
-Respira e calmati, Tom. O ti verrà un infarto.-
-Lascialo sfogarsi, Clif. La buca che gli ha dato Magnolia brucia ancora, è chiaro.- ridacchiò Peterson.
-Magnolia?- fu un acuto, quello di Tom.
Mark rabbrividì.
-Che cazzo di voce è? Ti hanno tagliato le palle?-
Becker lo guardò, anzi li guardò. Poi afferrò la borsa con un gesto brusco.
-Se volete scusarmi, a questo punto vi manderei un momento affanculo. Tutti.-
Uscì a testa alta, senza voltarsi indietro. La porta si richiuse con un tonfo che fece risuonare gli armadietti.
-Ma cos’ha? Gli sono venute?- in quel silenzio stupito, il commento di Clifford arrivò a tutti forte e chiaro.

*

Salvatore varcò le porte automatiche dell’hotel. Era passato da Jenny, anzi a casa di Mark a voler essere precisi, e l’aveva trovata spaparanzata sul divano insieme a Patty a guardare con l’amica la vittoria di Holly sulla pay-tv (l’unico lusso che Mark si era concesso). Era andata Patty ad aprirgli la porta e quando lui era entrato e aveva trovato Jenny in salotto, avvoltolata nella coperta e sprofondata tra i cuscini, l’aveva rispedita immediatamente a letto. Lei aveva protestato perché si sentiva meglio e la febbre era scesa ma alla fine, di fronte a tanta ferma insistenza, non aveva potuto fare altro che ubbidirgli. Tanto, appena se ne fosse andato, sarebbe tornata in salotto a guardare la tv per ammazzare il tempo.
Mark lo seguì con gli occhi mentre avanzava nella hall.
-Come sta Jenny?-
-Meglio. La febbre è scesa.-
-Ho provato a chiamarla ma non risponde.-
Gli occhi di Salvatore lampeggiarono di azzurro.
-Mi spieghi per quale cazzo di motivo hai dormito nel letto di Jenny?-
-Io? Non dire stronzate! è lei che ha dormito in camera mia!-
-E cosa cambia?-
-La stanza di Jenny è occupata dalla Farrell. Non posso farci niente!-
Salvatore si sentì rimescolare.
-Me ne sbatto, Landers! Dormi sul divano!-
-Col cavolo! Io ospite in casa mia? Mai!-
-Ti prenderei per il collo e ti strizzerei come un limone, te lo giuro!- si volse verso Rob che borbottava e si rese conto che stava traducendo il loro battibecco in giapponese a beneficio dei compagni. Non se ne curò e tornò a fissare Mark, gli occhi socchiusi e lo sguardo ironico -Sono certo che Callaghan sarebbe felicissimo di sapere che tu e Jenny dormite insieme. Glielo diciamo?-
-Provaci e t’ammazzo.-
Neanche lo avessero chiamato, Philip spuntò nella hall e l’attraversò tutta guardandosi intorno, evidentemente in cerca di qualcuno. Li vide e si diresse verso di loro ma quando scorse Gentile, la sua avanzata ebbe un tentennamento e fu solo l’orgoglio ad imporgli di proseguire.
-Quando Patty ed io siamo arrivati a casa tua, Jenny aveva la febbre a quarantuno e delirava.-
-Patty me lo ha accennato…-
-E ti ha anche accennato che sei un coglione irresponsabile? Come t’è saltato in mente di lasciarla sola? Dovevi chiamarmi subito, imbecille! Ti portavo il dottore e ti accompagnavo al campo! Avresti persino evitato di far tardi e sorbirti il cazziatone del tuo allenatore!-
Arrivato giusto in tempo per ascoltare la traduzione di Rob, Philip rifletté sulle assennate parole dell’italiano, chiedendosi curioso per quale accidenti di motivo Gentile sembrasse così a suo agio in mezzo a loro. Poi capì. C’era Mark che ci giocava insieme, Rob che lo conosceva da parecchio e che lo stimava infinitamente, Benji con il quale sembrava andare d’accordissimo e Tom, che era amico di tutti e a cui in quel momento importava solo dell’efficienza della squadra. L’unico ad essere fuori posto era solamente lui. Indeciso se allontanarsi o restare, rimase in piedi da una parte, la mente invasa da un turbinio di pensieri tetri e pessimisti. Si riscosse solo quando Tom gli strinse un braccio.
-Benji stasera s’è ficcato in testa di andarsene in giro per locali. Digli qualcosa, Philip.-
-Ah!- quello accettò la notizia senza riserve e tentò un sorriso verso il portiere -Buon divertimento!-
Tom sobbalzò.
-Non questo!-
-E allora cosa?-
-Sei il capitano!-
-Che palle lo so! Smettila di ricordarmelo, è la centesima volta che lo fai oggi!-
-Perché tu lo dimentichi troppo spesso!-
-Non lo dimentico, magari potessi!- fissò Benji -Se ti dicessi di non andare mi daresti retta?-
-Certo che no.-
Philip guardò Tom.
-Hai visto?-
Becker reagì alzandosi e afferrando da terra la borsa. E visto che era ora di incamminarsi verso il campo, gli altri lo seguirono alla spicciolata.
Nel parcheggio del centro sportivo, Dario recuperò il borsone dal portabagagli, se lo caricò su una spalla e attraversò il piazzale, stringendo in una mano un fascio di riviste appena acquistate in edicola. Raggiunse Salvatore davanti al cancello. Il ragazzo percorreva su e giù un tratto del vialetto parlando concitato al cellulare. Dario aspettò che riagganciasse.  
-Che ci fai già qui?-
-Sono passato in hotel a infastidire Callaghan.-
-Vuoi lasciarlo perdere una buona volta? Piuttosto come sta Jenny?-
-Meglio. La febbre è scesa.- gli sfilò di mano un paio di giornali e ne aprì uno di gossip con fare schifato -Da quando leggi ‘sta roba?-
-Da mai, però ho saputo che su questo numero c’è un articolo sulla nazionale giapponese.-
-Davvero? E che dice?-
Dario fece spallucce.
-Non ho avuto il tempo di guardarlo.-
-Io non vedo niente.- sfogliò qualche pagina mentre proseguivano verso gli spogliatoi -Devono essere giusto due righe sputate…-
-O magari ho sbagliato rivista.-
Salvatore si fermò di botto e prese ad urlare, le dita contratte che accartocciavano la carta.
-Ma che diavolo…! Non ti sei sbagliato per niente! Maledetto stronzo, giuro che lo ammazzo!-
Dario si volse.
-Che ti prende adesso?-
-Un cazzo, mi prende! Questa volta me la paga, il bastardo! Lo massacro! Lo sfondo! Lo anniento! Finalmente oggi me lo tolgo dalle palle una volta per tutte!- richiuse di colpo la rivista e prese a correre verso il bar, abbandonando la borsa sportiva sui piedi di Dario.
-Salvatore! Dove accidenti vai?-
-A sterminarlo!-
-Ma chi?-
-Landers! E non provare a fermarmi o disintegro anche te!-
Gentile sparì all’interno del locale e Dario sperò che Mark fosse da qualche altra parte, possibilmente ancora negli spogliatoi a cambiarsi. Afferrò al volo la borsa del compagno e gli corse dietro.
Salvatore spalancò la porta a vetri facendola sbattere sui cardini. Poi si fermò sulla soglia, giusto il tempo di mettere a fuoco i giapponesi sparpagliati ai tavoli. Il suo ingresso fece piombare il bar in un silenzio sorpreso. Senza curarsi degli sguardi stupiti con cui venne accolto, Gentile cercò il colpevole e lo trovò. Si fece largo tra le sedie e con due falcate si arrestò esattamente di fronte a Mark. Poi lo assalì.
-Stronzo bastardo! A che gioco stai giocando?-
Lanciò sul tavolo la rivista, due bicchieri si rovesciarono allagando il ripiano e lambendo le pagine spiegazzate. Danny, Ed e Julian si tirarono indietro mentre un rivolo di succo d’arancia e coca-cola colava a terra. Mark balzò in piedi.
-Che cazzo fai? Ti ha dato di volta il cervello?-
Salvatore girò intorno al tavolo e gli rispose ringhiando.
-Io? Che cazzo faccio io? Che cazzo fai tu piuttosto! Se Jenny per te è come una sorella, allora quello cos’è?-
Mark avrebbe voluto replicare con una sberla ben piazzata ma prima ancora di sollevare il braccio il suo sguardo fu inesorabilmente attirato dal giornale. Sbiancò e quasi gli prese un colpo. La risoluzione della foto a tutta pagina era ottima, lui e Jenny che si baciavano erano venuti perfettamente. Si vedeva ogni particolare, persino i loro occhi chiusi. L’invettiva già pronta gli morì in gola con un rantolo. Allungò una mano verso le pagine, ma Bruce gli soffiò la rivista un nanosecondo prima che riuscisse a sfiorarla.
Gentile riprese a ringhiare.
-Landers sei una carogna!- e per sottolineare l’insulto in modo appropriato gli mollò un pugno in faccia.
Mark gridò e barcollò all’indietro, sconvolto.
-Ma che sei matto?- si portò una mano al volto e si tirò via quando Gentile gli si lanciò di nuovo addosso.
Dario gli bloccò il braccio un secondo prima che Salvatore ripetesse il gesto.
-Piantala, incosciente! Ti sei bevuto il cervello? Se tuo padre ti becca ad azzuffarti, ti lascia in panchina a vita!-
-Me ne sbatto di mio padre! Quest’infame deve pagare!- fissò negli occhi il giapponese -Ti avverto, Landers…- lo afferrò per la maglietta e lo strattonò con violenza -Ho ucciso per molto meno!-
Dario esplose.
-Finiscila cretino!- riuscì a separarli, ma la collera di Salvatore era molto lontana dal placarsi.
-Questa è l’ultima che ti faccio passare, Landers! La prossima non te la perdono!- indietreggiò perché Belli lo tirava via -Mi devi una spiegazione! E anche delle scuse!- si volse e lasciò il bar, Dario dietro di lui che lo spingeva via.
-Andiamo testa calda! Siamo in ritardo!-
Evelyn si portò le mani alle guance in fiamme.
-Ommioddio, è così sexy quando si arrabbia!-
-Asciugati la bava, Eve.- la rimproverò Bruce e spostò gli occhi su Mark, che stava cercando di riprendersi dall’assalto -Tu a Gentile non piaci proprio.-
Gli occhi di lui lampeggiarono.
-Non posso piacere a tutti, Harper. C’è pure chi ha dei gusti di merda!- fissò Benji che replicò all’allusione e all’occhiata del compagno con un’alzata di spalle. Poi la collera di Landers s’incanalò altrove -Cazzo guardi, Callaghan? Hai qualcosa da dirmi anche tu?-
Philip lo fissò con sufficienza, mandandolo su tutte le furie. Riprese a gridare.
-Be’ io qualcosa da dirti ce l’ho. Se tu e Jenny non vi foste lasciati, lei non sarebbe venuta in Italia e io avrei evitato tutte queste rogne!-
L’altro si sentì rimescolare dentro.
-Quello che fa la mia ex non mi riguarda, visto che è appunto la mia ex. Le tue rogne, invece, te le sei cercate dalla prima all’ultima!- lo fissò negli occhi e la tentazione di finire l’opera che Gentile aveva lasciato a metà fu fortissima. Sulla guancia destra, tanto per bilanciare. Gli costò uno sforzo enorme e non seppe neppure come ci riuscì, ma si controllò e fu una fortuna perché d’un tratto spuntò Gamo, con il suo solito tempismo perfetto.
-Speravo che aveste iniziato da soli gli allenamenti.-
Il bar si svuotò in un fuggi-fuggi generale.
Evelyn si alzò, prese il giornale abbandonato sul tavolo e osservò la foto. Il quotidiano era italiano, ma la didascalia dava la paternità dello scatto a Bill Steiner.
-Maledetto, è stato più veloce di me.-
Amy si accostò.
-Chi?-
-Steiner.-
-Il giornalista della conferenza stampa?-
Evelyn annuì furente. Quando fu fuori lo cercò e lo trovò, era venuto anche quel giorno. Appoggiato ad una macchina parcheggiata fuori della recinzione, teneva gli occhi puntati sul campo. Non sapeva che Jenny non sarebbe venuta ma forse non vedendola arrivare, se ne sarebbe andato presto.

*

Era una situazione assurda e la cosa più assurda era che controllarsi lo esauriva. Troppe cose non andavano. A partire dal fatto che Jenny frequentasse Gentile, dal bacio che le aveva dato Mark fino alla foto in cui McFay gli sorrideva strafottente. McFay era stata la ciliegina sulla torta, la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Philip non riusciva a cancellare dalla mente la sua faccia e doveva assolutamente trovare il modo di scaricare tutta quella tensione o ne sarebbe uscito matto.
Attraversò la hall lanciando un’occhiata distratta ai compagni che aspettavano affamati di mettersi a tavola per la cena. Quando lo vide passare, Clifford lo chiamò ma lui finse di non udirlo. Aveva cose ben più importanti da risolvere che dar retta alle stronzate che sparava a raffica.
Intravide Gamo seduto ad un tavolino del bar e lo puntò.
-Mister, ho bisogno di parlarle.-
Fu tutto ciò che riuscì a dire, perché la voce gli morì in gola. Gamo non era solo e lui non se n’era accorto. Mezzi coperti da un ficus, davanti gli sedevano Marshall e Benji. Passi per Marshall, ma non Price!
-Dimmi, Philip.-
Il portiere lo scrutò curioso e il ragazzo perse la voglia di parlare. Che doveva fare? Andarsene? Ma se se ne fosse andato quando avrebbe ritrovato l’occasione e il coraggio di dire a Gamo ciò che aveva da dirgli? In fondo cosa aveva da perdere? La reputazione se l’era giocata da un pezzo già in campo.
-Dal momento che Landers si è intestardito a restare a dormire a casa sua, bisogna convincere la signorina Farrell a trasferirsi qui in hotel.-
Non era affatto ciò che Gamo si aspettava. Non colse il nesso.
-Perché?-
Il perché era semplice. Dopo che Daisy aveva cercato di picchiare Jenny, la presenza di quella donna così a stretto contatto con lei non lo faceva stare tranquillo. E poi c’era l’altro discorso del letto, quello a cui Jenny aveva accennato nel sonno in camera di Amy, che lei e Mark dormissero insieme…
Imbastì sul momento, con una faccia tosta di cui non si sarebbe mai creduto capace.
-C’è un giornalista che ci tiene d’occhio e che già da ieri ha iniziato a inventarsi cose su Landers e la Farrell.- spostò lo sguardo su Freddie -Volete sapere cosa va insinuando?-
-Per quanto mi riguarda preferisco di no. Chi è il giornalista?-
-Bill Steiner. Se lo ricorda vero? Era alla conferenza stampa. Se continua a fare domande, bisognerà spiegare perché la Farrell alloggia da Mark e non in hotel. Avete già pensato a cosa dire?-
Gamo e Freddie si guardarono. In effetti no, il problema finora non li aveva mai sfiorati. Ma nessuno desiderava che degli stupidi pettegolezzi infangassero la reputazione dei loro giocatori. Così come Pearson aveva difeso Philip durante la conferenza stampa, ora toccava che si dessero da fare anche per Mark. Era assolutamente necessario correre ai ripari prima che accadesse l’irreparabile. Fu di nuovo Freddie a parlare.
-Non sarà facile convincerla. Daisy Farrell fa sempre quello che vuole, non ascolta nessuno. Non era previsto neppure che venisse in Italia e invece è piombata qui senza avvertirci.-
Benji si intromise.
-E allora? Che ci vuole a trovarle una stanza?-
-Dovremo chiedere.-
-Datele la stanza che avevate chiesto per Landers.-
Philip annuì con assoluta convinzione, d’accordo col portiere e felice che lui, per una volta, lo appoggiasse senza fare tante storie. Di punto in bianco Gamo tirò fuori dalla tasca la fascetta di cui il giovane si era liberato due giorni prima.
-Allora, Philip…- la posò sul tavolo e la spinse verso di lui. Quello fece un passo indietro, trasformandosi in una statua di ghiaccio -Mentre noi procuriamo una stanza alla Farrell e la convinciamo a trasferirsi in hotel, tu riprenditi questa.-
Benji guardò la fascetta, poi l’espressione decisa dei due allenatori. Notò l’esitazione di Philip e l’occhiata insistente di Gamo. Capì e fremette di stizza. Non poteva credere che fosse giunto a tanto.
-Che significa? Callaghan, sei un imbecille!- scostò bruscamente la sedia e con un balzo gli fu addosso.
Philip indietreggiò mentre Benji gli afferrava un polso per non lasciarselo scappare, gli voltava la mano e gli premeva la fascetta nel palmo.
-Riprenditela, cazzo! Fallo prima che vada a dirlo a tutti! Prima che ti faccia fare una figura pessima, ma così pessima da farti abbandonare la nazionale all’istante e per sempre!- lo prese per la felpa e lo strattonò furioso attraverso la hall -Non ci poso credere! Davvero non posso credere che tu abbia fatto una cosa simile! Che accidenti t’è saltato in mente? Vuoi mollare tutto? È veramente questo che vuoi?-
Philip lo guardò esasperato.
-Non lo so! Non so più cos’è che voglio!-
-Io invece quello che vuoi l’ho visto ieri sera al bar. Perché sei il solo a non capirlo?- si fermò e lo fissò negli occhi finché l’altro non li abbassò a disagio -Che diavolo stai combinando? Se la ami riprenditela, non aspettare che qualcun altro te la porti via davvero!-
Philip alzò di scatto la testa, i suoi occhi brillavano di ironia.
-Ah sì? Prima mi dici che vuoi provarci, ora che devo riprendermela. Fai pace con te stesso prima di venire a dire a me cosa devo fare!-
-Ti ho detto che volevo provarci perché ti conosco! So che sei talmente idiota che se non tocchi il fondo non torni a galla! E il fatto che tu ci abbia creduto davvero conferma quanto sei deficiente! Cosa aspetti a fare qualcosa?-
-E chi ti ha detto che voglia fare qualcosa?-
-Cazzo Philip! Mi prendi per cretino? Ti si legge in faccia che la ami ancora!-
-Sì eh? E tu lo capisci perché sei un esperto, giusto? Te ne stai sempre a vantarti di sapere tutto eppure non ti sei mai innamorato! Cosa vuoi capirne dei sentimenti degli altri?-
-In compenso so perfettamente com’è non essere innamorati e so che Jenny non è innamorata di Gentile come lui non lo è di lei.-
-Ma finiscila!-
Benji cercò di trattenerlo ma quando vide che Philip era determinato a non dargli ascolto, lo lasciò perdere. Tanto prima o poi avrebbe preso quella sua testaccia dura e gliel’avrebbe sbattuta contro il muro fino a fargli ritrovare un po’ di buonsenso.
Il fresco della sera avvolse Philip mentre varcava le porte dell’hotel. Per affrontare Gamo e Marshall aveva fatto una fatica immane, lo scontro con Benji lo aveva sfiancato. Le mani ficcate nelle tasche, dove sentiva la fascetta premergli contro le dita, percorse a passo sostenuto la strada che portava ai campi sportivi e si fermò solo quando li ebbe raggiunti. I giornalisti si erano dispersi, le luci però erano ancora accese e sul terreno di gioco qualcuno si era fermato ad allenarsi. Patrick Everett correva instancabile lungo il perimetro del campo e Paul e Alan provavano dei tiri in porta. Li osservò interdetto, riconoscendo che la loro dedizione era encomiabile. Meno possibilità avevano di entrare in campo durante le partite e più i suoi compagni si allenavano. Lui invece, che era il capitano, se ne fregava di tutto e di tutti.
Sulle panchine c’erano Julian e Amy. Era incredibile che fossero lì, a meno che per stare un po’ per conto loro non avessero pensato che fosse meglio il campo al viavai dell’hotel. Si fermò, incerto se proseguire. Non voleva disturbarli.
Amy lo vide e gli sorrise.
-Ciao Philip.-
Lui rispose con un cenno del capo, poi raggiunse Paul di corsa. Si sfilò il giacchetto della tuta, se lo annodò in vita e raccattò qualche pallone che era finito tutt’intorno alla porta. Julian lo fissò scettico.
-Strano che sia tornato, visto quanto gliene importa di questa partita.-
Amy sospirò.
-Non credo che non gli importi della partita. È solo profondamente confuso.-
-C’è poco da confondersi. O s’impegna o lascia perdere. Il fatto è che spesso le persone non hanno chiare le emozioni, non le idee.- le passò un braccio intorno alla vita -Invece le mie sono chiarissime. Mi sono strarotto di stare qui a guardarli, non potremmo fare un salto in camera tua?-
-No che non possiamo! È quasi ora di cena e c’è un sacco di gente a ciondolare affamata in giro per l’hotel. Ci beccherebbero subito e io non voglio che succeda di nuovo! L’altra mattina è stato umiliante!-
Il ragazzo sospirò.
-Speriamo che stanotte piova.- borbottò mentre si alzava.
Davanti all’ingresso trovarono Holly. Era appena sceso dal taxi e arrancava sul marciapiede trascinandosi dietro il trolley. Zoppicava leggermente.
-Non dirmi che ti sei infortunato!-
L’amico sorrise rassicurante.
-È solo una storta e non me la sono fatta in campo. Ho corso dietro al taxi per fermarlo e non ho visto il marciapiede.-
-Bravo, fatti male così siamo a posto.-
-Per carità! Già sono senza nullaosta, ci manca solo l’infortunio. Da dove venite?-
-Eravamo al campo.-
-A fare cosa?-
Julian e Amy si scambiarono un’occhiata.
-Niente, a parlare.-
-C’è ancora qualcuno ad allenarsi.-
Gli occhi di Holly sbrilluccicarono.
-Non ci pensare neppure, è meglio se adesso riposi.- lo frenò Julian leggendogli in faccia le intenzioni -Oltretutto ormai è ora di cena, non faresti in tempo neppure a cambiarti.-
-Già, peccato.-
Oltrepassarono l’ingresso dell’hotel e misero piede nella hall.
-Ciao Holly! Bella partita!- lo accolse Jason Derrick.
-L’hai vista?-
-Alcune azioni sono già su youtube.-
Holly si accostò e lo scrutò.
-Cos’hai fatto in faccia? Hai una costellazione di pustole che sembra la via lattea.-
-Il dottore dice che forse sono allergico al salame.-
Holly fissò dubbioso quelle cinque bolle infiammate sul volto di Jason.
-Sicuro che non sia niente di contagioso?-
Gli rispose James dall’altro lato del divano.
-Sicuro. Io non le ho.-
-Tu non sei allergico al salame?-
-Non ne ho idea. Siamo gemelli ma mica abbiamo gli stessi gusti!-
Evelyn li raggiunse, il laptop acceso tra le mani su cui campeggiava una foto scattata durante gli allenamenti e nella quale era riuscita a far entrare la maggior parte di loro. Holly la guardò e solo facendolo si accorse che all’appello mancava qualcuno.
-Dov’è Patty?-
-È da Mark. Jenny è a letto con la febbre e così è andata da lei. Ma vista l’ora credo che ormai stia per tornare.-

La palla era sull’erba davanti a lui, pronta per essere infilata nella rete. I compagni stavano uscendo dal campo esausti, sulla panchina Amy e Julian non c’erano più. Era rimasto solo, libero di calciare palloni senza nessuno a tampinarlo e a chiedergli perché fosse ancora lì. Senza Jenny in giro, senza Gentile nei paraggi. La vista di lei insieme all’italiano gli era divenuta insopportabile. La vista di lei insieme a Mark lo stava facendo andar fuori di testa. E a coronare il tutto c’era lo sguardo beffardo di McFay che gli balenava di continuo nella mente.
In quell’ultimo anno e mezzo le cose erano andate veramente di merda. McFay aveva distrutto tutto ciò che lui e Jenny avevano costruito insieme. Aveva disintegrato la loro storia, fatto a pezzi le loro vite mandando tutto a puttane. Sollevò il viso, fissò la rete con insistenza, finché lo sforzo non gli offuscò la vista. Allora la figura di David si materializzò tra i pali fissandolo sogghignante. Philip scagliò un bolide al centro della porta, senza riuscire a farlo sparire. Calciò un’altra pallonata, lo prese in pieno petto ma la sua espressione di strafottente superiorità gli rimase incollata in faccia. Rideva di ciò che aveva fatto a Jenny, rideva di come era riuscito a passarla liscia. Per come lo aveva preso per il culo a Kyoto, con quel tentativo di stringergli la mano al momento del commiato. Per come suo padre aveva pagato il silenzio suo e di Jenny con un vergognoso assegno. Ogni singolo episodio che non era riuscito a dimenticare gli passava in rassegna nella testa mentre calciava un pallone dietro l’altro infondendo a quei tiri disperati tutta l’energia che aveva in corpo. Quel maledetto stronzo era lì, al centro dei pali. Lo vedeva, continuava a vederlo. Ce l’aveva davanti agli occhi e non se ne andava. Seguitò a tirare palloni addosso a McFay e quando non ne ebbe più a portata di mano, li raccattò in giro per l’area di rigore e ricominciò da capo. Rivide il livido sul volto di Jenny, la sua paura, il suo dolore, la sua sofferenza. Riprese a tirare, cercando di fissare la mente su quello che stava facendo e non su ciò che stava ricordando. Pensò che odiava McFay con tutte le sue forze, che per quello che aveva fatto avrebbe voluto ucciderlo con le proprie mani, che non meritava di restare impunito. Il dolore che aveva causato era troppo grande, troppo profondo, imperdonabile. Le cicatrici che aveva lasciato sarebbero rimaste indelebili per sempre. McFay doveva pagare, in qualunque modo ma doveva pagare. E visto che Jenny aveva deciso di non denunciarlo, impedendo alla giustizia di fare il suo corso, ci avrebbe pensato lui. Forse quello era l’unico modo per uscire dalla spirale dei sensi di colpa e ricominciare a vivere. Anche senza Jenny, ma vivere davvero e non limitarsi a tirare avanti e basta, come stava facendo da troppo.
Scagliò palloni contro la rete ininterrottamente, senza riprendere fiato. Senza mai fermarsi. L’adrenalina gli pulsava nel sangue, non sentiva la stanchezza. I suoi muscoli guizzavano, i suoi nervi fremevano. Era sudato. Grondava sudore dalla fronte, a volte gli finiva negli occhi facendoli bruciare. Allora si passava una manica sul viso per detergerlo e poi ricominciava. La maglia aderiva sulla schiena madida, il giacchetto della tuta era finito a terra da tempo. Aveva perso il conto dei tiri in porta, ne aveva fatti un’infinità. Ogni respiro gli bruciava i polmoni, il cuore martellava nel petto e rimbombava nelle orecchie. Sforzandosi di riprendere fiato, di non andare in iperventilazione, si concentrò sulla palla. McFay era ancora lì, al centro dei pali, a ridere di lui. Avrebbe continuato a tirare fino a farlo scomparire, fino a sfinirsi, finché le gambe non lo avrebbero più retto e sarebbe crollato, smettendo finalmente di averlo davanti agli occhi.

*

Jenny finì di misurarsi la febbre e allungò il termometro a Mark, in attesa accanto al letto.
-Ecco, non ce l’ho. È da dopo pranzo che non ce l’ho e mi sento benissimo.-
-Impossibile.- lui agitò il termometro -Forse è caduto e si è rotto.-
-Funziona perfettamente.- Jenny accennò ad alzarsi.
-Dove vai?-
-In bagno. O devo farla qui?-
Mark ringhiò qualcosa mentre lei usciva, poi approfittò della sua assenza per infilarsi il pigiama. Era impossibile che la febbre di Jenny si fosse volatilizzata, a meno che il medico della nazionale italiana non le avesse dato qualche antibiotico bomba dall’effetto lampo. Si fermò dov’era, una gamba sollevata a sfilarsi un calzino. Quanto era affidabile il medico della nazionale italiana? E se avesse imbottito l’esile corpo di Jenny delle stesse medicine che appioppava ai calciatori, stordendola con una dose massiccia di farmaci? Adocchiò una scatolina sul comodino, si sfilò il calzino, lo gettò a terra davanti all’armadio e corse a controllare. Erano delle bustine. Tirò fuori il foglio con le indicazioni terapeutiche e si sforzò di leggere e comprendere quei termini impossibili. Alla terza riga lasciò perdere e cercò di ripiegare il pezzo di carta che da minuscolo com’era si era trasformato in un lenzuolo. Perse la pazienza e lo accartocciò alla meno peggio, ficcandolo a forza nella confezione. Dopodiché decise di smettere di preoccuparsi. Patty era rimasta con Jenny tutto il pomeriggio. Patty era un’esperta. Stava insieme a Holly da una vita e aveva imparato a gestire la somministrazione di analgesici fin dalle medie. Sicuramente era stata attenta.
Tese le orecchie, in casa non udì alcun rumore. Si affacciò alla porta. Jenny era ancora in bagno? Avanzò di soppiatto nel corridoio e sentì scorrere una gran quantità d’acqua. Quell’incosciente stava facendo la doccia. Voleva forse che la febbre le risalisse? In sordina tornò indietro e si gettò sul letto. Gamo l’aveva massacrato. Certo, aveva fatto sputare sangue a tutta la squadra, ma a lui in particolare. Non gli aveva concesso neppure la pausa. Quando aveva provato a fermarsi, il mister gli aveva fatto presente chiaro e tondo che rispetto ai compagni aveva riposato già due ore, quelle del ritardo. La pausa non gli spettava. Con un diavolo per capello era tornato in campo e non ne era più uscito fino alla fine degli allenamenti. Era rientrato negli spogliatoi, aveva preso la borsa e se n’era andato senza neppure la forza di lavarsi, parlando con Jenny al cellulare. Aveva trovato Patty sulla porta che stava andando via. Aveva lasciato la borsa sportiva sul pavimento dell’ingresso e l’aveva accompagnata fino alla fermata dell’autobus. Poi era tornato a casa e aveva pescato Jenny in cucina a trafficare con i fornelli per preparagli la cena. L’aveva rispedita a letto e si era arrangiato con un panino.
Udì la porta d’ingresso aprirsi e si pentì di non essere sceso prima a recuperare la borsa sportiva rimasta nell’ingresso. Poi si diede dell’imbecille. Era inconcepibile che non fosse più libero di girare  in casa sua. Nonostante la stanchezza imboccò le scale e scese di sotto, fermandosi davanti a Daisy che si sfilava le scarpe e poi il cappotto. Quando ebbe finito alzò gli occhi e lo guardò.
-Non hai cenato in hotel con la squadra?-
-No, ero stanco e ho preferito tornare a casa.-
-Come sta Jenny? La febbre è scesa?-
Mark cercò di capire se la sua preoccupazione fosse genuina ma Daisy era rischiarata dall’unica luce accesa nel corridoio del piano di sopra e nella penombra non fu in grado di decifrarne l’espressione.
-Sta meglio. Siete riusciti a recuperare il nullaosta di Aoi?-
-Sì, Aoi è a posto. Domani andiamo a prendere il tuo.-
Gli sorrise con un calore che lo mise a disagio e lo fece indietreggiare di un passo. Recuperò la borsa sportiva e strinse i manici tra le dita.
-Immagino che sarà stanca.-
-Non troppo. Se pensi che…-
-Mark?- la voce di Jenny lasciò Daisy con la frase a metà.
Era in cima alle scale, il corpo ancora umido avvolto dal telo da bagno, i capelli tenuti su da un fermaglio.
-Mark, non vieni a letto?- miagolò -È tardi.-
La sua espressione, l’abbigliamento succinto, le parole ma soprattutto quell’intonazione della voce, così carica di sottintesi e aspettative fecero correre su per la schiena di Landers un fremito d’imbarazzo. Gli venne la pelle d’oca.
-Ecco, arrivo subito…- si sforzò di dire. La fissò con un’occhiata di fuoco, finché Jenny sparì dietro l’angolo.
-Sì, sta davvero meglio.- a Daisy sfuggì un sospiro -Mark, la porta della mia stanza non si chiude.-
Lui finse di cadere dalle nuvole.
-Davvero?-
Con la coda dell’occhio scorse Jenny che, forse attirata dall’argomento, si riaffacciava sulle scale. Si sforzò di non guardarla e di concentrarsi sulla donna che aveva davanti, a cui doveva praticamente tutto ciò che aveva in quel momento, persino quella stanza con la porta divelta.
-La serratura è rotta, quasi fosse stata forzata. Sono entrati i ladri?-
-Come se in questa casa ci fosse qualcosa di prezioso da rubare...-
Mark sollevò di scatto gli occhi e fissò Jenny stranito. In quel momento aveva bisogno di tutto tranne che del suo sarcasmo. La ignorò, sperando che capisse le sue belle parole di poco prima erano state già abbastanza imbarazzanti e adesso era arrivato il momento di togliersi definitivamente di torno.  Si rivolse a Daisy.
-Domani la farò riparare.- a chi poteva mettere in conto la spesa? A Callaghan, per il quale aveva costretto Jenny ad andare alla festa, o a Gentile, che era venuto a prenderla per portarla con sé?
-Va bene, grazie.- la donna sollevò gli occhi su Jenny che sembrava intenzionata a continuare a tener d’occhio Mark -Bevo qualcosa e poi vado a dormire. Buona notte.-
Lanciando alla giovane uno sguardo carico di risentimento, sparì in cucina.
Mark si affrettò a squagliarsela. Jenny era già in camera.
-Sei entrato senza bussare. E se fossi stata nuda?-
Lui chiuse la porta con un colpo deciso e gettò la borsa da una parte.
-“Non vieni a letto”?- le rifece il verso indispettito -Non ti sembra di esagerare? Non potevi dire qualcosa di meno impegnativo, tipo “non vieni a dormire”?-
-Tu mi ficchi la lingua in bocca davanti a tutti e poi ti scandalizzi per una parola?-
-Non ti ho ficcato la lingua in bocca!-
-Soltanto perché mi sono tirata indietro!-
-Non lo avrei fatto lo stesso!-
Lei lo guardò e sospirò.
-Sono un’idiota. Invece di darti modo di sganciarti, avrei dovuto lasciare che Daisy ti proponesse di infilarti sotto le sue coperte.-
-Me ne sarei andato a dormire, che pensi? Sono distrutto!-
-Allora te ne saresti andato a dormire solo perché sei distrutto.- lo provocò.
-Tu sogni.-
Si fissarono.
-Se ti volti mi metto il pigiama.-
Mark sbuffò ma si affrettò ad ubbidirle.

-Avete visto Philip?-
Evelyn lo cercava da un po’ ma non riusciva a trovarlo. I ragazzi scossero la testa.
-Sarà in camera.-
-O avrà tagliato la corda come l’altra sera, chissà.- borbottò Everett.
-E no! Se lo ha fatto ancora vado a protestare da Gamo!-
-Perché? Che te ne importa Clif?- chiese Winter conciliante.
-Non è che può andarsene tutti i giorni per i fatti suoi e mollarci qui a romperci le palle mentre lui si diverte! Va bene che è il capitano, ma non per questo ha il diritto di svagarsi più di noi!-
-Ecco, mi pareva che fossi preoccupato per lui…-
Paul alzò gli occhi dal cellulare.
-Prima di cena era al campo ad allenarsi. Sarà stanco quanto noi quindi non credo che sia uscito.-
Evelyn annuì.
-Anche perché non l’ho visto passare.-
Gli occhi di Bruce si socchiusero pieni di sospetto.
-Gli ronzi intorno da quando siamo arrivati! Che vuoi da lui?-
Evelyn lo scrutò.
-Non posso farci nulla se è il capitano e se alla redazione del mio giornale vogliono un articolo con le sue dichiarazioni.-
-Inventatele. Visto il suo umore non riusciresti a cavargli niente.-
Amy li lasciò a bisticciare e raggiunse Patty, che sedeva vicino a Holly in un gruppo di poltroncine poco distanti. Julian era di fronte a loro e leggeva dei fogli, rendendoli partecipi degli appunti su cui aveva lavorato quel giorno.
-Julian, hai visto Philip?-
-No…- rispose lui distrattamente -Neppure a cena.-
Patty si lasciò contagiare dall’ansia dell’amica.
-è rimasto in camera?-
Julian scosse la testa.
-Non saprei. L’ultima volta l’ho visto al campo.-
-Dobbiamo trovarlo.-
Julian accantonò seccato i fogli e alzò gli occhi su Amy.
-Perché?-
-Perché sono preoccupata. Non lo ha visto nessuno.-
-E allora? In questi giorni non è una presenza particolarmente rilevante. Sarà salito in stanza a riposare.-
-Vai a controllare?-
Il ragazzo ubbidì di malavoglia, perché secondo lui tutta quella preoccupazione era inutile. Philip in quel periodo era in preda alle paturnie. A torto o a ragione gli giravano sempre per cui era meglio non solo lasciarlo perdere ma anche evitare di stargli continuamente addosso. E lui che ci condivideva la stanza l’aveva capito molto prima degli altri.

-Tre anni fa a Shintoku mi hai baciata mentre dormivo. Perché?-
La luce era spenta, Jenny e Mark erano sdraiati ben distanti, ognuno nella propria parte di letto. Lei aspettò in silenzio una risposta, scandendo il tempo con il ritmo del battito del proprio cuore. Dall’altro lato del materasso non provenne alcun rumore, non udì neppure il suo respiro. Quando reputò di aver atteso abbastanza, insistette.
-Perché mi hai baciata, Mark?-
-Perché la Farrell non mi ha lasciato scelta.-
-Non qui. A Shintoku.-
Il buio nascose l’espressione irritata di Mark. Si chiese come lo avesse saputo, chi glielo avesse detto e perché il suo scomodo segreto fosse venuto a galla a distanza di così tanto tempo. Non se l’era spiegato quel giorno, il perché di quel comportamento, tanto meno riusciva a farlo adesso, dopo un tempo così lungo in cui aveva cercato di dimenticare quell’assurdo gesto. Era stata una reazione insensata, stupida e istintiva che non aveva avuto nessun significato se non quello di rischiare che qualcuno lo vedesse, come infatti era successo. Ma chi lo aveva beccato?
-Mark?-
Fremette di stizza per l’ignoto ficcanaso, l’ostinazione di Jenny gli diede sui nervi. Non voleva risponderle, non sapeva cosa dirle. Quella era una storia vecchia, abbandonata, dimenticata. Si tirò la coperta fin sulla testa e si girò dall’altra parte, dandole le spalle.
-Sono stanco, lasciami dormire.-
-Domani te lo chiederò di nuovo.-
-Buona notte.-
Jenny sbuffò e protestò, strattonando con forza le coperte. Mark l’aveva baciata a tradimento e lei aveva tutto il diritto di chiedergli perché lo avesse fatto. Lui invece si censurava. Si comportava in modo insensato e poi non voleva parlarne. La luce della strada filtrava attraverso le persiane e il chiarore arancione dei lampioni le permetteva di distinguere la macchia scura dell’abito da sera appeso all’anta dell’armadio. Chiuse gli occhi e si sforzò di dormire, ma aveva riposato tutto il giorno e la sua mente era vigile e reattiva. Per quanto ci si impegnasse, non riusciva a prendere sonno mentre sprazzi di pensieri e di ricordi le invadevano la mente. Le sale luccicanti del palazzo della festa, la conversazione con il giornalista a bordo campo, le parole di Benji al banco del bar, la ragazza dai capelli del colore del rame e lo scontento di Gentile quando l’aveva individuata anche lui. La foto di David sul giornale e il calore di Philip quando l’aveva stretta tra le braccia, i due ricordi più vividi di tutti, tanto insopportabile l’uno quanto piacevole l’altro. Non riuscì a immaginare come fosse finita lì quella rivista, perché fosse aperta proprio in quella pagina. Philip l’aveva sicuramente vista, chissà cosa aveva pensato. Per quanto la riguardava, non credeva che ritrovarsi di nuovo davanti la faccia di David le avrebbe procurato quella vertigine di ricordi. Pensava di aver superato il trauma, di averlo cancellato dalla testa. Il suo pensiero per giorni, settimane, non l’aveva più sfiorata mentre la sera prima era bastato posare un istante gli occhi sulla sua foto per tornare preda di ricordi e sensazioni che voleva aver dimenticato, che era convinta di aver sepolto. Affondò il viso nel cuscino, cercando di nascondere a Mark il respiro concitato e i battiti incontrollabili del cuore. Perché non era riuscita a fare finta di niente? A ignorare quei maledetti occhi verdi? Era solo una foto, una stupida foto! Cosa sarebbe successo se un giorno le fosse capitato di incontrarlo di persona al ryokan? L’hotel ormai era suo ed era libero di soggiornarci a piacimento. E visto che le cose stavano così, se voleva evitarlo non avrebbe più dovuto mettere piede a Shintoku pure se una simile prospettiva le era intollerabile. Al ryokan aveva trascorso buona parte della sua infanzia e a quell’edificio erano legati tantissimi ricordi, le scuole elementari, le estati passate con i nonni, le vacanze con gli amici, Philip che le chiedeva di sposarlo. Le lacrime bagnarono il cuscino. Avrebbe dovuto cancellare Shintoku dalla sua esistenza e non tornarci mai più.

-Philip?-
Gli sembrò di udire la voce di Jenny e si riscosse. Strinse i pugni e afferrò l’erba. Si puntellò sui gomiti per tirarsi su ma i muscoli delle spalle bruciarono e quelli delle gambe reagirono con fitte insopportabili. Tollerò il dolore serrando i denti.
-Philip, cos’hai? Stai bene?-
La voce tornò a farsi sentire. Aveva sbagliato, non era Jenny, era Amy. Venne strattonato con forza e gemette.
-Se si lamenta significa che è ancora vivo.-
-Appunto per questo non devi fargli male, Julian.-
-Non gli sto facendo male, lo rimetto in piedi. O vuoi lasciarlo qui?-
Holly sospirò.
-Sono appena tornato e già ricominciano i casini.-
Philip riuscì a far forza sulle braccia. Si puntellò sull’erba e qualcuno lo sostenne mentre si tirava in ginocchio. Aveva la percezione che il suo cervello si fosse momentaneamente scollegato dalla bocca. Non riusciva ad articolare le parole e ad ogni respiro la gola riarsa bruciava. Aveva bisogno di bere, chissà se gli avevano portato dell’acqua. Avrebbe voluto chiedere a Holly di che casini stesse parlando, visto che bene o male quel giorno era filato tutto liscio. Né litigi, né infortuni, né conferenze stampa interrotte a metà. Forse c’entrava il suo nullaosta, forse glielo avevano rifiutato. Quello sì che era un casino, lui non voleva essere il capitano.
-Alzati Philip…- lo sollecitò Julian vedendolo esitare.
Il ragazzo si massaggiò un polpaccio. Che cazzo era tutta quella fretta? Si trovava al campo da almeno due ore e adesso che erano arrivati loro doveva sbrigarsi! Un attimo di calma, porca miseria! Era a pezzi e gli ci voleva tempo. Quando la fitta si fu attenuata, si passò una mano sul viso cercando di mettere a fuoco il buio che lo circondava. In quello stesso istante una luce bianca gli guizzò in faccia. Si riparò gli occhi, per metà accecato.  
-Se non ce ne andiamo va a finire che ci chiudono dentro.-
-Ecco brava Patty, vai al cancello e fai in modo che non succeda.- la esortò Amy.
Philip sentì i passi di qualcuno che si allontanava.
-Stai bene?-
Era di nuovo Amy, preoccupatissima.
-Sì, sto bene.-
Si tirò su ma vacillò e Holly lo afferrò.
-Non tanto, mi pare.-
-E adesso che facciamo?-
-Che vuoi fare, Amy?- Julian era nervoso -Lo portiamo in camera cercando di non farci beccare. Perché se Gamo o Marshall lo vedono ridotto così, rischiano l’infarto.-
-Mi dispiacerebbe per Marshall…- ammise lei -È sempre così gentile.-
Quando si mossero Philip barcollò. Aveva i muscoli talmente contratti dallo sforzo, che all’inizio non riuscì quasi a camminare. Julian non mancò di rimproverarlo.
-Sono giorni che in campo non fai un cazzo e oggi ti massacri. Che accidenti t’è preso?-
Philip non reagì al rimprovero ma si volse indietro, verso la porta. L’oscurità della notte nascondeva persino il bianco dei pali.
-Almeno non lo vedo più.-
-Non vedi più chi?- gli chiese Amy.
-McFay.-
Quel nome spuntato all’improvviso tra loro senza motivo li gelò. Ad Amy per un istante si bloccò il respiro. Né lei né nessun altro si preoccuparono di cercare di capire, nessuno ebbe il coraggio di fiatare.
Sostenuto da Holly e Julian ai lati, Philip avanzò barcollando, ubriaco di stanchezza, completamente sfinito. Sentiva le gambe molli, la nebbia gli offuscava la vista.
Le luci del campo erano spente e il vialetto era illuminato a tratti dai fari delle macchine che percorrevano la strada. Amy aveva acceso la torcia del cellulare e li precedeva con quella. Patty li aspettava al cancello.
Philip proseguì affidandosi ai compagni perché era una fatica insostenibile persino guidare i propri passi. Inciampò in un gradino, le gambe gli si piegarono e furono Julian e Holly a sostenerlo. Si introdussero nell’hotel da un ingresso sul retro, lo stesso che poco prima aveva sfruttato Benji per tagliare la corda e darsi alla pazza gioia con Gentile in qualche locale di Torino. Salirono a piedi. Le scale d’emergenza erano deserte ma si affrettarono lo stesso e, giunti al quinto piano, Philip aveva il fiato corto e non ce la faceva più. Patty tirò la pesante porta antincendio e si affacciò nel corridoio. La via era libera.
Julian si frugò nella tasca posteriore dei pantaloni e fece scorrere la card nel lettore. La lucina della serratura divenne verde, spalancò la porta e s’infilò dentro trascinando Philip con sé nel buio della camera. Lo lasciarono sedersi sul letto, mentre Amy accendeva la luce di un abatjour.
-Ti ha dato di volta il cervello, Philip? Come hai potuto ridurti così?-
Lui sollevò il viso, i suoi occhi scintillarono blandi in quelli di Julian.
-Mi stavo allenando. È quello che fa un capitano, no?-
-Non fino a sfinirsi. Imbecille!-
-Quando te la riprendi questa maledetta fascia, Holly?-
-Se potessi anche subito!-
Amy lanciò un’occhiata timorosa alle pareti.
-Abbassate la voce o vi sentiranno.-
-E soprattutto non mettetevi a litigare.- intervenne Patty -Non è il momento e non è il caso. Philip ha bisogno di riposare, e anche tu Holly.-
Lui annuì. Non aveva né la forza né la voglia di mettersi a discutere. Era molto meglio andare a dormire.
Dei colpi secchi alla porta li fecero sobbalzare. I ragazzi si guardarono indecisi. Avrebbero voluto far finta di niente ma l’insistenza che proveniva dal corridoio spinse Amy a reagire.
-Julian, vedi chi è e mandalo via.-
Non fu così facile. Peter Shake si fece strada nella stanza prima che Ross riuscisse a scacciarlo.
-Devo parlare con Philip.-
Gli bastò vedere tutta quella gente intorno al compagno per rendersi conto che qualcosa non andava.
-Che succede?-
I suoi occhi si posarono su Philip. I capelli gli ricadevano spettinati ai lati del viso, intorno alla fronte e sulle tempie erano divisi in ciocche dal sudore. Era pallido, spossato, aveva gli abiti sporchi e in disordine.
-Che fine hai fatto? Ti ho cercato per tutta la sera.-
-Ero al campo.-
-A fare cosa?-
-Ad allenarmi.-
-Da solo?-
-Non posso?- una luce di fastidio gli balenò nello sguardo.
-Non pensavo che allenarsi fosse una delle tue priorità.-
Philip strinse i pugni. Non ne poteva davvero più della loro ironia. D’accordo, non voleva essere il capitano, ma era lì per giocare. L’indomani lo avrebbe messo in chiaro una volta per tutte. Evitò di rispondergli, la stanchezza era troppa. Desiderava solo dormire fino alla mattina successiva, ma Peter non aveva ancora finito. Dopo l’ironia arrivò il sospetto.
-L’hai fatto di nuovo?-
Philip sollevò di scatto il viso, in preda ad una rabbia cieca. Si sforzò di mantenere il controllo.
-Sono stanco, ne parliamo domani.-
A Peter sfuggì una risata sarcastica.
-Non sarà la strada che hai scelto a risolvere i tuoi problemi.-
-Falla finita!- Philip si tirò su a fatica, rigido come un dolmen. Attraversò la stanza senza guardare nessuno e si chiuse in bagno.
-Peter?- Holly lo fissava e non era l’unico -Cos’è che avrebbe fatto di nuovo?-
-Quale strada?- gli andò dietro Amy, rosa dalla curiosità per il dialogo che si era appena svolto e di cui non aveva colto il senso.
Shake si censurò. Certo, era furioso con Philip. Potendo lo avrebbe insultato, lo avrebbe preso a pugni ma mai e poi mai lo avrebbe messo nei guai con il resto della squadra. Scosse la testa e fuggì con la coda tra le gambe, premurandosi di chiudere la porta.
Amy non riuscì a capacitarsi.
-Non è che Philip ha qualche problema e noi non lo sappiamo?-
-Sappiamo benissimo qual è il problema di Philip.-
-Intendevo di salute…-
Holly scosse la testa.
-Siamo tutti sotto costante controllo medico. Lo avremmo saputo.- respirò a fondo -Adesso vado a dormire, visto che domani mattina dovrò sicuramente incazzarmi presto.-
Patty rise, lo prese per mano e lo portò via.
   
 
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