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Autore: Hell Storm    01/05/2018    1 recensioni
Da bambina papà mi diceva che dove c'era la luce, c'era la vita, la speranza ... e il pericolo. Solo nel 2077 mi fu ben chiaro il vero significato di quelle parole, quando le bombe caddero e il mondo bruciò. Io e altri miei commilitoni ci salvammo nascondendoci fra le mura della nostra base, ma quando uscimmo alla luce, il nostro mondo non c'era più. Rimasti soli e a guardia di uno dei più grandi tesori prebellici della storia, decidemmo di fondare il primo insediamento della Zona Contaminata. Un faro di speranza in un oceano di morte e buio che avrebbe attirato altri superstiti in cerca di aiuto e di conseguenza anche intere legioni di mostri nati dalle radiazioni e predoni senza scrupoli.
Io sono il sorvegliante Rocket Earp. Noi siamo i fondatori di Beacon City. La Zona Contaminata è il nostro mondo. E questa ... è la nostra storia.
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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ARSI

Stavolta sono cavoli amari.

 

 

27/01/2078 D.C.

 

Stati Uniti d’America/Commonwealth delle pianure

Oklahoma/Contea di Cimarron/P1/Gold Circle

Ore 13:20

 

36°77’33.22”N 102°52’40.88”O

 

Il tunnel in cui io e Green ci stavamo muovendo era stato costruito bene. Le pareti non erano state incementate a norma, ma i materiali come le travi di sostegno erano quelli dei magazzini.

-Dev’essere stato qualcuno che aveva accesso al cantiere e alle attrezzature.- Suggerì Green.

-Vero, ma non credo che Castillo ne sia stato informato. Altrimenti non avrebbe badato a spese.-

Il tunnel era basso e stretto, costringendoci a camminare da accucciati e uno dietro l’altro. Watson era rimasto indietro, per ragioni di spazio e mobilità, quindi lo avevamo incaricato di chiamare i rinforzi.

Grazie alla luce del Pip-Boy addentrarsi nell’oscurità del tunnel non si rivelò un problema. Avevamo già fatto parecchi metri quando dovetti bloccarmi di colpo.

-Che c’è?- Mi chiese Green.

-Una trappola.-

L’agente spostò la testa sopra alle mie spalle e guardando verso il basso, vide anche lui un sottile laser rosso che attraversava il tunnel.

-La puoi disinnescare?-

-Ci provo. Tu allontanati un po.- Dissi estraendo il mio coltello da combattimento dal cinturone.

Con molta cautela, strisciai fino all’origine del laser. Il piccolo fascio proveniva da un sensore collocato dietro ad una delle colonne di sostegno improvvisate, che se attivato, avrebbe innescato la bobina di tesla nascosta dall’architrave che mi sovrastava.

Disinnescare il sensore non si rivelò molto faticoso. Mi bastò tagliare un paio di cavetti e toglierli l’alimentazione.

-Fatto. Possiamo passare.-

Dopo essermi rimessa sui talloni disattivai anche la bobina di Tesla, privandola delle celle a fusione che se attivate, avrebbero generato abbastanza energia da friggere chiunque si fosse trovato nel raggio d’azione.

-Una bobina di Tesla. Il nostro amico sa il fatto suo.- Disse Green prendendosi qualche cella per la sua arma.

Riprendemmo a muoverci con più cautela di prima, ma il resto del tragitto non si rivelò troppo lungo. Dopo appena altri nove metri arrivammo al capo linea. Li ci attendeva un’altra botola e forse il nostro colpevole.

Con la mia 10mm e la pistola laser di Green pronte alluso, alzai lentamente la piastra della botola, meno pesante e meno rinforzata della precedente.

Lo spazio sovrastante era buio e privo di qualsiasi rumore. Si sentiva un vago odore di bruciato e disinfettante. Alzando il Pip-Boy illuminai i dintorni e a prima vista non era presente alcuna minaccia.

-Via libera.-

Una volta in piedi riuscii ad illuminare meglio la stanza e questo mi permise di trovare un interruttore. Dopo averlo attivato le luci illuminarono tutto lo spazio circostante, portandoci a una scoperta inaspettata.

La stanza era un officina improvvisata, scavata nella roccia come tutte le strutture del P1, ma non a norma. Cioè senza aver cementato le pareti o il soffitto, messo in sicurezza l'impianto elettrico e informato la direzione del progetto. L’unica parete cementata era quella confinante con un’altra stanza del Gold Circle, e per giunta era anche segnata da una grossa crepa.

-Abbiamo trovato il covo del nostro assassino.- Ne concluse Green.

-Diamo un’occhiata in giro, ma fa attenzione alle trappole.

L’officina era ben attrezzata per essere stata fabbricata di nascosto e con pezzi di ricambio. Su di un banco da lavoro per armi qualcuno aveva lasciato a metà il montaggio di un fucile artigianale, mentre dal laboratorio chimico personale Med-Tek , ovvero un kit di ampolle e apparecchiature, proveniva quell’odore di acido e sostanze chimiche avvertito precedentemente. Il kit poteva essere acquistato in qualsiasi negozio attrezzato come l’infermeria personale, ma viste le sue capacità di fabbricare anche droghe, solo a poche persone fu concesso di acquistarlo. Rimasi invece sorpresa nel vedere anche un banco per le munizioni e nessuna arma completamente montata nei paraggi.

-Il nostro amico aveva un’intera industria qui.- Dissi a Green.

-Già. Qui ho trovato un sacco di scarti riciclati e dei libri.-

-Libri?-

-Il Grande Libro della Scienza, l’Elettronica di Dean, il DC Journal of Internal Medicine, Pistole e Proiettili … dev’essere riuscito a sgraffignare tutta questa roba durante i lavori di ampliamento.-

-Forse siamo sulle tracce di un operaio.- Ipotizzai. -È riuscito a costruire questo nascondiglio e a mettere le mani sui nostri rifornimenti. Scaltro e furtivo.-

-Ma come ha fatto a scavare nella roccia capo. Ha preso una trivella mineraria e ha dato una spuntinata senza che ce ne accorgessimo?-

-Quando lo troveremo glielo chiederemo.-

Tra tutte le apparecchiature e la sporcizia non riuscii a trovare neanche una foto o un olonastro, ma un terminale nascosto dietro ad uno schedario si. Quello c’era sempre.

-Qui c’è un terminale.- Dissi a Green.

-E dentro a questa crepa forse c’è l’uscita. Provo a vedere dove porta.- Mi infirmò l’agente.

-Sta attento.-

Accedetti al terminale senza aver bisogno della password. Il proprietario non era poi così tanto previdente.

La prima cosa che cercai fu il nome dell’utente. Brent Doyle.

-Figlio di …. Hey Green. Indovina chi è il nostro contrabbandiere assassino.-

-E tu indovina cosa c’è dentro alla crepa.- Disse l’agente raggiungendomi.

-Cosa?-

-Un pannello di metallo insonorizzato. Non riesco a muoverlo.-

-Appena ho finito qui vengo ad aiutarti.-

Nel terminale trovai i registri delle annotazioni personali e i comandi remoti del nascondiglio. Il primo file che aprii fu quello delle note. La prima risaliva ancor prima dell’inizio del nuovo anno.

-29/12/77 Ce l’abbiamo fatta. La parte facile è stata usare la trivella per scavare il nostro covo. Il difficile è stato far credere a quel bastardo del nostro capo squadra di aver calcolato male gli spazzi per la palestra. Comunque ci ha costretti a sigillare il tutto e noi invece abbiamo usato il cemento per nascondere tutto con la parete degli spogliatoi. Il pollo non ha fatto caso alle rocce che abbiamo caricato sui carrelli per la superficie.-

Ed ecco spiegato come Brent e probabilmente i suoi fratelli avevano creato quel posto di nascosto. Astuzia, accesso totale ai cantieri e una buona dose di fortuna.

-12/01/78 Finalmente siamo riusciti a spostare la nostra roba qui. Il terminale e i banchi da lavoro sono stati difficili da smontare e riassemblare, dopo averli fatti passare per la palestra un pezzo alla volta, ma anche sta volta nessuno ha pensato di perquisirci. Otis vorrebbe abbellire il tutto con qualche cazzata da festa, ma abbiamo delle priorità a cui pensare. Come la nostra produzione di droghe o il tunnel secondario che ci dovrebbe dare accesso al C4 e ai negozietti circostanti. Sean invece si è dato da fare. Si è fatto una lista di possibili bersagli da taccheggiare e clienti a cui vendere la nostra mercanzia. Uno in particolare potrebbe avere un’offerta molto interessante.-

La seconda nota si rilevò più come una confessione firmata che un semplice appunto.

-19/01/78 Tutto annullato. Abbiamo dovuto fare i salti mortali per poterlo contattare, ma il lavoro offertoci da quel pezzo grosso è appena diventato la nostra priorità. Dobbiamo solo fargli la spesa e aiutarlo come meglio possiamo. Per le mappe e gli orari delle guardie basterà che Otis entri nell'amministrazione all’ora delle pulizie e scatti qualche foto. Per i pezzi e le materie prime sarà un po più difficile, ma Sean dice di aver trovato qualcuno che può averci accesso. Stasera andremo a parlare con questo Campbell. Con discrezione.-

-Niente da fare, il pannello è ben fissato.- Mi informò Green dopo avermi raggiunta.

-Aspetta, credo che i fratelli Doyle stiano preparando qualcosa di grosso.-

-27/01/78 Quella checca di Campbell si è fatto crescere una coscienza al momento della consegna. Ho dovuto farlo fuori con la mia pistola laser e lasciare il cadavere li con parte della refurtiva. Se avessi avuto più tempo e il Mr Gutsy all’American Memory non fosse stato di servizio avrei potuto trascinarlo dentro il tunnel, ma il rischio era troppo alto. Comunque non l’hanno ancora scoperto e prima di stasera saremo già in viaggio per il Nucleus. L’importante è sbrigarsi. Sean, quando leggi questo messaggio raggiungici al punto di incontro con Jackson e Foster. E sbrigati.-

-Maledizione! Stanno organizzando una fuga!- Ne dedussi.

-Si, ma per andare dove?- Mi chiese Green.

-Non lo so, ma dobbiamo fermarli. Apro la porta.-

-Aspetta, c’è un olonastro.- Mi fece notare Green.

Alla schermata iniziale, era presente anche il comando per il lettore di olonastri. L’olonastro già all’interno del terminale era indicato come: ISTRUZIONI.

Intuendo che all’interno potessero esserci le informazioni dettagliate sul piano di fuga premetti play.

-Morite sbirri ficcanaso.-

La registrazione durò meno di tre secondi, seguita poi da un ronzio simile a quello di diversi archi elettrici in tensione. Non capii cosa stesse accadendo al terminale, ma in un attimo Green mi strattonò dalla spalla e mi strappò via dalla sedia facendomi cadere a terra insieme a lui. Subito dopo il monitor del terminale esplose scagliando schegge di vetro e componenti elettronici in tutte le direzioni.

Quando ci rialzammo lo schienale della sedia era coperto di graffi e lo schermo del monitor era svanito completamente, lasciando il posto a uno spazio vuoto e fumante.

-Grazie vecchia roccia. Se non fosse stato per te a quest’ora sarei morta.-

-Non credo. Questi vecchi trucchi da hacker dinamitardi sono stati ideati per menomare e accecare. Che io ricordi i casi di morte sono stati pochi.-

-Beh, grazie comunque. Ora però non possiamo passare più per la porta principale. Dobbiamo …-

Proprio quando stavo per rientrare nel tunnel secondario, dal pannello dell’entrata principale udimmo dei rumori, seguiti poi dall’apertura del pannello e dalla comparsa di Sean Doyle.

L’idiota si fermò a fissarci per un breve istante, per poi scattare all’indietro come una volpe scoperta all’entrata del pollaio.

-Torna qui stronzo!- Lo minacciai correndogli dietro.

La mia corsa non durò molto, perché appena superata la soglia del pannello, mi ritrovai a dover spingere con tutte le mie forze la porta di un armadietto di metallo. L’armadietto non era molto largo e dall’altro lato della porta c’era Sean che spingeva come un forsennato nel tentativo di chiudermi dentro.

-Vai a farti fottere cretinetta con il distintivo!-

Riconobbi subito la voce, e capii che quello dell’olonastro nel terminale esplosivo era lui.

-Mi hai quasi uccisa! Appena ti metto le mani addosso ti spello!-

In mio aiuto giunse Green, che allungando le braccia sopra di me iniziò a spingere anche lui.

Trovandosi uno contro due, Sean abbandonò l’armadietto e riprese a scappare. Io e Green rischiammo di cadere sul pavimento dello spogliatoio, ma riprendendo l’equilibrio tornammo all’inseguimento.

Uscendo dallo spogliatoio ci ritrovammo nella Brock’s Gym. Danny Cox, detto Hollywood, si stava allenando sul ring al centro della palestra con il suo allenatore, mentre gli altri clienti stavano usando gli attrezzi e le macchine.

Ma a noi interessavano Sean e i suoi fratelli. Quel viscido verme se la stava filando attraverso la porta quando lo vidi.

Continuammo a rincorrerlo per tutta la hall e fuori dalla palestra, dove il fuggitivo stava già cercando di mischiarsi tra la folla, ma per nostra fortuna altri agenti lo avevano individuato e insospettiti dal suo comportamento gli intimarono di fermarsi. Ovviamente Sean non ci pensò neanche e la sua fuga disperata continuò in direzione del quartiere residenziale.

In mezzo a tutti quei civili estrarre la pistola e aprire il fuoco sarebbe stato impensabile, perfino per il V.A.T.S., ma i numeri erano dalla nostra parte. Dall’uscita del tunnel fecero la loro comparsa tre squadre di intervento capitanate da Watson, Marion e Russell Hunt. Lei con un fucile antimateria e lui con una carabina d’ordinanza. Watson invece era disarmato.

Sean si ritrovò circondato e con i civili in disparte tenerlo sotto tiro fu più facile. Gli mancavano solo le manette e qualcuno che gli leggesse i diritti. Qualcuno come me.

-Sean Doyle, ti dichiaro in arresto per tradimento, furto di risorse governative, tentato omicidio …-

Pur essendo sotto tiro e prossimo all’arresto, Sean infilò la mano in tasca come ad estrarre un’arma e prima che io o chiunque altro potessimo freddarlo, una strana ed insolita sfera di energia lo colpì alla testa. Sean crollò a terra come una bambola e non si mosse.

Mi avvicinai lentamente e arrivatagli vicino gli diedi un piccolo calcetto.

-Ma è morto?- Domandò Marion avvicinandosi per dargli un bello scossone con la canna del suo fucile.

-No, ho usato il mio attacco Mesmetron.- Spiegò Watson. -Un impulso non letale ideato per stordire gli avversari.-

Quella dell’attacco Mesmetron mi giunse nuova. All’epoca pochi sapevano che i cerebrobot oltre a poter sparare con le armi dei soldati, potevano anche stordire i nemici con degli impulsi sparati dalle loro cupole. O anche fargli esplodere la testa.

-Ah, è vero.- Confermò Marion girando la testa di Sean.

L’uomo stava sbavando sul pavimento e muovendo gli occhi come disorientato.

-Circolare gente, lo spettacolo è finito.- Disse uno degli agenti ai passanti incuriositi. -Tornate alle vostre normali attività. Ora è tutto sicuro.-

-No, per niente. Impacchettate questo quintale di vomito e seguitemi.- Ordinai perquisendo le sue tasche.

Quello che inizialmente avevamo scambiato per un’arma che Sean avrebbe estratto, si rivelò essere un congegno elettronico. La tecnologia e i materiali erano gli stessi del trasmettitore che Zoe aveva usato per chiamare aiuto dalla prigione dell’Orda, ma il prodotto finale era assai migliore.

-Un disturbatore.- Spiegò Watson. -I miei sensori segnalano che quel congegno sta disturbando tutte le nostre frequenze.-

-Ha ragione. Sentite che roba.- Disse Russell allungandoci la sua radio portatile.

Dall’apparecchio udimmo solamente un fruscio continuo ed intenso. Il disturbatore stava trasmettendo quel rumore per impedire qualsiasi comunicazione. E come se non bastasse gli altoparlanti iniziarono a emettere un suono d’allarme. Era come un campanello guasto suonato ad intermittenza.

-Allarme aereo? Fuga di gas?- Chiese Russell.

-No, miseria ladra. È l’allarme di infiltrazione nella rete.- Gli risposi.

Ogni allarme aveva il suo suono. C’era quello per gli incendi, gli allagamenti, le infiltrazioni nei sistemi di monitoraggio, le rapine e altri tipi di suoni che ricordare a memoria era alquanto difficile. Infatti speravo di sbagliarmi.

-Sicura?-

A confermare le mie preoccupazioni, l’allarme di infiltrazione iniziò a perdere potenza, per poi spegnersi definitivamente. A spaventarci un po tutti furono invece i cali di potenza delle illuminare. La luce non svanì del tutto, ma era chiaro che qualcuno stava giocando con i nostri interruttori.

-Dove andiamo?- Mi chiese Marion.

-A prendere Foster.-

Con alle spalle un mezzo plotone di agenti di sicurezza, mi feci largo dal Gold Circle fino agli appartamenti dei nostri ospiti.

Arrivati nei pressi degli ascensori ne approfittai per risolvere parte del problema. Feci fermare le mie truppe e selezionai una piccola squadra.

-Russell!-

-Eccomi!-

-Porta i tuoi agenti all’amministrazione e mettetevi a cercare l'hacker o il dispositivo che sta causando questo casino.-

-Ricevuto. Seguitemi ragazzi!-

-Barbara! Barbara dove sei?!- Urlai dopo aver visto Russell e la sua squadra entrare nell’ascensore.

-Eccomi!-

Leslie Barbara era l’agente più grasso del dipartimento ad aver superato le prove di efficienza fisica per diventare agente operativo sul campo. La corsa non era di certo il suo punto di forza, ma con i numeri era tutta un’altra storia.

-Raggiungi il dipartimento e di agli operatori di dare l’ARSI il prima possibile.-

L’Allarme Rosso di Sicurezza Interna era, secondo il protocollo degli agenti, l’allarme di sicurezza massimo. Quando lo si dava tutti gli agenti venivano mobilitati per intercettare, bloccare e se necessario eliminare la minaccia in questione. I militari invece mantenevano le loro posizioni e intervenivano solo in caso di contatto diretto.

-L’ARSI? Ne è sicura?-

-No Barbara, la nostra sicurezza e quella di centinaia di persone è semplicemente in pericolo. Dovremmo invece andare tutti a casa e MUOVI LE CHIAPPE O TI METTO DI TURNO NOTTURNO PER UN ANNO!!!-

La minaccia fece scattare l’agente come una saetta verso il pulsante di chiamata dell’ascensore e a far tornare la concertazione tra gli agenti. Nessuno voleva passare il resto del settantotto costantemente di guardia la notte.

-Riprendiamo la marcia.- Ordinai.

Per raggiungere gli appartamenti di Foster facemmo quasi lo stesso percorso per arrivare a casa mia, solo che arrivati ai margini del parco, invece che svoltare a destra andammo a sinistra.

Certo non passammo inosservati, ma a spaventare la gente furono più che altro gli sbalzi di corrente che facevano tremolare le luci e le fughe di vapore che fuoriuscivano dalle grate di ventilazione. Le nostre contromisure per gli attacchi informatici erano all'avanguardia, ma quei bastardi stavano continuando a interferire con la nostra rete.

Giunti al quartiere dei nostri ospiti trovammo la strada e le passerelle dei tre piani deserte. Pochi si erano potuti permettere di andare a viverci. Il quartiere era stato costruito con un lungo piazzale sul quale si affacciavano tre piani di appartamenti e un paio di panchine e aiuole al piano inferiore. Certo dopo l'inaugurazione del Gold Circle il quartiere non era più considerato come un'oasi di pace ed esempio di vita prebellica, ma restava comunque un luogo di lusso dove andare a vivere. E il buon generale ci aveva vissuto a sbafo per settimane escogitando un piano di fuga con Jackson e i suoi uomini. Ancora però non capivo come fossero riusciti a fregarci senza che la nostra squadra di spionaggio se ne accorgesse.

L’appartamento di Foster si trovava al piano inferiore, affacciato su una delle aiuole più lontane. Per arrivarci scendemmo giù per le scale e ci spostammo sul lato destro del piazzale.

Rimasi spiazzata nel vedere le guardie alla porta dell'appartamento ancora in piedi e impassibili.

-Hey ragazzi! Visto qualcosa di strano?- Gli chiesi arrivata a pochi metri.

Ma i due non dissero niente. Non mossero neanche un muscolo.

-Ma ci siete?- Gli chiese Marion superandomi.

La donna gli guardò dritti negli occhi, e non ottenendo risposta diede a quello più vicino una punzecchiata nello stomaco con la canna del fucile antimateria. Restammo tutti sconcertati quando la canna penetrò il soldato senza trovare resistenza.

Li per li ebbi parecchi dubbi al riguardo, lo stesso accadde per l’indiana e gli altri agenti, ma in un istante intuii cosa stesse accendo. Mi avvicinai per averne la certezza e allungando la mano per tastare il soldato ebbi la sensazione di toccare il vuoto.

-Un ologramma.- Conclusi. -Ci hanno fregati.-

Senza attendere domande o risposte sparai una serie di colpi alla serratura della porta e con un calcio ben assestato la sfondai.

Ad entrare per primi fummo io, Marion, Green e atri due agenti. Trovammo Edgar Foster e Jackson nel bel mezzo di una partita a dama. Le loro pedine erano dei tappi di Nuka-Cola rossi, solo che Foster per distinguerli usava i suoi capovolti sotto sopra.

-Mani in alto!- Ordinò Green.

Ma i due non si mossero. Continuarono la partita senza neanche badarci.

Allora mi guardai in giro cercando la cosa più simile al faro di un proiettore, ed esattamente a meno di tre metri in diagonale dalle nostre teste, appeso al grande lampadario del salotto, vidi una piccola sfera luminosa del tutto estranea alle altre lampadine. Assicurandomi di non colpire il costoso lampadario, presi bene la mira e con un colpo di pistola feci saltare la sfera luminosa.

Il proiettile fece esplodere la sfera in tante piccole schegge fumanti di vetro bianco che si sparsero per tutta la stanza e subito dopo, l’ologramma di Foster e dei tappi rovesciati svanì. Restò solo Jackson a muovere i suoi tappi come se Foster fosse ancora li.

-Ci hanno fregati.- Mi ripetei delusa e amareggiata.

Green si avvicinò a Jackson cercando di trovare l’origine del secondo ologramma e allo stesso tempo lo specchio alla parete si aprì come una finestra. Un tecnico si sporse a guardare esterrefatto.

-È impossibile signora.- Disse il tecnico. -Li abbiamo visti entrare scortati dalle guardie. Chiedeteglielo, sono ancora li fuori.-

-Anche quelli sono degli ologrammi. Tutto questo è un diversivo.-

-Beh. Almeno abbiamo capito a cosa gli servivano tutti quei pezzi.- Disse Green mostrandoci il secondo proiettore.

Anche se privo di corrente, era chiaro che il proiettore era stato costruito con la refurtiva dei Doyle. Non potendo usufruire del suo Pip-Boy, Jackson era riuscito a creare quel congegno, i disturbatori e chi sa quale altra diavoleria con dello sputo e la sua fantasia. Nessuno si sarebbe aspettato un simile ingegno da quel colletto bianco d’alto rango.

-Watson, sai a che punto è la squadra di Russell?-

-Ehm, signora. Guardi che il robot è rimasto indietro di parecchio.- Mi rispose un agente.

-Magnifico!-

Mi ero dimenticata che un dei punti deboli della serie cerebrobot era la velocità. I pesanti cingoli non erano di certo adatti alla corsa.

Quella giornata si stava rivelando parecchio impegnativa per la sottoscritta e ancora non era finita. Mi misi a riflettere un attimo per fare il punto della situazione e giunsi alla conclusione più ovvia.

Foster e Jackson potevano anche aver incaricato i Doyle di piazzare i disturbatori, ma dopo aver visto i proiettori e aver considerato il numero degli intrusi, escludetti un possibile sabotaggio. Se Foster voleva distruggerci allora lo avrebbe dovuto fare dopo aver abbandonato la base, ma se noi lo avessi preso prima che ciò accadesse di sicuro ci avrebbe svelato cosa avrebbe colpito. Certo era anche probabile che l’infiltrazione nei nostri sistemi fosse solo un diversivo per dargli il tempo per fuggire, ma fino al suo arresto ogni pista era valida.

-Non ci resta altro da fare che bloccargli la via di fuga. Andiamo al Corridoio!-

Tutti gli agenti mi seguirono senza esitare, sicuri che la mia strategia fosse la migliore. Solo i due tecnici rimasero indietro ad esaminare l’appartamento.

Tornare all’area degli ascensori si rivelò ancor più facile di prima, dato che quasi tutti i cittadini si erano rifugiati nelle loro case temendo per i disagi energetici e per lo spiegamento delle forze di sicurezza. Per strada raccogliemmo anche un paio di soldati e altri agenti provenienti dal Gold Circle.

Tornati agli ascensori, trovammo anche i rinforzi. Beh, per lo meno Spectrum. L’eyebot ci raggiunse esattamente davanti all’ascensore per il dipartimento. Notai subito il suo cappello alla Sherlock Holmes, ma preferii non commentare.

Vidi che anche Watson era nei pressi dell’ascensore. Il robot era fermo sulla soglia dell’ascensore a fissarne l’interno. Forse si era fermato a bloccare la porta per noi.

-Red, scusami per il ritardo, ma sto cercando di localizzare la posizione dei disturbatori.-

-Tranquillo Doc, stiamo cercando di raggiungere il team di Foster prima che raggiunga la superficie.-

-Ehm, Dr Spectrum, sorvegliante Earp. C’è una cosa che dovreste vedere.- Ci chiamò Watson dall’ascensore.

Incuriositi ci avvicinammo al cerebrobot e con sorpresa trovammo l’agente Barbara ancora dentro all’ascensore in compagnia di uno strano apparecchio. Un globo metallico coperto di fili elettrici, valvole e uno sportello aperto. A giudicare dal design sembrava opera di Jackson.

-Che è quell’affare?- Chiesi preoccupata.

-L’agente Barbara l’ha trovata quando le porte dell’ascensore si sono aperte.- Spiegò Watson. -Sta cercando di disattivarla.-

-Aspetta! Vuoi dire che quella…-

-Red, rilevo una fonte di radiazioni.- Mi informò Spectrum. -Temo che quella sia una bomba termo nucleare.-

All’udire di quelle parole quasi tutti i presenti fecero un passo indietro

-Barbara … tira fuori le mani da quel bidone e vieni verso di noi.- Lo pregai.

L’agente però non mi badò. Continuò ad armeggiare con i componenti della bomba improvvisata, fino a che … TAC.

-Ce l’ho!-

-Cosa?!- Chiesi temendo il peggio.

-La carica esplosiva. L’ho disinnescata!- Disse Leslie.

-Ha ragione. I miei sensori la identificano come la fonte di radiazioni.-

Contro ogni più tragica prospettiva, l’agente era riuscito a disinnescare la bomba e camminando verso di noi, ci mostrò un cilindro di alluminio non più lungo di quindici centimetri e spesso quattro, con un paio di fili di rame all’estremità destra.

-Ecco a cosa serve il corso per artificieri. Come avranno fatto a costruirla?- Domandò Leslie.

-Ancora non mi è chiaro dove siano riusciti a trovare quella carica.- Feci notare io. -Che cos’è? Plutonio? Uranio?-

-Sabbia radioattiva.- Mi rispose Spectrum.

Guardando con più attenzione, ci accorgemmo che dal cilindro fuoriusciva della sabbia. Sottile come quella di una clessidra, ma dannatamente radioattiva. Quando Leslie la posò a terra e si fece da parte, ci passai sopra il Pip-Boy e il contatore geiger segnalò un livello di radiazioni uguale a quello del terriccio in superficie.

-In effetti non ho trovato una carica di innesco la dentro.- Ci informò Leslie. -Anzi, credo che la bomba sia un groviglio di cavi e lampadine colorate. Non ci ho trovato neanche una valvola da radio.-

-Era solo uno specchietto per le allodole. Ci volevano rallentare.- Concluse Green.

Solo in quel momento mi ricordai dall'imminente fuga.

-Dannazione! Entrate tutti!- Ordinai spingendo quante più persone possibili nell’ascensore.

Robot compresi.

Pur essendo abbastanza larga da ospitare due Corvega Atomic V8 o un carro armato pesante, la cabina dell’ascensore si rivelò molto stretta e io mi ritrovai spiaccicata contro le sbarre di protezione. Forse avremmo dovuto lasciare indietro il finto ordigno.

-Rilassati. I ragazzi di sopra gli avranno fermati ancor prima di arrivare alla piazzola del corridoio.- Mi tranquillizzò Marion.

-Dici?- Le chiesi alludendo ai recenti avvenimenti.

Nonostante il potenziamento dei motori, avvenuto tempo addietro, il viaggio si rivelò più lungo del solito. Ero talmente tesa che il tempo si era quasi fermato per me. Immaginatevi cosa provai quando l’ascensore si fermò al checkpoint. Quei cacchio di robot ci misero un’eternità a scansionarci tutti. Per fortuna alla radio c’era Zoe the Queen, la quale dopo essersi ripulita, era diventata la prima conduttrice radiofonica di Beacon City, le cui trasmissioni ti facevano sganasciare dalle risate.

-Un giorno i poliziotti andarono ad una manifestazione contro la guerra e spararono lacrimogeni su tutti i manifestanti. Solo che un dei proiettili tornò indietro, colpendo uno dei poliziotti. All’ora uno dei sui colleghi gli chiese: Perché piangi? E lui gli rispose: Il fumo mi ha tradito.-

Come la maggior parte dei presenti, non potei fare a meno di afferrare il lato comico. Però l'umorismo cupo di Zoe non batteva la professionalità di Anson. Almeno per me.

Quando arrivammo in cima e le porte si aprirono, trovammo il caos. Già dall’atrio del dipartimento era possibile scrutare il via vai di agenti e soldati intenti a correre lungo la strada per il Corridoio. Gli unici due che trovammo fermi ai loro posti furono i tre agenti di guardia all’ascensore.

-Comandante, siete voi?! Foster ha preso degli ostaggi!- Disse uno degli agenti indicandomi la strada per il Corridoio.

Entrando nella sala principale del dipartimento scoprii i segni di uno scontro a fuoco da poco concluso. Osservando i pochi fori di proiettile su una colonna e nelle scrivanie li presenti, doveva essersi trattato di una veloce sparatoria. Quando gli agenti si accorsero della mia presenza cessarono tutte le loro attività. Dal correre in giro con i fucili d’ordinanza, al cercare di ripristinare le comunicazioni con i terminali.

-Cosa è successo qui?- Chiesi.

-Non so come, ma Foster e i suoi uomini sono riusciti ad arrivare fin qui senza scorta signora.- Mi informò uno degli agenti li vicini. -Quando sono entrati avevano delle uniformi dell’esercito e con il problema delle comunicazioni nessuno ci aveva fatto caso. Stinson è stato l’unico a riconoscerli e quando ha dato l’allarme lo hanno ucciso.-

Mi accorsi solo in quel momento del cadavere steso li vicino con un lenzuolo bianco macchiato di rosso a coprirlo. E a fargli compagnia ce n’erano altri tre. Uno non aveva più la testa.

-Chi sono?-

-Quello senza testa era uno di loro. Uno dei nostri proiettili gli ha fatto saltare la testa. Gli altri due sono un addetto alla manutenzione e uno degli ostaggi.-

-Ostaggi hai detto?- Gli chiese Green.

-Si signore. Erano già con loro quando sono entrati e durante la sparatoria gli hanno usati come scudi umani. Non abbiamo neanche fatto in tempo a trattare che avevano già ucciso l'addetto e minacciato di fare lo stesso con gli altri due se non gli avessimo fatti passare e disattivato le difese della piazzola.-

-Chi altri hanno rapito?- Chiesi.

-Eireen Davis e un altro civile che non siamo ancora riusciti ad identificare. Senza l’accesso alla rete siamo praticamente cechi.-

-Tranquilli. Avete fatto quello che potevate. Sapete dove si trovano adesso?-

-Sul montacarichi principale del Corridoio, più o meno a cento metri dalla superficie.- Mi rispose uno degli operatori. -Tra poco raggiungeranno la superficie e senza un collegamento diretto da qui non abbiamo modo di fermare il montacarichi.-

-E se togliessimo la corrente ai motori?- Suggerì Barbara.

Solo in quel momento mi accorsi che l’agente disinnesca finte bombe stava sgocciolando sudore da tutti i pori. La tensione doveva averlo liquefatto dall’interno.

-Senza la connessione ci toccherebbe farlo manualmente e a meno che non vogliate far saltare i trasformatori con dell’esplosivo, ci vorrebbe almeno tre quarti d’ora per bloccare il flusso.-

-Ecco una cosa a cui i progettisti non hanno pensato quando hanno ideato le contromisure per i sabotaggi.- Ironizzò Green.

Il tempo a nostra disposizione era agli sgoccioli e le nostre uniche speranze erano riposte nella squadra di Russell. Solo loro potevano trovare il o i disturbatori che i Doyle avevano nascosto nell’amministrazione. Oppure ….

-Fermi tutti!- Esclamai. -Nick! No, scusate … agenti e soldati! Qualcuno di voi è abilitato all’uso delle esotute?-

Ci fu un attimo di calma piatta. Molti si guardarono intorno, cercando colleghi o conoscenti che avessero partecipato all’addestramento, ma nessuno dei presenti sembrava essere uno dei pochi folli ad essersi offerti volontari per volare come angeli nel cielo con una tecnologia difficile da governare.

-Noi due.- Disse un soldato dall’altro lato della sala indicando un suo compagno.

-Da quanto so un esotuta può stare in volo stazionario con un carico di tre persone, comprendendo anche il pilota.-

-Si, la manovra A8 con due passeggeri è stata parte del nostro corso, ma a cosa le serve.-

-Voi due, mettetevi un esotuta e raggiungete il montacarichi secondario.-

I due soldati eseguirono i miei ordini e si diressero ai garage. Restava solo da selezionare la squadra d’assalto.

-Green, tu mi servi qui a guidare la baracca e a trasmettere l’ARSI in caso le comunicazioni dovessero tornate. Doc e Watson, aiutatelo come meglio potete. Marion e te soldato salirete su una delle esotute.- Ordinai all’indiana e ad un altro soldato di pari stazza armato con un fucile a pompa antisommossa.

-Aspetta capo!- Mi interruppe Green. -Credo di aver capito cosa vuoi fare, ma l’apertura del secondo montacarichi si attiva solo se la piattaforma raggiunge i finecorsa.-

-C’è anche il sistema manuale per le emergenza. Basta solo che l’esotuta mi porti abbastanza vicina e mi ci tenga. Mi serve un altro per fare da contrappeso. Qualche volontario?-

Il mio piano era raggiungere l’apertura con l’aiuto dei jetpack delle esotute, aprire manualmente la botola e battere Foster in volata. Solo che tutti gli altri presenti non ne sembravano molto convinti. Anzi sembravano terrorizzati all’idea di sfrecciare all’interno di un condotto per montacarichi delle dimensioni di un netturbino pulisci strade, per poi restare fermi a mezz’aria con il vuoto totale sotto ai loro piedi.

-Tu, forza con me.- Dissi ad un giovane agente con la corporatura simile alla mia e una mitraglietta da 10mm.

-Io?- Mi chiese lui.

-Si, tu. Diamoci da fare gente.-

Terminata la selezione ci apprestammo a raggiungere il montacarichi secondario, lasciandoci alle spalle il brusio dei nostri compagni. Sapere che Green era con loro a dirigere le operazioni al posto mio mi tranquillizzò.

I due soldati ci stavano già attendendo dentro le loro esotute all’incrocio tra il garage dei mezzi, l’armeria, la sala principale e la piazzola di carico dove eravamo diretti.

Quando passammo sulla piazzola del Corridoio non potei fare a meno di criticare l’arsenale di difese automatiche che nella nostra circostanza si era rivelato del tutto inutile. A fine di quella storia avremmo dovuto migliorare il nostro sistema di sicurezza. Un’altra volta.

-Prendete posto.- Disse uno dei soldati nelle esotute.

Con l’aiuto dei due soldati io e i miei tre compagni prendemmo posto hai lati delle due armature. Mettendo nelle fondine o a tracolla le nostre armi, agganciammo i cinturoni delle nostre tute di sicurezza Vault-Tec alle funi statiche collegate ai bacini delle esotute. Assicurate le funi e i ganci, ci aggrappammo con una mano alla spalla di ferro dal nostro lato e salimmo con un piede sopra a quello di metallo sempre dal nostro lato. Il mio contrappeso però non ne sembrava molto convinto.

-Allora?- Gli chiesi.

-Andate avanti, io aspetto il prossimo autobus.-

-Non ci dividiamo.- Dissi facendogli segno di salire.

Assicuratici tutti alle esotute, i due soldati attivarono i propulsori dei jetpack. Il piccolo spazio della piattaforma si riempì in un istante di caldo e gas da combustione metallica. Meno male che le corazze delle esotute erano termoisolate, altrimenti la conduzione di calore ci avrebbe fritto stivali e mani.

Il decollo si rivelò più divertente che spaventoso, anche se la paura di bruciarsi con i propulsori dorsali o frontali restava.

La salita era tutta una questione di precisione per i due soldati, che pur andando abbastanza velocemente, prestavano la massima attenzione al volo.

-Red! Red, mi ricevi?!- Mi chiamò Spectrum alla radio.

Con la mano libera estrassi la radio portatile dal cinturone, ipotizzando che almeno il problema delle comunicazioni fosse stato risolto.

-TI RICEVO DOC!- Urlai cercando di sovrastare il rombo dei propulsori.

-La squadra di Russell ha trovato e smantellato il disturbatore principale. Tutti gli altri hanno smesso di trasmettere le interferenze. Abbiamo nuovamente il pieno controllo del P1.-

-MAGNIFICO!- Esultai.

-Capo sono io.- Disse Green sulla stessa frequenza. -Abbiamo dato l’allarme in superficie e aperto la botola. Ma secondo il computer il montacarichi del corridoio è arrivato già da tre minuti. Sbrigati prima che Foster la scampi.-

Scoprendo che i fuggitivi erano così avanti rispetto a noi, diedi un ordine abbastanza discutibile.

-HANNO APERTO LA BOTOLA! ANDIAMO, VELOCI!!!- Ordinai.

Subito i due soldati aumentarono la potenza dei propulsori e come delle saette ci spedirono verso la superficie in tempo record. Vista la nostra situazione la cosa si rivelò tanto utile quanto pericolosa dato che lo spazio di manovra delle esotute era dannatamente stretto.

Arrivati in superficie lo scenario ci apparve come sempre. Scuro, freddo e … in costante allontanamento.

-FRENA!!!- Urali prima di raggiungere lo scudo azzurro luminescente del RAD-SHIELD.

Le due esotute si fermarono ad appena mezzo metro dallo scudo che ci separava dal mondo della Zona Contaminata. L’aria non ci avrebbe ucciso, ma viste le nostre tempistiche, salire di quota ulteriormente sarebbe stato controproducente. In più le sentinelle avevano riferito che il tempo negli ultimi giorni era peggiorato.

-Temo, di aver sbagliato livello.- Disse il soldato abbassando la potenza dei propulsori.

-Nessuno è perfetto.- Commentò l’altro agente.

Durante la discesa udii le sirene del forte e vidi le truppe militari correre per la base a guardia dei punti d’uscita o alla ricerca dei fuggitivi. La caccia era ufficialmente aperta.

-Sorvegliante, sono Baker. Mi ricevi?-

-Si signore!-

Meno male che la radio non mi era caduta.

-Per quanto seccante possa essere, ti devo chiedere di catturare vivi quanti più fuggiaschi possibili. Eliminali solo se ne necessario.- Il tono di Baker non sembrava il solito.

-Signore, va tutto bene?-

-Si, si. Devo solo riorganizzare le idee. Passo e chiudo.-

La risposta del colonnello mi sembrò evasiva e poco convincente, ma il dovere mi chiamava.

Trovare il team di Foster in tutto quel trambusto non sarebbe stato facile, a meno che qualcuno non lo avesse già trovato.

-Sorvegliante? Sorvegliante Rocket, mi sente? È la sua frequenza questa?-

La voce alla radio era quella di un ragazzino. Una voce molto familiare.

-Zack? Tesoro sei tu?!-

-Quei signori cattivi da cui ci aveva detto di stare lontani sono nell’hangar. Mi sono nascosto nella cabina del V2, ma hanno sparato ad Issac e catturato Baatar.-

Il piccolo ghoul era spaventato e con i propulsori a potenza ridotta riuscivo a sentirlo singhiozzare.

La situazione continuava a peggiorare, ma per lo meno avevamo scoperto la posizione dei fuggiaschi.

-Resta li! Stiamo arrivando!-

-Vi prego, fate in fretta.-

-Hey, tu piccolo carboncino! Vieni qui.- Disse qualcuno in sotto fondo.

-RED!-

-ZACK! ZAAACK!!!- Urali alla radio.

Ma l’unico sono che riuscii ad udire fu un sordo tonfo ad indicare l’interruzione del contatto. C’era una sola cosa da fare.

-Portateci al nostro hangar.- Ordinai ai due soldati mostrandogli uno dei grossi edifici ai margini della pista.

Con qualche piccola correzione alla rotta e una rapida discesa, arrivammo all’ingresso dell’hangar, dove trovammo uno dei portoni scorrevoli già aperti. Con le nuvole a coprire il cielo la visibilità era quasi pari a zero e stranamente le luci erano spente.

-Sganciarsi!- Ordinai sapendo che combattere agganciati alle esotute era sconsigliabile.

Ma appena misi i piedi a terra, udii un forte rombo e in un attimo una ventata mi spinse a terra. Un vertibird era appena volato sopra alla mia testa investendo le due esotute e chiunque ci fosse ancora attaccato.

Mentre mi rialzai, vidi che l’agente che era con me e Marion avevano ricevuto il mio stesso trattamento, mentre i due soldati erano stati investiti in pieno e con loro anche il soldato con il fucile a pompa antisommossa. Osservai anche il vertibird allontanarsi in cielo, per poi oltrepassare la cupola anti radiazioni e sparire nella foschia del cielo.

-Ma quello non è il V2 di Baatar?- Mi domandai.

-Chi è ferito?- Chiesi appena rialzata.

-Io sto bene, ma la mia tuta non risponde. Forse mi si sono rotti i giunti.- Rispose il soldato che aveva portato me e l’altro agente.

-Credo di essermi rotto una o due costole. E credo che questo qui sia morto.-

Mi avvicinai all’altra esotuta e dopo aver constatato che i danni si limitavano al torace corazzato vidi che il soldato, che era con Marion, giaceva a terra con la testa fracassata e il sangue che usciva dalla sua bocca. Se fosse riuscito a sganciarsi in tempo, il vertibird lo avrebbe risparmiato.

Provai a trascinare il soldato nell’esotuta al riparo, ma pur essendo più leggera di un’armatura atomica, trascinare l'esoscheletro da guerra a mani nude si rivelò impossibile.

Come se non bastasse, una jeep uscì sgommando dall’hangar, passando con le ruote sinistre sulle gambe del soldato.

-CAZZO!- Urlò.

Il guidatore era un militare con l’armatura da combattimento verde oliva dell’esercito e una sciarpa militare a coprirgli il volto. A tradirlo però fu il taglio di capelli a spazzola color grigio chiaro. E viste le circostanze, doveva per forza trattarsi di Edgar Foster.

-Ti ha ferito?!- Chiesi al soldato.

-No, la tuta non mi ha fatto sentire nulla. Però un’auto che ti schiaccia le gambe fa comunque uno strano effetto.-

Ebbi un colpo però quando una seconda jeep uscì dall’hangar e si fermò davanti a noi. Per un attimo temetti che gli uomini di Foster si fossero fermati per freddarci, ma con sorpresa scoprii che a guidare il mezzo era Isaac.

-Salite ragazzi!-

-Marion, con me!-

Con una spettacolare acrobazia in perfetto stile poliziesco, scivolai sul cofano del mezzo e mi sedetti sul sedile del passeggero. Marion andò alla mitragliatrice calibro 50 sul retro e l’agente ….

-No! Tu aspetta qui e aiuta questi soldati.- Gli ordinai.

Il mio sottoposto ubbidì senza fiatare e offrì assistenza ai compagni.

Appena Isaac partì all’inseguimento della jeep presi il microfono del nostro mezzo e lo sintonizzai sulla frequenza degli altoparlanti.

-A tutti i soldati e agli agenti nel forte. Sono il Sorvegliante. Il generale Foster sta cercando di scappare a bordo di una jeep verso il Gate1. Sparate alle gomme. Ripeto, sparate alle gomme.-

Terminata la trasmissione fummo sfiorati da una raffica di proiettili. Qualche sentinella doveva averci scambiati per Foster.

-Maledizione! Siamo noi quelli nella jeep con tre passeggeri!- Dissi incavolata alla radio.

Continuammo a correre per le strade del forte senza essere presi di mira per sbaglio e nel frattempo udimmo numerosi spari. Segno che qualcuno aveva finalmente intercettato il fuggiasco.

Peccato che tra questi non ci fosse il pilota dell’apophis a guardia del forte. Quel bestione era dalla parte opposta della base in quel momento.

-Cosa è successo nell’hangar?- Chiesi ad Isaac. -Zack diceva che ti avevano sparato.-

-Infatti mi sono dovuto iniettare uno stimpak nella spalla. Jackson ha fregato tutti.-

-Che intendi?-

-Appena è salito sul V2, ha ucciso gli uomini del nostro amico e rapito Baatar e Zack. Quella merda ha ucciso anche un civile e la Davis.-

-Vuoi dire …?-

-Si, era lui quello nel V2. Ha stordito Mr B e ha pilotato il suo vertibird. Prima che partisse, l’ho anche visto mentre gettava fuori dalla cabina il transponder. Senza quello non lo troveremo oltre il perimetro dei nostri radar.-

Quella notizia cambiava ogni cosa. Foster era stato appena fregato dalla vera mente criminale di quell’operazione e in preda alla disperazione si stava giocando il tutto per tutto. E cosa ancora peggiore, uno dei miei piloti e un giovane abitante del P1, erano stati rapiti e portati chi sa dove.

L’unico modo per mettere fine a quel disastro era ricatturare l’ex generale e strappargli qualsiasi informazione valida.

Svoltato l’ultimo incrocio arrivammo sulla strada per il Gate1 ed esattamente li, trovammo la jeep. Il mezzo continuava a velocità massima verso il portone del Gate1, come se al suo arrivo la via di fuga si sarebbe liberata automaticamente. Già mi immaginavo il mezzo che si schiantava sulle porte d’acciaio e il fuggiasco che moriva nell’incidente. Ma contro ogni pronostico le due grandi porte iniziarono a scorrere lateralmente, dando così libero accesso a chiunque.

-Com’è possibile? Si è comprato la guardia del cancello?- Chiese Marion esterrefatta.

-Non direi.- Dissi indicando la guardiola ai margini del portone.

Le due sentinelle a guardia dell’entrata si erano messi a bersagliare la jeep, ma neanche questo bastò a fermare il mezzo. Chiamatela fortuna sfacciata o come volete, ma quel verme di Foster riuscì a passare attraverso le due piastre del portone semi aperto con alle spalle almeno una dozzina di armi a bersagliarlo. E dire che sulle mura c’erano anche due soldati in armatura atomica con delle mitragliartici a canne rotanti.

-Si sta chiudendo!- Fece notare Isaac.

-Avrà usato un altro congegno di disturbo. A tutta birra!- Ordinai.

Il pilota ghoul premette ancora di più sull'acceleratore, portando il mezzo sulle cinquanta miglia orarie, ma la cosa si rivelò del tutto inutile. Arrivati a non più di dodici metri, il passaggio si era già troppo ristretto per far passare la nostra jeep e Isaac se ne accorse appena in tempo. O quasi.

Il pilota sterzò a sinistra e fece una frenata talmente brusca che per poco non volai fuori dal lato destro del mio sedile. Dovetti tenermi con tutte le mie forze ai pochi appigli che c’erano per non cadere di schiena. Anche Marion fu colta di sorpresa dalla forza centrifuga generata dalla brusca sterzata, ma almeno lei aveva la mitragliatrice a cui tenersi. Fu quando ci schiantammo contro il portone che caddi completamente fuori. Miracolosamente passai tra le due porte scorrevoli e finii a terra, rischiando solo di strapparmi le braccia e spaccarmi la colonna vertebrale sul duro asfaltato della strada che collegava il forte alla US-287. Il peggio fu però l’impatto tra il mio stomaco e le chiappe di Marion, che come me, al momento dell’impatto aveva perso la presa sull’arma ed era stata catapultata su di me. Cento chili di nativa americana, pezzi di corazza protetettiva e fucile antimateria che andarono ad impattare sui miei addominali e tutto ciò che celavano.

-Tutto bene?- Chiese Issac quando il mezzo fu completamente fermo.

-Maledizione, potevi ucciderci!- Gli rispose Marion rialzandosi.

Il pilota scavalcò il mio sedile e passò attraverso lo stretto passaggio lasciato dalla jeep tra le due porte che continuavano a chiudersi. Dieci centimetri più a sinistra e al posto di volare fuori mi sarei spappolata contro la porta sinistra del portone.

-Red, stai bene?- Mi chiese Marion preoccupata.

Io gorgogliai un’intraducibile risposta e agitai la mano a mo di più o meno. Il diaframma e lo stomaco mi facevano un male cane.

-Poteva andargli peggio.- Commentò Isaac estraendo dalla tasca uno dei suoi stimpak.

-Tu da oggi piloterai solo gli elicotteri, bello.- Lo rimproverò Marion.

-Zitta un po Bud con le tette. Piuttosto va a guardare dove sta andando Capiatan Cosmo.-

Con riluttanza l’indiana impugno il suo fucile e andò oltre la cupola. L'anestetico contenuto nella siringa compressa fece svanire ogni dolore e i farmaci curarono le lesioni e gli ematomi causati dall’incidente, dandomi la possibilità di rialzarmi in un istante.

-C’è mancato poco anche questa volta.- Dissi guardando l’auto con lo spigolo destro del cofano che continuava a comprimersi tra le porte.

-Vero, ma intanto quello se la sta svignando.- Mi ricordò Isaac.

-Giusto, andiamo.-

-Hey, Rocket. Non riusciamo a riaprire il passaggio. I comandi non rispondono.- Mi chiamò qualcuno.

Gordon Harris, l’MP che il giorno della Grande Guerra incontrai allo stesso posto di blocco, mi stava guardando dal sempre più stretto passaggio tra le due porte. Lui era uno dei pochi a chiamarmi ancora Rocket invece che capo, o signora, o … avete capito.

-Stacca la corrente e chiama i rinforzi. Vi aiuteranno loro. Noi proviamo a vedere dove sta andando Foster.-

-Provvedo subito.-

Assicuratami che le direttive fossero state ricevute, mi diressi verso la cupola con Isaac e dopo averla attraversata scoprii un imprevisto.

-Fregati!- Commentò Issac esasperato.

Il paesaggio circostante era completamento avvolto da una fitta nebbia giallognola che si estendeva fin dove l’occhio poteva vedere. E a confermare i miei timori sulla sua composizione, il contatore geiger del Pip-Boy iniziò subito a emettere un lieve ma continuo trillio. Quella roba era radioattiva.

-Com’è possibile?!- Chiese Isaac.

-Parli della nostra fortuna o dei cataclismi climatici causati dalle bombe?- Chiesi ironizzando.

-Merda. Ora è sicuramente morto. Anche con metà dei nostri velivoli a setacciare la zona, lo potremmo trovare solo già morto.-

-Quanto ci vorrebbe per far alzare un numero sufficiente di vertibird per trovarlo?-

-Troppo. Starà continuando ad allontanarsi anche adesso e più lo fa, più difficile sarà salvarlo da quest’oceano radioattivo.-

Mi ero arresa. Se Foster aveva preferito una morte certa a noi, ormai non lo fermava più nessuno. Per lo meno ci restavano i resti della famiglia Doyle da interrogare. Forse così avremmo ottenuto le informazioni sulla meta di Jackson.

Dopo tutta quell'inutile faticata mi presi un momento per commentare il paesaggio.

-È un po come a Flat White, vero Marion? Radiazioni e desolazione. Marion?-

L’indiana però non mi rispose. Era li ferma inginocchiata sulla strada con il ginocchio destro e teneva il fucile antimateria puntato sull'orizzonte.

-Marion?-

-Forse ce l’ho.- Mi rispose la donna.

-Scherzi.- Le chiese Isaac scettico.

-Forse. Mi sembra di vederlo sulla strada per le rovine di Boise.-

Scrutando attentamente l’orizzonte, vidi anch’io due flebili luci rosse allontanarsi sempre di più verso sud a velocità moderata. Ma anche se quello era davvero Foster, il tiro era quasi impossibile.

-Dai Hunt, vuoi scherzare?- Le chiese il pilota. -Facciamo prima a chiamare …-

Ma la donna sparò comunque un colpo, che dopo un notevole boato, sfrecciò nella nebbia e … BOOM.

-Wow.- Commentai.

-Che gli hai sparato?- Chiese sbalordito Isaac.

-Un normalissimo proiettile.-

Se quello era l’effetto di un proiettile antimateria standard, allora doveva avergli colpito il serbatoio.

-Andiamo!- Ordinai senza esitare.

Per non perderci nella nebbia radioattiva seguimmo la curva che collegava la base alla strada principale. Il giro lungo non ci portò via molto tempo e correre sulla strada era più facile che farlo tra le pietre e le sabbie del deserto.

Giunti sul rettilineo calcolai che al nostro obbiettivo mancavano settanta o cento metri. Estrassi la mia pistola e la puntai in avanti. La luce emanata dal puntatore laser tracciò una scia rossa nella nebbia dandomi un ottimo vantaggio nella mira.

-Fiamme a ore dodici!- Ci avvisò Isaac.

A una decina di metri da noi, iniziammo ad intravvedere un debole incendio illuminare i dintorni. Il proiettile aveva colpito il serbatoio della jeep che giaceva nel bel mezzo della strada capovolta sotto sopra.

Mi bloccai subito quando vidi il generale strisciare fuori dall’abitacolo.

-Fermo a terra e metti le mani dietro la testa Foster!- Ordinai puntando il fascio laser verso la sua fronte.

Ma Foster non mi ascoltò e senza badarmi si rialzò barcollando. L’unico motivo per cui non gli sparai fu per il probabile stato di shock in cui si trovava a causa dell’impatto.

-Te lo ripeto per l’ultima volta! Fermo a terra e metti le mani dietro la testa!-

-DOVE DIAVOLO VUOI ANDARE?! DOV’È ANDATO JACKSON?!- Tagliò corto Isaac.

-Io … mi meritavo di meglio.- Biascicò Foster. -Una persona come me si meritava un grande futuro.-

Un po mi sentivo in colpa per lui, d’altronde ero in parte colpevole delle sue sventure, ma era di Foster che stavamo parlando. Un vecchio traditore razzista, egoista, presuntuoso e … inutile.

-Lo sentite?- Chiese Marion.

-Cosa?-

-La terra. Sta tremando.-

Non me ne accorsi subito, ma concentrandomi avvertii delle vibrazioni nel terreno. Brevi, potenti e ritmiche. Sembravano le stesse di un’armatura atomica apophis in movimento. Mi rassicurò scoprire che i rinforzi stavano per arrivare.

-Voi mi chiamate traditore. Ma siete voi i veri traditori.-

Foster stava per avere una crisi isterica delle sue e ancora non lo avevo ammanettato. Da come teneva il braccio doveva esserselo rotto e questo mi spinse a ideare una strategia per placcarlo ed immobilizzarlo.

-Siete solo una marmaglia di immigrati messicani, sporchi indiani, mostri dalla pelle bruciata e agenti comunisti infiltrati! E cosa peggiore …-

-Oh … mio …- Dissi guardando l’enorme ombra avvicinarsi alle spalle di Foster.

Lo stesso, mastodontico e terrificante deathclaw di Flat White uscì dalla coltre di nebbia e dopo aver appiattito la jeep capovolta salendoci sopra, agguantò Foster con la sua enorme mano artigliata. Sembrava la scena di un film horror sui mostri preistorici, ma era tutto reale.

Appena resosi conto della situazione, l’ex generale lanciò un urlo di terrore. Non lo si poteva biasimare però. Chi non avrebbe urlato in quel modo sentendosi preda di quell'abominio genetico.

-CORRETE!- Urlò Isaac.

Il pilota e l’indiana si voltarono e iniziarono a correre il più lontano possibile, ma io sapevo perfettamente quanto il deathclaw potesse correre. Rimasi ferma li, ad assistere alla fine di Edgar Foster e studiare una qualsiasi tattica.

-Un bengala sparato il più lontano possibile per distrarlo? Ma quale bengala? Un proiettile nel serbatoio della jeep sottostante per azzopparlo? Ma quale serbatoio?-

-NOOO! TI PREGO NON FARLO!!! SCUSAMI!- Implorò Foster.

Il deathclaw si portò la preda all’altezza degli occhi, e dopo avergli dato una guardatina con i suoi occhi iniettati di sangue, emise un immenso ruggito che mi fece tremare anche le ossa. La ciliegina fu quando il lucertolone si portò l’uomo sopra la testa, per poi spremerlo come un frutto e berne i liquidi. Per poco non svenni quando i gemiti di Foster vennero sostituiti dallo scricchiolio delle sue ossa.

Terminata la “bevuta”, il deathclaw lasciò cadere a terra i resti dell’uomo. Tutto ciò che era rimasto, era una purea di stoffa, metallo piegato, carne, ossa, sangue e budella priva di vita. Come ultimo atto di profanazione, il lucertolone ci camminò sopra con la sua zampa destra, spalmando il tutto sulla strada.

Era davanti a me. Immenso, scuro e orribile. Quando lo vidi caricare il braccio per colpirmi capii che era la fine. Prima sarebbe toccato a me e poi avrebbe raggiunto i miei amici e seminato il panico nel forte. Chiusi gli occhi quando vidi la sua mano partire.

-Fermati Karugh.- Disse qualcuno nelle vicinanze. -Hai già consumato la tua vendetta.-

E il colpo non arrivò. Riaprendo lentamente gli occhi, vidi la mano del mostro a due metri da me. Due metri in più e mi avrebbe colpita come un’auto in corsa.

Per un attimo pensai di essere morta, ma poi il deathclaw si mise da parte e lasciò passare un altro della sue space. Il secondo deathclaw era di dimensioni medie. Come quello che avevamo abbattuto nel tunnel di Flat White. La cosa più assurda, non fu il fatto che quell’essere non mi attaccò, ma che forse fosse stato proprio lui ad ordinare al gigante di non uccidermi. E in un attimo mi fu tutto chiaro. Le voci che io e Lopez avevamo sentito nelle nostre menti alla base aerea. Era lui.

-Piacere di conoscerti. Mi chiamo Naalnish.-

   
 
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