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Autore: Yoshiko    03/05/2018    6 recensioni
È trascorso molto tempo dal viaggio dei ragazzi a Kyoto. Era autunno, la città li aveva accolti nella sua splendida cornice di aceri rossi, promettendo un soggiorno piacevole tra visite ai giardini e ai templi, colloqui per nuovi ingaggi e prove per uno spot televisivo. La spensieratezza di quei giorni si era infranta di colpo e gli strascichi di quei tragici avvenimenti continuano tuttora a segnare le loro vite.
Holly e Patty sono a Barcellona, Benji ad Amburgo, Mark è atterrato in Italia inaspettatamente accompagnato, e il resto del gruppo si trova in Giappone finché un’amichevole contro l’Italia di Salvatore Gentile e Dario Belli li riunisce tutti, ancora una volta.
Rain è il sequel di Leaves che a sua volta è il continuo di Snow. Per capire la storia e seguirne l’andamento è consigliabile avere un po’ di pazienza e cominciare dall’inizio, anche per la presenza di personaggi out of character, già presentati nelle precedenti fanfiction.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Kojiro Hyuga/Mark, Salvatore Gentile, Yoshiko Fujisawa/Jenny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Time'
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Tredicesimo capitolo



A Philip quella mattina prese un colpo quando Mark arrivò al campo addirittura in anticipo. Mentre varcava la porta degli spogliatoi insieme agli altri, lo vide percorrere il vialetto di gran carriera calpestando la ghiaia zuppa della pioggia caduta durante la notte. La Farrell non aveva ancora traslocato e la puntualità di quel demente rischiava di mandare a puttane il suo piano così ben congegnato.
Freddie gongolò di felicità.
-Buongiorno Mark! Puntualissimo stamane!-
Il ragazzo rispose al saluto con un cenno strascicato e raggiunse i compagni soffocando uno sbadiglio. Come poteva non arrivare puntuale? Jenny aveva passato l’intero giorno precedente a casa a fare la spola tra il letto e il divano. Riposata e fresca come una rosa, si era agitata nel letto per tutta la notte e quando ad un certo punto, insonnolito e furente, le aveva intimato di starsene tranquilla, lei si era alzata e aveva lasciato la stanza. Mark non sapeva che ora fosse, sapeva solo di essere risprofondato all’istante nel sonno. Ma dopo un tempo che gli era sembrato brevissimo aveva sentito Jenny rientrare in camera. Aveva lanciato un’occhiata alla sveglia sul comodino che segnava le cinque passate. Il fastidio di essere stato svegliato di nuovo lo aveva innervosito e così non era riuscito a riaddormentarsi. Alle sei e mezza si era alzato, aveva lasciato Jenny sotto le coperte ed era sceso in cucina, dove aveva trovato ad aspettarlo una succulenta colazione. Quando lei l’aveva raggiunto poco più tardi, si era ben guardato dal ringraziarla di tanto bendiddio, nervoso com’era per essere stato svegliato all’alba. Però aveva spazzolato tutto, invasato da una fame cieca, mostrando di gradire. Jenny lo aveva salutato con un sorriso stiracchiato, gli occhi cerchiati dal sonno, più stanca di quando era andata a dormire. Aveva osservato soddisfatta i piatti vuoti e quando lui aveva tentato di rispedirla di sopra, aveva fatto finta di non udirlo e aveva cominciato a radunare le stoviglie per rassettare la cucina. A quel punto Mark l’aveva trascinata a forza in camera ordinandole di infilarsi una buona volta sotto le coperte e di rimanerci fino a sera.
-Buongiorno Landers.- lo salutò Clifford con un ghigno -Come mai in perfetto orario? Jenny t’ha buttato giù dal letto?-
Mark ringhiò un insulto. La prima volta che Yuma si era permesso di fare una battuta su Jenny lo aveva mandato a quel paese, la seconda gli era saltato al collo. Cos’altro gli restava per fargli passare l’abitudine di accoglierlo in quel modo? Una serie di invettive e di minacce gli intasarono il cervello ma non ebbe il tempo di pronunciare neppure mezza parola. Uno schianto lo fece voltare di scatto. Tutti gli sguardi si posarono stupiti sulla mano di Philip ancora premuta con forza contro lo sportello di metallo di un armadietto. I suoi occhi emanavano lampi.
-Mi avete già stancato, vedete di finirla.- sibilò tra i denti.
Clifford ammutolì di colpo davanti a quello sguardo così velenoso e carico d’astio. Ma non fu l’unico a zittirsi. Nello spogliatoio il volume degli schiamazzi si abbassò sensibilmente e Philip finì di cambiarsi nel quasi più assoluto silenzio. Gli rodeva tantissimo, così tanto che avrebbe voluto sfasciarlo, l’armadietto. Landers era un demente! Per indurre Gamo e Marshall a trovare per Daisy una stanza in hotel aveva gettato al vento la propria dignità, il proprio orgoglio. Per liberarlo da quell’ospite sgradita s’era praticamente prostituito. Aveva dovuto riprendersi la fascia, sorbirsi il cazziatone di Benji. E come lo ringraziava Landers? Presentandosi puntuale proprio il giorno  in cui, più di tutti gli altri, sarebbe dovuto arrivare in ritardo. Che gli prendesse un colpo!
Quella mattina oltre all’irritazione, al nervoso, allo scontento e al consueto cerchio alla testa, Philip era anche irrimediabilmente stanco. Durante la notte non aveva chiuso occhio, i muscoli delle gambe avevano pulsato atrocemente fino a rendergli dolorosissimo restare disteso sotto le coperte. Aveva dormicchiato sì e no un paio d’ore e si era alzato così distrutto che gli ci era voluto un tempo infinito per lavarsi e vestirsi. Si era presentato nella hall tremendamente tardi e non aveva avuto il tempo di fare colazione.
Mark si attardò negli spogliatoi occhieggiando a tratti Philip che, da come si muoveva, sembrava avere un macigno di una tonnellata a gravargli sulle spalle. Si chiese quanto lui stesso avesse contribuito ad aumentarne il peso. Eppure, nonostante questo pensiero, non riuscì a sentirsi in colpa. Era sicuro che il comportamento dell’amico c’entrasse non poco con la fuga di Jenny dal Giappone e quindi provava nei suoi confronti una stizza senza fine. Aspettò che i compagni defluissero tutti verso il campo, poi si fermò ad attendere Holly che faceva la spola avanti e indietro tra i bagni e gli spogliatoi parlando al cellulare con l’allenatore del Barcellona. Van Saal sembrava finalmente essersi deciso a sbloccare il nullaosta ma da quel poco che aveva capito, gli stava imponendo una serie infinita di condizioni. Quando Holly riagganciò il telefono e lo ripose nell’armadietto non sembrava per niente soddisfatto. A Mark non interessò chiedergli notizie. Quello di Holly era un mal comune che purtroppo condivideva e di cui non voleva parlare.
-Ti avverto. Se Yuma anche domani mattina mi saluta così, lo prendo a pugni fino a rifargli i connotati e renderlo decente. E mi ringrazierete per avervi tolto una buona volta quel mostro da davanti agli occhi.-
L’amico sospirò, per metà divertito e per metà irritato da una prospettiva tanto violenta.
-Se lo fa è proprio un cretino, rischierebbe doppio. Sono sicuro che anche a Philip prudono le mani e ha una voglia matta di dargli una ripassata. Spero che la sua reazione sia stata sufficiente a fargli passare la voglia di sparare battute idiote.-
-Che ha stamattina?-
-Yuma?-
-No, Philip.-
-Stamattina niente, dovevi vedere ieri sera…-
La faccia di Mark si trasformò in un enorme punto interrogativo.
-Che ha combinato stavolta?-
-Ieri ha saltato la cena ed è rimasto ad allenarsi per ore.-
-Bene! Finalmente s’è reso conto che in campo sta facendo schifo!-
-Bene un cavolo! È stramazzato di stanchezza. Julian ed io l’abbiamo riportato in camera di peso.-
-Che deficiente! È chiaro che non regge più i ritmi. Forse è meglio se lascia perdere.-
Holly lo guardò.
-Se lascia perdere cosa? Il calcio?- sembrava sconvolto -Non posso credere che lo pensi davvero.-
-Non lo penso infatti. Ma in questo momento mi sta così sul cazzo che potrei dirgli anche di peggio!-
Holly lo precedette verso la porta sospirando.
-Stamattina sta meglio, ti pare?-
-A me sembra incazzato e nervoso come al solito.-
-Sicuramente aveva bisogno di un po’ di riposo. Julian dice che non dorme abbastanza.-
-Ma se l’altra sera in camera di Amy è crollato come un neonato!-
-Vallo a capire.- erano fermi sulla soglia, Holly lo fissò -Tu lo capisci?-
-No, ci ho rinunciato da un pezzo. E se proprio dovessi decidere di provare a capire qualcuno, mi piacerebbe sapere che diamine s’è messa in testa di fare Jenny con quel coglione di Gentile!-

Philip cadde come una pera matura ad un passo dalla porta di Ed. Neppure si accorse di perdere i sensi. Si ritrovò semplicemente a terra, la faccia sull’erba ancora umida, voci che lo chiamavano da lontano così confuse da non distinguerne le parole. Poi non udì più nulla.
Quando riaprì gli occhi era disteso a terra a bordo campo, vicino alle panchine. Si passò una mano sul viso e aprì e chiuse le palpebre un paio di volte. La faccia di Gamo prese forma sullo sfondo del cielo azzurro. Torreggiava su di lui e non fu un bello spettacolo, tanto che per un attimo prese in considerazione l’eventualità di chiudere gli occhi di nuovo. Fu solo la voce di Amy a spronarlo a scuotersi dal rincoglionimento. Girò la testa e la vide, dall’altro lato. Gli passò qualcosa di bagnato sul viso, forse era stato proprio quel contatto a fargli riprendere i sensi. Si tirò su di scatto, una fitta dolorosissima gli attraversò il cervello.
-Che è successo?-
Amy lo scrutò ansiosa.
-È successo che sei svenuto.-
-Impossibile!-
Dall’altro lato il volto di Gamo era una maschera di preoccupazione.
-Philip, che accidenti ti è preso?-
-Niente, sto bene…- si guardò intorno, il dottor Hills, il medico di squadra, stava accorrendo con la valigetta del pronto soccorso. Seppe che non ne aveva bisogno. Si puntellò a terra per mettersi in piedi ma Gamo gli mise una mano sulla spalla e lo bloccò seduto, spingendolo giù.
-Non ti muovere.-
-Ma io…-
-Non azzardarti a muoverti!-
Hills si inginocchiò al suo fianco.
-Cos’hai? Ti senti male?-
Philip scosse la testa.
-Stamattina non ho fatto colazione, deve essere quello.-
-Perché non hai mangiato?-
-Mi sono svegliato tardi e non ho fatto in tempo.-
Hills e Gamo si scambiarono un’occhiata.
-Ti misuro la pressione.- gli lanciò un’occhiata mentre gli arrotolava sulla spalla la manica della maglia. Poi avvolse il manicotto di velcro intorno al braccio.
Philip lo lasciò fare, la testa gli girava e gli faceva male. Vide Patty avvicinarsi con una bottiglietta di plastica in mano, Daisy spuntare oltre la schiena di Gamo e guardarlo curiosa.
Il manicotto si strinse dolorosamente attorno al braccio di Philip, mentre Hills guardava il manometro.
-È bassa, Philip. Troppo bassa.- il medico ripose gli strumenti nella borsa e si mise in piedi -Riprenderai gli allenamenti nel pomeriggio, dopo aver pranzato come si deve.-
-Non mi pare proprio il caso! Sto bene e…-
-Philip!- lo zittì Gamo brusco -Fammi il favore di  non contestare le decisioni del dottore!-
-Non sto contestando niente, sto facendo presente che sto bene!-
-Ah sì? Cosa ne sai? Sei un medico? E da quando? Siediti in panchina e restaci!- gli lanciò un’occhiata tale che il ragazzo capitolò d’un botto. Dopodiché Gamo si allontanò con Hills, continuando a parlare di lui.
-Ieri ti sei stancato troppo.-
Philip spostò lo sguardo su Patty che gli allungò una bottiglietta di bevanda energetica, piena di sali minerali e zuccheri. Non rispose, che poteva dirle? La prese e si tirò su in piedi. Nella testa sentì un vuoto e non fu più così sicuro di stare bene. Per sicurezza guadagnò le panchine e si sedette. Non voleva finire di nuovo a terra sotto gli occhi di tutti. Di tutti… lanciò un’occhiata al campo e si accorse con fastidio di essere oggetto della curiosità di gran parte dei compagni. Avevano persino interrotto il gioco per non perdersi nulla.
-Che state facendo? Perché non vi allenate?-
Spostò lo guardo sulla recinzione e sui giornalisti che l’affollavano. Vederlo crollare in campo doveva essere stato uno spettacolo interessante, da scriverci un buon pezzo. Sarebbe finito su tutti i giornali, su ogni sito web. Come la foto di Holly svenuto ai piedi di Rivaul il giorno del suo arrivo a Barcellona che aveva trovato su internet. Guardò Evelyn e il cellulare che teneva abbandonato tra le mani.
-Io non ti ho fotografato.- si tirò indietro lei che non aveva neppure formulato l’idea. Quando lo aveva visto afflosciarsi senza un motivo, senza essere stato spinto e senza aver inciampato, le era preso un colpo.
La pausa che Gamo fischiò di lì a poco non gli fu d’aiuto. I compagni gli si affollarono intorno, stordendolo con la loro preoccupazione. L’unico a tenersi alla larga fu Mark, in tutt’altre faccende affaccendato. Di Philip in quel momento non gli fregava nulla. Aveva troppa fretta di approfittare della pausa per chiamare Jenny e avere notizie. Provò e riprovò ma lei non rispose e alla fine fu costretto a lasciar perdere.
Daisy gli si avvicinò così silenziosamente che bastò la sua voce a farlo sobbalzare.
-Dov’è andata Jenny stanotte?-
Si volse confuso e riuscì soltanto a rifarle l’eco.
-Stanotte?-
-L’ho sentita uscire verso le undici e tornare alle cinque passate.-
-Non è possibile, sta male.-
-Non troppo direi. Una macchina grigia l’aspettava davanti casa per portarla chissà dove.- lo fissò divertita dal suo sconcerto -Dormite insieme e non ti sei accorto che è uscita?-
Mark sussultò. Non c’era bisogno che l’intera nazionale sapesse che lui e Jenny dividevano lo stesso letto. Tanto meno c’era bisogno che lo ricordasse a Philip. Gli lanciò un’occhiata colpevole, ce l’aveva così vicino che non aveva potuto non udire. Eppure niente del suo atteggiamento tradiva collera o fastidio. Mark si sforzò di nascondere il disagio, nonché il nervoso di aver scoperto di essere stato beffato. Certo, aveva sentito Jenny muoversi nel letto almeno un paio di volte, ma era crollato di stanchezza. Come avrebbe potuto notare il suo viavai? E perché Daisy invece se n’era accorta? Ma il problema non era questo. Il problema era dove diavolo fosse andata. E poi con chi? Gentile aveva la Giulietta rossa, Carol un pandino blu. Chi poteva essere passato a prenderla ad un’ora così tarda? I suoi occhi inquieti si posarono su Philip che sedeva taciturno in panchina e giocherellava nervosamente con la bottiglietta ormai mezza vuota che teneva tra le mani. Incrociò il suo sguardo in cerca di una risposta che l’altro non avrebbe mai potuto dargli e, per un istante, un sentimento molto simile li avvicinò.
-Non ne so niente.- replicò brusco mettendo fine al dialogo con Daisy. Corse in campo a sfogare il nervoso sulla palla e possibilmente anche sugli stinchi di Clifford, perché Mark era uno che non dimenticava facilmente. Per quanto riguardava Jenny, quella sera avrebbe dovuto spiegargli un sacco di cose.  
Philip rimase in panchina ad annoiarsi da morire per tutta la seconda tranche di esercizi. L’ordine di Gamo era stato una beffa. Perché si era allenato così tanto la sera prima se adesso non poteva giocare? Ma il mister sembrava essersi preso un bello spavento e non aveva voluto sentire ragioni. Così, dopo la pausa, gli aveva proibito ancora una volta di unirsi ai compagni. Non soltanto lo aveva confinato in panchina, ma lo controllava da lontano, dai tavolini del bar, perché non si fidava assolutamente di lui e temeva che si intrufolasse in campo non appena gli avesse voltato le spalle.
Osservando gli amici che giocavano una partita, Philip notò con rammarico che la sua assenza non pregiudicava gli schemi di gioco né l’affiatamento della squadra. Non era un buon segno. Forse stava davvero per lasciarsi sfuggire di mano il posto in nazionale. Eppure non poteva permettersi di essere rimandato a casa, come Gamo lo aveva minacciato di fare. Cosa ne sarebbe stato della sua vita se avesse perso il calcio, ora che non aveva più neppure Jenny? Un futuro simile era così tetro da terrorizzarlo. Doveva assolutamente inventarsi qualcosa per correre ai ripari. Magari poteva cominciare già dal bordo campo. Se gli amici sopravvivevano alla grande senza che fosse fisicamente con loro, che almeno tornassero a seguire le sue direttive! Era o no il capitano?
Si decise a seguire il gioco come finora non aveva mai fatto e quando vide Warner allontanarsi dai pali per andare incontro a Julian che si preparava a tirare in rete, saltò in piedi.
-Ed! Non azzardarti a uscire dalla porta!-
Il portiere sussultò e si volse a guardarlo. Nello stesso istante Julian infilò la palla in rete. Mark esplose.
-Ed! Che diavolo fai? Dove accidenti guardi?-
-Guardo Philip, guardo! Mi ha fatto prendere un colpo! Sono giorni che non sentivo la sua voce!-
-Non dare la colpa a me, Ed! Io non c’entro niente! Non eri concentrato! Devi concentrarti sulla palla!-
Clifford si avvicinò.
-La botta ti ha fatto bene, Philip! A saperlo ti scaraventavo a terra già qualche giorno fa!-
Il giovane non reagì allo scherno ma lo guardò dall’alto in basso. Si era accorto che zoppicava ed era ora di fargli rimangiare le battute su Jenny con cui aveva salutato Mark.
-Esci.-
-Come?-
-Ti ho detto di uscire.-
Yuma cambiò espressione. Stizzito gli gridò addosso.
-Ma che vuoi? Perché invece di rompere le palle a chi si sta dando da fare non torni a vegetare?- -Allora fai come ti pare Clifford. La gamba è tua e se il dolore peggiora al massimo resti in panchina durante la partita contro l’Italia.-
Di fronte a quella prospettiva Yuma capitolò. Raggiunse sbuffando il bordo campo e si sedette a terra per tirare il muscolo indolenzito.
-È solo un crampo.- si giustificò.
-Meglio per te.- Philip neppure si voltò. Soddisfatto di averla avuta vinta senza sforzo, riprese a seguire il gioco facendo in modo che i compagni non si dimenticassero di lui neppure per un istante. Urlare contro di loro si stava dimostrando catartico, un ottimo modo per sfogare il nervoso di essere bloccato in panchina. Avrebbe dovuto pensarci prima, con le sue grida avrebbe rimesso in sesto se stesso e la squadra già da un po’.
Accanto alla bandierina d’angolo Danny e Sandy presero a litigare su chi dovesse rimettere in gioco. Ignorando i loro bisticci Holly recuperò da terra il pallone e lo calciò verso Rob. La discussione ebbe istantaneamente termine ma da quel momento Winter e Mellow iniziarono a guardarsi in cagnesco e a spintonarsi ad ogni occasione. E ogni volta che li coglieva a farsi i dispetti, il nervoso di Philip cresceva a dismisura: alla fine risolse il battibecco facendoli uscire entrambi. Cinque minuti di pausa da trascorrere fianco a fianco in panchina gli sembrarono la soluzione migliore per aiutarli a schiarirsi le idee. Li osservò ignorarsi, poi Aoi arrancò verso il bordo campo per concedersi un attimo di tregua.
-Non ce la faccio più…- piegato in due, le mani sulle ginocchia, respirò a fondo finché il cuore non rallentò i battiti -Mark non mi passa la palla! I tiri in porta vuole farli tutti lui! Mi sono stancato di corrergli dietro.-
Philip spostò gli occhi sul campo pronto a rimproverare a Landers la sua inguaribile fissa di segnare a Benji da fuori area. Gli anni passavano e la testardaggine di Mark peggiorava. Gli mancò il fiato quando vide il portiere prendere a urlare contro Bruce qualcosa di incomprensibile e lui rispondergli a tono.
-Adesso anche voi! Che vi prende? Bruce, piantala!-
Evelyn gli si avvicinò.
-La nazionale sta andando a scatafascio. Va avanti così da giorni, solo che finora non te n’eri accorto.- lui la ascoltò esterrefatto -Se vuoi vincere contro Salvatore Gentile, bisogna che ti svegli e dai una mano a Holly a sistemare questa squadra.-
Philip tornò a guardare il campo. Evelyn aveva ragione, nella nazionale giapponese qualcosa non andava. Non c’era affiatamento, non c’era coordinazione, non c’era niente di niente. Philip capì perché Gamo ne stava uscendo matto. Anche se forse era troppo tardi per riacquistare credibilità tra i compagni, qualcosa doveva farlo per forza perché la partita contro l’Italia o meglio, come aveva detto Evelyn, contro Salvatore Gentile, non voleva assolutamente perderla!
Quando ordinò a Mark di passare il pallone a Rob, lui lo ignorò e continuò ad avanzare verso Benji con tutta l’intenzione di portare a termine l’azione da solo. Ma il tiro non fu preciso e la palla finì fuori.  
-Che t’avevo detto, Mark? Perché non hai passato ad Aoi? Possibile che ancora non t’è entrato in testa che una squadra è composta da undici persone?-
Landers ringhiò.
-Stai zitto Philip! Sei tu che porti sfiga!-
-Magari fosse così! Se potessi li manderei fuori tutti, i tuoi tiri!-
Benji poco distante ridacchiò.
-Non ti conviene, sai Landers? Se davvero Philip potasse sfortuna, non sopravvivresti un altro giorno!-
Gamo li osservava dalle panchine con un misto di incredulità e commozione. L’improvviso risveglio del sostituto capitano gli aveva colmato gli occhi di lacrime. Dal tavolino del bar lo osservava camminare su e giù con il cronometro in mano lungo la linea del bordo campo attentissimo al gioco. E i compagni, che fino a quel momento si erano sforzati di far finta che non esistesse, avevano ricominciato a dargli retta. Certo, se Gamo avesse avuto un po’ più d’ascendente su di loro e anni prima non si fosse inimicato l’intera nazionale con quella storia degli allenamenti speciali e del Giappone Reale, le sue direttive sarebbero state sufficienti a far filare tutto liscio. Invece la maggior parte di ciò che diceva veniva puntualmente contestato. Non apertamente, ovvio. Nessuno era così idiota da dichiarargli esplicitamente guerra. Ma se lui diceva di correre sul lato sinistro del campo, per istinto tutti si spostavano a destra e non c’era niente da fare. Anni prima, Philip stesso aveva impiegato quasi due settimane a capire che il nuovo mister della nazionale giapponese dell’Under19 era il migliore disponibile al momento, nonostante avesse dato a tutti dei pivelli al primo incontro e le sue fissazioni per un tipo di preparazione che a fine giornata li lasciava stremati. Gamo dalla panchina riusciva a vedere pecche che sfuggivano addirittura a Holly, ma non era stato capace di conquistarsi la fiducia dei ragazzi.
Per la prima volta Salvatore vide Philip in piena attività e lo trovò parecchio migliorato. Sembrava quasi un’altra persona. Il suo entusiasmo per questa metamorfosi attirò l’attenzione di Dario e Matteo.
-Cosa stai guardando?-
-Callaghan. Avete visto? S’è svegliato tutto insieme!-
-La cosa ti fa piacere?-
-Direi.- rise Salvatore, strizzando un occhio ai compagni -Non c’è soddisfazione ad essere migliori di una mummia!-
Seguendo i secondi che scorrevano sul display del cronometro e la palla che volava attraverso il campo, Philip si impose di essere ragionevole e accettare la prima verità assoluta. Era insensato provare rancore nei confronti di Jenny perché aveva permesso a Mark di baciarla. Avercela con lei per questo sarebbe stato come avercela con lei perché McFay l’aveva violentata. Era un’assurdità. Ed era un’assurdità anche provare rancore nei suoi confronti perché si trovava a Torino, da Mark. Più che una coincidenza era un segno del destino di cui doveva assolutamente approfittare, cominciando innanzitutto ad accettare la presenza di Gentile al suo fianco. Dal momento che non stavano più insieme, Jenny era libera di frequentare chi voleva. O forse aveva pensato che sarebbe rimasta da sola per tutta la vita? Per quale assurdo motivo, quando l’aveva lasciata, l’eventualità che si sarebbe messa con qualcun altro non gli era passata per la testa? Eppure lui lo aveva fatto, aveva frequentato sporadicamente altre ragazze, tra cui Julie Pilar più a lungo di tutte.
Seguendo con gli occhi la palla che filava stavolta verso la porta di Ed, la sua attenzione venne catturata dallo sguardo azzurro di Gentile puntato su di lui. Invece di allenarsi l’italiano lo osservava curioso al di là della recinzione che separava i due campi. Nell’istante in cui i loro sguardi si incrociarono, a Philip sembrò addirittura di vederlo sorridere. Era scherno, cos’altro? Forse l’aveva visto cadere come una pera e aveva trovato la cosa divertente. Caricò il proprio sguardo di tutto il risentimento che provava nei suoi confronti e glielo scagliò contro. L’italiano reagì a tanto astio ridendo più forte. Sollevò una mano in un cenno di saluto, si volse e tornò dai compagni.
Mentre Philip guardava Gentile, Peter osservava Philip e rifletteva sul modo migliore di affrontarlo in un momento in cui gli sembrava più ricettivo dei giorni passati. Ne aveva parlato con Grace quella mattina, le aveva telefonato prima di raggiungere gli amici nella sala della colazione. Le aveva raccontato ciò che era successo la sera prima, che aveva trovato Philip stravolto, assistito in camera da Holly, Julian, Patty e Amy. Grace lo aveva esortato a fare qualcosa, anzi glielo aveva intimato, prima che le cose peggiorassero e non fossero più recuperabili. La situazione era troppo delicata. Lì a Torino c’era Jenny, un chiaro segno del destino. Quei due dovevano rimettersi insieme e Peter non poteva rischiare che l’incoscienza di Philip compromettesse tutto. Non poteva neppure rischiare che gli altri scoprissero ciò che si era portato dietro dal Giappone. Sarebbe successo un casino, nessuno avrebbe più avuto fiducia in lui, non lo avrebbero più voluto né come capitano né come compagno di squadra. Il mister lo avrebbe cacciato dalla nazionale e Pearson lo avrebbe rimandato in Giappone col primo volo. La posta in gioco era troppo alta e lui non poteva restare senza far niente mentre il suo amico d’infanzia si rovinava con le proprie mani. Non si sarebbe mai perdonato di non aver fatto nulla per toglierlo dall’impiccio. Si offrì volontario per un cambio e raggiunse la panchina. Era teso, furente e deluso. Mandò giù un po’ d’acqua, si diede il tempo di riprendere fiato e si accostò a Philip.
-L’hai rifatto, vero?-
L’altro si volse stupito.
-Ieri sera eri distrutto e oggi sei crollato. Hai preso di nuovo quella roba, vero?-
Si fissarono negli occhi e Philip, stanco di sentirsi accusato di qualcosa per l’ennesima volta, non tentò neppure di difendersi. Preferì tacere e Peter lo incalzò, interpretando quel silenzio come un’ammissione. Il risentimento nei suoi confronti ruppe gli argini.
-Perché non mi rispondi? Ammettilo, hai fatto la scorta da Baird e ci hai riempito la valigia! Sei un incosciente! Vuoi metterti nei guai? Vuoi che ti mandino via?- gli si scagliò addosso, afferrandolo per il bavero della tuta e scuotendolo con forza per indurlo a reagire, a ragionare, a tornare la persona che era.
L’impeto di Peter lo colse di sorpresa e Philip non riuscì a frenare il suo slancio. Si sbilanciò indietro e finì per urtare con violenza il palo della pensilina delle panchine. Una fitta di dolore gli attraversò la spalla e la schiena.
Patty balzò in piedi e accorse.
-Che state facendo? Smettetela immediatamente!-
Con una smorfia di sofferenza Philip si massaggiò il braccio indolenzito.
-Non hai nessun motivo di alterarti, Peter. Non è come pensi…- gli afferrò la mano e lo costrinse a mollare la presa.
-Già, non è mai come penso! Quante volte lo hai rifatto?-
-Piantala, non è il momento! Non lo capisci?- occhieggiò chi gli stava intorno, preoccupato che venisse fuori la verità su come a Sapporo aveva trascorso le sue serate solitarie.
Shake mandò giù il groppo che gli era salito in gola.
-Sai cosa, Philip? Non ti voglio come capitano! Non ti voglio così!-
-Almeno su questo siamo d’accordo! Anch’io non…- il pugno gli arrivò al centro della guancia, tra lo zigomo e il mento. Per un attimo un flash lo accecò, poi si schiantò a terra.
Quel giorno era destino che Philip passasse parecchio tempo steso al suolo. La mazzata di Shake fu tale che nella sua testa venne a galla la seconda verità assoluta. Mentre fissava incredulo il suo amico d’infanzia che si stringeva nell’altra la mano con cui lo aveva colpito, capì che non era Salvatore Gentile a tenerlo lontano da Jenny, così come non era il fatto che lei fosse ospite di Mark. Era il ricordo indelebile di McFay che gli si era incrostato addosso come fango secco e non veniva via.
Il pugno di Shake gli aveva spaccato da pelle da qualche parte nella bocca. Sentì il sapore del sangue e lo inghiottì. La voce di Patty gli arrivò acuta.
-Peter! Che accidenti ti prende?-
Philip spostò gli occhi da lei all’amico. Gli torreggiava davanti respirando forte, nello sguardo delusione, rimpianto e rimorso. Si era già pentito del gesto.
-Non vedevi l’ora di farlo, eh?- accennò un sorriso e la ferita tirò, stillando un’altra goccia di sangue.
Peter fece un passo avanti, Patty andò su di giri e cominciò a gridare.
-Shake, guai a te!-
Ma lui aveva tutt’altre intenzioni. Cercando di vincere la diffidenza e l’irritazione, porse una mano a Philip che gli si aggrappò e si mise in piedi vacillando.
-Stai sbagliando Peter. Non è come pensi.-
-Non è la prima volta che ti vedo ridotto come ti ho visto ieri sera…- abbassò gli occhi a terra, deglutì e decise di colpirlo anche dentro, facendo tutto il contrario di ciò che Grace gli aveva appena ordinato -Ho parlato con Jenny, sai Philip? Sembra davvero che non voglia più saperne di te. E fa bene!-
-Stronzate…- borbottò Evelyn lanciando a Peter un’occhiata sgomenta. Fortuna che erano amici!

*

Dopo che Mark se n’era andato, Jenny si era riaddormentata così profondamente che non aveva sentito Daisy fare avanti e indietro nel corridoio per prepararsi a uscire. Ma aveva sognato Philip. Ormai lo faceva in continuazione e ciò la esasperava. Stavolta aveva rivisto sprazzi del loro ultimo scontro nei corridoi dello stadio di Sapporo e si era svegliata in preda all’angoscia.
Mentre rifaceva il letto si sforzò di non pensare al suo odore, al suo calore, alla stretta rassicurante delle sue braccia, altrimenti la nostalgia avrebbe ricominciato a bruciare.
Era mezzogiorno. La sera prima aveva fatto scandalosamente tardi ed era stata una fortuna che Mark non si fosse accorto di nulla. Tirò su il copriletto e ne distese le pieghe. Ripiegò d’accapo almeno metà dei vestiti che erano nell’armadio e che trovò aggrovigliati l’uno nell’altro, stentando a credere a tanto disordine. Era come se Mark si fosse divertito a rimestare magliette, felpe e maglioni, mescolando tutto. Dopodiché scese di sotto, dove Malaya stava riordinando la cucina. La salutò, s’infilò le scarpe e uscì.
Il tram procedeva spedito sulle rotaie e Jenny osservava pensierosa i palazzi e i portici, le persone e le macchine, intrecciando tra le dita una ciocca di capelli. I germogli sugli alberi splendevano ai raggi del sole che filtravano tra le nubi. Fremeva per andare al centro sportivo e questa smania la infastidiva nel profondo, perché dimostrava soltanto che non era più in grado di tenere lontano il pensiero di Philip. All’inizio ci era riuscita piuttosto bene, ma con il passare dei giorni diveniva sempre più arduo. Andare al campo era diventato uno stress, ogni volta che lo faceva dentro si sentiva lacerata. Da una parte non vedeva l’ora di incontrarlo, dall’altra avrebbe pagato oro pur di non trovarsi faccia a faccia con lui, pur di non essere costretta ad ignorarlo ogni santo giorno. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per evitare i compagni, ma nello stesso tempo non era capace di starne alla larga. Persino la presenza di Gentile non era più sufficiente a dare un ordine ai propri sentimenti e tenere a bada le proprie emozioni.  
Mentre Jenny raggiungeva Carol per scroccarle un pranzo al Mc Donald’s, Amy attraversava la hall dell’hotel occhieggiando oltre le vetrate la strada percorsa dalle macchine. Il sole si era nascosto di nuovo facendo piombare la città in una plumbea penombra. Il cielo minacciava pioggia.
Benji era seduto al bar e dopo un attimo di incertezza, decise di raggiungerlo. Sentì profumo di shampoo prima ancora di arrivargli accanto. Il ragazzo odorava di buono, di pulito. Teneva il cappellino agganciato al passante dei jeans, da dove gli pendeva lungo il fianco. La maglietta a maniche corte, nonostante non facesse particolarmente caldo, gli fasciava la schiena mettendo in risalto la linea muscolosa delle spalle e delle braccia. Quando gli fu vicino lo vide intento a scrivere sul cellulare un messaggio, o forse una mail.
Amy gli si accostò inspirando il profumo del bagnoschiuma mescolato all’odore della sua pelle. Si dilungò ad osservarlo, prima i capelli corti della nuca, ancora umidi per la doccia. Poi spostò lo sguardo sulla sua espressione seria e concentrata, le dita che si muovevano veloci sul display, i muscoli delle braccia che guizzavano. Si riscosse, prese la felpa che il portiere aveva abbandonato sullo sgabello accanto, si sedette, la ripiegò con cura e se l’appoggiò in grembo. Lui le lanciò un’occhiata veloce e tornò a scrivere. Amy si sporse appena, giusto per dare un’occhiata discreta al display. Non capì nulla delle parole che vide. Benji stava chattando con qualcuno in tedesco.
-Tutto ok?- gli chiese.
-In generale sì, nello specifico dipende.- alzò gli occhi giusto il tempo di risponderle, poi tornò a scrivere.
-Marianne?-
-Chi?-
-La tua ragazza.- lo vide accantonare il telefonino da una parte e restare granitico -La tua ex ragazza.-
-Non so di chi stai parlando.-
Amy esitò, poi capì l’antifona.
-Posso ritentare?-
Le labbra di Benji si incurvarono appena.
-Spara.-
-Schneider.-
-Sei fuori strada.- Benji rise e la schernì -Non hai paura che vedendoci insieme, al tuo ragazzo venga un attacco di gastrite?-
-Non gli viene nessun attacco, per così poco.- rispose lei e non riuscì a fare a meno che i suoi occhi finissero di nuovo sulla pelle lasciata scoperta dalla maglietta, sui tendini che guizzavano e i muscoli che si flettevano ad ogni movimento.
-Buon per lui.-
-Non hai freddo?-
-Per niente.-
-Di cos’è che non vuoi parlare?-
-Se non voglio parlarne perché dovrei dirlo a te?-
-Va bene, lasciamo perdere.- capitolò con un sospiro, stirando con le mani le pieghe che si erano formate sulla felpa del ragazzo. Il calore che emanava era piacevole sulle ginocchia lasciate nude dalla gonna, forse non gliel’avrebbe restituita più -Devo chiederti un favore.-
-Che genere di favore?-
-Un favore semplice, che non ti costa nulla.- si fissarono in silenzio, poi Amy arrossì leggermente -Fai più attenzione a ciò che dici a Evelyn. Lei crede a tutto.-
-Per esempio?-
Lei esitò, a disagio.
-Per esempio ciò che riguarda le manie di Gentile. La curiosità di Evelyn ha fatto infuriare Jenny.-
Lui ridacchiò in un modo che la fece arrossire ancora di più.
-Quali manie, in particolare?-
-Te ne sei inventata più d’una?-
-Non mi sono inventato niente. Vuoi qualcosa da bere?-
Amy scosse la testa e d’un tratto gli fu grata di aver accantonato un argomento che avrebbe finito col metterla in imbarazzo sul serio.
-Dove sei stato ieri sera?-
-Un po’ qua, un po’ là.-
-Con chi?-
-Salvatore Gentile, mi doveva un’uscita.- lei lo fissò curiosa -Una sera ad Amburgo dopo una partita della Champions League siamo andati a divertirci insieme, con gli altri… Gentile voleva ricambiare il favore.-
-Ti sei divertito?-
-Mi sono svagato. È dura avere a che fare ventiquattr’ore su ventiquattro con dei deficienti.-
Ad Amy sfuggì un sorrisetto vagamente infastidito.
-Hai un’alta considerazione dei tuoi compagni di squadra.-
-Se ne salvano pochissimi. Saranno anche bravi a giocare a calcio, ma sono quasi tutti degli idioti.-
-Mi piacerebbe sapere chi sono le eccezioni.-
-Al momento non mi vengono in mente.-
Amy rise. Il cellulare di Benji vibrò per l’arrivo di un messaggio. Il ragazzo lo prese e diede un’occhiata rapida al testo. Le sue dita si contrassero di colpo e con un gesto stizzito lasciò cadere il telefonino sul ripiano. I suoi occhi si riempirono di collera e imprecò con un paio di vocaboli in tedesco. Amy non fiatò. Aspettò in silenzio e quando lui parlò di nuovo, la voce di Benji risuonò secca e atona.
-Rimarrò in panchina per le prossime partite, finché al mister non passerà l’incazzatura.-
-Chi te lo ha detto?-
-Kaltz in questo preciso momento.-
-Mi dispiace.-
La scrutò.
-È un’informazione riservata.-
-Non lo direi comunque.-
Benji tacque, il silenzio tra loro si protrasse per alcuni minuti e fu di nuovo lui a romperlo. La domanda che le fece la colse del tutto impreparata.
-Tu credi che McFay avrebbe fatto lo stesso quello che ha fatto a Jenny se io fossi rimasto alla larga da Karen?-
Amy deglutì. Il portiere, gli occhi abbassati sulle mani che serravano le ginocchia, proseguì prima che lei riuscisse a formulare una risposta.
-Me lo sto chiedendo da troppo tempo. È una domanda che mi assilla, che mi martella il cervello. E non riesco a darmi una risposta. Tu ce l’hai, una risposta?- si volse e sprofondò lo sguardo in quello di lei -Ce l’hai, Amy, una risposta?-
La giovane aprì la bocca per parlare ma la voce non uscì. Fuori pioveva, il cielo era a tratti plumbeo, a tratti azzurro. Il sole sembrava giocare a nascondino con le nuvole e il tempo piangeva a singhiozzi improvvisi.
-È una domanda difficile, vero?-
-No, non lo è…- respirò a fondo e continuò -Secondo me a David interessava Jenny e basta…- esitò, scorgendo per la prima volta il dubbio che lo straziava -Se David avesse voluto vendicarsi di te lo avrebbe fatto in un altro modo, tanto più che Jenny non era la tua fidanzata. Che senso aveva infierire su di lei per punire te? Jenny era la nipote dei padroni del ryokan con i quali aveva appena stretto un accordo, tu e lei non avevate niente in comune. Se avesse voluto vendicarsi, avrebbe potuto far saltare il tuo contratto, per esempio…- sussultò quando il pensiero appena formulato prese forma. Un malessere improvviso l’assalì, le venne improvvisamente da vomitare. Boccheggiò in cerca d’aria, le mani scosse da un tremito -Lo ha fatto, Benji? Lo ha fatto davvero? Non sei entrato nel Bayern per colpa di David?-
Lui non seppe cosa risponderle. Fu la prima volta, quella, in cui valutò da questa prospettiva ciò che era accaduto quasi un anno prima. Era stato lui a dire di no al Bayern oppure era stato il Bayern a spingerlo a rifiutare l’offerta? Non lo sapeva. Sapeva solo che la somma dell’ingaggio si era abbassata di colpo senza motivo e lui aveva rifiutato, tanto più che continuava a provare nei confronti dell’Amburgo, del suo staff e dei suoi compagni un legame profondo. Ma non aveva mai capito perché la somma fosse scesa così all’improvviso, in realtà non se l’era neppure chiesto. Poteva esserci sotto lo zampino di McFay? Sembrava assurdo. McFay non possedeva un potere tale da condizionare le scelte di una delle più grandi squadre europee. O sì? Si pentì di aver tirato fuori l’argomento.
-Benji? È stato David a far saltare il tuo contratto?-
-No, credo di no.-
-Ma non ne sei sicuro.-
Lui scosse la testa, poi ordinò un caffè.
-Non saremmo mai dovuti andare a Kyoto. Quel viaggio è stato un trauma per tutti.-
-Ma anche dopo… E anche adesso.- Amy sospirò e il suo corpo sembrò rimpicciolirsi.
-Jenny sembra stare bene.-
-Sì, si è ripresa abbastanza.- i suoi occhi si annebbiarono -Ma non tornerà più quella che era.-
Quella innegabile constatazione aleggiò sul loro silenzio, spezzato dal viavai dei clienti dell’albergo e dal personale in piena attività. Era quasi ora di pranzo e quel susseguirsi di piovaschi improvvisi aveva spinto Gamo a terminare in anticipo gli allenamenti. Non poteva rischiare che si buscassero un malanno.
Il nullaosta di Benji era arrivato in mattinata. L’impiegato della reception lo aveva chiamato e gli aveva consegnato il documento. Esaminando i fogli aveva scoperto che il permesso di giocare contro l’Italia era stato rilasciato lo stesso giorno in cui Pearson ne aveva fatto richiesta e la risposta aveva tardato ad arrivare soltanto a causa di un numero di fax errato. Il mister dell’Amburgo non aveva avuto dubbi, non aveva esitato e non si era fatto condizionare da possibili ripensamenti. In due parole aveva fatto in fretta a liberarsi di lui. Dopo tanti anni di certezze, a Benji si prospettava un futuro pieno di dubbi.

*

Salvatore diede gas e la Ducati nera oltrepassò a tutta birra la sbarra sollevata del parcheggio del centro sportivo. Mark saltò sul marciapiede quando la moto gli sfrecciò accanto e il fango di una pozzanghera gli schizzò sui piedi. Sbraitò contro l’arrogante pilota una valanga di invettive in italiano, purtroppo coperte dal rombo del motore. Gentile si fermò tra la macchina di Alex Marchesi e quella di Matteo Solari, posando un piede a terra per stabilizzarsi e lasciar smontare Jenny. Lei si sfilò il casco e liberò i capelli, che le ricaddero lunghi sulla schiena. Glielo passò, Salvatore lo prese, lo agganciò allo specchietto e si tolse il proprio. Poi accolse Mark con un ghigno.
-Dicevi qualcosa, prima?-
-Sì, che sei un incosciente! Come puoi guidare in maniera così spericolata mentre Jenny è con te?-
-Landers, io guido benissimo!- si passò sfrontatamente una mano tra i capelli per scompigliarli in quell’arruffamento sexy che gli donava un casino. Le ciocche d’oro brillarono al sole.
-Per quello che mi riguarda puoi anche essere un pilota provetto, ma non osare correre in quel modo quando sei con Jenny. Hai capito o no?-
Salvatore avanzò verso di lui e gli fu d’un tratto vicinissimo. Lo fissò negli occhi e abbassò la voce, calcando sulle parole.
-Io-sono-un-pilota-provetto. Facevo anche le gare, non lo sai?-
Landers lo spintonò per allontanarlo e nello stesso tempo indietreggiò.
-Certo che lo so! E so anche che mentre le facevi ti sei schiantato sulla pista e ti sei maciullato una spalla. Per cui ora le tue gare fattele da solo!- cambiò lingua e affrontò Jenny che aveva creduto, anzi sperato, di averla scampata -Perché sei in giro? Fino a ieri avevi la febbre a quaranta!-
-Appunto, fino a ieri. Oggi sto benissimo.-
-Landers non ti agitare.- Salvatore era già stanco di sentirlo sbraitare -Se ti prende un colpo mi togli il piacere di stracciarti in campo.-
Il ragazzo divenne paonazzo e inveì in italiano contro Jenny e in giapponese contro Salvatore. I due si guardarono e scoppiarono a ridere.
-Mark, stai facendo un casino.- si mise in mezzo Rob -Davvero è meglio se ti dai una calmata!-
Sentendosi improvvisamente ridicolo, Landers ammutolì di colpo. Si caricò la borsa e varcò l’ingresso del campo con un diavolo per capello.
-Philip, posso parlarti sinceramente?- gli si accostò Patrick quando furono negli spogliatoi.
Il ragazzo annuì rassegnato. Eccone un altro che aveva qualcosa da rimproverargli. Cosa non gli andava bene?
-Se vuoi riconquistare Jenny devi darti una svegliata. Non puoi continuare così.-
A Philip si rizzarono i capelli sulla nuca. Adesso persino Everett metteva bocca nei suoi affari privati e cominciava a sparare consigli non richiesti.
-E chi ti ha detto che…-
-Lo stavo pensando anch’io.- s’impicciò Paul Diamond -Di ragazzi non me ne intendo, ovvio… Ma Gentile non è mica male: simpatico, sveglio…-
-Hai ragione, Diamond. Di ragazzi non te ne intendi proprio.- borbottò Mark dal suo angolo.
Lo ignorarono.
-Ha un buon ingaggio, guadagna sicuramente tanto, ha la macchina, la moto, di certo una bella casa…- Paul scosse la testa -Riprenderti Jenny sarà per te impresa non da poco.-
-Davvero Philip?- Jason Derrick spalancò gli occhi dalla sorpresa -Vuoi rimetterti con Jenny? E Julie Pilar?-
-Se Callaghan è abbastanza sveglio può tenersele tutte e due.- buttò là Clifford.
Benji scoppiò a ridere.
-Questa è buona, Yuma! Non riesce a riconquistarne una, figuriamoci tenersene due!-
-Qualsiasi cosa tu decida di fare, sappi che noi tifiamo per te, Philip!- lo incoraggiò Patrick.
Il ragazzo lo fissò indeciso. Doveva mostrarsi grato del suo supporto oppure mandarlo definitivamente a quel paese?
Mark dal suo angolo riprese a borbottare.
-Secondo voi cosa dovrebbe farsene Jenny di una moto, di una macchina, di una bella casa e di una valanga di rotture di coglioni? Perché voi non lo sapete ma Gentile si porta dietro un bel pacco di problemi!-
Gli occhi ironici di Benji spuntarono oltre lo sportello aperto di un armadietto.
-E tu che ne sai, Landers? Come fai a sapere cos’è che Jenny vuole?-
Si scambiarono un’occhiata, velenosa da una parte, sarcastica dall’altra.
-Abitandoci insieme qualcosa ho imparato.-  
-Già e cosa? Come fartela scappare? Il fatto che Jenny sia finita tra le braccia di Gentile e non tra le tue mi pare un chiaro segno che non hai imparato proprio niente.-
Clifford e Ralph si guardarono.
-Benji non ha mica torto.-
-Imbecilli!- li zittì Mark nervoso.
Philip si chinò a terra per allacciare gli scarpini. In un modo o nell’altro Jenny finiva sempre per essere l’argomento dei loro pettegolezzi. Per quale accidenti di motivo? Perché non parlavano di Patty, di Amy o di Evelyn? O della fidanzata di Aoi, quella tizia stramba che lavorava al Mc Donald’s e nello stesso tempo faceva la cubista? O del fatto che Mark in Italia non avesse trovato neppure uno straccio di ragazza con cui trastullarsi? O della Farrell che chiaramente provava per Landers un interesse a dir poco sproporzionato? Perché non parlavano delle pustole di Jason Derrick (o era James?) che si erano moltiplicate come funghi inondandogli il torace e le braccia? Perché non rompevano le palle a Tom che telefonava tutti i giorni ad Amélie cercando di convincerla a venire a vedere la partita? Perché sempre Jenny, continuamente Jenny e inesorabilmente Jenny?
E quando uscì dagli spogliatoi e se la ritrovò proprio di fronte gli mancò il respiro. Non vicino ma davanti, così dirimpetto che i suoi occhi le finirono inevitabilmente addosso. Peccato che anche Gentile le stesse addosso, incollato a sbaciucchiarla. Patrick lo sgomitò.
-Non ti scoraggiare, secondo me hai ancora qualche chance.-
E poi udì i due gemelli.
-Tu dici? Io la vedo dura.-
-Se non impossibile.-
Lo guardarono e corsero via schizzando ghiaia bagnata tutt’intorno.
Era un giorno incerto e capriccioso, piovaschi sparsi si rovesciavano a tratti sul campo, facendo salire il profumo dell’erba bagnata. Il verde degli steli brillava quando il sole riusciva a fare capolino tra le nubi. Stava andando avanti così dalla mattina, non era un bel tempo per allenarsi, non ci si capiva niente. Entravano in campo quando usciva il sole e si ritiravano al riparo se la pioggia aumentava. Tornavano di nuovo ad esercitarsi non appena si attenuava perché il terreno di gioco reggeva, la terra e l’erba facevano il loro lavoro e assorbivano l’acqua. Sulle divise dei ragazzi il sudore si mescolava alla pioggia e all’umidità, gli scarpini e i calzettoni erano infangati e tracce di terra guarnivano i pantaloncini di chi, durante il gioco, era caduto.
Poi il cielo si coprì di nubi nerissime e il sole scomparve. Alle quattro sembrò calare la notte. Un lampo improvviso squarciò il cielo facendo sobbalzare Amy di terrore. Stringendosi addosso il cappotto imperlato di umidità, si avvicinò a Marshall e lo guardò in modo così eloquente che quello lanciò un lungo fischio e richiamò i ragazzi.
Anche la squadra italiana, sotto la minaccia della pioggia, interruppe gli allenamenti e mentre qualcuno rimase a radunare i palloni, il resto della truppa rientrò negli spogliatoi.

Jenny si accostò con un vassoio carico di bicchieri e accolse lo sguardo di Clifford con un sorriso.
-Hai cambiato squadra?- domandò il ragazzo, addolorato dall’enorme maglia della Juventus che le vide addosso. Le arrivava a metà coscia coprendole quasi del tutto i pantaloncini di jeans che indossava sotto, e le maniche lunghe erano arrotolare fin sui gomiti -Tiferai per Gentile, invece che per noi?-
-Di sicuro non tifo per Mark.-
Yuma rise, non aspettava altro.
-Eppure l’altro giorno sembravate andare così d’accordo tu e Landers.-
Lei finse di non aver sentito e depositò sul tavolo le bevande.
-Sono uscita di casa senza ombrello e mentre venivo qui ha cominciato a piovere. Salvatore mi ha prestato la sua maglietta in attesa che i miei abiti si asciughino.-
Philip la osservava da un altro tavolo e, gli occhi fissi su di lei, non si accorse che Gentile lo scrutava da quando aveva messo piede al bar. Jenny tornò dietro al bancone, prese una cassetta di bottiglie vuote e la portò sul retro del locale. Solo quando non la vide più Philip riuscì a prestare attenzione alle chiacchiere dei compagni.
-Tutta questa pioggia mi fa male ai reumatismi.-
La schiena di Bruce scricchiolò.
-Sei già da buttare, Harper.-
-La mia divisa è da buttare piuttosto… È lercia da far schifo. Quando mi sono tolto i pantaloncini gocciolavano fango.-
-Vero! Sembrava che te la fossi fatta sotto!- lo schernì Bob Denver sopra un coro di risate.
Finché avesse continuato a piovere in quel modo, nessuno si sarebbe azzardato a lasciare il bar del centro sportivo. Di acqua ne avevano presa abbastanza tutti quanti e dopo la doccia, freschi, puliti e profumati, i ragazzi erano decisi ad aspettare che spiovesse.
Jenny ne era contentissima perché ogni ora che passava dietro il bancone equivaleva a cinquanta euro che le entravano nel portafoglio. Patty e Holly le sedevano di fronte ma era talmente occupata a rimestare drink che non si accorse che stavano parlando di lei. Porgendo due spritz ad Alex Marchesi che li reclamava con imbarazzanti complimenti pronunciati in un inglese dal forte accento italiano, liquidò il disturbatore e si rivolse di punto in bianco all’amica.
-Com’è stata Carol?-
Patty trasalì.
-In che senso?-
-L’altra sera ti ha truccata lei, no?-
Jenny si chinò per tirar fuori un limone dal frigorifero. Cominciò a tagliarlo in fettine sottilissime, lanciando all’amica occhiate curiose.
-Molto brava…- anche troppo -Non si è visto?-
-Sì, stavi benissimo.- le strizzò un occhio e poi spostò lo sguardo su Holly, ammiccando -Hai visto le foto?-
-Evelyn me le ha mandate tutte.-
Jenny tornò a rivolgersi a Patty.
-Intendevo sapere se Carol è stata gentile.-
Lei si chiese se Jenny fosse a conoscenza dell’interesse che l’amica di Aoi provava nei suoi confronti. Le sembrò impossibile, altrimenti avrebbe tirato fuori la cosa già il giorno prima, quando erano rimaste sole tutte quelle ore a casa di Mark, andando dritta al punto senza girarci intorno.
-Sì, è stata…- esitò sull’aggettivo -Molto premurosa.- le era praticamente saltata addosso e bastava il ricordo del bacio perché il disagio le invadesse lo stomaco. Aveva tradito Holly, sì o no? Non riusciva a decidersi e quell’incertezza le causava ansia.
-Quanto l’hai pagata?-
-Niente, non ha voluto neppure un euro.-
Jenny non riuscì a crederci. Era convinta che Carol le avrebbe chiesto un conto più salato del solito. La giovane era al limite dell’indigenza mentre Holly navigava nell’oro.
-Davvero?-
-Sì, ho provato a insistere ma non ha voluto niente.- decisa a non pronunciare più un’altra parola riguardo la stramba amica di Rob, cambiò argomento -Sai che Daisy è tornata a Tokyo?-
-No!- la sorpresa di Jenny fu così genuina e potente che la sua voce risuonò nel bar facendo voltare parecchie teste.
Lei arrossì e si concentrò su Patty.
-Sei contenta?-
-Certo che sono contenta! Sto saltando di gioia! Mark lo sa?- i suoi occhi corsero a cercarlo.
L’amico sedeva ad un tavolo insieme agli ex compagni della Toho. Warner stava dicendo qualcosa di talmente interessante da attirare l’attenzione degli altri ragazzi. Intorno a loro si era creato un capannello.
Holly fece spallucce.
-Non credo. Io l’ho saputo un istante fa da Benji a cui l’ha detto Marshall.-
Jenny li scrutò, improvvisamente dubbiosa.
-Non state scherzando, vero?-
Patty la rassicurò.
-Non potrei mai scherzare su una cosa simile.-
Il sollievo della giovane era evidente.
-Non ci posso credere.- i suoi occhi brillarono -Che bella notizia!-
Salvatore Gentile si sentiva particolarmente stanco. Forse era colpa del tempo, di quella giornata uggiosa. Oppure era per la nottata passata con Price a trastullarsi tra drink e ragazze. Avrebbe avuto bisogno di dormire di più, magari fino alle dieci per recuperare, e invece alle sette si era svegliato e non era più riuscito a prendere sonno. Era entrato in campo con mezz’ora di anticipo, stupendo Dario e suo padre che erano sempre i primi ad arrivare. Era talmente presto che non c’era ancora traccia di tifosi e giornalisti. E neppure della nazionale giapponese, che dormiva a due passi e si presentava sempre di buonora. Soffocò uno sbadiglio, lo sguardo su Jenny che porgeva da bere a Matteo. Da lei i suoi occhi si spostarono su Callaghan.
Philip se ne accorse e un fremito di rivolta gli salì su per la schiena. La storia della maglietta della Juventus l’aveva reso furioso. Per la prima volta ricambiò lo sguardo dell’italiano con una strafottenza che non gli aveva mai rivolto. In un ostentato gesto di sfida scostò la sedia e si mise in piedi. Benji, che teneva d’occhio entrambi, quasi avesse percepito la tensione che aleggiava tra i due, raggiunse Salvatore mentre Philip si avvicinava al bar.
Jenny tolse l’ultima bottiglia di birra dalla cassa che aveva portato dentro. Mentre la sistemava nel frigo scorse con la coda dell’occhio qualcuno accomodarsi sullo sgabello accanto a Patty. Alzò il viso e si bloccò con la mano a metà altezza. Era Philip. Lui non sorrise, non disse nulla, la guardò e basta. Anche Jenny non disse nulla. Finì quello che stava facendo, portò la cassetta vuota sul retro del bar, tornò dentro e gli versò una birra quando lui gliela chiese. Philip restò in silenzio ad ascoltare la conversazione degli amici. Jenny si tenne impegnata, cercando qualcosa da fare, ma distrarsi e ignorarlo non le fu di grande aiuto. Ogni nervo, ogni cellula del suo corpo erano intensamente focalizzati sul ragazzo e quando il tardo pomeriggio si trasformò in serata, si ritrovò sull’orlo dell’esaurimento nervoso. Lui non aveva pronunciato una parola. E neppure lei. Ma la tensione era palpabile e la stava uccidendo.
Salvatore ascoltava Benji parlargli di calcio e di ragazze ma i suoi occhi rimanevano fissi su Jenny. Aveva capito da subito che il portiere era lì per sviare la sua attenzione e che la presenza di Callaghan aveva innervosito la ragazza. Si chiese se i due si fossero messi d’accordo, l’uno per tentare di riavvicinare la sua ex e l’altro per distrarlo mentre ciò accadeva. Non ne fu turbato. La curiosità di vedere cosa sarebbe successo lo incollò alla poltroncina. Intanto fuori dalle finestre la pioggia non cessava di venire giù. Era così fitta che i campi si erano allagati, trasformandosi in una distesa liquida su cui si riflettevano i fari delle macchine che percorrevano la strada.
La violenza dell’acquazzone diminuì all’ora di cena. I ragazzi lasciarono il bar a gruppetti, avventurandosi sotto una pioggerellina fastidiosa e insistente che bagnava e intirizziva ma che non li avrebbe sicuramente tenuti lontani dalla cena.
Jenny recuperò i vestiti ormai asciutti e andò in bagno a cambiarsi. Si sfilò la maglia di Gentile, riabbottonò la camicetta e indossò il golfino ancora caldo di termosifone. Uscì nel corridoio soprappensiero e dopo aver richiuso la porta della toilette, si volse e si fermò di botto. Philip era appoggiato al muro di fronte, le braccia conserte, gli occhi fissi su di lei. Quando i loro sguardi si incrociarono si staccò dalla parete e si avvicinò, continuando a scrutarla. Jenny si bloccò dov’era, incapace di muoversi, le labbra socchiuse dallo stupore. Ora Philip si sarebbe fermato, le avrebbe detto quello che voleva dirle e poi se ne sarebbe andato: né più né meno ciò che era successo nei corridoi dello stadio di Sapporo.
Invece lui non fece nulla di tutto ciò, o meglio si arrestò solo quando le fu così vicino da posarle una mano su una spalla e lasciarla scivolare verso la nuca, intrecciando le dita tra i suoi capelli. Una cosa che ormai Philip desiderava fare da troppo. Si lasciò scorrere quelle ciocche setose tra le dita e si mosse senza darle il tempo di indietreggiare, di protestare, di scostarsi. Neppure di respirare. Rapido come un battito del cuore di Jenny, attirò il viso di lei verso il proprio e si chinò a baciarla. La giovane non poté reagire, l’assalto di Philip la lasciò priva di difese. Il contatto tra le loro labbra durò pochissimo, appena un istante ma fu sufficiente a mandarla in confusione. E quando la sua mente formulò l’idea di scostarsi, fu lui a tirarsi indietro. La fissò, con occhi colmi di ironia, in modo così intenso da farla arrossire.
-Cosa fai?- gli chiese sgomenta.
-Ti bacio, cos’altro? Lo fa l’italiano, lo fa Landers, non vedo perché non possa farlo anch’io.-
Jenny si irrigidì e la vergogna le imporporò ancora di più le guance. Quel rossore che adorava fu per Philip un invito a ripetere il gesto. E lui lo colse al volo. Ma quando l’attirò verso di sé con più vigore, con uno scatto di collera Jenny puntò le mani contro il suo torace e lo allontanò spingendo forte. Philip indietreggiò, mollò la stretta e lei corse via.
Avrebbe voluto intervenire fin da subito, Gentile, e se lo avesse fatto avrebbe potuto impedire ciò che era appena successo. Almeno il secondo tentativo. Ma Benji lo aveva bloccato sulla sedia, redarguendolo con un tono che non ammetteva repliche e tutta l’intenzione, se avesse provato ad alzarsi, di fermarlo ad ogni costo.  
-Se riusciranno a tornare insieme grazie a te, sarà la cosa migliore che avrai fatto finora.-
-Grazie a me?-
Si erano guardati.
-Solo vedendola con te Callaghan può rendersi conto di cosa sta rischiando di perdere.-
Gentile aveva seguitato ad osservarli finché Jenny era fuggita via. Philip si era voltato e si era accorto di loro. Aveva esitato solo un attimo, poi aveva recuperato la borsa sportiva e aveva imboccato l’uscita del bar.
Benji aveva salutato frettolosamente Salvatore e aveva seguito il compagno sulla strada per l’hotel. Per come la pensava lui, Callaghan aveva usato un approccio sbagliato, decisamente troppo brusco, vista la reazione di Jenny. Ma almeno aveva iniziato ad agire e solo questo già era un bene. Gli corse dietro e quando lo ebbe raggiunto si incamminò con lui. La visiera del cappello lo riparava dalla pioggerellina che continuava a impregnare l’aria.
-Non mi interessa sapere quello che le hai detto ma a lei non è piaciuto, quindi la prossima volta rifletti bene su ciò che hai da dirle.-
Philip rimase in silenzio. Era il primo a non riuscire a credere di averle rivolto delle parole così stupide. Perché riusciva a ficcarsi nella testa che visto che non stavano insieme lei era libera di baciare chi voleva, anche Landers, se lo desiderava? Lui non era nessuno, proprio nessuno, per poterglielo impedire. Sospirò senza accorgersene e Benji lo guardò rassicurante.
-Sempre meglio di niente, dai.-
Jenny varcò le porte dell’hotel molto prima di loro. Aveva corso lungo tutto il tratto di strada. Le guance arrossate e il fiato corto, si lasciò cadere esausta sulla poltrona accanto ad Amy. Sentì il cellulare squillare e lo tirò fuori dalla borsa. Era Salvatore e lei teneva ancora la sua maglietta tra le mani. Aveva dimenticato di restituirgliela.
“Vado a casa, sono distrutto. Tu che fai? Ti devo accompagnare?”
Lei cercò di deglutire, di ritrovare il fiato per rispondergli ma aveva la gola asciutta. Non riuscì a riordinare le idee. Era ancora sconvolta, sotto shock. Amy la guardò preoccupata.
-Jenny, tutto bene?-  
-Sembra che tu abbia appena visto un fantasma.- fu il commento di Evelyn.
“Jenny? Hai sentito quello che ho detto?” la incalzò l’italiano.
Le sue labbra si mossero.
-Sì, ho sentito.-
Benji e Philip comparvero nella hall, entrando nel suo campo visivo mentre Gentile, al cellulare, riprendeva a parlare.
“Vado a casa. Vuoi che ti accompagni?”
Fu osservando il portiere e il suo ex che attraversavano l’atrio che Jenny prese la decisione di fuggire. Questa volta sì, sarebbe scappata.
-Aspetta… Aspettami vengo con te!-
Il bacio di Philip era stato un duro colpo. La corazza che avvolgeva il suo cuore ferito si era incrinata e ora i suoi sentimenti avevano ricominciato a sanguinare. Era un dolore così potente da stordirla. Non riuscì a sopportarlo, le veniva da piangere. Doveva andarsene subito. Chiuse la comunicazione e si alzò.
-Ci vediamo domani.- il suo fu un sussurro.
Patty la guardò.
-Te ne vai?-
Uscì dall’hotel senza rispondere, gli occhi fissi davanti a sé, incapace di guardare chiunque. Aveva ripreso a piovere forte ma non le importò di bagnarsi pur di tornare al centro sportivo. Non sapeva neppure se era la pioggia a solcarle le guance o se fossero le lacrime che alla fine non era riuscita a trattenere. Corse lungo il marciapiede, aveva paura che Salvatore se ne andasse senza di lei. Non si curò delle pozzanghere, degli schizzi delle macchine che la superavano veloci. Le interessava soltanto andar via, lontano da lì, il più in fretta possibile. Trovò Salvatore che, sotto un ombrello aperto, infilava la borsa sportiva nel portabagagli di una macchina che non era la sua. Della moto con cui erano arrivati nel primo pomeriggio non c’era traccia. Lui la vide e le sorrise.
-Eccoti.-
Jenny gli allungò la maglia e lui la ficcò nel portabagagli.
-Vengo con te.-
-Ti porto a casa?-
-No, a casa tua. Mi fermo da te, se vuoi. Va bene?-
-Magari! Sarebbe pure ora… Ti pare?-
Lei annuì. Fece il giro dell’auto e salì dal lato del passeggero.
-Dov’è la moto?-
-L’ho prestata a Dario.-
-Avete fatto uno scambio?-
Salvatore ingranò la retromarcia ma prima di muoversi si soffermò a guardarla. Aveva le guance arrossate e i capelli bagnati.
-Doveva tornare a Milano passando il più possibile inosservato. Se la sua macchina è qui è più difficile che si accorgano che se l’è filata. Certo con questa pioggia, poveretto…-
-È successo qualcosa?-
-Macché, la sua ragazza gli ha dato l’ennesimo ultimatum e lui è corso da lei, come al solito.- fece manovra ed uscì dal parcheggio -Che voleva Callaghan?-
Jenny trasalì.
-Non… non lo so…-
-Price ha detto che dovrei lasciare che tornaste insieme.-
-Benji non si fa mai gli affari suoi.-
Lui le lanciò un’occhiata.
-Sono io che ti trattengo?-
Decise di essere franca. Tanto cosa aveva da perdere?
-No, sono io.-
Mark si era accorto che Jenny si defilava solo all’ultimo momento, quando lei aveva varcato le porte dell’hotel e non aveva fatto in tempo a fermarla. Abbassò gli occhi sul cellulare, tentato di chiamarla. Poi ci ripensò e se lo infilò nervosamente in tasca. Jenny gli aveva appena dato buca e lui non aveva nessuna voglia di tornare a casa a prepararsi la cena. Non gli andava neppure di ordinare la pizza. Lasciò la borsa in deposito alla reception e seguì i compagni nella sala da pranzo. Individuò dello spazio tra Tom e Julian e li fece stringere per sedersi tra loro. Poi chiamò il cameriere e si fece aggiungere un coperto. Stava morendo di fame.
A Philip, che gli sedeva di fronte, la fame invece era passata. Aveva baciato Jenny e il risultato era stato che lei se n’era andata a trascorrere la serata, e probabilmente anche la notte, con l’italiano. Mandò giù po’ d’acqua per ingoiare la delusione.
-Holly, ti ricordi che domani pomeriggio non mi alleno?- disse Mark d’un tratto -La sera gioco con la Juventus.-
-Sì, me lo ricordo. Ho chiesto a Pearson se potevamo assistere alla partita. Mi ha detto che va bene.-
-Verrete allo stadio?- Mark non sembrò particolarmente contento.
-Che c’è Landers, hai paura di perdere davanti a tutti?-
Lui si volse inviperito verso Benji ma prima che potesse rispondere, Julian esternò il proprio entusiasmo.
-Questa partita è un’occasione d’oro. Gentile non è l’unico a giocare in nazionale. Potremo vedere all’opera anche gli altri.-
-Pearson ha rimediato i biglietti per tutti? Anche per noi?- domandò Patty.
Holly la guardò interdetto.
-Non ho pensato a chiederglielo.-
Lei socchiuse gli occhi contrariata.
-E se non troviamo i biglietti, Evelyn, Amy ed io che facciamo? Vi aspettiamo in hotel?- fissò Mark -Ci farai entrare lo stesso, vero?-
-Io no, ma quel demente di Gentile sicuramente potrebbe. Allo stadio sono tutti amici suoi.-
-Allora chiediglielo per favore.- lo incalzò Amy.
-Adesso?-
-Perché adesso no?-
Mark ci pensò un istante, poi decise che non gli dispiaceva per niente rompergli le scatole mentre era con Jenny. Anzi, per fare le cose fatte bene telefonò direttamente a lei. Gli rispose al terzo squillo.
-È una fuga d’amore?- sghignazzò schernendola.
“Imbecille.”
-Passami Gentile.-
“Sta guidando. Cosa vuoi?”
-Chiedigli se può far imbucare Amy, Evelyn e Patty allo stadio per la partita di domani.-
Salvatore collegò l’i-phone di Jenny al bluetooth della Giulietta e alzò il volume. La voce di Mark uscì forte e chiara dall’impianto stereo e quando il ragazzo gli ripeté la domanda scoppiò a ridere di gusto.
“Va bene che il calcio non è lo sport nazionale giapponese, ma state messi così male da non potervi permettere i biglietti?”
-Grazie, sapevo che potevo contare su di te. Buonanotte.- riagganciò.
Jenny lo richiamò un secondo dopo. Lui avrebbe voluto non rispondere ma le amiche lo fissavano in un modo che non gli piacque per niente.
“Come sei permaloso, Landers.” rise Gentile.
-Se la caveranno anche senza di te, cosa credi?-
“All’ingresso principale c’è sempre qualcuno che conosco. E adesso, se non ti dispiace, mi aspetta finalmente la serata che mi sono guadagnato con tanta pazienza e fatica. Quindi vedi di non rompere il cazzo.” scollegò il bluetooth e riagganciò senza neppure salutare.
-Pallone gonfiato, stupido cretino, borioso imbecille…-
-Non può aiutarci?- domandò Patty.
-Sì che può. Figurati se non può. Conosce così tanta gente che vi troverà i posti migliori.-
Philip li ascoltava per metà. L’altra metà della sua mente valutava ciò che era successo neppure un’ora prima, da tutte le angolazioni possibili e immaginabili. Benji aveva ragione, con Jenny era stato troppo brusco. Se avesse saputo che la sua reazione sarebbe stata quella di andar via con Gentile, si sarebbe guardato bene dal baciarla. Però forse ne era valsa la pena. O no? Merda, non riusciva a decidersi. Aveva fatto bene oppure no?
Salvatore rallentò ad un semaforo, mise la freccia e imboccò una stretta via del centro fiancheggiata dai portici su entrambi i lati.
-Cosa vuoi per cena?-
-Va bene qualsiasi cosa, non ho molta fame.-
-Neppure io in effetti. Voglio solo arrivare presto a casa.- la guardò -Tu sei di nuovo zuppa. È meglio se non ci fermiamo a mangiar fuori. Prenderò della pizza.-
Jenny annuì e si sforzò di sorridergli, ma era tesa. Non era più tanto sicura di aver fatto la scelta giusta. Forse non sarebbe dovuta andare con Salvatore. Forse avrebbe fatto meglio a tornare a casa con Mark e ficcarsi a letto. Era intirizzita e infreddolita e non voleva assolutamente che la febbre le salisse di nuovo.
Gentile si fermò davanti ad una rosticceria, scese e tornò portando con sé un vassoio ben incartato. Lo passò a Jenny e siccome era bollente, lei si volse per posarlo sui sedili posteriori. Il profumo di pizza calda e fragrante che invase l’abitacolo, le scatenò d’un tratto una fame pazzesca.
Scesero davanti casa di Salvatore e quando una folata di vento carico di umidità investì Jenny inumidendole il viso, lei si strinse addosso il cappotto e si affrettò a varcare il portone del palazzo. La primavera finora era stata tiepida ma dopo l’acquazzone del pomeriggio sembrava essere tornato l’inverno.
Seguì il ragazzo nell’atrio e poi dentro l’ascensore fino all’ultimo piano. L’appartamento di Gentile era un superattico di lusso che comprendeva il bagno, il salotto, la cucina e due stanze da letto, quella che occupava lui e una più piccola per eventuali ospiti. Salvatore aprì la porta, accese la luce e la lasciò entrare. Il tepore dell’abitazione fece tirare a Jenny un sospiro di sollievo. Si sfilò le scarpe, aveva i collant bagnati e le dita dei piedi ghiacciate. Al confronto il parquet era piacevolmente caldo. Appoggiò il vassoio della pizza sul mobile dell’ingresso, si sfilò il cappotto e lo appese all’attaccapanni insieme alla borsa.
-Che tempo da cani.- borbottò lui precedendola nel salotto per accendere la luce -Vado a cambiarmi e ti porto qualcosa da indossare.-
Jenny annuì e andò a posare il vassoio della pizza in cucina. Aprì l’incarto sul tavolo per lasciar uscire il vapore. Poi, incapace di resistere, piluccò un pezzo di pizza. Lo inghiottì di colpo quando udì il cellulare squillare. La borsa era rimasta nell’ingresso. Corse a recuperarla.
Era di nuovo Mark.
“Sei a casa?”
Jenny sospirò.
-Sì. Siamo appena arrivati.-
“Ci vediamo tra poco, sto uscendo.”
-Sono a casa di Salvatore, Mark.-
Seguì un silenzio contrariato.
“Mi pareva. Hai mangiato?”
-Stavamo per farlo. Cos’è, un terzo grado?-
“Sì, se hai qualcosa da nascondere.”
La voce di Mark fu sostituita da quella di Patty, che tolse dalla bocca di Jenny una rispostaccia. “Domani mattina vieni al campo?”
-Non credo, perché?-
“Non puoi passare neanche solo per un attimo?”
-Ho un sacco di giri da fare ma ci posso provare.-
“Ecco, provaci.” la voce di Patty divenne un sussurro guardingo “Dove sei?”
-A casa di Salvatore.-
“Ti fermi lì?” impiegò troppo tempo a rispondere, così l’amica proseguì “Jenny, perché hai deciso di fermarti da Gentile?”-
Lei fremette.
-Possiamo parlarne domani?-
“Sì, domani mattina. Vieni al campo.”
Jenny tagliò corto e salutò. Dopodiché spense il telefonino. Patty aveva ragione, che ci faceva lì? Rimise il cellulare nella borsa e con i nervi in tensione andò in cerca di Salvatore che non era ancora tornato. Percorse il corridoio quasi in punta di piedi e si affacciò nella sua camera trattenendo il respiro, silenziosissima. Lo vide subito, era disteso sul letto. Ancora vestito di tutto punto, dormiva sprofondato tra le coperte.
La tensione che la irrigidiva si dissolse magicamente. Lo osservò incredula, le venne da ridere. Appoggiò una spalla alla porta, lasciando che il nervosismo abbandonasse definitivamente il suo corpo. Finalmente rilassata, il suo stomaco brontolò per la fame. Tornò in cucina e divorò buona parte della pizza. Coprì quella avanzata, spense la luce e s’infilò in bagno. Aveva bisogno di una doccia, del getto dell’acqua calda che la liberasse dal freddo che le era penetrato fin nelle ossa.
Quando tornò in camera da letto, Salvatore dormiva ancora. Percorse la stanza in punta di piedi, aprì l’armadio e trovò una felpa che le avrebbe fatto da pigiama. Se la infilò, rimboccò le maniche e si arrampicò sul letto. Seduta di fronte a lui, le gambe piegate e lasciate scoperte dalla felpa che le arrivava poco oltre la vita, restò ad osservarlo. La luce calda e soffusa che proveniva da un angolo della stanza faceva risplendere i suoi capelli d’oro. Obiettivamente Salvatore era davvero bello. I tratti del viso regolari, il naso dritto, un filo di barba incolta che cominciava a brillargli sul mento e sulle guance, la bocca perfettamente disegnata e così morbida, quando si posava su di lei. Sapeva perfettamente che se riusciva ad essere così forte davanti a Philip, a sostenere il suo sguardo critico che si sentiva sempre addosso e a ignorarlo, era anche grazie a Salvatore. Stare insieme a lui, essere sempre e costantemente al centro delle sue attenzioni, sentirlo così vicino, a volte anche troppo, ma sempre pronto a sostenerla persino nei suoi bisticci con Mark, le dava la forza di sopportare quell’insostenibile situazione. Da sola non ce l’avrebbe fatta, neppure con l’aiuto di Mark. Gentile era stata la sua salvezza. Allungò una mano e gli sfiorò i capelli in una carezza leggerissima, lasciandoseli poi scorrere tra le dita. Lui forse percepì quel gesto pieno di affetto, si mosse nel sonno, le si avvicinò e la strinse a sé. Jenny non si scostò dal calore di quell’abbraccio. Si limitò ad allungare una mano e a raggiungere l’interruttore per spegnere la luce. Poi chiuse gli occhi e si accoccolò tra le sue braccia.

Dall’altra parte di Torino Philip si girò e rigirò nel letto. Era stanco, era mezzanotte passata eppure non riusciva a prendere sonno. Pensava e ripensava. Non sapeva più come comportarsi. Non ci capiva più niente. Era nella confusione più assoluta.
Nei primi giorni che aveva trascorso in Italia si era concentrato su se stesso e sui suoi problemi, mandando in malora gli allenamenti e facendo quasi venire un esaurimento nervoso al mister. Poi, quando si era reso conto che non poteva più andare avanti così, perché la pazienza di Gamo (ma anche quella dei compagni) aveva un limite che lui stava per superare, aveva deciso di riscuotersi e dedicarsi alla squadra, come era giusto che facesse. Insieme alla consapevolezza di avere dei doveri nei confronti della nazionale, prima di tutto perché era stato convocato e poi perché purtroppo ne era il capitano fino al rilascio del nullaosta di Holly, era arrivata anche la consapevolezza che se Jenny c’era, per quanto non avesse voluto rivederla e tanto meno insieme all’italiano, non poteva farla sparire in nessun modo. L’unica cosa che poteva fare era accettare la sua presenza e i sentimenti che volente o nolente continuava a provare per lei.
Nel giro di un altro paio di giorni si era reso conto che anche se la squadra stava ritrovando un certo ritmo nel gioco e negli allenamenti, lui continuava a galleggiare in un malessere che non voleva saperne di andarsene e che non aveva idea di come scacciare. Lo sforzo che ogni giorno gli richiedeva accantonare il disagio che provava, lo sfiniva.
Non sapeva cosa fare e quello era il meno. Il problema principale era che non sapeva cosa voleva. Nella sua mente viaggiavano in direzioni opposte una serie infinita di contraddizioni che non trovavano ordine. Pretendeva che non gli importasse nulla di Jenny, eppure non poteva fare a meno di essere geloso di Gentile. Voleva starle lontano eppure era in ansia quando non la vedeva. Voleva ignorarla e invece non poteva fare a meno di guardarla. Voleva non saperne nulla eppure si preoccupava di qualsiasi cosa la riguardasse… E oggi aveva raggiunto il culmine quando l’aveva baciata. L’unica cosa di cui era sicuro, la conclusione a cui era arrivato, era che non se n’era pentito, anzi, voleva rifarlo. Pure se la conseguenza di quel gesto pareva essere stata che lei se ne fosse andata via con l’italiano. Pensare a quello che adesso probabilmente stavano facendo gli provocò all’istante fitte intollerabili di gelosia.
Sentì una porta aprirsi e richiudersi nel corridoio, poi ficcò la testa sotto il cuscino e si sforzò di annullarsi il cervello. Doveva dormire, altrimenti non avrebbe retto. E non poteva permettersi di crollare in campo ancora una volta.
Holly chiamò l’ascensore e scese nella hall. Più la partita si avvicinava e più stentava a prendere sonno. Era troppo tempo che non giocava con i colori della nazionale e la partita contro l’Italia, anche se era solo un’amichevole, lo eccitava e lo rendeva euforico. Aveva bisogno di bere qualcosa di caldo per distendere i nervi, sperando che il bar fosse ancora aperto.
Trovò Evelyn seduta ad un tavolo, gli occhi stanchi e arrossati incollati al monitor del proprio computer. Batteva rapida sui tasti e non si accorse del suo arrivo.
-Che stai facendo?-
Si volse a guardarlo.
-Holly.-
-Non dirmi che stai lavorando!-
-Sono in chat con Bob, il reporter che mi hanno assegnato dopo l’incidente con quel boss della yakuza. Stiamo facendo conoscenza.-
-A quest’ora?-
-Solo a quest’ora, per colpa del fuso orario. Negli altri orari lui lavora e io dormo.- tornò a scrivere qualcosa, poi sembrò ripensarci. Si frugò nelle tasche dei jeans e gli porse la card della camera -Vai e divertiti. Tanto ne avrò per tutta la notte.-
Lui la guardò senza capire.
-Come?-
-Vai da Patty e fai qualcosa di utile almeno tu, tanto io da quando sono arrivata in Italia non sto combinando niente. Né sesso né lavoro.-
-Evelyn, non voglio sapere quello che fai con Bruce.- la conosceva da anni ma lei con la sua schiettezza era ancora in grado di metterlo in imbarazzo.
-Quello che non faccio, intendi. Comunque non voglio mica rivelartelo, sono affari miei. Era tanto per farti sapere che la mia vena si è prosciugata. Probabilmente è colpa di Salvatore Gentile, la sua bellezza sfolgorante mi inibisce. Neppure il sesso mi riesce.- non riuscì a fare a meno di pensare che tra quel dio biondo e Bruce c’era una differenza abissale.
-Forse è meglio se riposi, invece di chattare…-
-Ognuno si dà da fare come può.- gli strizzò l’occhio e gli ficcò la card in mano -Fila di sopra invece di stare qui a perdere tempo con me!-
Davanti a tanta insistenza Holly smise di farsi pregare.
   
 
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