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Autore: Red Owl    06/05/2018    3 recensioni
Vecchia versione non più aggiornata.
Genere: Avventura, Science-fiction, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Storico
Capitoli:
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Lidia alzò lo sguardo su Alexander. «Andiamo a piedi?» gli chiese, quando notò che l’uomo era passato accanto al carro automatico senza degnarlo di uno sguardo. Lui annuì in silenzio e lei aggrottò la fronte, a disagio davanti all’atteggiamento improvvisamente scontroso dell’uomo. «E dove andiamo?» aggiunse, poi, con voce sottile, provando per un istante lo sciocco timore di risultare molesta.

Il germanico si fermò di colpo, guardandola come se si fosse reso conto solo in quell’istante che lei e Tito erano ancora lì con lui e che non erano misteriosamente evaporati nell’aria della mattina. Alexander chiuse per un istante gli occhi, poi espirò lentamente, come nel tentativo di allontanare da sé un po’ della tensione che aveva accumulato durante l’inaspettato incontro con Fratello Kay. «Andiamo a casa tua» la informò, con una voce che voleva essere gentile, ma non riusciva a non tradire una certa impazienza. «Ci andiamo a piedi, perché un carro automatico darebbe troppo nell’occhio. Poi, una volta che tu sarai al sicuro tra quattro mura, accompagnerò personalmente Tito dal Prefetto Caleno. E no, non protestare, ragazzo: si fa come dico io.»

Tito, che era stato sul punto di contestare il programma appena esposto dall’uomo, chinò il capo, ma rimase in silenzio. Meno male, pensò Lidia, rivolgendogli un pensiero grato. Se c’era una cosa di cui non avevano bisogno, in quel momento, era di attirare attenzioni sgradite con una discussione animata. «Sai da che parte andare?» chiese allora, rivolta ad Alexander. L’uomo scosse la testa. «No. Fai strada.»

Mettendosi alla guida del terzetto, Lidia si incamminò lungo le strade del villaggio, passando davanti a luoghi ormai ben noti senza vederli veramente. Fin ad allora, aveva cercato di non pensare troppo al suo imminente incontro con Ulf. Il momento in cui avrebbe dovuto assumersi tutte le sue responsabilità si era però fatto incombente e, a ogni passo che la portava più vicina alla casa che condivideva con il marito, il suo campo visivo si faceva più stretto, più appannato.

Non farti prendere dal panico, si raccomandò, invano, stringendo in un pugno le mani sudate. Quando, giorni prima, si era separata da Ulf, era stata convinta di dovergli rendere conto solo del fatto di avergli tenuta nascosta la presenza di Tito. Ora, invece, avrebbe anche dovuto spiegargli come quella cosa che lei gli aveva taciuto avesse, in un certo senso, provocato la morte di Karl. Sempre ammesso che Rolf non gli abbia già raccontato tutto, pensò, ricordando come il ragazzino fosse fuggito, approfittando dalla confusione nata dalla colluttazione tra Tito e Karl. Mordicchiandosi nervosamente le labbra, Lidia si chiese cosa sarebbe stato meglio: essere lei la prima a comunicare a suo marito che Karl era morto, oppure affrontarlo quando già Rolf l’aveva messo al corrente di ciò che era successo?

Non che io possa permettermi il lusso di scegliere, comunque. Chissà se Ulf è in casa? Chissà se è solo, o se c’è Unna con lui?

Quando, finalmente, si ritrovò di fronte alla propria casa, la fanciulla credette che il cuore fosse sul punto di schizzarle via dal petto, tanto batteva forte. Preoccupata, si posò una mano sullo sterno, cercando di imporsi di rilassare un poco i propri nervi tesi. Quando ho paura, non faccio altro che peggiorare le cose. Devo darmi una calmata.

Inspirando a fondo, la ragazza si voltò verso i propri accompagnatori. «Siamo arrivati» fece, rivolta ad Alexander, ben consapevole che Tito sapeva benissimo che avevano raggiunto la loro meta. «Grazie per avermi scortata fino a qui.» I due uomini si scambiarono un’occhiata rapida e lei abbassò lo sguardo a terra, avvertendo un leggero calore a livello delle guance. Di certo non era particolarmente educato, da parte sua, abbandonare i due uomini in strada, senza nemmeno invitarli a entrare. Ma adesso ho cose più importanti a cui pensare, si giustificò, mordicchiandosi le labbra. Le buone maniere possono anche passare un po’ in secondo piano.

«Sei sicura che non vuoi che veniamo con te?» chiese Alexander, con una punta di preoccupazione nella voce. Lei scosse la testa. «No, non ce n’è bisogno. Anzi, credo proprio che sia meglio che io entri da sola. Per… per sondare il terreno, ecco.»

Tito fece per muovere un passo nella sua direzione, ma fu trattenuto dalla mano del germanico che calò rapida sulla sua spalla. «Ma…» provò a protestare il giovane romano, ma Lidia lo interruppe con un sospiro. «Tito, non è davvero il caso che io mi presenti in casa accompagnata da voi due. Soprattutto… accompagnata da te.» Il ragazzo chinò il capo, mentre un’ombra di vergogna passava sul suo volto. Leggermente pentita per averlo fermato in modo tanto brusco, la fanciulla gli rivolse un minuscolo sorriso, addolcendo un poco il proprio tono. «Fammi almeno dare un’occhiata. Se è tutto a posto, verrò a dirvelo, d’accordo?»

Il ragazzo la osservò per qualche istante con un’espressione dubbiosa, poi, non vedendo forse alternative, annuì. Indirizzando ai due uomini un cenno del capo, Lidia voltò loro la schiena e poi raggiunse rapidamente la porta. Eccoci, pensò, con il cuore in gola, mentre si accorgeva che questa non era chiusa a chiave.

Quando posò di nuovo lo sguardo sui locali in cui aveva passato parte dei suoi ultimi mesi di vita, Lidia fu travolta da un’ondata di qualcosa di molto simile alla nostalgia, ma impedì ai propri sentimenti di prendere il sopravvento. Posando entrambe le mani sulla superficie liscia del tavolo, la ragazza ispirò a fondo, rendendosi conto che la tensione era tale che le braccia le tremavano vistosamente. Calmati, si impose per l’ennesima volta.

L’abitazione era perfettamente silenziosa, come se in casa non vi fosse nessuno. Ma non è possibile, ragionò la fanciulla. La porta era aperta, e Ulf ha l’abitudine di chiuderla a chiave, quando esce. Ma allora, era possibile che nessuno l’avesse sentita entrare in casa? Possibile che nessuno avesse udito la porta aprirsi e poi richiudersi? Forse dovrei provare a chiamarlo?

Per qualche motivo, il solo pensiero di pronunciare ad alta voce il nome del marito la fece sentire stupida: doveva parlargli, era vero, ma le cose che doveva dirgli non potevano essere urlate ai quattro venti. Era un discorso che richiedeva una certa delicatezza, quello, parole sussurrate e contrite, non la volgarità di un grido lasciato salire liberamente su per le scale.

Con un sospiro spossato, Lidia si staccò dal tavolo ed esaminò velocemente il giardino sul retro, il ripostiglio, persino la dispensa. Trascinandosi stancamente su per le scale di legno che conducevano al piano superiore, la ragazza lanciò un’occhiata al bagno vuoto e poi si lasciò cadere sul letto, sconfitta dall’evidenza: Ulf non era in casa. Il fatto di dover posticipare il confronto con lui, anziché placare la sua angoscia, la fece crescere ulteriormente, e la ragazza si portò istintivamente una mano alla gola, avvertendo sotto i polpastrelli il battito convulso del proprio cuore. E adesso cosa dovrei fare? Si chiese. Aspettare che torni qualcuno? E per quanto tempo, poi? Minuti? Ore? E se Ulf non tornasse affatto?

Improvvisamente, la ragazza si trovò a contemplare delle opzioni che, fino a quel momento non aveva preso in considerazione: e se qualcosa fosse andato storto e suo marito fosse stato trattenuto in uno dei villaggi in cui Donna Erin lo aveva mandato? O, ancora: e se Rolf gli avesse già detto quello che era successo e lui avesse deciso di non vederla mai più, escludendola dalla propria vita senza possibilità di appello?

Lidia si alzò nervosamente dal letto e raggiunse la scrivania situata di fronte a esso. Frugando rapidamente tra gli oggetti che ingombravano il ripiano di legno, vide che il biglietto che aveva lasciato per spiegare la situazione sembrava non esserci più. Il che significa che qualcuno l’ha trovato. Ma chi?

Incerta sul da farsi, la giovane raggiunse la finestra e, sovrappensiero, scostò la tenda. Tito e Alexander erano ancora fermi in strada, apparentemente intenti a parlottare tra di loro. Non è prudente che restino lì, si disse, con una smorfia. Anche se il pensiero di invitarli in casa le piaceva poco, Lidia scese rapidamente le scale e si affacciò alla porta d’ingresso. «Non c’è nessuno» annunciò. «Penso che… penso che Ulf rientrerà tra poco, ma, se volete, potete entrare un attimo. Preferirei evitare di parlare per strada.»

«Credo che sia una buona idea» replicò immediatamente Alexander, facendo cenno a Tito di seguirlo. Quando i due furono in soggiorno, il germanico si guardò attorno, incuriosito. «Immagino che questo posto non assomigli un gran che alla casa in cui eri abituata a vivere quando eri a Roma, vero?»

Tito soffocò uno sbuffo sarcastico, ma Lidia scrollò le spalle, sentendosi in un certo modo in dovere di difendere la casa che condivideva con Ulf. «Ammetto che abituarmi a vivere qui non è stato facile, ma immagino che ci sia di peggio…»

«Sicuramente» concesse Alexander, in un tono distante che attirò l’attenzione di Lidia. La ragazza inclinò un poco il capo su una spalla, aspettando che l’uomo elaborasse ulteriormente quello che aveva detto, ma questi si limitò a scuotere quasi impercettibilmente la testa. «Mi pare di capire che non hai intenzione di ritornare a Roma» disse, poi, cambiando bruscamente argomento. «Pensi di rimanere ancora a lungo qui a Erding?»

Lidia corrugò la fronte, cercando di ricordare se avesse mai fatto cenno ad Alexander dei suoi progetti di abbandonare il villaggio. «No, il piano sarebbe quello di allontanarci da Erding, almeno per qualche tempo. Convincere mio marito non è stato semplicissimo, ma credo di esserci riuscita, alla fine: ha detto che doveva solo risolvere un paio di questioni e che poi saremmo potuti partire. Certo che…» la fanciulla lasciò sfumare la frase, mentre la voce le moriva in gola.

«Certo che…?» la sollecitò Alexander. Lidia deglutì, provando un’improvvisa difficoltà a parlare. «Be’, tutto questo si era deciso prima che Karl morisse. Lui e Unna – mia cognata – avrebbero dovuto venire con noi. Adesso…. Non sono affatto sicura che questi progetti siano ancora validi.» Il germanico piegò le labbra in una smorfia. «Mi auguro che lo siano: da quel poco che ho visto, mi pare di capire che il villaggio non sia più un posto sicuro.»

Lidia fece per chiedergli cosa fosse dato a dargli quell’impressione – dopotutto, Alexander era giunto in paese solo quella mattina e di certo non aveva avuto modo di vedere nulla di veramente allarmante – ma l’uomo la precedette, rivolgendosi a Tito. «E tu cosa pensi di fare?» Il ragazzo esitò, preso in contropiede. «Io… non lo so ancora, a dire il vero. Credo che tornerò dal Prefetto Caleno e vedrò se posso essergli utile in qualche modo.»  

Il germanico scosse la testa, risoluto. «Che senso ha restare al villaggio? Sei venuto fino a qui per Lidia. Se lei ha deciso di restare in Germanica con suo marito, non c’è più nulla che ti trattiene da queste parti: tornatene a casa tua, a Roma.» Nell’udire quelle parole, il giovane romano aggrottò la fronte, visibilmente contrariato. «Grazie per i consigli, ma credo che resterò qui.»

Alexander lanciò una rapida occhiata a Lidia. «Mi pare che Lidia ormai abbia preso una sua decisione: non è così?» Quando la fanciulla annuì, il germanico tornò a rivolgersi a Tito. «E allora perché vuoi restare?» Lui esitò per un istante soltanto. «Il Prefetto mi ha aiutato a venire fino a qui, quindi ho un debito con lui. E intendo ripagarlo.»

Davanti alla determinazione del ragazzo, Alexander tradì uno scatto di frustrazione. «Non è un po’ stupido rischiare la vita per un debito di cui nessuno verrà mai a chiederti conto?» Tito corrugò la fronte, confuso dall’osservazione dell’uomo, e poi si voltò verso Lidia, come in cerca di supporto. «Hai paura che nemmeno il campo militare sia un luogo sicuro?» indagò lei, cercando di capire il motivo dell’improvvisa inquietudine di Alexander.

Lui si lasciò sfuggire una risatina amara. «Ho paura che nessun luogo possa dirsi sicuro, nei prossimi tempi.» La ragazza annuì lentamente, poco convinta. «Per via della rivolta? Non dico che il pericolo non sia reale, ma abbiamo molti soldati, no? Sicuramente molti di più di quanto non siano i minatori e le altre persone che vogliono cacciarci da qui. E i nostri legionari sono anche meglio addestrati…»

Lidia fece appena in tempo a rendersi conto di essersi espressa in termini di noi e loro – una suddivisione in cui lei si annoverava ancora tra le schiere di Roma – quando Alexander scosse il capo. «No, il problema non è la protesta dei minatori…»

«E allora si può sapere qual è, questo problema?» sbottò Tito, che iniziava a mostrarsi un po’ infastidito dalle mezze frasi dell’uomo. Quello sospirò e, lentamente, si incamminò verso il lavello, dando loro le spalle e stringendo brevemente tra le mani la ceramica bianca. «Io sono da queste parti da molto più tempo di voi» disse, dopo alcuni istanti di silenzio. «Lo so, come funzionano le cose.»

«Cosa vorrebbe dire?» insistette il giovane romano, avvicinandosi di un passo. «Le cose funzionano che, se da qualche parte c’è una rivolta che mette in pericolo i cittadini di Roma, il nostro esercito interviene per sedarla. Magari ci va bene e magari no, ma non c’è bisogno di avere chissà quale esperienza, per capire qual è la situazione. In ogni modo, se proprio le cose dovessero mettersi così male come temi tu, vedrò di tornarmene a Roma: d’accordo?»

Alexander si voltò verso di lui e Lidia provò una stretta allo stomaco nel vedere la tensione e la frustrazione che regnavano sul suo volto. «Io vi do solo un consiglio, come tu stesso hai detto: dovete allontanarvi da questo posto. Non tra una o due settimane, però: subito.»

Lidia sgranò gli occhi, stupita dal tono secco e perentorio dell’uomo. «Ma… perché? Non riesco a capire da cosa nasca tutta questa fretta. Perché hai deciso di riportarci qui, se adesso vuoi farci ripartire a tutti i costi?» Il modo di fare di Alexander le pareva in aperta contraddizione con ciò che aveva fatto fino a quel momento e la cosa la spaventava quasi. «Quando ho deciso di accompagnarvi qui, non sapevo ancora che Kay si fosse stabilito al villaggio» commentò il germanico, asciutto.

«Quindi lo conosci? Prima mi era parso di capire il contrario…» intervenne Tito, inclinando il capo di lato. «Non lo conosco personalmente», chiarì Alexander, «però conosco quelli come lui e so che, quando arrivano loro, le cose iniziano a mettersi male.»

Inconsciamente, Lidia si portò una mano alle labbra e prese a mordicchiarsi nervosamente l’unghia del pollice. Aveva l’impressione che l’uomo stesse tentando di metterli in guardia contro qualcosa, ma che, allo stesso tempo, volesse evitare di esporsi troppo. Il fatto che Alexander sentisse di doversi tutelare anche lì, dove non c’era nessun altro se non lei e Tito, la spaventò forse più di ogni altra cosa. «Cosa vuol dire che le cose iniziano ad andare male? Io non capisco.»

L’uomo chiuse gli occhi per un istante. Quando li riaprì, posò sulla fanciulla uno sguardo improvvisamente stanco. «Se anche te lo spiegassi, non capiresti lo stesso.»

Quelle parole sospirate toccarono un nervo scoperto e Lidia si sentì avvampare, mentre la paura e la frustrazione che aveva cercato di mantenere sotto controllo esplodevano senza preavviso. «Cosa ne sai?» sbottò, muovendo un passo nella sua direzione. «Io non sono mica stupida, sai? Chi te lo dice, che non capirei?»

Davanti a quella rabbia improvvisa, il germanico sgranò gli occhi e sollevò una mano nel tentativo di placare la ragazza. «No, non intendevo…» «È da quando sono arrivata qui, che nessuno si degna di dirmi come stanno veramente le cose!» lo interruppe rabbiosamente lei. «Mi avete costretta ad andarmene da Roma e non ho detto niente. Mi avete obbligata a sposare un perfetto sconosciuto e, ancora, non ho detto niente. In questi mesi sono stata spostata di qua e di là come se fossi un pacco e mi sono sempre accontentata solo di mezze spiegazioni… ma adesso basta! Adesso voglio sapere esattamente cosa sta succedendo, voglio sapere chi è quel tizio e perché è tanto pericoloso!» Con le guance arrossate e il respiro un po’ corto, Lidia fissò Alexander, ma in cambio ricevette solo uno sguardo piatto. «Mi dispiace, ma non posso dirtelo.»

Di fronte a quella risposta così sintetica ed elementare, la giovane romana restò per qualche istante a bocca aperta e il germanico approfittò del suo silenzio per parlare di nuovo. «Capisco che quello che hai passato non dev’essere stato facile né piacevole e, di certo, avresti avuto diritto a ricevere più spiegazioni di quelle che ti sono state fornite. Non ci sarebbe stato nulla di male a spiegarti perché i matrimoni come il tuo vengono organizzati, o perché i minatori protestano: ma ci sono altre faccende che non possono essere rese note a tutti; e Fratello Kay è una di queste.»

«Perché è un Sacerdote?» ipotizzò la ragazza, cercando di tenere a bada la propria irritazione. Alexander esitò. «Sì. In un certo senso è così.»

«Ma tu non sei un Sacerdote» gli fece notare Tito, aggrottando la fronte. «Se si tratta di informazioni segrete, tu come fai a esserne a conoscenza?»

Alexander spostò lo sguardo dall’uno all’altro, poi scrollò il capo e si premette due dita alla base del naso, come per allontanare un mal di testa incipiente. «Sentite. Cerchiamo di capirci, d’accordo?» Lidia e Tito si scambiarono un’occhiata perplessa e poi tornarono a fissare il germanico, un’espressione leggermente confusa disegnata sui loro volti. Rendendosi conto di avere la loro attenzione, l’uomo fece un passo nella loro direzione e poi abbassò il tono di voce, come se temesse di essere udito da orecchie indiscrete. «Io sto cercando di aiutarvi perché mi siete capitati tra i piedi e perché, se vi piantassi in asso, mi sentirei una merda – scusate la finezza. Non posso dirvi come stanno veramente le cose: il discorso sarebbe lungo, complicato, e sapere la verità non vi sarebbe comunque di alcun aiuto – anzi! Raccontandovi tutto rischierei soltanto di mettervi in pericolo e di mettere in pericolo anche me stesso: certe cose è meglio non saperle, credetemi.»

«Ciononostante, vi chiedo di fidarvi di me» riprese l’uomo. «Fate come vi ho consigliato e andate via da qui. Non posso spiegarvi quale sia esattamente il pericolo, ma sappiate che è imminente: se Kay è arrivato qui, significa che la decisione… significa che non c’è più nulla da fare. So come vanno queste cose, l’ho già visto in passato e, anche se è una cosa che mi fa schifo, non c’è nulla che io possa fare per impedirlo. Posso solo cercare di aiutare voi. Ed Erin, se mi riesce.»

Mentre Alexander parlava, Lidia sentiva qualcosa di pesante e vischioso formarsi al centro del petto, una sensazione che le mozzò il respiro e le fece tremare le mani. Non so perché faccia tanto il misterioso, ma non me ne frega niente, decise, con un tremito di angoscia. Quello che conta è ritrovare Ulf e convincerlo ad andare via, esattamente come avevamo deciso. Non importa se è per evitare di rimanere invischiati in una rivolta o per sfuggire a qualsiasi cosa abbia in mente Kay: che se ne vadano tutti all’Inferno!

«Tu sei veramente fedele a Roma?» La domanda di Tito, così distante dai pensieri che in quel momento stavano attraversando la mente di Lidia, indusse la ragazza a voltarsi verso di lui. «Sembri sapere molte cose a proposito dei Sacerdoti germanici, sembri temerli. Eppure, da quanto mi risulta, il Prefetto Caleno non pare ritenerli una minaccia: è evidente che sei a conoscenza di qualcosa che lui ignora. Si può sapere da che parte stai?»

«Io…» Il germanico sospirò. «Io non sto né dalla parte di Roma né da quella della Germanica. Io cerco di fare il mio dovere senza fare torto a nessuno.»

«Ma almeno sei veramente un germanico?» intervenne Lidia, chiedendosi quale fosse quel dovere a cui l’uomo aveva accennato. Lui scosse il capo in maniera quasi impercettibile. «No. In effetti, vengo da… be’, da lontano.»

«Ovvero?» insistette la fanciulla. Alexander sorrise. «Lascia perdere: non lo conosci. E non insistere: potrei farti un nome a caso, e tu non sapresti mai se ti ho detto la verità oppure no.»

Lidia fece per aggiungere dell’altro, ma il movimento repentino di Tito, che ruotò bruscamente su se stesso, attirò la sua attenzione. «Cosa succede?» chiese la fanciulla, con voce tesa. Il ragazzo aggrottò lievemente la fronte. «Mi è come sembrato di sentire un rumore…»

A Lidia bastò solo un istante per accorgersi che Tito aveva ragione: anche se sulle prime non aveva notato nulla, ora sentiva chiaramente il suono inequivocabile di passi che si avvicinavano all’ingresso. Il cuore le balzò in gola e la fanciulla si guardò disperatamente attorno, in preda al panico: chiunque stesse arrivando, era certa che non avrebbe apprezzato trovarsi a faccia a faccia con il giovane romano. «Dovreste…»

Non fece in tempo ad aggiungere altro, che la porta si aprì e Rolf entrò in casa. Lidia vide chiaramente lo sconvolgimento che si disegnò sul suo volto infantile, ma la sua attenzione venne catturata dalla figura che, pochi istanti dopo, comparve alle spalle del ragazzino.

Oh, no, pensò, mentre il sangue le defluiva dal volto. Non Unna. Non adesso. La germanica fece scorrere lentamente lo sguardo per la stanza, come se avesse qualche difficoltà a comprendere quello che stava vedendo. Poi i suoi occhi incontrarono quelli di Lidia e la ragazza si sentì sul punto di svenire. Un miscuglio di sentimenti spiacevoli – dolore, dispiacere, paura, smarrimento – le riempì il petto e alla giovane parve di soffocare. Confusamente avvertiva che avrebbe dovuto dire qualcosa, ma era come se la sua gola avesse perso la capacità di articolare parole di senso compiuto. Istintivamente, Lidia indietreggiò di un passo, spaventata dal vuoto che lesse negli occhi della cognata.

Fu Rolf a rompere l’immobilità e il silenzio di quei pochi secondi. In un sussurro, il ragazzino disse qualcosa e Unna distolse prontamente lo sguardo dalla ragazza, fissando intensamente il giovane nipote. Fu solo in quel momento che Lidia si accorse che il ragazzo aveva gli occhi puntati su Tito, che, guardingo, ricambiava lo sguardo del piccolo germanico. «Es wär er» ripeté Rolf, portandosi una mano alla tasca. Sotto gli occhi sgomenti di Lidia, il ragazzino estrasse il coltellino che il giorno prima aveva usato per incidere il legno e, con quello in pugno, si avvicinò di un passo al romano.

Immediatamente, Alexander fece per muoversi verso di lui, ma Unna fu più rapida e, riscuotendosi dal torpore nel quale sembrava sprofondata, agguantò il nipote per le spalle, attirandolo contro il proprio corpo. Chinandosi su di lui, la giovane prese la mano del piccolo tra le sue. «Näi» sussurrò e, delicatamente, lo convinse a lasciare il coltello, sfilandoglielo dalle dita. Nel vedere l’espressione concentrata con cui Unna osservava la piccola lama che ora si trovava tra le mani, Lidia avvertì il proprio cuore accelerare i battiti. La fanciulla indovinò le intenzioni della donna un istante prima che quella spingesse da parte Rolf e, senza preavviso, si slanciasse in avanti, verso Tito.

«No!» Lidia sentì la propria voce gridare, ma le gambe parvero rifiutare di obbedirle, tenendola inchiodata sul posto. Alexander fu invece più reattivo e, con un balzo, si portò davanti a Tito con le braccia tese, frapponendosi tra lui e Unna. Se la giovane si accorse dell’ostacolo, fu troppo tardi. Il suo braccio calò e, anche se l’uomo cercò di deviare il colpo, la lama sottile del coltellino gli si piantò nella spalla. Con un gemito di dolore e un’imprecazione, Alexander afferrò il polso di Unna, piegandolo in un modo che la costrinse a lasciare la presa.

Lidia, atterrita, avanzò di un passo e poi retrocedette, incapace di decidere se fosse più saggio avvicinarsi ai due per cercare di dividerli o restarsene in disparte, evitando di peggiorare inavvertitamente la situazione. «Ma sei pazza o cosa?» gemette Alexander, allontanando da sé la donna con uno spintone. Con il volto pallido come uno straccio, l’uomo si strappò il coltellino di dosso e lo lasciò cadere per terra. Per un secondo, Lidia lo credette in procinto di perdere i sensi – quello, però, vacillò solo un istante e poi parve ritrovare la propria stabilità. «Due volte in due giorni» sibilò, portandosi una mano sulla spalla ferita e mettendo così in mostra il taglio sull’avambraccio che Tito gli aveva procurato il giorno prima.  «Io cosa c’entro?» chiese, rivolgendosi a Unna.

Oh, Dèi. Con la coda dell’occhio, Lidia avvertì che Tito, che si era tenuto a distanza di sicurezza, stava avvicinandosi a lei, ma in quel momento la sua attenzione era tutta per Unna. La giovane non aveva reagito minimamente alla domanda di Alexander e lo stava fissando con gli occhi spalancati e così smarriti che la fanciulla sentì una stretta al cuore. «Unna» sussurrò, trovandosi di nuovo a corto di parole, ma avvertendo l’esigenza di dire qualcosa.

La giovane si voltò appena verso di lei e la ragazza vide che i suoi occhi erano lucidi di lacrime. Non ho mai visto Unna piangere, realizzò, con un nodo alla gola. Non l’ho mai vista veramente spaventata o ferita o debole… Il fatto di trovarsi di trovarsi di fronte alla prova evidente della vulnerabilità della cognata fu un pugno allo stomaco e Lidia si rese conto di non averla mai veramente vista per la persona che era, con le sue paure, le sue speranze e i suoi punti deboli.

Accanto a lei, Alexander posò un piede sul coltellino e lo calciò all’indietro, allontanandolo dai due germanici. «Chi è questa persona?» chiese, poi, rivolto a Lidia. La fanciulla deglutì più volte, cercando di ritrovare la propria voce e di sciogliere un poco il nodo che le stringeva la gola. «È mia cognata. È la moglie di Karl.»

Nell’udire il nome del marito, Unna trasalì e sul volto dell’uomo passò un lampo di comprensione. «Mi dispiace» fece, rivolgendo alla giovane donna un cenno del capo. Lei inspirò a fondo e i suoi occhi si posarono brevemente sulla mano insanguinata di Alexander, poi scivolarono alle sue spalle e si appuntarono su Tito. Immediatamente, lo smarrimento fu sostituito dalla rabbia. Prima che la giovane potesse fare qualsiasi cosa, però, Lidia le si fece incontro. «Unna», ripeté, «aspetta.»

La fanciulla non avrebbe saputo dire cosa esattamente la cognata avrebbe dovuto aspettare, ma non poteva permettere che cercasse di attaccare ancora Tito. Anche se ha tutte le ragioni del mondo per volersi vendicare, pensò, amaramente. Per una frazione di secondo, la ragazza cercò di guardare Tito con gli occhi di Unna, ma quello che vide la spaventò troppo per indugiare a lungo in quelle considerazioni.

In quell’istante, una voce femminile risuonò in strada e Rolf, che da quando Unna gli aveva sottratto il coltello era rimasto come congelato sul posto, sobbalzò. «Mama!» esclamò, con le lacrime agli occhi, prima di correre fuori.

Mama? Si ripeté Lidia, sorpresa da quella svolta inattesa. Automaticamente, la ragazza cercò gli occhi della cognata e Unna rispose rivolgendole un lungo sguardo strano, che lei non seppe interpretare. La giovane fece per chiedere spiegazioni, ma la germanica non gliene lasciò il tempo: girando lentamente su se stessa, uscì all’esterno, come Rolf aveva fatto qualche istante prima.

Subito, Lidia fece per seguirla, ma Tito la trattenne per un polso. «Lidia, aspetta un attimo, per favore» mormorò, guardandola con aria preoccupata. La ragazza ritrasse immediatamente il braccio, liberandosi dalla presa del giovane. «No, voglio vedere.»

Non appena ebbe messo piede fuori dalla porta di casa, Lidia sentì il cuore sobbalzarle nel petto e, istintivamente, si aggrappò con una mano allo stipite della porta, cercando sostegno. Lì, a pochi metri da lei, accanto a Unna e a una donna sconosciuta che stringeva tra le braccia Rolf, c’era Ulf.

La ragazza sentì il terreno mancarle sotto i piedi, mentre una cascata di emozioni diverse e contrastanti – e non tutte positive – si abbatteva su di lei, dandole l’impressione che le mancasse l’ossigeno. Ulf, che stava dicendo qualcosa alla sorella, si accorse della sua presenza una frazione di secondo più tardi. Quando i suoi occhi incontrarono quelli della fanciulla, lei vi scorse un lampo di qualcosa che non riuscì a definire, ma che le parve tanto famigliare che la morsa che le stritolava il petto allentò un poco la sua stretta. Una fiammella di speranza divampò nel petto di Lidia. Forse è meno arrabbiato di quanto pensassi, si disse, non osando credere alla propria fortuna.

Quando anche Unna si accorse che la cognata l’aveva seguita all’esterno, si allontanò dal fratello e raggiunse Rolf e sua madre qualche metro più in là. Ora che il momento che tanto aveva temuto era giunto, Lidia sentiva la testa stranamente vuota e aveva l’impressione di essere immersa in un’atmosfera rarefatta, dove ogni movimento era rallentato, irreale.

Si accorse che diversi secondi erano passati senza che lei muovesse un muscolo. Coraggio, si incitò, respirando a fondo per scacciare il nodo che le stringeva la gola. Non sei venuta fino a qui per restartene aggrappata alla porta come una cretina.

Lentamente, con le gambe tremanti, la ragazza scese i due gradini che separavano l’uscio dalla strada e Ulf seguì ogni suoi movimento con occhi attenti e quasi guardinghi. Lidia sentiva che l’attenzione dei presenti era puntata su di lei e, se la cosa da un lato la metteva a disagio, dall’altro la rassicurava, dal momento che la giovane aveva l’impressione che tutto fosse finalmente nelle sue mani. Un pensiero rapido attraversò la sua mente: se sto attenta, andrà tutto bene.

Improvvisamente, però, gli occhi di Ulf scattarono verso l’alto e si focalizzarono su qualcosa alle spalle della fanciulla. Cosa… voltandosi per capire cosa avesse catturato l’attenzione dell’uomo, Lidia vide che Tito e Alexander l’avevano seguita e indugiavano sull’uscio, apparentemente indecisi se uscire completamente allo scoperto o se rientrare in casa. Oh, no, pensò la ragazza, rivolgendo loro un’occhiata afflitta. Anche se, naturalmente, non avrebbe potuto nascondere a lungo la presenza dei due uomini, avrebbe di gran lunga preferito avere l’occasione di parlare brevemente con Ulf, prima di lasciare che i due rendessero nota la loro presenza. Con un senso di sventura incombente, Lidia si voltò nuovamente verso Ulf e vide che il volto dell’uomo si era fatto più duro. Il giovane si soffermò brevemente su Alexander e sulla sua ferita ancora sanguinante, ma poi si concentrò su Tito.

Quando lo fece, Lidia ebbe un tuffo al cuore. Senza che potesse fare nulla per evitarlo, antichi timori tornarono a riaffacciarsi alla sua mente e, come già era accaduto in passato, la fanciulla si chiese se il marito potesse in qualche modo rivelarsi pericoloso per l’amico. Quasi come per confermare le sue paure, Ulf fece per muovere un passo nella direzione del giovane romano, ma, inaspettatamente, Unna lo trattenne afferrandogli saldamente un braccio e mormorandogli qualcosa in un orecchio.

Fu solo in quel momento che Lidia si rese conto di essersi mossa in modo del tutto inconsapevole e di essersi frapposta, senza averne realmente l’intenzione, fra i due uomini. Nel realizzare quello che quel gesto involontario avrebbe potuto apparire, almeno agli occhi di Ulf, la fanciulla avvampò, mortificata. Dèi, adesso penserà che io volessi difendere Tito. Crederà che io non mi fidi di lui e… Lidia alzò lentamente gli occhi, con la netta sensazione di avere appena fallito un esame importante.

Per qualche istante, Ulf la fissò impassibile, poi si rivolse alla donna con le trecce bionde, che ancora teneva per le spalle Rolf e lo cullava lentamente. «Andiamocene» disse, semplicemente. La parte più razionale della sua mente fece notare a Lidia che non poteva essere un caso, se il giovane aveva scelto di usare il latino per rivolgersi a una sua connazionale che, con ogni probabilità, non masticava bene quella lingua. La parte più istintiva del suo essere, invece, rimase raggelata.

Sul volto della donna sconosciuta passò un’espressione confusa. La germanica fece una domanda che Lidia non riuscì a capire e a cui Ulf rispose solamente con un secco cenno di diniego.

Cosa vorrebbe dire, “andiamocene”? Si chiese la fanciulla, con qualche secondo di ritardo. Smarrita, cercò gli occhi di Unna, ma la donna si rifiutò di guardarla.

«Lidia…» la voce morbida di Alexander la richiamò, ma lei ignorò completamente la sua presenza e la richiesta – o la raccomandazione – che l’uomo aveva voluto racchiudere nel suo nome.

Dopo un istante di indecisione, la madre di Rolf cinse le spalle del figlioletto con un braccio e con l’altra mano prese quella di Unna, invitandoli gentilmente ad allontanarsi dalla scena e ad avviarsi lungo la strada che portava verso il centro del villaggio.

Dove vanno? Si chiese ancora Lidia, fissando il terzetto con occhi persi. Quando anche Ulf si mosse e fece per allontanarsi da lei, però, scattò. «Aspetta!» esclamò, liberandosi dall’immobilità che l’aveva tenuta prigioniera fino a quel momento e facendo due rapidi passi in direzione del germanico. «Dove vai?»

Davanti a quella domanda, il giovane abbassò inaspettatamente gli occhi a terra. «Via» rispose però, semplicemente. La ragazza aggrottò la fronte. «In che senso?» chiese, con la voce che tremava un poco. Anche se il suo istinto le aveva già fatto capire quello che stava succedendo, Lidia semplicemente si rifiutava di accettare quell’intuizione.

Ulf sospirò, ma, ancora, evitò lo sguardo di Lidia, come se il pensiero di guardarla in volto lo mettesse a disagio. «Devo occuparmi della mia famiglia. Di Unna.» La giovane romana coprì rapidamente la distanza che la separava dal marito, ma si fermò a mezzo metro da lui, non osando toccarlo. «E io?» chiese, con una voce sottile che risultò patetica anche alle sue stesse orecchie.

Improvvisamente Ulf alzò gli occhi e Lidia sbiancò vedendo la rabbia improvvisa che li aveva riempiti. «E tu… cosa?» sibilò l’uomo, sfidandola a rispondere. Alle sue spalle, la fanciulla avvertì qualche movimento: Tito aveva forse provato a intervenire, ma Alexander doveva averglielo impedito, dal momento che il ragazzo rimase al suo posto. «Anch’io sono parte della tua famiglia» replicò lei, cercando di sostenere senza tremare lo sguardo del marito.

Il giovane si lasciò sfuggire un sibilo sarcastico che avrebbe potuto forse essere una risata, se non fosse stato così amaro. «Questa cosa… questa cosa è stata proprio un’idea di merda» ringhiò, indicando prima se stesso e poi Lidia. «Ho sbagliato ad accettare questa farsa: mi sarei dovuto rifiutare di sposarti, e che la Sacerdotessa se ne andasse all’Inferno. Lo sapevo, che non avrebbe potuto funzionare… e, infatti, non ha funzionato!»

Lidia si fece ancora più pallida e per qualche secondo fu troppo sconvolta per rispondere. «Ma tu… l’altro giorno non hai detto la stessa cosa!» protestò, mentre si accorgeva con orrore che le lacrime avevano iniziato a bruciarle all’angolo degli occhi. Ripensando ai discorsi che avevano fatto prima che tutto iniziasse ad andare a rotoli, Lidia sentì poi la rabbia divamparle nello stomaco. Credeva davvero di liquidarla così, con una frase e quattro insulti? «Ne avevamo parlato! Avevi detto che avevi cambiato idea! Che con me ci stavi bene! Non puoi pensarle veramente, queste cose…»

Ulf le rivolse un sorriso tagliente. «L’altro giorno mi sfuggivano un paio di dettagli.» Quando Lidia gli rivolse uno sguardo confuso, l’uomo indicò Tito con un cenno del mento. «Chi è lui?» Voltandosi appena per lanciare un’occhiata a un Tito impietrito – e a un Alexander sempre più pallido – Lidia deglutì. «Mi dispiace, avrei dovuto dirtelo» ammise, mentre l’angoscia e la tensione le arrochivano la voce. «Ma lui non è nessuno di importante, davvero. Avevo paura che tu… che forse…»

«Non me ne frega niente» tagliò corto Ulf. «Chi sia non è importante, ormai. Quello che conta è che Karl è morto. Per colpa sua. Per colpa tua.» Lidia scosse con forza il capo, anche se, in fondo, sapeva che il marito aveva perfettamente ragione. «Non puoi parlare così» protestò, cercando di conservare quel poco di sangue freddo che le era rimasto. «Tu non c’eri, non sai come sono andate le cose…»

«… ma so come sono andate a finire» la interruppe nuovamente Ulf. «Karl è morto. Era il mio migliore amico. Lo conoscevo da una vita. Era il marito di Unna. Credi davvero che me ne freghi qualcosa, di come sono andate le cose?»

Lidia fece per protestare ancora, ma le parole le morirono in gola. No. Ovviamente a Ulf non interessava conoscere la dinamica esatta dei fatti. E poi, anche se la conoscesse, cambierebbe poco. Tito l’ha ucciso e non è stato Karl, a cercare lo scontro. «No, hai ragione» mormorò, mentre la rabbia evaporava tutta d’un colpo e restava solo la vergogna. E la stanchezza. «Però…»

«Però niente, Lidia» sospirò Ulf, anche lui con voce quieta. «Non è stata una buona idea, tutto qui. Io devo pensare a mia sorella, adesso.»

Improvvisamente Lidia rabbrividì, mentre una sensazione di freddo scivolava su di lei. «Ma poi tornerai qui?» chiese, mentre già il suo subconscio le sussurrava la risposta. Ulf le rivolse un’occhiata che aveva il sapore amaro della compassione. «Torna a casa, Lidia.»

La fanciulla alzò su di lui gli occhi lucidi. «A casa?» ripeté. Il giovane annuì. «A Roma. Chiedi a Donna Erin, lei ti aiuterà. O vacci con il tuo amico. O con l’altro tipo là dietro, chiunque egli sia… ma non restare qui. È pericoloso, per te, restartene qui da sola.»

Davanti a quella richiesta fatta in tono così ragionevole, Lidia non riuscì a trattenere le lacrime. «Ma io non ci voglio tornare, a Roma. Io voglio restare con te» mormorò, con voce spezzata. Per una frazione di secondo, Ulf incontrò il suo sguardo e nei suoi occhi la fanciulla credette di leggere un lampo di sorpresa. Meno di un istante più tardi, però, l’espressione del giovane si fece ancora distante. «Mi dispiace, ma sono io che non voglio più stare con te.»

Con quelle parole, Ulf retrocedette di un passo e, in maniera del tutto istintiva, Lidia si lanciò verso di lui, afferrandogli un polso con entrambe le mani. «Aspetta!» esclamò, con la gola stretta e il cuore che le martellava nelle orecchie. La fanciulla lo fissò con gli occhi sbarrati, cercando disperatamente di dire qualcosa che potesse spingerlo a riconsiderare la sua decisione. La sua testa era però invasa da mille pensieri terrorizzati che si accavallavano e si scontravano l’uno contro l’altro, lasciando la giovane solo con una manciata di idee spezzate.

Davanti al suo silenzio, Ulf portò una mano su quelle della ragazza e, con delicatezza, le staccò dal proprio braccio. «Torna dai tuoi genitori. Sarà meglio anche per te, vedrai.» Nell’udire quelle parole, Lidia sentì l’irritazione tornare a bruciarle nel petto, ma era un sentimento triste, privo di forza. «Come fai a dirlo?» chiese, debolmente. «Come fai a sapere che per me sarà meglio, se tornerò a Roma?»

Il germanico abbassò lo sguardo a terra. «Hai ragione» concesse, dopo qualche istante. «Non lo so, se per te sarà meglio oppure no: però so che, di certo, questa è la scelta migliore per me. Devo badare a Unna, adesso. Devo portarla via da qui e tu non puoi venire con noi. Non dopo quello che è successo.»

«Ma…» Nell’udire quelle parole che suonavano tanto come una sentenza definitiva, Lidia cercò ancora di afferrare le mani dell’uomo, ma lui indietreggiò, sottraendosi al suo tocco. «Buona fortuna, Lidia» mormorò, prima di darle le spalle e allontanarsi velocemente.

Per alcuni lunghissimi secondi, la fanciulla rimase congelata sul posto, incapace di rendersi veramente conto di quello che era appena accaduto. Poi le lacrime le offuscarono completamente gli occhi e dalla gola le sfuggì un singhiozzo. La giovane si premette entrambe le mani sulla bocca, come nel tentativo di mettere a tacere il proprio sconforto.

Non poteva essersene davvero andato così. La stava davvero lasciando lì, senza nemmeno dirle dove era diretto? Senza nemmeno darle la possibilità di accertarsi che fosse al sicuro, che stesse bene?

Non può fare sul serio, pensò, disperata, rifiutandosi di accettare l’evidenza. Quello che era successo a Karl era terribile, ma c’erano mille modi per affrontare la questione e quello scelto da Ulf le pareva decisamente il peggiore. Non ha nemmeno avuto il coraggio di guardarmi, prima di andarsene, ricordò, passandosi una mano su una guancia per asciugare le lacrime.

Quando una mano le sfiorò una spalla, Lidia sobbalzò e si voltò di scatto, trovandosi di fronte il volto cupo di Tito. «Lidia, mi…»

«Vai via!» esclamò la giovane, con la voce resa incerta dalle lacrime. Allontanandosi da lui quasi di corsa, Lidia marciò in casa, colpendo inavvertitamente con una spalla Alexander, che non trattenne un gemito di dolore. Giunta nella sala da pranzo, la ragazza si lasciò cadere su una delle sedie disposte attorno al tavolo e poi posò entrambe le mani sul legno liscio e scuro, cercando inconsciamente conforto nella frescura che le sfiorò i palmi sudati. Si sentiva svuotata, sospesa in una dimensione che non era quella reale. E adesso che cosa farò? Si chiese. Era come se ogni punto di riferimento fosse scomparso e lei si trovasse sola nell’epicentro di una pianura infinita, senza sentieri né segnali che indicassero la via.

Per un tempo che non riuscì a quantificare, Lidia rimase ricurva di fronte al tavolo, mentre lacrime silenziose le scivolavano lungo le guance e bagnavano il tessuto del suo abito.

Quella era davvero la fine di tutto? Doveva davvero rassegnarsi a tornarsene a Roma, senza Ulf e con la coda tra le gambe? Il solo pensiero le dava la nausea e la terrorizzava. Anche ammesso che Fratello Kay le permettesse di lasciare la germanica e rompere il patto matrimoniale, con quale coraggio si sarebbe ripresentata dai suoi genitori? Come avrebbe potuto sopportare il disprezzo che suo padre avrebbe certamente riversato su di lei e sul suo fallimento? E, soprattutto, come farò a sopportare la consapevolezza che, se siamo arrivati a questo punto, è tutta colpa mia?

No, non poteva farlo. Semplicemente, era una cosa che ogni fibra del suo essere rifiutava di accettare. E allora vai a cercarlo! La spronò la sua coscienza, con un guizzo d’orgoglio. Trova Ulf e costringilo ad ascoltarti! Colpita da quel pensiero, Lidia serrò le mani in un pugno, mentre un filo di energia le scivolava lungo la schiena, simile a una ventata di aria fresca. Prima, durante il confronto con il marito, si era arresa troppo velocemente. Il fatto di esserselo ritrovata di fronte all’improvviso aveva cancellato dalla sua mente il frutto di giorni di pensieri e riflessioni. Ma adesso so cosa aspettarmi. Adesso so come stanno le cose e forse… forse riuscirei a tenergli testa un po’ meglio.

In ogni modo, se anche Ulf si fosse ostinato a rifiutarla e a chiederle di fare ritorno nella sua città natale, Lidia avrebbe potuto in un certo senso avere la coscienza a posto. Se non altro, saprei di non aver lasciato nulla di intentato.

Con le gambe che ancora tremavano un po’, ma animata da una determinazione nuova, la ragazza spinse indietro la sedia e, facendo leva sui polsi, si alzò in piedi. Lanciando un’occhiata fuori dalla finestra della cucina, cercò di calcolare quanto tempo fosse passato da quando Ulf se n’era andato.

Non possono essere passati più di venti minuti, ragionò, cercando di fare mente locale. Mezz’ora al massimo. Facendo un respiro profondo, Lidia si avviò verso la porta, decisa a mettere in atto il suo intento. Non appena ebbe varcato la soglia, però, si trovò di fronte a Tito e Alexander, che si voltarono a guardarla con un’espressione mesta.

La fanciulla quasi sobbalzò: era stata talmente presa dai suoi pensieri bui, che la sua mente aveva relegato in un angolino la presenza dei due uomini e poi se n’era dimenticata. Il fatto di trovarsi faccia a faccia con loro quasi la infastidì, così Lidia abbassò lo sguardo a terra. Sono rimasti qui fuori per tutto questo tempo? Si interrogò, con una punta di sospetto. Cosa stavano facendo?

«Stai andando da qualche parte?» le chiese a sua volta Alexander, soffermandosi per qualche istante sul suo volto e sui suoi occhi ancora arrossati dalle lacrime versate.

Lidia esitò, ma poi incontrò lo sguardo dell’uomo, cercando di non curarsi del fatto che, in quel modo, gli sarebbe stato evidente quanto lei avesse pianto. «Vado a cercare mio marito» annunciò, mettendosi istintivamente un po’ sulla difensiva. Immediatamente, Alexander scosse il capo. «Non credo proprio. Togliti pure dalla testa di girovagare per il villaggio da sola.»

Lidia fu sul punto di ribattere che non ci sarebbe stato alcun bisogno di girovagare, dal momento che, per ritrovare suo marito, le sarebbe bastato recarsi alla casa del suocero, quando la sua mente le fece notare un particolare scomodo: lei non aveva la minima idea di dove fossero andati Ulf e Unna.

Non ha detto che sarebbe andato a casa di Gefrid, realizzò, mentre il suo stomaco tornava a contrarsi sgradevolmente. E non ha nemmeno detto che sarebbero andati a casa di Unna… la fanciulla comprese che, se davvero Ulf voleva allontanarsi da lei, era assai probabile che si fosse diretto in un luogo di cui lei non era a conoscenza e che non aveva modo di trovare.

Ma forse Gefrid o Hermann potrebbero aiutarmi? Si chiese. Nel momento stesso in cui la formulava, però, quell’ipotesi le sembrava decisamente poco plausibile.

La ventata di tiepido entusiasmo che l’aveva sostenuta fino a quel momento si esaurì e la ragazza si rese conto di essere giunta a un punto morto. Certo, avrebbe comunque potuto fare un tentativo co nil suocero, oppure avrebbe potuto fare un giro perlustrativo per il villaggio – anche a costo di mettere a repentaglio la propria sicurezza – però… in quel momento, il volto di Alexander si contrasse in una smorfia di dolore e l’uomo fece come il gesto di piegarsi verso Tito, quasi fosse alla ricerca di un sostegno.

«Ma tu sei ferito!» esclamò scioccamente Lidia, ricordandosi solo in quel momento che, prima di venire disarmata, Unna era riuscita a colpire Alexander. Lui le rivolse un sorriso tirato che di allegro aveva ben poco. «Eh, già…»

Sentendosi decisamente in colpa per aver lasciato che un uomo sanguinante restasse per diverse decine di minuti in piedi, in strada, Lidia gli si avvicinò preoccupata. Tito la guardò come se intendesse dire qualcosa, ma lei fece del proprio meglio per ignorarlo. «Posso… posso fare qualcosa per te?» chiese, incerta. Non aveva modo di giudicare quanto fosse profonda la ferita, ma, dal modo in cui continuava a sanguinare, era sicura che si trattasse di qualcosa ben al di là delle sue capacità mediche.

Alexander scosse il capo. «No, ma… devo andare a farmi ricucire. Non smette di sanguinare» disse, fissandosi la spalla con aria preoccupata.

Lidia annuì solerte, alzando istintivamente le mani e frenandosi solo un istante prima di toccare con la punta delle dita la stoffa intrisa di sangue. «Ma certo!» concordò. «Dove… da chi andrai, per farti curare?» Improvvisamente, la ragazza si rese conto di quanto poco conoscesse la realtà del villaggio in cui si era trasferita ormai da mesi. Era mai possibile che non sapesse a chi si rivolgesse la gente del posto, quando aveva bisogno di cure mediche? Meno male che non mi è mai capitato di stare male seriamente!

Alexander strinse i denti, apparentemente per contrastare una fitta di dolore particolarmente acuto. «C’è un guaritore, poco al di fuori delle porte del villaggio. Mi ha già… trattato una volta, in passato, ed è particolarmente abile con ago e filo.»

«Va bene» intervenne Tito, avvicinandosi all’uomo dai capelli rossi. «Ti ci accompagno.»

Di nuovo, Alexander scosse il capo con decisione. «No. Vado da solo: tu e Lidia restate qui e non vi muovete fino a che non mando qualcuno a recuperarvi. È chiaro?» Il giovane romano annuì, ma Lidia incrociò le braccia contrariata. «Io però devo ritrovare mio marito» insistette. «Non posso permettere che se ne vada via così.»

«Ti chiedo solo di aspettare un’oretta, forse anche meno» replicò Alexander, altrettanto determinato. «A questo punto, un’ora in più o un’ora in meno non farà alcuna differenza, non credi?»

Questo lo dici tu, pensò la ragazza, scontrosa. In realtà, in quella circostanza un’ora persa poteva fare una differenza enorme, visto che avrebbe potuto permettere a Ulf di allontanarsi ulteriormente. Non può costringermi a rimanere qui in attesa che arrivi chissà chi… Una volta che Alexander se ne fosse andato per la propria strada, lei avrebbe potuto fare altrettanto e mettersi sulle tracce del marito. Tito non può certo legarmi a una sedia per impedirmi di uscire di casa…

Subito, però, realizzò che nemmeno lei avrebbe potuto impedire al ragazzo di seguirla. Ed è ovvio che, la prossima volta che incontrerò Ulf, dovrò essere da sola.

Sospirando sconfitta, la fanciulla rivolse un cenno del capo ad Alexander. «E va bene» concesse, piegando le labbra in una smorfia. «Però cerca di fare in fretta: se lascio passare troppo tempo, rischio di non riuscire più a rintracciare Ulf e Unna.»

«Farò il prima possibile» la rassicurò lui.

***

Malgrado le parole di Alexander, due ore erano passate senza che nessuno si presentasse alla sua porta. Il suo stomaco l’avvertiva discretamente che l’ora del pranzo era giunta ormai da tempo, ma Lidia se ne stava rannicchiata nella sua camera, senza alcuna intenzione di cedere ai morsi della fame.

Per trovare qualcosa da mettere sotto ai denti, infatti, avrebbe dovuto scendere al piano inferiore – e fare ciò avrebbe significato incontrare Tito. Da quando Alexander li aveva lasciati soli, andando in cerca di qualcuno che potesse ricucire la sua ferita, la fanciulla aveva deliberatamente ignorato la presenza del giovane romano.

Sarà anche un atteggiamento infantile, ma adesso sento proprio di non avere la forza di parlare con lui e di fare ragionamenti… complicati.

Quando si era vista costretta all’attesa e aveva dovuto momentaneamente accantonare i suoi piani di andare alla ricerca di Ulf, Lidia aveva sentito lo sconforto montare nuovamente e, per qualche istante, le lacrime le avevano ancora appannato gli occhi. Accorgendosi del suo turbamento, Tito aveva tentato di avvicinarla – se per confortarla o per scusarsi, la ragazza non l’avrebbe saputo dire – ma Lidia l’aveva bloccato con un cenno deciso della mano e poi era battuta in ritirata verso il piano superiore, dove il ragazzo non aveva fortunatamente avuto il coraggio di seguirla.

Se lui non fosse mai arrivato in Germanica, tutto questo non sarebbe mai successo, si ripeteva, premendo il viso contro il cuscino. In quel frangente, il fatto che fosse stata lei a far sì che il ragazzo arrivasse a Erding le pareva di poco conto: avrebbe potuto scrivergli chiedendogli di rinunciare al suo piano, ma che certezza aveva che Tito l’avrebbe ascoltata?

Se solo non avesse la testa così dura! Pensò la fanciulla, serrando le mani in un pugno, frustrata. Se avesse lasciato parlare Karl, se avesse ascoltato Alexander…

Confusamente, avvertiva che Tito si era in un certo senso trovato in balia degli eventi. Era piuttosto improbabile che il ragazzo avesse veramente saputo che cosa aspettarsi, quando era partito da Roma carico di determinazione e belle speranze, ma Lidia trovava sempre più difficile giustificare le sue azioni.

O forse sto solo cercando un capro espiatorio che mi permetta di non sentirmi del tutto responsabile per quello che è successo…

Mentre era immersa in quelle riflessioni, qualcuno bussò alla porta della camera, facendola sobbalzare. «Sì?» chiese, sollevando appena la testa dal cuscino.

«Sono io… posso entrare?»

Nell’udire la voce di Tito, la giovane si mise a sedere. Che sia finalmente arrivata la persona mandata da Alexander?

«Sì, vieni pure» replicò, rassettandosi la gonna e il corpetto. Quando il giovane romano aprì la porta, Lidia vide che sul suo volto c’era un’espressione tirata, quasi preoccupata. «Che succede?» chiese, aggrottando la fronte.

«C’è una cosa che vorrei farti vedere» rispose lui, un po’ titubante.

Abbassando lo sguardo sulle sue mani, Lidia vide che Tito stava stringendo la tavoletta scura che aveva visto per la prima volta nella capanna di Alexander. Quando quella emise un bip acuto, subito seguito da altri suoni simili, la fanciulla guardò il ragazzo, interrogativa.

«Io non ho fatto niente» replicò quello, stringendosi nelle spalle. «Ha iniziato a suonare per conto suo, un paio di minuti fa.»

Perfetto, pensò Lidia, alzando gli occhi al cielo. E adesso cosa accidenti sta succedendo?

***

Il ritardo è colpa del ponte 25 aprile – 1 maggio passato a Napoli (città bellissima, tra parentesi) e di una settimana infernale in ufficio (ho lavorato dalle 8 di mattina alle 8 di sera).

E niente, tra settimane per un capitolo che non è nemmeno il massimo dell’allegria. Spero di riuscire ad aggiornare più rapidamente, al prossimo giro!

   
 
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