Lidia alzò lo sguardo su Alexander.
«Andiamo a piedi?» gli chiese, quando
notò che l’uomo era passato accanto al
carro automatico senza degnarlo di uno sguardo. Lui annuì in
silenzio e lei
aggrottò la fronte, a disagio davanti
all’atteggiamento improvvisamente
scontroso dell’uomo. «E dove andiamo?»
aggiunse, poi, con voce sottile,
provando per un istante lo sciocco timore di risultare molesta.
Il germanico si fermò di colpo,
guardandola come se si fosse reso conto solo in quell’istante
che lei e Tito
erano ancora lì con lui e che non erano misteriosamente
evaporati nell’aria
della mattina. Alexander chiuse per un istante gli occhi, poi
espirò
lentamente, come nel tentativo di allontanare da sé un
po’ della tensione che
aveva accumulato durante l’inaspettato incontro con Fratello
Kay. «Andiamo a
casa tua» la informò, con una voce che voleva
essere gentile, ma non riusciva a
non tradire una certa impazienza. «Ci andiamo a piedi,
perché un carro
automatico darebbe troppo nell’occhio. Poi, una volta che tu
sarai al sicuro
tra quattro mura, accompagnerò personalmente Tito dal
Prefetto Caleno. E no,
non protestare, ragazzo: si fa come dico io.»
Tito, che era stato sul punto di
contestare il programma appena esposto dall’uomo,
chinò il capo, ma rimase in
silenzio. Meno male,
pensò Lidia,
rivolgendogli un pensiero grato. Se c’era una cosa di cui non
avevano bisogno,
in quel momento, era di attirare attenzioni sgradite con una
discussione
animata. «Sai da che parte andare?» chiese allora,
rivolta ad Alexander. L’uomo
scosse la testa. «No. Fai strada.»
Mettendosi alla guida del terzetto,
Lidia si incamminò lungo le strade del villaggio, passando
davanti a luoghi
ormai ben noti senza vederli veramente. Fin ad allora, aveva cercato di
non
pensare troppo al suo imminente incontro con Ulf. Il momento in cui
avrebbe
dovuto assumersi tutte le sue responsabilità si era
però fatto incombente e, a
ogni passo che la portava più vicina alla casa che
condivideva con il marito,
il suo campo visivo si faceva più stretto, più
appannato.
Non
farti prendere dal panico,
si raccomandò, invano, stringendo in un
pugno le mani sudate. Quando, giorni prima, si era separata da Ulf, era
stata
convinta di dovergli rendere conto solo del fatto di avergli tenuta
nascosta la
presenza di Tito. Ora, invece, avrebbe anche dovuto spiegargli come
quella cosa
che lei gli aveva taciuto avesse, in un certo senso, provocato la morte
di
Karl. Sempre ammesso che Rolf non gli
abbia già raccontato tutto, pensò,
ricordando come il ragazzino fosse
fuggito, approfittando dalla confusione nata dalla colluttazione tra
Tito e
Karl. Mordicchiandosi nervosamente le labbra, Lidia si chiese cosa
sarebbe
stato meglio: essere lei la prima a comunicare a suo marito che Karl
era morto,
oppure affrontarlo quando già Rolf l’aveva messo
al corrente di ciò che era
successo?
Non
che io possa permettermi il lusso di scegliere, comunque.
Chissà se Ulf è in
casa? Chissà se è solo, o se
c’è Unna con lui?
Quando, finalmente, si ritrovò di
fronte alla propria casa, la fanciulla credette che il cuore fosse sul
punto di
schizzarle via dal petto, tanto batteva forte. Preoccupata, si
posò una mano
sullo sterno, cercando di imporsi di rilassare un poco i propri nervi
tesi. Quando ho paura, non faccio altro che
peggiorare le cose. Devo darmi una calmata.
Inspirando a fondo, la ragazza si
voltò verso i propri accompagnatori. «Siamo
arrivati» fece, rivolta ad
Alexander, ben consapevole che Tito sapeva benissimo che avevano
raggiunto la
loro meta. «Grazie per avermi scortata fino a qui.»
I due uomini si scambiarono
un’occhiata rapida e lei abbassò lo sguardo a
terra, avvertendo un leggero
calore a livello delle guance. Di certo non era particolarmente
educato, da
parte sua, abbandonare i due uomini in strada, senza nemmeno invitarli
a
entrare. Ma adesso ho cose più
importanti
a cui pensare, si giustificò, mordicchiandosi le
labbra. Le buone maniere possono anche
passare un
po’ in secondo piano.
«Sei sicura che non vuoi che veniamo
con te?» chiese Alexander, con una punta di preoccupazione
nella voce. Lei scosse
la testa. «No, non ce n’è bisogno. Anzi,
credo proprio che sia meglio che io
entri da sola. Per… per sondare il terreno, ecco.»
Tito fece per muovere un passo nella
sua direzione, ma fu trattenuto dalla mano del germanico che
calò rapida sulla
sua spalla. «Ma…» provò a
protestare il giovane romano, ma Lidia lo interruppe
con un sospiro. «Tito, non è davvero il caso che
io mi presenti in casa
accompagnata da voi due. Soprattutto… accompagnata da
te.» Il ragazzo chinò il
capo, mentre un’ombra di vergogna passava sul suo volto.
Leggermente pentita
per averlo fermato in modo tanto brusco, la fanciulla gli rivolse un
minuscolo
sorriso, addolcendo un poco il proprio tono. «Fammi almeno
dare un’occhiata. Se
è tutto a posto, verrò a dirvelo,
d’accordo?»
Il ragazzo la osservò per qualche
istante con un’espressione dubbiosa, poi, non vedendo forse
alternative, annuì.
Indirizzando ai due uomini un cenno del capo, Lidia voltò
loro la schiena e poi
raggiunse rapidamente la porta. Eccoci, pensò,
con il cuore in gola, mentre si accorgeva che questa non era chiusa a
chiave.
Quando posò di nuovo lo sguardo sui
locali in cui aveva passato parte dei suoi ultimi mesi di vita, Lidia
fu
travolta da un’ondata di qualcosa di molto simile alla
nostalgia, ma impedì ai
propri sentimenti di prendere il sopravvento. Posando entrambe le mani
sulla
superficie liscia del tavolo, la ragazza ispirò a fondo,
rendendosi conto che
la tensione era tale che le braccia le tremavano vistosamente. Calmati, si impose per
l’ennesima volta.
L’abitazione era perfettamente
silenziosa, come se in casa non vi fosse nessuno. Ma
non è possibile, ragionò la fanciulla. La porta era aperta, e Ulf ha l’abitudine
di chiuderla a chiave, quando
esce. Ma allora, era possibile che nessuno l’avesse
sentita entrare in
casa? Possibile che nessuno avesse udito la porta aprirsi e poi
richiudersi? Forse dovrei provare a chiamarlo?
Per qualche motivo, il solo pensiero
di pronunciare ad alta voce il nome del marito la fece sentire stupida:
doveva
parlargli, era vero, ma le cose che doveva dirgli non potevano essere
urlate ai
quattro venti. Era un discorso che richiedeva una certa delicatezza,
quello,
parole sussurrate e contrite, non la volgarità di un grido
lasciato salire
liberamente su per le scale.
Con un sospiro spossato, Lidia si
staccò dal tavolo ed esaminò velocemente il
giardino sul retro, il ripostiglio,
persino la dispensa. Trascinandosi stancamente su per le scale di legno
che
conducevano al piano superiore, la ragazza lanciò
un’occhiata al bagno vuoto e
poi si lasciò cadere sul letto, sconfitta
dall’evidenza: Ulf non era in casa.
Il fatto di dover posticipare il confronto con lui, anziché
placare la sua
angoscia, la fece crescere ulteriormente, e la ragazza si
portò istintivamente
una mano alla gola, avvertendo sotto i polpastrelli il battito convulso
del
proprio cuore. E adesso cosa dovrei fare?
Si chiese. Aspettare che torni qualcuno?
E per quanto tempo, poi? Minuti? Ore? E se Ulf non tornasse affatto?
Improvvisamente, la ragazza si trovò a
contemplare delle opzioni che, fino a quel momento non aveva preso in
considerazione: e se qualcosa fosse andato storto e suo marito fosse
stato
trattenuto in uno dei villaggi in cui Donna Erin lo aveva mandato? O,
ancora: e
se Rolf gli avesse già detto quello che era successo e lui
avesse deciso di non
vederla mai più, escludendola dalla propria vita senza
possibilità di appello?
Lidia si alzò nervosamente dal letto e
raggiunse la scrivania situata di fronte a esso. Frugando rapidamente
tra gli
oggetti che ingombravano il ripiano di legno, vide che il biglietto che
aveva
lasciato per spiegare la situazione sembrava non esserci
più. Il che significa che qualcuno
l’ha trovato.
Ma chi?
Incerta sul da farsi, la giovane
raggiunse la finestra e, sovrappensiero, scostò la tenda.
Tito e Alexander
erano ancora fermi in strada, apparentemente intenti a parlottare tra
di loro. Non è prudente che
restino lì, si disse,
con una smorfia. Anche se il pensiero di invitarli in casa le piaceva
poco,
Lidia scese rapidamente le scale e si affacciò alla porta
d’ingresso. «Non c’è
nessuno» annunciò. «Penso
che… penso che Ulf rientrerà tra poco, ma, se
volete,
potete entrare un attimo. Preferirei evitare di parlare per
strada.»
«Credo che sia una buona idea»
replicò
immediatamente Alexander, facendo cenno a Tito di seguirlo. Quando i
due furono
in soggiorno, il germanico si guardò attorno, incuriosito.
«Immagino che questo
posto non assomigli un gran che alla casa in cui eri abituata a vivere
quando
eri a Roma, vero?»
Tito soffocò uno sbuffo sarcastico, ma
Lidia scrollò le spalle, sentendosi in un certo modo in
dovere di difendere la
casa che condivideva con Ulf. «Ammetto che abituarmi a vivere
qui non è stato
facile, ma immagino che ci sia di peggio…»
«Sicuramente» concesse
Alexander, in
un tono distante che attirò l’attenzione di Lidia.
La ragazza inclinò un poco
il capo su una spalla, aspettando che l’uomo elaborasse
ulteriormente quello
che aveva detto, ma questi si limitò a scuotere quasi
impercettibilmente la
testa. «Mi pare di capire che non hai intenzione di ritornare
a Roma» disse,
poi, cambiando bruscamente argomento. «Pensi di rimanere
ancora a lungo qui a
Erding?»
Lidia corrugò la fronte, cercando di
ricordare se avesse mai fatto cenno ad Alexander dei suoi progetti di
abbandonare il villaggio. «No, il piano sarebbe quello di
allontanarci da
Erding, almeno per qualche tempo. Convincere mio marito non
è stato
semplicissimo, ma credo di esserci riuscita, alla fine: ha detto che
doveva
solo risolvere un paio di questioni e che poi saremmo potuti partire.
Certo
che…» la fanciulla lasciò sfumare la
frase, mentre la voce le moriva in gola.
«Certo che…?» la
sollecitò Alexander.
Lidia deglutì, provando un’improvvisa
difficoltà a parlare. «Be’, tutto questo
si era deciso prima che Karl morisse. Lui e Unna – mia
cognata – avrebbero
dovuto venire con noi. Adesso…. Non sono affatto sicura che
questi progetti
siano ancora validi.» Il germanico piegò le labbra
in una smorfia. «Mi auguro
che lo siano: da quel poco che ho visto, mi pare di capire che il
villaggio non
sia più un posto sicuro.»
Lidia fece per chiedergli cosa fosse
dato a dargli quell’impressione – dopotutto,
Alexander era giunto in paese solo
quella mattina e di certo non aveva avuto modo di vedere nulla di
veramente
allarmante – ma l’uomo la precedette, rivolgendosi
a Tito. «E tu cosa pensi di
fare?» Il ragazzo esitò, preso in contropiede.
«Io… non lo so ancora, a dire il
vero. Credo che tornerò dal Prefetto Caleno e
vedrò se posso essergli utile in
qualche modo.»
Il germanico scosse la testa, risoluto.
«Che senso ha restare al villaggio? Sei venuto fino a qui per
Lidia. Se lei ha
deciso di restare in Germanica con suo marito, non
c’è più nulla che ti
trattiene da queste parti: tornatene a casa tua, a Roma.»
Nell’udire quelle
parole, il giovane romano aggrottò la fronte, visibilmente
contrariato. «Grazie
per i consigli, ma credo che resterò qui.»
Alexander lanciò una rapida occhiata a
Lidia. «Mi pare che Lidia ormai abbia preso una sua
decisione: non è così?»
Quando la fanciulla annuì, il germanico tornò a
rivolgersi a Tito. «E allora
perché vuoi restare?» Lui esitò per un
istante soltanto. «Il Prefetto mi ha
aiutato a venire fino a qui, quindi ho un debito con lui. E intendo
ripagarlo.»
Davanti alla determinazione del
ragazzo, Alexander tradì uno scatto di frustrazione.
«Non è un po’ stupido
rischiare la vita per un debito di
cui nessuno verrà mai a chiederti conto?» Tito
corrugò la fronte, confuso
dall’osservazione dell’uomo, e poi si
voltò verso Lidia, come in cerca di supporto.
«Hai paura che nemmeno il campo militare sia un luogo
sicuro?» indagò lei,
cercando di capire il motivo dell’improvvisa inquietudine di
Alexander.
Lui si lasciò sfuggire una risatina
amara. «Ho paura che nessun
luogo
possa dirsi sicuro, nei prossimi tempi.» La ragazza
annuì lentamente, poco
convinta. «Per via della rivolta? Non dico che il pericolo
non sia reale, ma
abbiamo molti soldati, no? Sicuramente molti di più di
quanto non siano i
minatori e le altre persone che vogliono cacciarci da qui. E i nostri
legionari
sono anche meglio addestrati…»
Lidia fece appena in tempo a rendersi
conto di essersi espressa in termini di noi
e loro – una
suddivisione in cui
lei si annoverava ancora tra le schiere di Roma – quando
Alexander scosse il
capo. «No, il problema non è la protesta dei
minatori…»
«E allora si può sapere qual
è, questo
problema?» sbottò Tito, che iniziava a mostrarsi
un po’ infastidito dalle mezze
frasi dell’uomo. Quello sospirò e, lentamente, si
incamminò verso il lavello,
dando loro le spalle e stringendo brevemente tra le mani la ceramica
bianca.
«Io sono da queste parti da molto più tempo di
voi» disse, dopo alcuni istanti
di silenzio. «Lo so, come funzionano le cose.»
«Cosa vorrebbe dire?»
insistette il
giovane romano, avvicinandosi di un passo. «Le cose
funzionano che, se da
qualche parte c’è una rivolta che mette in
pericolo i cittadini di Roma, il
nostro esercito interviene per sedarla. Magari ci va bene e magari no,
ma non
c’è bisogno di avere chissà quale
esperienza, per capire qual è la situazione.
In ogni modo, se proprio le cose dovessero mettersi così
male come temi tu,
vedrò di tornarmene a Roma: d’accordo?»
Alexander si voltò verso di lui e
Lidia provò una stretta allo stomaco nel vedere la tensione
e la frustrazione
che regnavano sul suo volto. «Io vi do solo un consiglio,
come tu stesso hai
detto: dovete allontanarvi da questo posto. Non tra una o due
settimane, però:
subito.»
Lidia sgranò gli occhi, stupita dal
tono secco e perentorio dell’uomo. «Ma…
perché? Non riesco a capire da cosa
nasca tutta questa fretta. Perché hai deciso di riportarci
qui, se adesso vuoi
farci ripartire a tutti i costi?» Il modo di fare di
Alexander le pareva in
aperta contraddizione con ciò che aveva fatto fino a quel
momento e la cosa la
spaventava quasi. «Quando ho deciso di accompagnarvi qui, non
sapevo ancora che
Kay si fosse stabilito al villaggio» commentò il
germanico, asciutto.
«Quindi lo conosci? Prima mi era parso
di capire il contrario…» intervenne Tito,
inclinando il capo di lato. «Non lo
conosco personalmente», chiarì Alexander,
«però conosco quelli come lui e so
che, quando arrivano loro, le cose iniziano a mettersi male.»
Inconsciamente, Lidia si portò una
mano alle labbra e prese a mordicchiarsi nervosamente
l’unghia del pollice. Aveva
l’impressione che l’uomo stesse tentando di
metterli in guardia contro
qualcosa, ma che, allo stesso tempo, volesse evitare di esporsi troppo.
Il
fatto che Alexander sentisse di doversi tutelare anche lì,
dove non c’era
nessun altro se non lei e Tito, la spaventò forse
più di ogni altra cosa. «Cosa
vuol dire che le cose iniziano ad andare male? Io non
capisco.»
L’uomo chiuse gli occhi per un
istante. Quando li riaprì, posò sulla fanciulla
uno sguardo improvvisamente
stanco. «Se anche te lo spiegassi, non capiresti lo
stesso.»
Quelle parole sospirate toccarono un
nervo scoperto e Lidia si sentì avvampare, mentre la paura e
la frustrazione
che aveva cercato di mantenere sotto controllo esplodevano senza
preavviso.
«Cosa ne sai?» sbottò, muovendo un passo
nella sua direzione. «Io non sono mica
stupida, sai? Chi te lo dice, che non capirei?»
Davanti a quella rabbia improvvisa, il
germanico sgranò gli occhi e sollevò una mano nel
tentativo di placare la
ragazza. «No, non intendevo…»
«È da quando sono arrivata qui, che nessuno si
degna di dirmi come stanno veramente le cose!» lo interruppe
rabbiosamente lei.
«Mi avete costretta ad andarmene da Roma e non ho detto
niente. Mi avete
obbligata a sposare un perfetto sconosciuto e, ancora, non ho detto
niente. In
questi mesi sono stata spostata di qua e di là come se fossi
un pacco e mi sono
sempre accontentata solo di mezze spiegazioni… ma adesso
basta! Adesso voglio
sapere esattamente cosa sta succedendo, voglio sapere chi è
quel tizio e perché
è tanto pericoloso!» Con le guance arrossate e il
respiro un po’ corto, Lidia
fissò Alexander, ma in cambio ricevette solo uno sguardo
piatto. «Mi dispiace,
ma non posso dirtelo.»
Di fronte a quella risposta così
sintetica ed elementare, la giovane romana restò per qualche
istante a bocca
aperta e il germanico approfittò del suo silenzio per
parlare di nuovo.
«Capisco che quello che hai passato non dev’essere
stato facile né piacevole e,
di certo, avresti avuto diritto a ricevere più spiegazioni
di quelle che ti
sono state fornite. Non ci sarebbe stato nulla di male a spiegarti
perché i
matrimoni come il tuo vengono organizzati, o perché i
minatori protestano: ma ci
sono altre faccende che non possono essere rese note a tutti; e
Fratello Kay è
una di queste.»
«Perché è un
Sacerdote?» ipotizzò la
ragazza, cercando di tenere a bada la propria irritazione. Alexander
esitò.
«Sì. In un certo senso è
così.»
«Ma tu non sei un Sacerdote»
gli fece
notare Tito, aggrottando la fronte. «Se si tratta di
informazioni segrete, tu
come fai a esserne a conoscenza?»
Alexander spostò lo sguardo
dall’uno
all’altro, poi scrollò il capo e si premette due
dita alla base del naso, come
per allontanare un mal di testa incipiente. «Sentite.
Cerchiamo di capirci,
d’accordo?» Lidia e Tito si scambiarono
un’occhiata perplessa e poi tornarono a
fissare il germanico, un’espressione leggermente confusa
disegnata sui loro
volti. Rendendosi conto di avere la loro attenzione, l’uomo
fece un passo nella
loro direzione e poi abbassò il tono di voce, come se
temesse di essere udito
da orecchie indiscrete. «Io sto cercando di aiutarvi
perché mi siete capitati
tra i piedi e perché, se vi piantassi in asso, mi sentirei
una merda – scusate
la finezza. Non posso dirvi come stanno veramente le cose: il discorso
sarebbe
lungo, complicato, e sapere la verità non vi sarebbe
comunque di alcun aiuto –
anzi! Raccontandovi tutto rischierei soltanto di mettervi in pericolo e
di
mettere in pericolo anche me stesso: certe cose è meglio non
saperle,
credetemi.»
«Ciononostante, vi chiedo di fidarvi
di me» riprese l’uomo. «Fate come vi ho
consigliato e andate via da qui. Non
posso spiegarvi quale sia esattamente il pericolo, ma sappiate che
è imminente:
se Kay è arrivato qui, significa che la
decisione… significa che non c’è
più
nulla da fare. So come vanno queste cose, l’ho già
visto in passato e, anche se
è una cosa che mi fa schifo,
non c’è
nulla che io possa fare per impedirlo. Posso solo cercare di aiutare
voi. Ed
Erin, se mi riesce.»
Mentre Alexander parlava, Lidia
sentiva qualcosa di pesante e vischioso formarsi al centro del petto,
una
sensazione che le mozzò il respiro e le fece tremare le
mani. Non so perché faccia tanto
il misterioso, ma
non me ne frega niente, decise, con un tremito di angoscia. Quello che conta è ritrovare Ulf e
convincerlo ad andare via, esattamente come avevamo deciso. Non importa
se è
per evitare di rimanere invischiati in una rivolta o per sfuggire a
qualsiasi
cosa abbia in mente Kay: che se ne vadano tutti all’Inferno!
«Tu sei veramente fedele a
Roma?» La
domanda di Tito, così distante dai pensieri che in quel
momento stavano
attraversando la mente di Lidia, indusse la ragazza a voltarsi verso di
lui.
«Sembri sapere molte cose a proposito dei Sacerdoti
germanici, sembri temerli.
Eppure, da quanto mi risulta, il Prefetto Caleno non pare ritenerli una
minaccia: è evidente che sei a conoscenza di qualcosa che
lui ignora. Si può
sapere da che parte stai?»
«Io…» Il germanico
sospirò. «Io non
sto né dalla parte di Roma né da quella della
Germanica. Io cerco di fare il
mio dovere senza fare torto a nessuno.»
«Ma almeno sei veramente un
germanico?» intervenne Lidia, chiedendosi quale fosse quel dovere a cui l’uomo aveva
accennato. Lui scosse il capo in maniera
quasi impercettibile. «No. In effetti, vengo da…
be’, da lontano.»
«Ovvero?» insistette la
fanciulla. Alexander
sorrise. «Lascia perdere: non lo conosci. E non insistere:
potrei farti un nome
a caso, e tu non sapresti mai se ti ho detto la verità
oppure no.»
Lidia fece per aggiungere dell’altro,
ma il movimento repentino di Tito, che ruotò bruscamente su
se stesso, attirò
la sua attenzione. «Cosa succede?» chiese la
fanciulla, con voce tesa. Il ragazzo
aggrottò lievemente la fronte. «Mi è
come sembrato di sentire un rumore…»
A Lidia bastò solo un istante per
accorgersi che Tito aveva ragione: anche se sulle prime non aveva
notato nulla,
ora sentiva chiaramente il suono inequivocabile di passi che si
avvicinavano
all’ingresso. Il cuore le balzò in gola e la
fanciulla si guardò disperatamente
attorno, in preda al panico: chiunque stesse arrivando, era certa che
non
avrebbe apprezzato trovarsi a faccia a faccia con il giovane romano.
«Dovreste…»
Non fece in tempo ad aggiungere altro,
che la porta si aprì e Rolf entrò in casa. Lidia
vide chiaramente lo
sconvolgimento che si disegnò sul suo volto infantile, ma la
sua attenzione
venne catturata dalla figura che, pochi istanti dopo, comparve alle
spalle del
ragazzino.
Oh,
no,
pensò, mentre il sangue le defluiva dal volto.
Non Unna. Non adesso. La germanica fece
scorrere lentamente lo sguardo per la stanza, come se avesse qualche
difficoltà
a comprendere quello che stava vedendo. Poi i suoi occhi incontrarono
quelli di
Lidia e la ragazza si sentì sul punto di svenire. Un
miscuglio di sentimenti
spiacevoli – dolore, dispiacere, paura, smarrimento
– le riempì il petto e alla
giovane parve di soffocare. Confusamente avvertiva che avrebbe dovuto
dire
qualcosa, ma era come se la sua gola avesse perso la
capacità di articolare
parole di senso compiuto. Istintivamente, Lidia indietreggiò
di un passo,
spaventata dal vuoto che lesse negli occhi della cognata.
Fu Rolf a rompere l’immobilità
e il
silenzio di quei pochi secondi. In un sussurro, il ragazzino disse
qualcosa e
Unna distolse prontamente lo sguardo dalla ragazza, fissando
intensamente il
giovane nipote. Fu solo in quel momento che Lidia si accorse che il
ragazzo
aveva gli occhi puntati su Tito, che, guardingo, ricambiava lo sguardo
del
piccolo germanico. «Es wär er»
ripeté Rolf, portandosi una mano alla tasca. Sotto
gli occhi sgomenti di Lidia, il ragazzino estrasse il coltellino che il
giorno
prima aveva usato per incidere il legno e, con quello in pugno, si
avvicinò di
un passo al romano.
Immediatamente, Alexander fece per
muoversi verso di lui, ma Unna fu più rapida e,
riscuotendosi dal torpore nel
quale sembrava sprofondata, agguantò il nipote per le
spalle, attirandolo
contro il proprio corpo. Chinandosi su di lui, la giovane prese la mano
del piccolo
tra le sue. «Näi» sussurrò e,
delicatamente, lo convinse a lasciare il
coltello, sfilandoglielo dalle dita. Nel vedere l’espressione
concentrata con
cui Unna osservava la piccola lama che ora si trovava tra le mani,
Lidia
avvertì il proprio cuore accelerare i battiti. La fanciulla
indovinò le intenzioni
della donna un istante prima che quella spingesse da parte Rolf e,
senza
preavviso, si slanciasse in avanti, verso Tito.
«No!» Lidia sentì la
propria voce
gridare, ma le gambe parvero rifiutare di obbedirle, tenendola
inchiodata sul
posto. Alexander fu invece più reattivo e, con un balzo, si
portò davanti a
Tito con le braccia tese, frapponendosi tra lui e Unna. Se la giovane
si
accorse dell’ostacolo, fu troppo tardi. Il suo braccio
calò e, anche se l’uomo
cercò di deviare il colpo, la lama sottile del coltellino
gli si piantò nella
spalla. Con un gemito di dolore e un’imprecazione, Alexander
afferrò il polso
di Unna, piegandolo in un modo che la costrinse a lasciare la presa.
Lidia, atterrita, avanzò di un passo e
poi retrocedette, incapace di decidere se fosse più saggio
avvicinarsi ai due
per cercare di dividerli o restarsene in disparte, evitando di
peggiorare
inavvertitamente la situazione. «Ma sei pazza o
cosa?» gemette Alexander,
allontanando da sé la donna con uno spintone. Con il volto
pallido come uno
straccio, l’uomo si strappò il coltellino di dosso
e lo lasciò cadere per
terra. Per un secondo, Lidia lo credette in procinto di perdere i sensi
–
quello, però, vacillò solo un istante e poi parve
ritrovare la propria
stabilità. «Due volte in due giorni»
sibilò, portandosi una mano sulla spalla
ferita e mettendo così in mostra il taglio
sull’avambraccio che Tito gli aveva
procurato il giorno prima. «Io
cosa
c’entro?» chiese, rivolgendosi a Unna.
Oh,
Dèi. Con
la coda dell’occhio, Lidia avvertì che Tito, che
si era
tenuto a distanza di sicurezza, stava avvicinandosi a lei, ma in quel
momento
la sua attenzione era tutta per Unna. La giovane non aveva reagito
minimamente
alla domanda di Alexander e lo stava fissando con gli occhi spalancati
e così smarriti
che la fanciulla sentì una stretta al cuore.
«Unna» sussurrò, trovandosi di
nuovo a corto di parole, ma avvertendo l’esigenza di dire qualcosa.
La giovane si voltò appena verso di
lei e la ragazza vide che i suoi occhi erano lucidi di lacrime. Non ho mai visto Unna piangere,
realizzò, con un nodo alla gola. Non
l’ho
mai vista veramente spaventata o ferita o debole…
Il fatto di trovarsi di
trovarsi di fronte alla prova evidente della vulnerabilità
della cognata fu un pugno allo stomaco e Lidia si rese
conto di non averla mai veramente vista per la persona che era, con le
sue
paure, le sue speranze e i suoi punti deboli.
Accanto a lei, Alexander posò un piede
sul coltellino e lo calciò all’indietro,
allontanandolo dai due germanici. «Chi
è questa persona?» chiese, poi, rivolto a Lidia.
La fanciulla deglutì più
volte, cercando di ritrovare la propria voce e di sciogliere un poco il
nodo
che le stringeva la gola. «È mia cognata.
È la moglie di Karl.»
Nell’udire il nome del marito, Unna
trasalì e sul volto dell’uomo passò un
lampo di comprensione. «Mi dispiace»
fece, rivolgendo alla giovane donna un cenno del capo. Lei
inspirò a fondo e i
suoi occhi si posarono brevemente sulla mano insanguinata di Alexander,
poi
scivolarono alle sue spalle e si appuntarono su Tito. Immediatamente,
lo
smarrimento fu sostituito dalla rabbia. Prima che la giovane potesse
fare
qualsiasi cosa, però, Lidia le si fece incontro.
«Unna», ripeté,
«aspetta.»
La fanciulla non avrebbe saputo dire cosa
esattamente la cognata avrebbe dovuto
aspettare, ma non poteva permettere che cercasse di attaccare ancora
Tito. Anche se ha tutte le ragioni del mondo
per
volersi vendicare, pensò, amaramente. Per una
frazione di secondo, la
ragazza cercò di guardare Tito con gli occhi di Unna, ma
quello che vide la
spaventò troppo per indugiare a lungo in quelle
considerazioni.
In quell’istante, una voce femminile
risuonò
in strada e Rolf, che da quando Unna gli aveva sottratto il coltello
era
rimasto come congelato sul posto, sobbalzò.
«Mama!» esclamò, con le lacrime
agli occhi, prima di correre fuori.
Mama? Si ripeté
Lidia, sorpresa da quella svolta inattesa. Automaticamente, la ragazza
cercò
gli occhi della cognata e Unna rispose rivolgendole un lungo sguardo
strano,
che lei non seppe interpretare. La giovane fece per chiedere
spiegazioni, ma la
germanica non gliene lasciò il tempo: girando lentamente su
se stessa, uscì
all’esterno, come Rolf aveva fatto qualche istante prima.
Subito, Lidia fece per seguirla, ma
Tito la trattenne per un polso. «Lidia, aspetta un attimo,
per favore» mormorò,
guardandola con aria preoccupata. La ragazza ritrasse immediatamente il
braccio, liberandosi dalla presa del giovane. «No, voglio
vedere.»
Non appena ebbe messo piede fuori
dalla porta di casa, Lidia sentì il cuore sobbalzarle nel
petto e,
istintivamente, si aggrappò con una mano allo stipite della
porta, cercando
sostegno. Lì, a pochi metri da lei, accanto a Unna e a una
donna sconosciuta
che stringeva tra le braccia Rolf, c’era Ulf.
La ragazza sentì il terreno mancarle
sotto i piedi, mentre una cascata di emozioni diverse e contrastanti
– e non
tutte positive – si abbatteva su di lei, dandole
l’impressione che le mancasse
l’ossigeno. Ulf, che stava dicendo qualcosa alla sorella, si
accorse della sua
presenza una frazione di secondo più tardi. Quando i suoi
occhi incontrarono
quelli della fanciulla, lei vi scorse un lampo di qualcosa che non
riuscì a
definire, ma che le parve tanto famigliare che la morsa che le
stritolava il
petto allentò un poco la sua stretta. Una fiammella di
speranza divampò nel
petto di Lidia. Forse è meno
arrabbiato
di quanto pensassi, si disse, non osando credere alla propria
fortuna.
Quando anche Unna si accorse che la
cognata l’aveva seguita all’esterno, si
allontanò dal fratello e raggiunse Rolf
e sua madre qualche metro più in là. Ora che il
momento che tanto aveva temuto
era giunto, Lidia sentiva la testa stranamente vuota e aveva
l’impressione di
essere immersa in un’atmosfera rarefatta, dove ogni movimento
era rallentato,
irreale.
Si accorse che diversi secondi erano
passati senza che lei muovesse un muscolo. Coraggio,
si incitò, respirando a fondo per scacciare il nodo che le
stringeva la gola. Non sei venuta fino a qui
per restartene
aggrappata alla porta come una cretina.
Lentamente, con le gambe tremanti, la
ragazza scese i due gradini che separavano l’uscio dalla
strada e Ulf seguì
ogni suoi movimento con occhi attenti e quasi guardinghi. Lidia sentiva
che
l’attenzione dei presenti era puntata su di lei e, se la cosa
da un lato la metteva
a disagio, dall’altro la rassicurava, dal momento che la
giovane aveva
l’impressione che tutto fosse finalmente nelle sue mani. Un
pensiero rapido
attraversò la sua mente: se sto
attenta,
andrà tutto bene.
Improvvisamente, però, gli occhi di
Ulf scattarono verso l’alto e si focalizzarono su qualcosa
alle spalle della
fanciulla. Cosa… voltandosi
per
capire cosa avesse catturato l’attenzione
dell’uomo, Lidia vide che Tito e
Alexander l’avevano seguita e indugiavano
sull’uscio, apparentemente indecisi
se uscire completamente allo scoperto o se rientrare in casa. Oh, no, pensò la ragazza,
rivolgendo
loro un’occhiata afflitta. Anche se, naturalmente, non
avrebbe potuto
nascondere a lungo la presenza dei due uomini, avrebbe di gran lunga
preferito
avere l’occasione di parlare brevemente con Ulf, prima di
lasciare che i due
rendessero nota la loro presenza. Con un senso di sventura incombente,
Lidia si
voltò nuovamente verso Ulf e vide che il volto
dell’uomo si era fatto più duro.
Il giovane si soffermò brevemente su Alexander e sulla sua
ferita ancora
sanguinante, ma poi si concentrò su Tito.
Quando lo fece, Lidia ebbe un tuffo al
cuore. Senza che potesse fare nulla per evitarlo, antichi timori
tornarono a
riaffacciarsi alla sua mente e, come già era accaduto in
passato, la fanciulla
si chiese se il marito potesse in qualche modo rivelarsi pericoloso per
l’amico. Quasi come per confermare le sue paure, Ulf fece per
muovere un passo
nella direzione del giovane romano, ma, inaspettatamente, Unna lo
trattenne
afferrandogli saldamente un braccio e mormorandogli qualcosa in un
orecchio.
Fu solo in quel momento che Lidia si
rese conto di essersi mossa in modo del tutto inconsapevole e di
essersi
frapposta, senza averne realmente l’intenzione, fra i due
uomini. Nel realizzare
quello che quel gesto involontario avrebbe potuto apparire, almeno agli
occhi
di Ulf, la fanciulla avvampò, mortificata. Dèi,
adesso penserà che io volessi difendere Tito.
Crederà che io non mi fidi di lui
e… Lidia alzò lentamente gli occhi, con
la netta sensazione di avere appena
fallito un esame importante.
Per qualche istante, Ulf la fissò
impassibile,
poi si rivolse alla donna con le trecce bionde, che ancora teneva per
le spalle
Rolf e lo cullava lentamente. «Andiamocene» disse,
semplicemente. La parte più
razionale della sua mente fece notare a Lidia che non poteva essere un
caso, se
il giovane aveva scelto di usare il latino per rivolgersi a una sua
connazionale che, con ogni probabilità, non masticava bene
quella lingua. La
parte più istintiva del suo essere, invece, rimase raggelata.
Sul volto della donna sconosciuta
passò un’espressione confusa. La germanica fece
una domanda che Lidia non
riuscì a capire e a cui Ulf rispose solamente con un secco
cenno di diniego.
Cosa
vorrebbe dire, “andiamocene”? Si chiese la fanciulla, con qualche secondo di
ritardo. Smarrita, cercò gli occhi di Unna, ma la donna si
rifiutò di
guardarla.
«Lidia…» la voce
morbida di Alexander
la richiamò, ma lei ignorò completamente la sua
presenza e la richiesta – o la
raccomandazione – che l’uomo aveva voluto
racchiudere nel suo nome.
Dopo un istante di indecisione, la
madre di Rolf cinse le spalle del figlioletto con un braccio e con
l’altra mano
prese quella di Unna, invitandoli gentilmente ad allontanarsi dalla
scena e ad
avviarsi lungo la strada che portava verso il centro del villaggio.
Dove
vanno? Si chiese
ancora Lidia, fissando il terzetto con occhi persi.
Quando anche Ulf si mosse e fece per allontanarsi da lei,
però, scattò.
«Aspetta!» esclamò, liberandosi
dall’immobilità che l’aveva tenuta
prigioniera
fino a quel momento e facendo due rapidi passi in direzione del
germanico.
«Dove vai?»
Davanti a quella domanda, il giovane
abbassò inaspettatamente gli occhi a terra.
«Via» rispose però, semplicemente.
La ragazza aggrottò la fronte. «In che
senso?» chiese, con la voce che tremava
un poco. Anche se il suo istinto le aveva già fatto capire
quello che stava
succedendo, Lidia semplicemente si rifiutava di accettare
quell’intuizione.
Ulf sospirò, ma, ancora,
evitò lo sguardo
di Lidia, come se il pensiero di guardarla in volto lo mettesse a
disagio.
«Devo occuparmi della mia famiglia. Di Unna.» La
giovane romana coprì
rapidamente la distanza che la separava dal marito, ma si
fermò a mezzo metro
da lui, non osando toccarlo. «E io?» chiese, con
una voce sottile che risultò
patetica anche alle sue stesse orecchie.
Improvvisamente Ulf alzò gli occhi e
Lidia sbiancò vedendo la rabbia improvvisa che li aveva
riempiti. «E tu… cosa?»
sibilò l’uomo, sfidandola a rispondere. Alle sue
spalle, la fanciulla avvertì
qualche movimento: Tito aveva forse provato a intervenire, ma Alexander
doveva
averglielo impedito, dal momento che il ragazzo rimase al suo posto.
«Anch’io
sono parte della tua famiglia» replicò lei,
cercando di sostenere senza tremare
lo sguardo del marito.
Il giovane si lasciò sfuggire un
sibilo sarcastico che avrebbe potuto forse essere una risata, se non
fosse
stato così amaro. «Questa cosa… questa
cosa è stata proprio un’idea di merda»
ringhiò, indicando prima se stesso e poi Lidia.
«Ho sbagliato ad accettare
questa farsa: mi sarei dovuto
rifiutare di sposarti, e che la Sacerdotessa se ne andasse
all’Inferno. Lo
sapevo, che non avrebbe potuto funzionare… e, infatti, non
ha funzionato!»
Lidia si fece ancora più pallida e per
qualche secondo fu troppo sconvolta per rispondere. «Ma
tu… l’altro giorno non
hai detto la stessa cosa!» protestò, mentre si
accorgeva con orrore che le
lacrime avevano iniziato a bruciarle all’angolo degli occhi.
Ripensando ai
discorsi che avevano fatto prima che tutto iniziasse ad andare a
rotoli, Lidia
sentì poi la rabbia divamparle nello stomaco. Credeva
davvero di liquidarla
così, con una frase e quattro insulti? «Ne avevamo
parlato! Avevi detto che
avevi cambiato idea! Che con me ci stavi bene! Non puoi pensarle
veramente,
queste cose…»
Ulf le rivolse un sorriso tagliente.
«L’altro giorno mi sfuggivano un paio di
dettagli.» Quando Lidia gli rivolse
uno sguardo confuso, l’uomo indicò Tito con un
cenno del mento. «Chi è lui?»
Voltandosi appena per lanciare un’occhiata a un Tito
impietrito – e a un
Alexander sempre più pallido – Lidia
deglutì. «Mi dispiace, avrei dovuto
dirtelo» ammise, mentre l’angoscia e la tensione le
arrochivano la voce. «Ma
lui non è nessuno di importante, davvero. Avevo paura che
tu… che forse…»
«Non me ne frega niente»
tagliò corto
Ulf. «Chi sia non è importante, ormai. Quello che
conta è che Karl è morto. Per
colpa sua. Per colpa tua.»
Lidia
scosse con forza il capo, anche se, in fondo, sapeva che il marito
aveva
perfettamente ragione. «Non puoi parlare
così» protestò, cercando di conservare
quel poco di sangue freddo che le era rimasto. «Tu non
c’eri, non sai come sono
andate le cose…»
«… ma so come sono andate a
finire» la
interruppe nuovamente Ulf. «Karl è morto. Era il
mio migliore amico. Lo
conoscevo da una vita. Era il marito di Unna. Credi davvero che me ne
freghi
qualcosa, di come sono andate le cose?»
Lidia fece per protestare ancora, ma
le parole le morirono in gola. No. Ovviamente a Ulf non interessava
conoscere la
dinamica esatta dei fatti. E poi, anche
se la conoscesse, cambierebbe poco. Tito l’ha ucciso e non
è stato Karl, a
cercare lo scontro. «No, hai ragione»
mormorò, mentre la rabbia evaporava
tutta d’un colpo e restava solo la vergogna. E la stanchezza.
«Però…»
«Però niente, Lidia»
sospirò Ulf,
anche lui con voce quieta. «Non è stata una buona
idea, tutto qui. Io devo
pensare a mia sorella, adesso.»
Improvvisamente Lidia rabbrividì,
mentre una sensazione di freddo scivolava su di lei. «Ma poi
tornerai qui?»
chiese, mentre già il suo subconscio le sussurrava la
risposta. Ulf le rivolse
un’occhiata che aveva il sapore amaro della compassione.
«Torna a casa, Lidia.»
La fanciulla alzò su di lui gli occhi
lucidi. «A casa?» ripeté. Il giovane
annuì. «A Roma. Chiedi a Donna Erin, lei
ti aiuterà. O vacci con il tuo amico. O con
l’altro tipo là dietro, chiunque
egli sia… ma non restare qui. È pericoloso, per
te, restartene qui da sola.»
Davanti a quella richiesta fatta in
tono così ragionevole, Lidia non riuscì a
trattenere le lacrime. «Ma io non ci
voglio tornare, a Roma. Io voglio restare con te»
mormorò, con voce spezzata.
Per una frazione di secondo, Ulf incontrò il suo sguardo e
nei suoi occhi la
fanciulla credette di leggere un lampo di sorpresa. Meno di un istante
più
tardi, però, l’espressione del giovane si fece
ancora distante. «Mi dispiace,
ma sono io che non voglio più stare con te.»
Con quelle parole, Ulf retrocedette di
un passo e, in maniera del tutto istintiva, Lidia si lanciò
verso di lui,
afferrandogli un polso con entrambe le mani.
«Aspetta!» esclamò, con la gola
stretta e il cuore che le martellava nelle orecchie. La fanciulla lo
fissò con
gli occhi sbarrati, cercando disperatamente di dire qualcosa che
potesse
spingerlo a riconsiderare la sua decisione. La sua testa era
però invasa da
mille pensieri terrorizzati che si accavallavano e si scontravano
l’uno contro
l’altro, lasciando la giovane solo con una manciata di idee
spezzate.
Davanti al suo silenzio, Ulf portò una
mano su quelle della ragazza e, con delicatezza, le staccò
dal proprio braccio.
«Torna dai tuoi genitori. Sarà meglio anche per
te, vedrai.» Nell’udire quelle
parole, Lidia sentì l’irritazione tornare a
bruciarle nel petto, ma era un
sentimento triste, privo di forza. «Come fai a
dirlo?» chiese, debolmente.
«Come fai a sapere che per me sarà meglio, se
tornerò a Roma?»
Il germanico abbassò lo sguardo a
terra. «Hai ragione» concesse, dopo qualche
istante. «Non lo so, se per te sarà
meglio oppure no: però so che, di certo, questa è
la scelta migliore per me. Devo
badare a Unna, adesso. Devo
portarla via da qui e tu non puoi venire con noi. Non dopo quello che
è
successo.»
«Ma…»
Nell’udire quelle parole che
suonavano tanto come una sentenza definitiva, Lidia cercò
ancora di afferrare
le mani dell’uomo, ma lui indietreggiò,
sottraendosi al suo tocco. «Buona
fortuna, Lidia» mormorò, prima di darle le spalle
e allontanarsi velocemente.
Per alcuni lunghissimi secondi, la
fanciulla rimase congelata sul posto, incapace di rendersi veramente
conto di
quello che era appena accaduto. Poi le lacrime le offuscarono
completamente gli
occhi e dalla gola le sfuggì un singhiozzo. La giovane si
premette entrambe le
mani sulla bocca, come nel tentativo di mettere a tacere il proprio
sconforto.
Non poteva essersene davvero andato
così. La stava davvero lasciando lì, senza
nemmeno dirle dove era diretto?
Senza nemmeno darle la possibilità di accertarsi che fosse
al sicuro, che
stesse bene?
Non
può fare sul serio,
pensò, disperata, rifiutandosi di accettare
l’evidenza. Quello che era successo a Karl era terribile, ma
c’erano mille modi
per affrontare la questione e quello scelto da Ulf le pareva
decisamente il
peggiore. Non ha nemmeno avuto il
coraggio di guardarmi, prima di andarsene,
ricordò, passandosi una mano su
una guancia per asciugare le lacrime.
Quando una mano le sfiorò una spalla,
Lidia sobbalzò e si voltò di scatto, trovandosi
di fronte il volto cupo di
Tito. «Lidia, mi…»
«Vai via!» esclamò
la giovane, con la
voce resa incerta dalle lacrime. Allontanandosi da lui quasi di corsa,
Lidia
marciò in casa, colpendo inavvertitamente con una spalla
Alexander, che non
trattenne un gemito di dolore. Giunta nella sala da pranzo, la ragazza
si
lasciò cadere su una delle sedie disposte attorno al tavolo
e poi posò entrambe
le mani sul legno liscio e scuro, cercando inconsciamente conforto
nella
frescura che le sfiorò i palmi sudati. Si sentiva svuotata,
sospesa in una
dimensione che non era quella reale. E adesso
che cosa farò? Si chiese. Era come se ogni punto
di riferimento fosse
scomparso e lei si trovasse sola nell’epicentro di una
pianura infinita, senza
sentieri né segnali che indicassero la via.
Per un tempo che non riuscì a
quantificare, Lidia rimase ricurva di fronte al tavolo, mentre lacrime
silenziose le scivolavano lungo le guance e bagnavano il tessuto del
suo abito.
Quella era davvero la fine di tutto? Doveva
davvero rassegnarsi a tornarsene a Roma, senza Ulf e con la coda tra le
gambe? Il
solo pensiero le dava la nausea e la terrorizzava. Anche ammesso che
Fratello
Kay le permettesse di lasciare la germanica e rompere il patto
matrimoniale, con
quale coraggio si sarebbe ripresentata dai suoi genitori? Come avrebbe
potuto
sopportare il disprezzo che suo padre avrebbe certamente riversato su
di lei e
sul suo fallimento? E, soprattutto, come
farò a sopportare la consapevolezza che, se siamo arrivati a
questo punto, è
tutta colpa mia?
No, non poteva farlo. Semplicemente,
era una cosa che ogni fibra del suo essere rifiutava di accettare. E allora vai a cercarlo! La
spronò la
sua coscienza, con un guizzo d’orgoglio. Trova
Ulf e costringilo ad ascoltarti! Colpita da quel pensiero,
Lidia serrò le
mani in un pugno, mentre un filo di energia le scivolava lungo la
schiena,
simile a una ventata di aria fresca. Prima, durante il confronto con il
marito,
si era arresa troppo velocemente. Il fatto di esserselo ritrovata di
fronte all’improvviso
aveva cancellato dalla sua mente il frutto di giorni di pensieri e
riflessioni.
Ma adesso so cosa aspettarmi. Adesso so
come stanno le cose e forse… forse riuscirei a tenergli
testa un po’ meglio.
In ogni modo, se anche Ulf si fosse
ostinato a rifiutarla e a chiederle di fare ritorno nella sua
città natale,
Lidia avrebbe potuto in un certo senso avere la coscienza a posto. Se non altro, saprei di non aver lasciato
nulla di intentato.
Con le gambe che ancora tremavano un
po’, ma animata da una determinazione nuova, la ragazza
spinse indietro la
sedia e, facendo leva sui polsi, si alzò in piedi. Lanciando
un’occhiata fuori
dalla finestra della cucina, cercò di calcolare quanto tempo
fosse passato da
quando Ulf se n’era andato.
Non
possono essere passati più di venti minuti, ragionò, cercando di fare mente
locale. Mezz’ora al massimo.
Facendo un
respiro profondo, Lidia si avviò verso la porta, decisa a
mettere in atto il
suo intento. Non appena ebbe varcato la soglia, però, si
trovò di fronte a Tito
e Alexander, che si voltarono a guardarla con un’espressione
mesta.
La fanciulla quasi sobbalzò: era stata
talmente presa dai suoi pensieri bui, che la sua mente aveva relegato
in un
angolino la presenza dei due uomini e poi se n’era
dimenticata. Il fatto di
trovarsi faccia a faccia con loro quasi la infastidì,
così Lidia abbassò lo
sguardo a terra. Sono rimasti qui fuori
per tutto questo tempo? Si interrogò, con una
punta di sospetto. Cosa stavano facendo?
«Stai andando da qualche
parte?» le
chiese a sua volta Alexander, soffermandosi per qualche istante sul suo
volto e
sui suoi occhi ancora arrossati dalle lacrime versate.
Lidia esitò, ma poi incontrò
lo
sguardo dell’uomo, cercando di non curarsi del fatto che, in
quel modo, gli
sarebbe stato evidente quanto lei avesse pianto. «Vado a
cercare mio marito»
annunciò, mettendosi istintivamente un po’ sulla
difensiva. Immediatamente,
Alexander scosse il capo. «Non credo proprio. Togliti pure
dalla testa di
girovagare per il villaggio da sola.»
Lidia fu sul punto di ribattere che
non ci sarebbe stato alcun bisogno di girovagare,
dal momento che, per ritrovare suo marito, le sarebbe bastato recarsi
alla casa
del suocero, quando la sua mente le fece notare un particolare scomodo:
lei non
aveva la minima idea di dove fossero andati Ulf e Unna.
Non
ha detto che sarebbe andato a casa di Gefrid, realizzò, mentre il suo stomaco
tornava a contrarsi sgradevolmente. E non
ha nemmeno detto che sarebbero andati a casa di Unna…
la fanciulla comprese
che, se davvero Ulf voleva allontanarsi da lei, era assai probabile che
si
fosse diretto in un luogo di cui lei non era a conoscenza e che non
aveva modo
di trovare.
Ma
forse Gefrid o Hermann potrebbero aiutarmi? Si chiese. Nel momento stesso in cui
la formulava, però, quell’ipotesi le sembrava
decisamente poco plausibile.
La ventata di tiepido entusiasmo che
l’aveva
sostenuta fino a quel momento si esaurì e la ragazza si rese
conto di essere
giunta a un punto morto. Certo, avrebbe comunque potuto fare un
tentativo co nil
suocero, oppure avrebbe potuto fare un giro perlustrativo per il
villaggio –
anche a costo di mettere a repentaglio la propria sicurezza –
però… in quel
momento, il volto di Alexander si contrasse in una smorfia di dolore e
l’uomo
fece come il gesto di piegarsi verso Tito, quasi fosse alla ricerca di
un
sostegno.
«Ma tu sei ferito!»
esclamò
scioccamente Lidia, ricordandosi solo in quel momento che, prima di
venire
disarmata, Unna era riuscita a colpire Alexander. Lui le rivolse un
sorriso
tirato che di allegro aveva ben poco. «Eh,
già…»
Sentendosi decisamente in colpa per
aver lasciato che un uomo sanguinante restasse per diverse decine di
minuti in
piedi, in strada, Lidia gli si avvicinò preoccupata. Tito la
guardò come se
intendesse dire qualcosa, ma lei fece del proprio meglio per ignorarlo.
«Posso…
posso fare qualcosa per te?» chiese, incerta. Non aveva modo
di giudicare
quanto fosse profonda la ferita, ma, dal modo in cui continuava a
sanguinare,
era sicura che si trattasse di qualcosa ben al di là delle
sue capacità
mediche.
Alexander scosse il capo. «No,
ma… devo
andare a farmi ricucire. Non smette di sanguinare» disse,
fissandosi la spalla
con aria preoccupata.
Lidia annuì solerte, alzando
istintivamente le mani e frenandosi solo un istante prima di toccare
con la
punta delle dita la stoffa intrisa di sangue. «Ma
certo!» concordò. «Dove… da
chi andrai, per farti curare?» Improvvisamente, la ragazza si
rese conto di
quanto poco conoscesse la realtà del villaggio in cui si era
trasferita ormai
da mesi. Era mai possibile che non sapesse a chi si rivolgesse la gente
del
posto, quando aveva bisogno di cure mediche? Meno
male che non mi è mai capitato di stare male seriamente!
Alexander strinse i denti,
apparentemente per
contrastare una fitta di dolore particolarmente acuto.
«C’è un guaritore, poco
al di fuori delle porte del villaggio. Mi ha già…
trattato una volta, in passato, ed
è particolarmente abile con ago
e filo.»
«Va bene»
intervenne Tito, avvicinandosi all’uomo dai
capelli rossi. «Ti ci accompagno.»
Di nuovo, Alexander scosse il
capo con decisione. «No.
Vado da solo: tu e Lidia restate qui e non vi muovete fino a che non
mando
qualcuno a recuperarvi. È chiaro?» Il giovane
romano annuì, ma Lidia incrociò
le braccia contrariata. «Io però devo ritrovare
mio marito» insistette. «Non
posso permettere che se ne vada via così.»
«Ti chiedo solo di
aspettare un’oretta, forse anche
meno» replicò Alexander, altrettanto determinato.
«A questo punto, un’ora in
più o un’ora in meno non farà alcuna
differenza, non credi?»
Questo
lo dici
tu, pensò
la ragazza, scontrosa. In realtà, in quella circostanza
un’ora persa poteva fare
una differenza enorme, visto che avrebbe potuto permettere a Ulf di
allontanarsi ulteriormente. Non
può
costringermi a rimanere qui in attesa che arrivi chissà
chi… Una volta che
Alexander se ne fosse andato per la propria strada, lei avrebbe potuto
fare
altrettanto e mettersi sulle tracce del marito. Tito
non può certo legarmi a una sedia per impedirmi di uscire di
casa…
Subito, però,
realizzò che nemmeno lei avrebbe potuto
impedire al ragazzo di seguirla. Ed
è
ovvio che, la prossima volta che incontrerò Ulf,
dovrò essere da sola.
Sospirando sconfitta, la
fanciulla rivolse un cenno
del capo ad Alexander. «E va bene» concesse,
piegando le labbra in una smorfia.
«Però cerca di fare in fretta: se lascio passare
troppo tempo, rischio di non
riuscire più a rintracciare Ulf e Unna.»
«Farò il
prima possibile» la rassicurò lui.
***
Malgrado le parole di Alexander,
due ore erano passate
senza che nessuno si presentasse alla sua porta. Il suo stomaco
l’avvertiva
discretamente che l’ora del pranzo era giunta ormai da tempo,
ma Lidia se ne
stava rannicchiata nella sua camera, senza alcuna intenzione di cedere
ai morsi
della fame.
Per trovare qualcosa da mettere
sotto ai denti,
infatti, avrebbe dovuto scendere al piano inferiore – e fare
ciò avrebbe
significato incontrare Tito. Da quando Alexander li aveva lasciati
soli,
andando in cerca di qualcuno che potesse ricucire la sua ferita, la
fanciulla
aveva deliberatamente ignorato la presenza del giovane romano.
Sarà
anche un
atteggiamento infantile, ma adesso sento proprio di non avere la forza
di
parlare con lui e di fare ragionamenti… complicati.
Quando si era vista costretta
all’attesa e aveva
dovuto momentaneamente accantonare i suoi piani di andare alla ricerca
di Ulf, Lidia
aveva sentito lo sconforto montare nuovamente e, per qualche istante,
le
lacrime le avevano ancora appannato gli occhi. Accorgendosi del suo
turbamento,
Tito aveva tentato di avvicinarla – se per confortarla o per
scusarsi, la
ragazza non l’avrebbe saputo dire – ma Lidia
l’aveva bloccato con un cenno
deciso della mano e poi era battuta in ritirata verso il piano
superiore, dove
il ragazzo non aveva fortunatamente avuto il coraggio di seguirla.
Se
lui non
fosse mai arrivato in Germanica, tutto questo non sarebbe mai successo, si ripeteva, premendo il
viso contro il cuscino. In quel frangente, il fatto che fosse stata lei a far sì che il ragazzo
arrivasse a
Erding le pareva di poco conto: avrebbe potuto scrivergli chiedendogli
di
rinunciare al suo piano, ma che certezza aveva che Tito
l’avrebbe ascoltata?
Se
solo non
avesse la testa così dura! Pensò la fanciulla,
serrando le mani in un pugno, frustrata.
Se avesse lasciato parlare Karl, se
avesse ascoltato Alexander…
Confusamente, avvertiva che Tito
si era in un certo
senso trovato in balia degli eventi. Era piuttosto improbabile che il
ragazzo
avesse veramente saputo che cosa aspettarsi, quando era partito da Roma
carico
di determinazione e belle speranze, ma Lidia trovava sempre
più difficile
giustificare le sue azioni.
O
forse sto
solo cercando un capro espiatorio che mi permetta di non sentirmi del
tutto
responsabile per quello che è successo…
Mentre era immersa in quelle
riflessioni, qualcuno
bussò alla porta della camera, facendola sobbalzare.
«Sì?» chiese, sollevando
appena la testa dal cuscino.
«Sono io…
posso entrare?»
Nell’udire la voce di
Tito, la giovane si mise a
sedere. Che sia finalmente arrivata la
persona mandata da Alexander?
«Sì, vieni
pure» replicò, rassettandosi la gonna e il
corpetto. Quando il giovane romano aprì la porta, Lidia vide
che sul suo volto
c’era un’espressione tirata, quasi preoccupata.
«Che succede?» chiese,
aggrottando la fronte.
«C’è
una cosa che vorrei farti vedere» rispose lui, un
po’ titubante.
Abbassando lo sguardo sulle sue
mani, Lidia vide che
Tito stava stringendo la tavoletta scura che aveva visto per la prima
volta
nella capanna di Alexander. Quando quella emise un bip
acuto, subito seguito da altri suoni simili, la fanciulla
guardò il ragazzo, interrogativa.
«Io non ho fatto
niente» replicò quello, stringendosi
nelle spalle. «Ha iniziato a suonare per conto suo, un paio
di minuti fa.»
Perfetto, pensò Lidia, alzando
gli
occhi al cielo. E adesso cosa accidenti
sta succedendo?
***
Il
ritardo è
colpa del ponte 25 aprile – 1 maggio passato a Napoli
(città bellissima, tra
parentesi) e di una settimana infernale in ufficio (ho lavorato dalle 8
di
mattina alle 8 di sera).
E
niente, tra
settimane per un capitolo che non è nemmeno il massimo
dell’allegria. Spero di
riuscire ad aggiornare più rapidamente, al prossimo giro!