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Autore: Yoshiko    10/05/2018    6 recensioni
È trascorso molto tempo dal viaggio dei ragazzi a Kyoto. Era autunno, la città li aveva accolti nella sua splendida cornice di aceri rossi, promettendo un soggiorno piacevole tra visite ai giardini e ai templi, colloqui per nuovi ingaggi e prove per uno spot televisivo. La spensieratezza di quei giorni si era infranta di colpo e gli strascichi di quei tragici avvenimenti continuano tuttora a segnare le loro vite.
Holly e Patty sono a Barcellona, Benji ad Amburgo, Mark è atterrato in Italia inaspettatamente accompagnato, e il resto del gruppo si trova in Giappone finché un’amichevole contro l’Italia di Salvatore Gentile e Dario Belli li riunisce tutti, ancora una volta.
Rain è il sequel di Leaves che a sua volta è il continuo di Snow. Per capire la storia e seguirne l’andamento è consigliabile avere un po’ di pazienza e cominciare dall’inizio, anche per la presenza di personaggi out of character, già presentati nelle precedenti fanfiction.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Kojiro Hyuga/Mark, Salvatore Gentile, Yoshiko Fujisawa/Jenny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Time'
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Quattordicesimo capitolo



Julian si era svegliato senza motivo e non riusciva a riprendere sonno. Nel silenzio della camera udiva il ronzio di una tv accesa nella stanza accanto e a tratti le voci attutite di Paul Diamond e Johnny Mason. Philip era immerso nel sonno sul letto accanto, sprofondato tra le coperte. Julian percepiva il suo respiro regolare con un certo nervosismo misto a invidia. Il compagno aveva deciso di dormire una notte filata proprio quando lui non riusciva a farlo, così non poteva neppure essergli di compagnia. Evidentemente la stanchezza che Philip si portava dietro dal giorno prima, mescolata allo stress di ciò che gli passava per la testa, era stata in grado di vincere le sue preoccupazioni e concedergli una notte di sano riposo.
Julian invece era molto preoccupato e da quando si era svegliato un pensiero gli ronzava fisso nella testa. Amy e Benji si parlavano di nuovo. Di punto in bianco lei aveva ripreso a rivolgersi e a scherzare con il portiere. Per dirla tutta, a preoccuparlo non era il fatto che Amy avesse smesso di avercela con Benji, quanto piuttosto il non essersi accorto di quando ciò fosse accaduto. Il riavvicinamento gli era sfuggito, non lo aveva notato, eppure doveva esserci stato. La curiosità lo divorava. Chi aveva rotto il ghiaccio? Price? Amy stessa? Come, quando e perché?
Philip si volse e Julian lo chiamò piano, sperando che si svegliasse. Lui non rispose, lasciandolo con l’amaro in bocca. Ma se anche Philip fosse stato sveglio, non avrebbe mai avuto il coraggio di dirgli quali pensieri lo angustiavano. Come poteva confidargli che Amy e Benji che si parlavano fosse un problema se si vergognava ad ammetterlo lui per primo? E poi a Philip dei suoi problemi non sarebbe fregato niente. Avrebbe sprecato solo tempo e fiato, facendo oltretutto una figura di merda nel dare voce alle sue paranoie.
Si tirò su seduto e prese il cellulare che giaceva acceso sul comodino. Era collegato al wi-fi dell’hotel e sul display l’icona delle email era corredata dal numero quarantotto. Quarantotto messaggi in poche ore, aveva controllato la casella di posta prima di andare a dormire. Non c’era da stupirsi in fondo che la sua chat fosse in piena attività. In Italia era notte ma in Giappone era già mattina. Avrebbe potuto leggere i messaggi per passare il tempo e attendere che il sonno tornasse. Di sicuro sarebbero stati più gratificanti delle occhiate che Benji lanciava ad Amy e viceversa. Senza la fidanzata nei paraggi a disapprovare profondamente ogni tipo di interesse che palesava per le sue fan, avrebbe potuto dilungarsi a rispondere come e per tutto il tempo che desiderava. La luce azzurrina dello schermo acceso illuminava le pareti della camera, le ombre della tenda e degli arredi si stagliavano scure contro i muri color crema. Philip continuava a dormire tranquillo e dalla stanza accanto non proveniva più alcun rumore. Diamond e Mason dovevano aver deciso finalmente di andare a dormire. Julian spense il cellulare, lo posò sul comodino e si mise in piedi. Erano quasi le tre.
Amy si destò di soprassalto con il fragore di un tuono nelle orecchie. I nervi tesi, i sensi all’erta, chiuse gli occhi e infilò la testa sotto il cuscino, rigida nel letto, sotto le coperte, in attesa che il temporale si scatenasse in strada. Trattenne il fiato finché riuscì a farlo, poi riprese a respirare. Non udì nulla, nessun fragore si propagò all’esterno. Allora tese le orecchie e udì solo silenzio, nessuna pioggia a picchiettare contro le finestre, né lo scrosciare dell’acqua lungo la strada. Un colpo leggero alla porta la fece sussultare. Scattò seduta sul letto, accantonò il cuscino da una parte e attese. Qualcosa tornò a colpire il pannello. A piedi nudi attraversò la stanza, raggiunse il piccolo disimpegno dell’ingresso, appoggiò l’orecchio e rimase ad ascoltare. Dopo qualche istante il rumore si ripeté.
-Chi è?- domandò piano.
-Amy apri.- sussurrò la voce di Julian.
Lei fece scattare la maniglia e socchiuse la porta. In pigiama, il ragazzo si guardava intorno preoccupato.
-Che ci fai in piedi?-
-Non riesco a prendere sonno, fammi entrare.-
Lei glielo impedì.
-È tardi.-
-Lo so, ma voglio dormire con te.-
Amy scosse la testa decisa. Dopo ciò che era successo qualche giorno prima, non glielo avrebbe più permesso.
-Dai, lasciami passare.- la supplicò quasi.
-Assolutamente no! Non voglio che ci becchino di nuovo, non voglio diventare lo zimbello della nazionale!-
-Amy, anche se mi beccano nel corridoio finisco nei guai.-
-Nella mia stanza è peggio.- s’intestardì lei.
-Amy, sento freddo.-
-Anche io. Ragione in più per tornarcene a letto. Ciascuno nel proprio.- fece per chiudere la porta ma lui ficcò un piede e la bloccò.
-Stai uscendo o stai entrando?-
Una terza voce li fece sobbalzare. Evelyn avanzava silenziosa e assonnata nel corridoio. La moquette color vinaccia aveva attutito il rumore dei suoi passi e nessuno dei due l’aveva sentita arrivare. Il suo sguardo era spento e stanco, gli occhi arrossati e la coda allentata. Ciuffi di capelli sfuggiti all’elastico le incorniciavano il volto. Teneva il portatile con una mano, appoggiato contro l’anca. La luce blu dello stand-by lampeggiava a intermittenza.
-Sta andando via.-
-Ma…- tentò di protestare Julian.
-Ci vediamo domani.- Amy si sforzò di sorridergli anche se la sua insistenza l’aveva snervata. Con un gesto brusco gli richiuse la porta in faccia.
-Nottataccia, eh?- Evelyn lo osservò tornare mogio mogio verso la propria camera.
Julian sparì dentro, tutte le intenzioni di leggere e rispondere ai messaggi delle sue fan dal primo all’ultimo. Alla faccia della fidanzata e della sua stupida testardaggine.
Evelyn aspettò che sparisse, poi bussò piano alla porta di Amy. Lei comparve sulla soglia, inviperita.
-Julian! Ti ho detto che…- si bloccò -Eve? Che vuoi?-
-Ospitalità. Posso dormire da te?- riuscì a sgusciare dentro -Ho lasciato a Holly la card della mia stanza. Pensavo di restare a lavorare tutta la notte e invece adesso muoio di sonno. Ho bisogno di riposare un po’.-
Amy tornò verso il letto sospirando.
-Fai come se fossi da te.- s’infilò sotto le coperte, anche se ormai il sonno le era passato.
Evelyn fece una tappa in bagno, poi la raggiunse sbadigliando e si lasciò cadere esausta sul materasso.
-Hai finito di scrivere le domande per l’intervista di Gentile?-
-No.- biascicò asciugandosi lacrime di stanchezza che le rigavano le guance -Non riesco a concentrarmi. Quando mi metto a riflettere su ciò che vorrei chiedergli mi fisso su di lui e mi si svuota la mente.-
-Stai dicendo sul serio?-
Lei annuì, allungò una mano e afferrò il portatile.
-Guarda, mi sono fatta una fotogallery coi fiocchi. Pensavo mi ispirasse, invece mi ha bloccata.-
Amy occhieggiò curiosa. Le immagini di Gentile scorrevano sullo schermo: in camicia bianca aperta con gli addominali scolpiti sopra i jeans sbottonati, aggrappato ad una sbarra sopra la testa, i bicipiti gonfi sotto una maglietta nera, ma anche sulle dune selvagge di una spiaggia a torso nudo, abbronzato, i capelli biondi spettinati dal vento.
-È un calciatore o un fotomodello?-
Evelyn sospirò estasiata.
-Può permettersi di fare entrambi. Ti pare?-
-Sì ma adesso basta. Spegni quell’aggeggio, voglio dormire.-
L’altra annuì, posò il portatile sul comodino e sprofondò tra le coperte.
Quando riaprì gli occhi le sembrò di averli chiusi per una manciata di minuti. Invece fuori era così giorno che i raggi del sole filtravano già decisamente luminosi attraverso le tende. Al contrario di lei Amy era ben desta e impiegò pochissimo a prepararsi. Evelyn le ciondolò dietro lisciando alla meglio i vestiti spiegazzati che indossava dalla sera prima, anche se sentiva di aver bisogno di una doccia che la svegliasse e la ripulisse da capo a piedi. Per recuperare il sonno perduto avrebbe potuto schiacciare un pisolino dopo pranzo. Fortuna che Bob, il nuovo fotografo, era un tipo simpatico e gradevole, se non altro non aveva passato metà della notte sveglia inutilmente.
-Dov’è che stiamo andando?- domandò seguendo svogliatamente l’amica fuori dalla camera e lungo il corridoio.
-Io a chiamare Julian. Tu non lo so.-
-Non è troppo presto? Forse sta ancora dormendo.-
-Di solito a quest’ora è sveglio da un pezzo.- e che non fosse passato a chiamarla per scendere insieme a far colazione era inquietante. Forse ce l’aveva con lei perché la sera prima l’aveva mandato via. Le dispiaceva che se la fosse presa, ma non era pentita neppure un po’. Se Julian fosse rimasto da lei, Evelyn li avrebbe beccati insieme e sarebbe stata capace di ottenere da Julian la card della sua camera e prendere il suo posto nel suo letto, passando l’intera notte a dormire fianco a fianco con Philip. Per carità! Non che non si fidasse di Evelyn… Anzi, a pensarci bene di Evelyn non si fidava per niente. Se poi c’era di mezzo Philip, si fidava ancor meno. Aveva notato perfettamente che da quando erano arrivati, l’amica lo braccava stretto con un’insistenza che non poteva essere legata soltanto all’intervista che diceva da giorni di dovergli fare e di cui ancora non si vedeva neppure l’ombra. Philip, da parte sua, cercava di evitarla il più possibile. Cosa nascondevano?
Bussò alla stanza di Julian e la porta si aprì immediatamente, come se lui fosse stato proprio lì dietro ad aspettarla. Lo salutò con un sorriso particolarmente smagliante, tante volte se la fosse davvero presa. Lui rispose distratto, gli occhi che non la guardavano neppure, fissi com’erano su qualcosa all’interno della camera che aveva catalizzato tutto il suo interesse. Anzi, non soltanto il suo. Evelyn drizzò le antenne e sgattaiolò dentro.
-Che state facendo?-
Philip era seduto su una delle due poltroncine del tavolino. La voce di Evelyn lo fece voltare e accolse entrambe con un’espressione inequivocabilmente irritata. Indossava una maglietta bianca sui pantaloni del pigiama. Una delle maniche era tirata sopra la spalla per lasciare scoperto il braccio, cinto da un laccio emostatico. Il dottor Hills sedeva davanti a lui e stava strappando l’involucro di una siringa sterile. In piedi, accanto alla finestra, Gamo completava il quadro.
Evelyn si tese, i suoi occhi volarono irrequieti dall’uno all’altro. Quando parlò, la sua voce trasudò preoccupazione.
-Che sta succedendo qui?-
-Un normalissimo controllo di routine.- spiegò Gamo un secondo prima di fulminare Julian con un’occhiata di fuoco. Perché le aveva fatte entrare?
Il medico distese il braccio di Philip sul ripiano del tavolo e infilò l’ago nell’incavo del gomito. Evelyn distolse gli occhi rabbrividendo e tornò a posarli su Gamo.
-Se è un controllo di routine, vuol dire che lo farà a tutti?-
-No.-
-E perché solo a lui?-
-Evelyn, per favore…- si spazientì Philip. Sapeva che Evelyn sapeva il perché, quindi per quale motivo li assillava? Durante gli allenamenti era crollato e Gamo aveva chiesto al medico un controllo. Punto. La fissò così a lungo e così intensamente che alla fine fu lei a distogliere lo sguardo e a spostare il peso da una gamba all’altra dissimulando l’imbarazzo. Ad Amy quello scambio di occhiate non piacque per niente. Era sempre più convinta che sotto ci fosse qualcosa.
Mettere a tacere l’amica servì a distrarlo, a distogliere l’attenzione dal liquido scuro che fluiva nel piccolo tubo di plastica. Aveva paura che il suo sangue lo tradisse. La sua vita negli ultimi tempi non era stata irreprensibile come avrebbe dovuto. Tentò di discolparsi, dicendosi che sarebbe stato molto più facile comportarsi bene se gli ultimi mesi fossero stati meno stressanti, ma l’inquietudine restò e non riuscì a scacciarla completamente.
Peter Shake trovò la porta accostata, la spinse ed entrò silenziosissimo. I suoi occhi apprensivi misero a fuoco la scena e corsero di qua e di là terrorizzati. Era la fine! Era la fine della speranza di avere un nuovo capitano nel Sapporo, era la fine della carriera di Philip, dell’illusione sua e di Grace che riuscisse a riprendersi Jenny! Forse addirittura la fine della loro amicizia. Se Philip nei giorni precedenti aveva di nuovo fatto uso di quella roba, l’avrebbero buttato fuori dalla nazionale a calci.
Julian era rimasto indietro e fu l’unico a vederlo entrare. Gli si accostò indagatore e poiché Evelyn aveva ripreso a blaterare, riuscì a rivolgersi a lui senza farsi udire da nessun altro, neanche da Amy.
-Stai nascondendo qualcosa, Peter. Qualcosa di importante che riguarda Philip. Che cosa?-
Shake scosse la testa, gli occhi bloccati sull’ago conficcato nel braccio del compagno.  
-Cos’ha Philip? Sta male?-
Peter spostò lo sguardo dal braccio al viso dell’amico. La sua espressione era imperscrutabile. Come poteva restare così calmo? Non si rendeva conto del rischio che stava correndo?
D’un tratto Philip sollevò lo sguardo e si accorse di lui.
-Chiudi quella maledetta porta, Julian! Siamo diventati troppi, non lo vedi?-
-Non ti scaldare, Callaghan. Ho finito.- Hills tamponò con un batuffolo d’ovatta intriso d’alcool la goccia scarlatta comparsa sulla pelle dopo aver sfilato l’ago -Tieni qui.- disse piazzandogli due dita sul cotone e togliendo il laccio.
-Bene, perfetto.- Gamo sembrò soddisfatto, nonostante gli intrusi e le domande di Evelyn -Adesso puoi andare a fare colazione, Philip.-
Il dottor Hills incollò un cerotto sulla minuscola ferita sanguinante, ripose nella borsa gli strumenti, compresa la siringa utilizzata, e insieme al mister lasciò la stanza.
-Lo spettacolo è finito.- Philip si alzò e afferrò la felpa che giaceva abbandonata sul letto, scacciando il giramento di testa che lo assalì. Hills gli aveva tolto troppo sangue, era bianco come un cencio e Amy fu l’unica a notarlo.
-Vuoi che ti porti la colazione in camera?-
-Certo che no! Non sono mica malato!- gesticolò nervoso -Perché invece non cominciate a scendere così vi togliete dai piedi e posso finire di vestirmi?-
Rimase soltanto Peter, dritto come un palo a due passi dalla porta a stringersi nervosamente le mani una nell’altra, intrecciando le dita con forza, incapace di nascondere la propria agitazione.
-E ora?-
-Ora cosa?-
-Ti hanno fatto le analisi del sangue!-
Philip si infilò i pantaloni della tuta sportiva e lo fissò beffardo.
-E allora? Non hai detto giusto ieri che non mi vuoi come capitano?-
Il ragazzo divenne pallidissimo. L’eventualità che rimandassero Philip in Giappone era più di quanto avrebbe potuto sopportare. Esitò.
-Se non hai niente da dirmi, perché non te ne vai?-
Peter trasalì, gli voltò le spalle e sbatté la porta con violenza.

Il contatto di un bacio sulla spalla svegliò Jenny. Salvatore la teneva tra le braccia, il volto sprofondato tra i suoi capelli lunghi sparpagliati sul cuscino. Sentiva il suo alito caldo accarezzarle la pelle, il suo respiro nelle orecchie. All’inizio non lo aveva riconosciuto e si era spaventata. Poi, gradualmente, il suo cuore aveva smesso di battere all’impazzata. Sperò che Salvatore non si fosse accorto della sua irrazionale e inconscia reazione ai suoi baci.
Mosse le gambe e toccò con la mano la sua pelle nuda e calda e, sotto le dita, i suoi muscoli in tensione. Lasciò che le slacciasse il reggiseno, ricordando che la sera prima, mentre si sforzava di prendere sonno tra le sue braccia, si era imposta di non tirarsi più indietro. Far sesso con Salvatore sarebbe stato fondamentale per dimostrare a se stessa una volta per tutte di aver superato il trauma di Kyoto. Non poteva seguitare a sottrarsi a questa prova. Se avesse continuato a farlo, con il passare del tempo sarebbe stato sempre più difficile trovare il coraggio di lasciarsi andare. Salvatore senza saperlo le stava offrendo quello che secondo lei era il solo modo per ritrovare la normalità di un tempo. Doveva assolutamente approfittarne.
L’impazienza di Salvatore la rese nuda in un istante. Rise mentre le baciava l’ombelico e si sollevò per aiutarlo quando lo sentì sfilarle le mutandine. Nella fioca luce del mattino il ragazzo, memore della volta precedente, si prese il tempo di guardarla come per chiederle il permesso, la conferma di poter andare avanti. Lo sguardo incoraggiante di Jenny per lui fu sufficiente e, un secondo prima di chinarsi a baciarla, solo per un attimo, un istante fugace, i suoi occhi sfiorarono la sveglia. Tanto bastò. Quei tre numeri illuminati di verde gli raggiunsero il cervello con un secondo di ritardo, ma accompagnati da una consapevolezza tale che tutto il suo corpo si tese e si irrigidì.
-Cazzoètardissimo!-
Il momento magico che Salvatore aspettava da mesi svanì in un istante. Il ragazzo non poté raccogliere nulla di tutto ciò che aveva seminato in quel lungo corteggiamento. Era veramente troppo tardi.
Jenny si volse a guardare l’orologio. Erano le nove e mezza e Salvatore si era già tirato su, emergendo nudo dalle coperte.
-Porca puttana non è possibile! Proprio oggi! Proprio adesso! Ma che cazzo!-
Osservandolo Jenny non riuscì a fare a meno di pensare divertita che Evelyn avrebbe dato chissà cosa per vederlo così, mentre radunava i suoi vestiti sparsi qua e là, il corpo perfettamente scolpito di una statua greca. Prese il cellulare per controllare i messaggi e poi, spinta da un impulso irrazionale, aprì la fotocamera. Salvatore evidentemente si sentì i suoi occhi addosso perché si volse con un’espressione metà di scuse, metà adirata.
-Alle dieci c’è la conferenza stampa di questa maledetta partita!- sparì in bagno, poi si riaffacciò per finire di parlarle -Non posso mancare, non posso assolutamente! Mio padre…- gli sfuggì una smorfia di fastidio -Mi ha minacciato. Se sgarro stavolta mi lascia in panchina!- tornò dentro e Jenny udì solo la sua voce -Lo farà, maledetto lui! Stavolta ci riuscirà!- tutto il resto venne nascosto dallo scrosciare dell’acqua della doccia.
Jenny si tirò su frastornata. Recuperò i vestiti e li indossò al volo, chiedendosi se l’interruzione fosse stata un bene o un male. Infilò il cellulare nella borsa e si volse a guardarlo quando lui la raggiunse, i capelli grondanti e un asciugamano con cui si tamponava frenetico l’acqua che ancora gli scorreva addosso.
-Vieni con me?-
-Dov’è la conferenza stampa?-
-All’hotel dei giapponesi a due passi dal centro sportivo così, appena finito, possiamo dedicarci agli allenamenti. Splendido, no?-
Philip li vide subito quando arrivarono perché era seduto sui divanetti della hall, rivolto proprio verso le vetrate che davano sul parcheggio. Il fatto che Jenny indossasse gli stessi vestiti con cui la sera prima era fuggita dall’hotel la diceva lunga su dove avesse trascorso la notte. E se anche avesse indossato vestiti diversi, i dubbi che avrebbe avuto sarebbero stati decisamente scarsi. Jenny richiuse lo sportello della Giulietta. Gentile, in piedi dall’altro lato in giacca e cravatta, fece il giro della macchina e la raggiunse. La prese tra le braccia e le disse qualcosa. Jenny annuì ridendo e gli passò una mano tra i capelli. La gelosia di Philip divenne insopportabile e fu costretto ad abbassare gli occhi perché vederli insieme gli faceva ogni giorno più male. Anche se si erano lasciati, erano stati insieme talmente a lungo che Jenny era senza dubbio più sua che di Gentile.
Dopo un tempo che gli sembrò interminabile, l’italiano si staccò da lei e raggiunse l’ingresso dell’hotel. Philip sapeva perché era lì. Salvatore era stato l’ultimo ad arrivare. I suoi compagni erano già tutti nella sala conferenze in balia dei giornalisti, in attesa che iniziasse la conferenza stampa. Gentile salutò Benji e Mark ma Philip non lo degnò neppure di uno sguardo quando gli passò accanto, preferendo di gran lunga restare ad osservare Jenny che percorreva su e giù il parcheggio parlando al cellulare.
Philip si sforzò di scacciare l’irritazione. Lo attendeva un’altra estenuante giornata di allenamenti, durante la quale avrebbe dovuto sforzarsi di pensare più alla squadra che a se stesso, più ai compagni che a Jenny. Si frugò nelle tasche, tirò fuori il cellulare e finse di controllare i messaggi per evitare di prendere parte alle chiacchiere degli amici che gli sedevano intorno.
Quando Jenny entrò, Evelyn la raggiunse eccitatissima.
-In giacca e cravatta non si può guardare! È davvero bellissimo, la natura ci si è messa d’impegno, con lui!-
-Eve, per favore.-
-E non ti innervosire, che avrò mai detto? Piuttosto, com’è andata? Una favola di sicuro…- le strizzò un occhio, complice.
-Sì, una favola.- l’accontentò.
-Non immagini quanto ti invidi, tenere un fusto così tra le braccia… sentirsi quella bocca addosso, quelle mani sul corpo… e il resto…-
Lei annuì.
-Ti ho portato un regalo.- ripescò il cellulare dalla borsa e aprì la galleria delle immagini. Ne selezionò una e la mise sotto gli occhi di Evelyn.
A lei per poco non venne un infarto.
-Ommioddiooooo! Non ci posso credere!- cercò di toglierle il telefonino dalle mani ma l’amica se lo aspettava e fu più rapida. Spense lo schermo e lo rinfilò nella borsetta.
-No, ti prego!- piagnucolò lei -Fammela vedere meglio!-
-Quello che hai visto è sufficiente.-
-Diavolo, Jenny! Non puoi farmi balenare davanti agli occhi la foto di Gentile come mamma l’ha fatto e poi non darmi modo di analizzarne i dettagli.-
Jenny s’irrigidì e si lanciò un’occhiata intorno.
-Abbassa la voce, Eve. Ci stanno guardando tutti!-
-Cosa te ne importa?-
-Mi importa. Sono cose private.-
-E allora che me l’hai mostrata a fare?-
Jenny rifletté.
-A pensarci bene avrei fatto meglio a tenerla per me!-
Evelyn ritrattò.
-Ma no, ti assicuro! Hai fatto benissimo. L’ho detto per dire. Soltanto… fammici dare solo un’altra occhiatina. Per favore!- sbatté le ciglia supplichevole.
-Non lo so, forse più tardi. Adesso vado a casa a cambiarmi. Ci vediamo dopo.-
-Sì, dopo ci vediamo senz’altro e non solo per analizzare meglio la foto del tuo boy. Ho preparato le domande, ma vista la mia difficoltà con l’inglese, forse a qualcuna puoi rispondere tu, evitandomi cinque minuti di brutte figure.-
-Domande per cosa?-
-Per l’intervista al dio della bellezza.-
Jenny non fu sicura di aver capito.
-Vuoi intervistare Salvatore?-
-Non cadermi dalle nuvole, Jenny. Te lo sto dicendo da un pezzo!-
-Pensavo avessi rinunciato.-
-Perché mai? Ti assicuro che gliela farei anche se non la pubblicassero.-
-E cosa vorresti chiedergli? Niente su di me, spero!-
-Tranquilla, le domande su di te sono di riserva.-
-Hai preparato delle domande su di me? Evelyn!-
-Più che su di te, sui suoi gusti particolari in fatto di sesso…-
-Gusti particolari?- Jenny non capì se la stesse prendendo in giro o dicesse sul serio.
-Sì, me ne ha parlato Benji. Mi ha detto certe cose!-
-Certe cose di che genere?- scoppiò a ridere -Tipo che non indosso le mutandine? Se ti interessa saperlo le ho anche oggi!-
-Jenny?-
Si volsero, Patty e Amy le avevano raggiunte.
-Benji spara un sacco di fandonie, Evelyn! Dovresti conoscerlo ormai. Non dargli ascolto!- lo cercò e lo vide alzarsi dalla poltroncina per seguire i compagni che uscivano diretti al campo.
Il portiere si calcò il cappellino sulla testa e poi, forse sentendosi osservato, si volse. Jenny gli sorrise e lui ricambiò, sollevando una mano in un cenno di saluto.

*

Clarissa era nervosa perché non riusciva a capire se Salvatore si era accorto di lei e la stava ignorando alla grande, oppure non l’aveva ancora notata. Smise di torcersi una mano nell’altra e decise di accendersi una sigaretta. Avrebbe voluto smettere di fumare ma la sua volontà, da quando Salvatore l’aveva lasciata, si era ridotta in briciole. E poi, quando era così in ansia solo il fumo aveva il potere di calmarla. Salvatore non avrebbe approvato. Scosse la testa. A Salvatore non sarebbe importato, non stavano più insieme. Fece scattare l’accendino e già alla prima boccata la nicotina le rilassò i nervi. Una folata di vento disperse il fumo e le gettò una ciocca di capelli ramati sul viso. Lei la scostò dagli occhi e la passò dietro un orecchio. Il suo ex ragazzo continuava a giocare ignorandola, ma Dario l’aveva vista e l’aveva salutata. Salvatore non aveva mai guardato dalla sua parte e Clarissa sapeva con certezza che Dario non lo avrebbe avvertito della sua presenza. Avevano già litigato una volta e molto, a causa sua. Belli non era così stupido da commettere di nuovo l’errore di impicciarsi nei loro problemi e rischiare di rovinare il suo rapporto di amicizia con il giocatore della Juventus. Lei lo sapeva e sapeva anche che non poteva più contare su Dario per avvicinare Salvatore.
Jenny la trovò in piedi, un po’ discosta, tra la recinzione dei due campi, quello degli italiani e quello dei giapponesi, ferma proprio lungo il suo percorso. Le dava le spalle ma la riconobbe immediatamente dalla cascata di capelli ramati che le scendeva sulla schiena. Indossava un piumino leggero color crema e dei jeans blu che le aderivano come guanti alle natiche rotonde. Ai piedi calzava un paio di stivali scamosciati con il tacco. Nel suo abbigliamento casual era ancor più provocante che fasciata dall’elegante vestito della serata di beneficenza.
Per raggiungere le amiche fu costretta a passarle accanto. Lei le sorrise e le tese una mano, in un gesto che la colse del tutto impreparata. Dopo un attimo di esitazione in cui si guardarono negli occhi e si valutarono, Jenny gliela strinse.
-Mi chiamo Clarissa.-
Lei rispose in inglese e la giovane rossa proseguì in quella lingua.
-Passavo di qui e mi sono fermata per dare un’occhiata.- disse quasi a giustificare la propria presenza. Poi, incapace di frenare il nervosismo, abbassò gli occhi e frugò nella borsetta, tirandone fuori, per la seconda volta, il pacchetto di sigarette -Fumi?-
-No.-
-Fai bene. Quando ero con Gentile avevo smesso. Ho ricominciato dopo. Adesso sto cercando di smettere di nuovo…- fece una risatina imbarazzata -Ma è difficile.-
Non seppe perché si lasciò andare a quella confidenza. Era sicura che a Jenny non importasse un fico secco che Salvatore l’avesse fatta smettere di fumare, se quando erano stati insieme non aveva più sentito la dipendenza dalla nicotina che le avvelenava il corpo. L’accendino scattò sulla seconda sigaretta e Clarissa tirò una lunga boccata di fumo. In quell’ultima manciata di giorni aveva consumato pacchetti alla velocità della luce e aveva smesso di preoccuparsi definitivamente della salute dei suoi polmoni. Anzi, la sua vita per intero aveva smesso di importarle fin da quando Gentile l’aveva lasciata. Da quel momento in poi le era persino passata la voglia di mangiare. Per riuscirci si sforzava e nonostante adesso ricevesse molte più offerte di lavoro grazie alla sua magrezza, si stava riducendo pelle e ossa. Quando si guardava allo specchio non si riconosceva più.
A disagio spostò gli occhi da Jenny al campo dei giapponesi, scambiando con Mark un cenno di saluto. Lui piegò appena la testa da una parte, poi corse via, dietro la palla.
-Sei fortunata.- l’amarezza le fece tremare la voce -Salvatore è un ragazzo d’oro.-
Jenny annuì, con il cervello in piena attività. Doveva trovare il modo di sganciarsi, non era sicura che la ragazza non si lasciasse andare ad una scenata. Dalla sua espressione, dal suo atteggiamento, dalle sue parole e insomma dal solo fatto che fosse lì, era chiaro che a Gentile teneva ancora.
-Mi sono comportata malissimo nei suoi confronti.-
Clarissa lo cercò tra i giocatori e quando lo trovò e si accorse che le stava fissando, distolse subito gli occhi per spostarli in quelli di Jenny. Era incredibile che quella ragazza non l’avesse ancora allontanata a male parole. Che se ne stesse lì ad ascoltarla con pazienza, quasi con compassione. Si riscosse, lei non voleva la compassione di nessuno. Aspirò la sigaretta per l’ultima volta, anche se ne aveva fumata appena metà. Poi la spense.
-Avevamo deciso di sposarci.-
Jenny trasalì. L’incontro con la ex di Salvatore si stava rivelando più sconvolgente che mai.
-Mi dispiace.- si guardò i piedi, convinta una volta per tutte di essere finita nel posto sbagliato. Aveva fatto tredici ore di volo in aereo per attraversare il mondo e raggiungere l’Italia soltanto per poi ritrovarsi non solo faccia a faccia con Philip ma anche scomodamente infilata tra Gentile e la sua ex. Non sarebbe stato meglio restare a Shintoku o, al peggio, a New York dai suoi? Lì, negli Stati Uniti, la cosa peggiore che sarebbe potuta accaderle era sposare uno dei pretendenti che le avrebbe fornito suo padre. Praticamente niente in confronto a ciò che stava passando a Torino. Spostò gli occhi sul vialetto, voleva andarsene ma non sapeva come congedarsi.
E mentre Jenny esitava, Clarissa la studiava, cercando di farsi un’idea più precisa di lei. Prese atto del suo corpo minuto ma ben proporzionato, del suo viso grazioso dall’incarnato roseo, la pelle liscia e vellutata. Dei suoi capelli lunghi e neri, del colore del cioccolato fondente. Era graziosa e attraente e non poteva farci nulla se a Salvatore piaceva. Pensando a lui tornò a guardarlo e d’un tratto non lo trovò. Non era più tra i ragazzi che correvano, non era più sul terreno di gioco. Poi lo vide. Costeggiava il campo di gran carriera, diretto proprio verso di loro. Dario gli tagliò la strada e lo afferrò per un braccio, costringendolo suo malgrado a fermarsi.
-Ci stiamo allenando e io mi sono stancato di vederti fare i tuoi comodi.-
Gentile fremette d’ira.
-Che è venuta a fare, Dario?-
-Perché lo chiedi a me? Io non ne so niente! Abbiamo già litigato per lei e non ho intenzione di rifarlo!-
-Lo chiedo a te proprio per questo! Tu stai dalla sua parte!-
-Io non sto dalla parte di nessuno! Ti ho solo detto che chiunque può commettere un errore! Pensi di essere perfetto? Di non sbagliare mai?-
-No che non lo penso! Non mi interessa la perfezione, ma il rispetto sì!- gli occhi di Salvatore lampeggiarono -Solo i cervi sono fieri di avere le corna, Belli!- lo scostò brusco e imboccò l’uscita del campo.
Clarissa se lo trovò davanti.
-Che cazzo sei venuta a fare?-
-Sono passata qui vicino e…-
-Come ti è saltato in mente di fermarti? Qui non c’è nessuno a cui fa piacere vederti!- lanciò un’occhiata al parcheggio, ai fan accalcati contro la recinzione esterna, ai giornalisti e ai fotografi -O magari hai pensato di fornire altro materiale alla stampa e riprenderti le prime pagine di gossip?-
Clarissa non era andata lì per litigare, ma stavano finendo per farlo di nuovo. Indicò Jenny.
-A quello hanno già pensato lei e Landers! Hai visto le foto? Si sono baciati! Perché lei l’hai perdonata?-
-Non sono affari tuoi, non lo sono assolutamente! E adesso vattene!-
Jenny non capì nulla, ma comprese che era ora di filare. Che litigassero da soli. Lei non voleva saperne niente, non voleva neppure assistere alla loro performance. Sparì silenziosissima, nessuno dei due si accorse della sua fuga. Mentre imboccava il vialetto che conduceva al bar, Mark le piombò accanto, facendola saltare di paura.
-Tutto bene?-
-Sì, certo.-
Eppure lui, detergendosi il sudore dalla fronte con l’asciugamano che gli pendeva dal collo, prese atto della sua espressione sconvolta.
-Che ti ha detto Clarissa?-
-Niente.-
-Qualcosa te l’ha detto per forza. Stavate parlando. Ti ha offesa?-
-No. Lei non c’entra.- respirò a fondo e continuò -È questa situazione ad essere un casino… Non so più cosa voglio, non so più cosa sia giusto. Non so più niente.-
Dopo aver lanciato un’occhiata guardinga ai compagni per accertarsi che nessuno facesse caso a loro, a parte Philip a cui non sfuggiva nulla che riguardasse la sua ex, Mark le posò una mano sulla spalla e la spinse dentro il bar dove, con le squadre ancora in campo, potevano condividere alcuni minuti di tranquilla solitudine.
Non appena varcarono la porta Jenny, che non aspettava altro che di potersi sfogare con qualcuno, si fermò e lo guardò dritto in faccia.
-Ieri Philip mi ha baciata.-
Mark trasecolò.
-Cazzo! Anzi… bene, no?-
-No! Ha detto che se mi baci tu e mi bacia Salvatore ha tutto il diritto di farlo anche lui.-
-Ma che pezz…- strinse i pugni e ingoiò l’invettiva. Spinse Jenny verso il banco del bar e scostò la sedia perché si sedesse, lei che aveva tempo e poteva farlo. Lui rimase in piedi, con i minuti contati -Sono sicuro che ha detto così perché è geloso.-
-L’ha fatto solo per ripicca.-
-Forse, ma anche perché è geloso. Non vedi come ti guarda?-
-No, non lo vedo e non voglio vederlo. Anzi, evito proprio di guardarlo.- tremava per l’ira, gli occhi fissi sul banco del bar -Non può permettersi di essere geloso e neanche di baciarmi per ripicca.- alzò lo sguardo sul ragazzo e la voce le si ruppe -Non è giusto, Mark…-
Jenny aveva ragione. Non era giusto. Non era giusto ciò che le era capitato, che McFay l’avesse violentata. Non era giusto che avesse dovuto soffrire così tanto. Non era giusto che lei e Philip si fossero lasciati e che quella che era sembrata a tutti la coppia perfetta ora non si rivolgesse neppure la parola. Ce n’erano tante di cose che non erano giuste, lui lo sapeva bene. Molto bene. Lo sapeva fin da piccolo. Di tante cose che non erano giuste, c’era anche che un incidente lo avesse privato da bambino di suo padre.  
-Forse è confuso quanto te. Forse anche lui non sa come comportarsi… Di sicuro in campo sta facendo un casino. Qualche giorno fa ha restituito la fascetta a Marshall, dicendogli che non era in grado di guidare la squadra.-
-Come lo sai?-
-Ho sentito Benji che lo diceva a Holly. Te l’ho detto, sta facendo un casino. Se Gamo avesse saputo che non era in forma, forse non lo avrebbe neppure convocato.-
-Non è in forma? Che vuoi dire?-
-Ieri mattina è stramazzato a terra privo di sensi.-
-Non ci credo!-
-Chiedilo a Patty, o ad Amy. O magari a Evelyn, forse gli ha scattato una foto e ci ha scritto un articolo. Chiunque può confermartelo.-
Jenny non ebbe parole per rispondere, era ancora più confusa e preoccupata di prima. Vide Mark alzarsi.
-Torno fuori, non te ne andare. Torniamo a casa e pranziamo insieme.-
Jenny annuì e lo guardò uscire. Non voleva che Philip stesse male, non lo voleva assolutamente. Non voleva neppure che soffrisse a causa sua, lo aveva già fatto tanto, troppo. Però era arrabbiata, ce l’aveva con lui e non riusciva a dispiacerle se, come supponeva Mark, era geloso di Gentile. E quando le tornò in mente ciò che non era successo a casa di Salvatore quella mattina, si decise ad essere contenta che fosse finita così.
Benji la raggiunse per primo. Filare via dal campo e conquistarsi la sua doccia preferita, ancora pulita e asciutta, era diventata ormai una consuetudine. Quando la confusione dei compagni che si tiravano l’acqua, lo shampoo, le scarpe e i calzini puzzolenti diventava insopportabile, lui era già fuori dagli spogliatoi.
Jenny lo accolse al bar con un sorrisetto, ben memore della conversazione avuta con Evelyn qualche ora prima. A quanto pareva il portiere andava ancora in giro a inventarsi cose su Gentile e sui suoi gusti in fatto di donne e di sesso. Era forse il caso di vendicarsi, almeno un pochino?
Lo vide passarsi una mano tra i capelli ancora umidi e agganciarsi il cappellino ai jeans, dove passava metà della sua esistenza. Quando le arrivò vicino Jenny scostò lo sgabello, invitandolo con un sorriso ad accomodarsi accanto a lei.
-Come mai sei da questo lato del bancone?-
-Lavoro solo il pomeriggio.-
Il ragazzo del bar spuntò dal retro e si affrettò a servire il nuovo arrivato. Poi tornò a finire di riporre i bicchieri puliti negli scaffali, suddivisi per tipologia e misura. Era un barman preciso ed efficiente e quando Jenny gli dava il cambio trovava sempre tutto pulito e in ordine.
-Stanco?-
-Non più del solito.- agitò curioso l’aperitivo che lei gli aveva ordinato -Cos’è?-
-Assaggia e mi dirai se ti piace.-
Lui valutò con occhi critici la bevanda, facendo sorridere Jenny.
-Che c’è? Non ti fidi? Hai paura che ti faccia ubriacare per poi sedurti?-
-Sarebbe davvero l’ultima delle mie paure.-
Lei si accomodò meglio. Si sporse in avanti e lo fissò negli occhi, provocatoria.
-Raccontami le fantasie erotiche di Gentile.-
-Non le conosci già?-
-Non ancora…- Jenny si tirò indietro di scatto, improvvisamente conscia di ciò che aveva appena ammesso. E poi proprio con Benji. Distolse gli occhi, li abbassò imbarazzata sul bicchiere, le guance arrossate.
Il portiere fu d’un tratto tutt’orecchi. Quella sì che era una novità.
-Stai dicendo sul serio? Avrei giurato il contrario.-
-Non le conosco tutte…- cercò di rimediare lei. Aveva pensato di prendersi gioco di Benji e invece l’amico in due secondi l’aveva messa nel sacco. La voglia di fare conversazione con lui scese sotto zero. Si alzò -Adesso devo andare.-
-A fare pratica col tuo ragazzo?-
Un brivido le corse su per la schiena.
-No, a mangiare.-
Uscì, anzi fuggì di gran carriera. Avrebbe aspettato Mark fuori. La fretta di andar via la spinse direttamente tra le braccia di Bill Steiner che la incastrò lungo il vialetto, impedendole di proseguire. Ridendo, il giornalista le agitò davanti un quotidiano giapponese.
-Buongiorno Jennifer.-
Lei si limitò a guardarlo torva.
-Il suo nome per esteso non è Jennifer?- la ragazza rimase muta e visto che di quell’informazione non se ne faceva niente, lui lasciò perdere -Come sta?-
-Stavo meglio prima di vederla.-
Steiner scoppiò a ridere.
-Lei ha davvero il senso dell’umorismo. È rimasta parecchio nel bar, pensavo che non ne uscisse più.-
-Mi stava aspettando?-
-In effetti sì. Sa perché?-
-Non mi interessa.-
Lui proseguì caparbio in quello che stava diventato un monologo, togliendogli tutto il divertimento.
-Il fatto è che sto cominciando ad avere qualche dubbio su chi sia realmente il suo ragazzo.-
Lei impallidì.
-Questo non la riguarda.-
Steiner aprì il giornale che aveva sventagliato in aria poco prima. Jenny lo conosceva, era il quotidiano sportivo di Sapporo più diffuso. La nonna era abbonata al giornale da più di un anno perché vi si trovavano più spesso che in altre testate, articoli sulla squadra di Philip.
-Ha visto la foto?-
Jenny afferrò stizzita il giornale. Nell’angolo della pagina che Steiner le aveva aperto c’era Mark che la baciava. Dallo scatto era impossibile capire che era stato lui a rubarle quel maledetto bacio.
-Jenny! Vieni qui!-
Sentì Patty chiamarla, richiuse di colpo il quotidiano e lo restituì all’uomo. Steiner non lo prese.
-Non vuol leggere l’articolo alla pagina successiva?-
Lei esitò. Avrebbe voluto rispondergli che no, non le interessava, ma il tono dell’uomo accese la sua curiosità che vinse il desiderio di tagliare la corda. Sfogliò nervosa il giornale finché, nella pagina successiva a quella del bacio, ritrovò il proprio volto formato fototessera, accanto a tre piccole foto che ritraevano nell’ordine Salvatore, Mark e Philip. Il titolo beffardo, recitava: “Chi dei tre?”. Le dita di Jenny si contrassero in uno spasmo, spiegazzando la carta. Alzò su Steiner uno sguardo carico di astio e fu tentata di gettargli il giornale in faccia.
-Come si permette?-
L’uomo cercò di rabbonirla.
-Perché non risponde a qualche domanda, così mi aiuta a chiarire?-
Sentì Patty chiamarla ancora. L’amica aveva ragione, doveva filar via prima che la situazione le sfuggisse di mano. Era furiosa. Restituì il giornale a Steiner ma lui non lo prese.  
-Lo tenga pure, io l’articolo lo conosco a memoria.- si parò al centro del viottolo quando lei cercò di oltrepassarlo -Pensa che lascerà Gentile per Landers?-
-Oh per favore!- esclamò esasperata -Non voglio più ascoltarla! Mi lasci passare!-
-Come pensa che reagirà Gentile ad essere scaricato di nuovo per un altro?-
-Mark ed io siamo solo amici! Le sue insinuazioni sono odiose!-
-Io non insinuo nulla. Sono un giornalista e descrivo i fatti. Ed è un fatto che lei abbia baciato Landers.-
-Mi lasci passare!-
Cercò di svicolare ma lui le afferrò un braccio.
-Tenga giù le mani!- se lo scrollò di dosso e lo spinse di lato facendogli perdere l’equilibrio. Lo oltrepassò e corse via. Raggiunse le amiche col fiato corto più per la collera che per la corsa.
-Jenny, devi stargli alla larga non fermarti a parlarci.-
-Non mi faceva passare, Patty.- agitò il giornale, che Evelyn le tolse di colpo.
-Fa’ vedere.-
Lei sbiancò e lo riprese, strappandoglielo letteralmente dalle mani. Nessuno, neppure le amiche e tanto meno Evelyn dovevano posare gli occhi su quel maledetto articolo o sarebbe morta di vergogna.
-L’hai insultato di nuovo?- domandò Patty.
-Non l’ho mai insultato!- nella testa le balenò d’un tratto l’espressione basita della nonna che sfogliava le pagine e trovava la foto. La tensione che le percorreva ancora i nervi si allentò e d’improvviso le venne da ridere -Non c’è niente di divertente lo so, ma quel fotografo lavora per questo giornale e la nonna ne è abbonata.- ridendo sfogliò le pagine fino a trovare la foto di lei e Mark e gliela mise sotto gli occhi -Immaginate la sua faccia quando la vedrà!-
-Senza dubbio ti invidierà da morire.-

Tom sedeva sull’erba discosto dai compagni, in quella zona del campo tra il dischetto centrale e l’area di rigore. I ragazzi, dopo aver indugiato nei pressi della panchina per dissetarsi, asciugarsi il sudore e riprendere fiato, stavano rientrando negli spogliatoi mettendo così fine alla giornata di allenamento. Tutto sommato Tom era contento che grazie all’incontro che quella sera Mark avrebbe disputato con la sua squadra italiana allo Juventus Stadium, gli esercizi fossero finiti in anticipo. Il sole era ancora alto in un cristallino cielo azzurro contornato dalle Alpi, e i suoi raggi gli scaldavano la pelle, asciugandogli il sudore dal volto e dalle braccia. Si passò stancamente una mano tra i capelli, umidi sulla fronte, sulle tempie e sulla nuca. Poi tirò giù i calzettoni, arrotolandoli alle caviglie e si slacciò i parastinchi che gli stringevano i polpacci.
Intorno a lui a poco a poco le conversazioni si affievolivano, le risate e le grida scemavano, mentre la squadra rientrava alla spicciolata negli spogliatoi, dove si sarebbe scatenato l’inferno per la corsa alle docce. Stavolta a Tom non andava né di cercare di guadagnarsi un posto tra i primi, né di aspettare che se ne liberasse finalmente una, scomodamente appollaiato su una panca di legno, nell’aria acre e irrespirabile di uno spogliatoio invaso da una ventina di ragazzi sudati. Stavolta sarebbe arrivato per ultimo, dopo essersi goduto qualche minuto di tranquillità. Per un momento voleva dimenticare la partita contro l’Italia sempre più vicina, la presenza dei compagni, i problemi della squadra e i battibecchi che per la prima volta nella sua vita lo mettevano in contrasto con Philip. Ma non solo. Voleva dimenticare la ragazza conosciuta in Francia tanti anni prima, che aveva tifato per il Giappone durante tutte le fasi del torneo giovanile di Parigi. Voleva cancellare il suo pensiero perché si era reso conto che con tutta probabilità Amélie teneva a lui molto meno di quanto lui tenesse a lei. E che, probabilmente, in quel preciso momento, stava trascorrendo il pomeriggio a divertirsi con le sue amiche e i suoi amici, senza spendere per Tom, lontano solo poche ore di volo, neppure mezzo pensiero. Quando queste riflessioni gli catturavano la mente, si ritrovava ad invidiare Holly e la sua fortuna di aver trovato ad accoglierlo per anni, ad ogni ritorno in Giappone dal Brasile, l’amore incondizionato e la fedele costanza di Patty che mai, neppure un minuto, si era stancata di aspettarlo.
Eppure più ci pensava e più si domandava se non fosse meglio che la storia tra lui e la francese finisse così, lasciandosi per telefono o tramite messaggi, evitando a entrambi l’imbarazzo di dirsi tante cose in faccia. Ma era già finita? O ancora no? Nessuno dei due tirava fuori o almeno accennava a questo scomodo argomento. Esattamente come nessuno dei due si era mai chiesto, quando a Parigi si frequentavano, uscivano insieme, passeggiavano sotto la Torre Eiffel tenendosi per mano e tante altre cose a cui in quel momento non andava di pensare, se stessero insieme oppure no. Il fatto era che insieme stavano bene quindi perché farsi tante domande? Ora però erano giunti ad un punto morto. Si erano fermati, ibernati, all’ultima volta che si erano visti mesi prima. Da quel giorno non avevano fatto più né un passo avanti né uno indietro. E Tom, a quel punto, era deciso a sbloccare la situazione per sentirsi libero e per lasciar libera lei, che forse ci si riteneva già e lui non lo sapeva. Era chiaro che se Amélie in quegli ultimi giorni di permanenza in Italia non avesse trovato tempo e modo di raggiungerlo per assistere alla partita o vederlo prima o dopo l’incontro, il poco che c’era stato tra loro sarebbe ovviamente finito. A occhio e croce, quella specie di legame che li aveva appena appena avvicinati, non era valso un decimo di quello che per anni aveva unito Philip e Jenny. E guardali quei due dov’erano arrivati, nonostante si fossero amati alla follia. E lui, in fondo, Amélie l’aveva mai amata? Forse no. Forse trovare a Parigi una ragazzina giapponese pronta a tifare per lui e sostenerlo a bordo campo aveva rappresentato solo una consolazione alla solitudine dei suoi traslochi in giro per il mondo. Era stato bello, e comodo anche, non doversi cimentare nella difficile pronuncia del francese per rivolgerle la parola. Era stata rassicurante l’attrazione che avevano provato l’uno per l’altra. E forse non era solo questo? Attrazione? Era molto meglio se si fosse affrettato a riconoscere che a unirli non c’era mai stato niente se non una reciproca simpatia, perché lui stesso forse non aveva provato per lei niente di troppo coinvolgente. Se fosse stato il contrario, adesso non avrebbe sentito soltanto un profondo fastidio di fronte al suo comportamento scostante e distaccato. Non poterla incontrare sebbene fossero così vicini, l’avrebbe portato a macerarsi esattamente come si stava macerando Philip che, nonostante avesse Jenny costantemente davanti agli occhi, soffriva come un cane.
Philip. Anche lui adesso era diventato un bel problema. Non era sicuro che gli altri avessero capito fino a che punto stesse male. Ma lui sì, lo aveva notato e già da parecchio. Lo vedeva deperire un po’ di più ogni giorno. Era bastato sentirlo al telefono qualche settimana prima quando lo aveva invitato a raggiungerlo con un giorno di anticipo a Fujisawa, o vederlo a casa di Benji esternare un’unica battuta corredata da un sorriso stiracchiato, andando nel panico nel momento in cui veniva nominato capitano della nazionale in attesa del nullaosta di Holly. Si era accorto da subito che dai giorni di Kyoto il suo dolore non aveva fatto un passo avanti, piuttosto si era acuito in una sofferenza senza via d’uscita. E ora in Italia lo teneva d’occhio fin da quando Julian gli aveva fatto quel discorso sugli antidolorifici, affibbiandogli tra capo e collo una responsabilità che lui non si era voluto prendere, in un momento in cui era così deluso da Philip da non riuscire a comportarsi da amico. Così aveva finito per ignorare sia l’appello di Ross che le condizioni dell’ex capitano della Flynet. E questo perché Amelie, giusto qualche istante prima, si era rifatta viva con un banalissimo come stai, cosa stai facendo. Che se le fosse interessato davvero, lo avrebbe raggiunto senza farsi troppo pregare.
Tom era deciso a non chiamarla più, né a scriverle. Era ora di finirla di prendere in giro sia lei che se stesso. Dopo la partita contro l’Italia, giusto un momento prima di imbarcarsi sull’aereo che lo avrebbe riportato in Giappone, avrebbe messo definitivamente fine a quel poco che era rimasto in sospeso tra loro.
Peter Shake gli si avvicinò e gli si sedette accanto.
-Non vai a farti la doccia?-
Tom scosse la testa.
-Aspetto che lo spogliatoio si svuoti un po’. Oggi non sono dell’umore adatto a sorbirmi le chiacchiere degli altri.-
Peter appoggiò i gomiti sulle ginocchia e accarezzò l’erba con il palmo della mano. Gli steli appuntiti da un taglio recente gli fecero il solletico sulla pelle indurita dalla fatica.
-Neppure io.-
-Per il pugno che ieri hai dato a Philip?-
Shake abbassò gli occhi sull’erba e tacque.
-Perché lo hai fatto? Non ti ho mai visto così arrabbiato con lui.-
Peter ponderò bene le parole.
-Non mi piace come si sta comportando negli ultimi tempi.-
-Con Jenny, intendi?-
-No… Sì, anche. Però più in generale.- allungò le gambe e appoggiò le mani al suolo dietro di sé, a sostenere il peso della schiena. Era sicuro di potersi fidare di Tom, ma il segreto che custodiva nel cuore era troppo sconvolgente per rivelarlo a chiunque. Per esempio, se Grace non fosse stata al corrente delle scorribande di Philip, non lo avrebbe detto neppure a lei. Forse solo a Jenny, perché nonostante lei e Philip non stessero più insieme, continuava a pensare che soltanto l’amica fosse in grado di fare qualcosa per togliere il compagno dalla spirale di autodistruzione in cui si era cacciato.
Tom gli lanciò un’occhiata, poi si volse ad osservare la strada che correva poco distante, qualche metro al di sopra di loro. Le macchine sfrecciavano a velocità sostenuta, in quell’ora in cui i torinesi cominciavano a tornare a casa dal lavoro.
-Da quando lui e Jenny si sono lasciati è diventato un’altra persona. Grace ed io non sappiamo più come prenderlo. Ci evita, non esce neppure con i ragazzi della Flynet. Sai quante volte lo abbiamo invitato e ci ha dato buca? Se ne sta sempre da solo o con quella insulsa fotomodella… o con qualche tipa che conosce giusto per una notte. Oppure frequenta gli altri del Sapporo… una combriccola di individui inaffidabili...- emise con un sospiro tutto il suo dispiacere e la sua delusione -Stamattina ho parlato con Grace. Mi ha intimato di fare assolutamente qualcosa per farli tornare insieme. Ma cosa? Philip, se nomino Jenny, smette di ascoltarmi. Cosa che già fa poco anche se non la nomino. E quando ho provato a parlare con lei, Jenny mi ha subito fermato pregandomi di non continuare perché sta cercando di dimenticarlo. Cosa devo fare, Tom? Cosa posso fare?-
L’altro non seppe rispondergli. Non sapeva neppure se Peter fosse al corrente di ciò che era successo a Kyoto. Quel passato non era qualcosa si cui si potesse parlare così, come conversando del più e del meno. Ricordare quei giorni non era piacevole neppure per lui. Non aveva una risposta per alleviare l’angoscia di Peter, non aveva una soluzione al problema. Se avesse saputo cosa fare per Philip, o per Jenny indifferentemente, lo avrebbe già fatto. Di una cosa soltanto era certo: che Mark non avrebbe dovuto baciare Jenny sotto gli occhi di Philip. Quella dell’amico a bordocampo, alla luce del giorno e davanti a tutti, persino ai giornalisti, era una vera e propria carognata di cui non riusciva a spiegarsi né il senso né il motivo. E quando il giorno prima gliene aveva chiesto la ragione, Mark lo aveva liquidato scocciato con un gesto sbrigativo della mano. Tom avrebbe replicato volentieri insultandolo un po’, ma aveva visto Danny avvicinarsi. Per Mellow veder trattato male Mark era sempre un piccolo trauma e siccome, insultando Landers, Tom si sarebbe soltanto sfogato un po’ senza risolvere il problema di Philip, aveva lasciato perdere.
-Non lo so, Peter. Forse non possiamo fare proprio niente per loro.-
-È quello che temo anch’io, ma Grace non vuole capirlo.-
Tom si alzò e si sgranchì le gambe, appesantite da ore e ore di allenamenti. Si sfilò la casacca azzurra rimasta a coprirli la maglietta e rabbrividì quando la brezza del pomeriggio penetrò sulla schiena sudata attraverso la trama del cotone leggero. Si chinò a recuperare i parastinchi e si guardò intorno un po’ spaesato, riscuotendosi dallo stanco torpore che lo aveva invaso. Alla fine in campo erano rimasti soltanto loro due.
I palloni erano stati riposti, le bottiglie dell’acqua e delle bevande energetiche ormai vuote erano state tolte di mezzo, sulle panchine non era rimasto neppure un asciugamano. Dalla loro parte di campo era la desolazione più totale mentre al di là della recinzione la squadra italiana continuava gli allenamenti decimata dei suoi elementi migliori, a riposo come Mark per l’incontro della serata.
Anche Peter si mise in piedi e Tom si volse a guardarlo.
-Tu e Grace state insieme?-
Shake accennò finalmente un sorriso. Soltanto pensare alla ragazza lontana sembrò metterlo di buonumore.
-Non lo so. Non ce lo siamo mai chiesti. Ma ogni tanto io mi fermo a dormire da lei o lei dorme da me.-
Tom lo guardò con attenzione. Che fosse qualcosa di simile a ciò provava nei confronti di Amélie?
-Adesso ti manca?-
-Sì. Però ci sentiamo tutti i giorni.-
Peter sorrise di nuovo, poi si incamminò sul sentiero di ghiaia biancastra che conduceva agli spogliatoi. Tom esitò a seguirlo, bloccato dalla certezza che ciò che provava o aveva provato per Amelie, non era neppure lontanamente amore.

*

Arrivarono allo Juventus Stadium dopo il tramonto, col buio che faceva risplendere le luci dell’imponente costruzione. La fermata dell’autobus era oltre l’ampio pendio del parcheggio su cui lo stadio era appollaiato, circondato da aiuole di prato geometriche lungo tutto il perimetro. L’ingresso principale era sulla sinistra rispetto alla fermata, bisognava seguire il muro di cinta tra le macchine e i tifosi riuniti in grappoli eccitati.
Evelyn camminava incollata a Jenny guardandosi intorno curiosa. Fino a pochi minuti prima l’aveva supplicata di mostrarle ancora la foto di Gentile, ma l’amica si era rifiutata ancora una volta. Ora non le si staccava più di dosso, sperando di riuscire prima o poi a convincerla. Procedendo tra la gente osservava i tifosi che sbandieravano, le sciarpe bianconere che si agitavano, i telefonini accesi che brillavano, i flash che scattavano. Il gruppo dei compagni le seguiva sparpagliato e Jenny sperava che nessuno si perdesse. In mezzo a quella ressa non avrebbe saputo come ritrovarlo.
Sull’ingresso principale dello stadio svettavano due travi gigantesche, unite in cima come una V rovesciata, a cui erano ancorati i tiranti della copertura degli spalti. La scritta di luce bianca “Juventus Football Club” era incastonata sulle vetrate dell’atrio, illuminato a giorno ad accogliere i soci abbonati e i VIP. Salendo leggermente in salita sul pendio per raggiungere l’entrata, percorsero il lastricato fiancheggiato dal parapetto nero decorato con i loghi della Juventus, oltre il quale sprofondava in discesa la strada percorsa dal pullman della squadra, sparendo nel sottosuolo per permettere ai giocatori di accedere allo stadio senza essere infastiditi dai tifosi più petulanti.
Jenny aveva visto il pullman parcheggiato quindi si stupì di non vedere Salvatore nell’atrio ad aspettarla. Non c’era neppure Mark. Esitò nell’ingresso mentre i compagni le si accalcavano intorno. C’era troppa gente, loro erano un gruppo cospicuo e non sapeva dove mettersi per non essere d’impiccio alle persone che fremevano per entrare e allo staff che correva indaffarato di qua e di là. Si tirò da un lato, oltre le colonne, gli alti vasi bianchi e i divanetti di pelle nera. Holly le si avvicinò. Aveva il suo biglietto in mano e lanciava occhiate impazienti all’ingresso.
-Non entriamo?-
-Salvatore ha detto che ci veniva a prendere con i pass per Amy, Evelyn e Patty ma non lo vedo. Forse è ancora negli spogliatoi. Dobbiamo aspettarlo.-
-Gentile è lì, Jenny.- Bruce indicò una testa bionda che spuntava oltre un gruppo di altre teste chine su uno dei banchi temporanei di assistenza agli abbonati, allineati lungo le pareti in occasione delle partite.
L’amico aveva ragione, in quella calca non era riuscita a vederlo. Si avvicinò al gruppetto e lo chiamò. Salvatore tirò su di scatto la testa.  
-Siete già qui?- chiese sorpreso, come se avesse perso per un attimo la cognizione del tempo.
A Jenny bastò dare un’occhiata al ripiano del banco per capirne il motivo. C’erano delle carte da gioco sparpagliate lì sopra e lui e le tre persone che gli erano accanto ne tenevano alcune in mano.
-Arrivo subito.- le disse tornando a concentrarsi sulla partita.
-Sì, se ti dai una mossa.- il ragazzo che gli stava di fronte aveva al collo il tesserino di riconoscimento dello staff -Io devo lavorare, mica possiamo farci notte.-
-Lo dici a me? Tra un po’ mi daranno per perso e mi lasceranno in panchina.-
Salvatore si era cambiato. Indossava i calzoncini della divisa, i calzettoni, gli scarpini e sopra la maglia della squadra un giacchetto bianco con il logo della Juventus all’altezza del cuore.
-Ciao Michele. Chi vince?-
Jenny si volse di scatto, al suo fianco era comparso Rob che scrutava il tavolo curioso. Dario aveva tentato di insegnargli alcuni giochi di carte tipicamente italiani ma lui trovava difficile capirne le regole e decifrarne le figure.
-E chi vuoi che vinca?- Michele sospirò e scoprì la propria carta.
In successione la mano tornò a Salvatore che per tutto il giro aveva trattenuto a stento una vittoriosa euforia. Mise giù ciò che gli restava in mano ed esultò.
-È stato un piacere giocare con voi! Sganciare, prego!- tese una mano e i giocatori sconfitti posarono sul palmo spalancato le loro quote.
-Fortunato al gioco, sfortunato in amore.- decretò uno di loro che indossava la divisa degli avversari di quella sera.
-Neanche per sogno. La mia ragazza è qui. La tua dov’è? Si tratta di un pronostico, alla faccia tua!- ridendo s’infilò nella tasca del giacchetto per lo meno duecento euro.
Rob emise un fischio d’ammirazione e tornò dai compagni. Bruce, a cui non era sfuggito nulla, gli si avvicinò guardingo e sospettoso.
-È legale?-
Michele porse a Jenny i tre pass.
-Prima il tuo ragazzo ci spenna, poi ci chiede favori.-
Lei non capì una parola, ma li prese, ringraziò e li consegnò alle amiche.
Mark li raggiunse torvo, puntando Salvatore. Anche lui indossava la divisa della squadra ed era pronto a scendere in campo.
-Hai finito di fare i tuoi comodi?-
-Dovresti imparare a giocare a carte, Landers. Se sei bravo riesci a raggranellare un bel gruzzoletto. Ti farebbero comodo, visto che stai sempre a centellinare ogni euro.-
-Non mi interessa.-
Gentile alzò le spalle e controllò l’ora.
-Vado a bere una birra se no si fa troppo tardi. Jenny, vieni con me? Tanto con loro c’è Landers. Li accompagni tu, vero?- lo trapassò con un’occhiata mentre prendeva la ragazza per mano.
-Solo la birra, ti ci mancava…- borbottò Mark guardandoli allontanarsi.
-Cosa cosa?- Clifford drizzò le orecchie -Va a bere una birra?-
-Quello fa come gli pare.- Landers scrollò le spalle -Diamoci una mossa, devo tornare di là.-
-Ma che calciatore è uno che beve una birra prima della partita? Non si è mai sentito niente del genere.-
Aoi sembrava divertito dallo sconcerto dei compagni.
-Lui è tutto speciale, Clifford. Quello che fa lui lo fa solo lui. Gli lasciano passare anche la birra pur di averlo in squadra. Gentile è il figlio dell’allenatore della nazionale italiana, che a sua volta era capitano della nazionale. Praticamente è come se il calcio ce l’avesse nel sangue.-
-Sarà come dici ma in campo non mi pare che si impegni granché.-
Rob lanciò un’occhiata a Sandy mentre percorrevano i corridoi dello stadio per raggiungere i loro posti. Le pareti erano intonacate di bianco e su tutto quel chiarore ogni tanto sputava la gigantografia in bianco e nero dei giocatori che avevano fatto la storia della squadra.
-Perché non va d’accordo con il padre.-
-Anche noi non andiamo d’accordo con Gamo eppure gli allenamenti li prendiamo seriamente.-
-Non tutti Sandy, non tutti…- rise Clifford riferendosi a Philip in modo così palese che quello si sentì preso in causa, si volse e replicò con un’occhiata acida.
Oltre due grandi porte spalancate, davanti a loro comparve il tappeto verde cinto dagli spalti ricolmi di tifosi che sbandieravano striscioni e lanciavano urla e fischi. Landers indicò i sedili in plastica, in gran parte bianchi, alcuni neri.
-Sedetevi dove vi pare, oggi le tribune degli ospiti sono quasi vuote. Non è una partita importante.-
Senza un attimo di esitazione, Evelyn superò gran parte dei compagni e reclamò il posto accanto a Rob, costringendo Paul Diamond ad alzarsi e spostarsi.
-Finisci di raccontarmi la storia di Gentile.-
-Che palle Eve.- sbuffò Bruce, che aveva sfrattato Johnny Mason per sedersi accanto a lei.
Rob non se lo fece ripetere due volte e riprese a parlare.
-Dario Belli mi ha detto che Gentile ha praticato tutti gli sport possibili per non seguire la strada del padre. Alcuni anni fa ha persino vinto una medaglia d’oro alle olimpiadi di nuoto. E poi faceva le corse con la moto.-
-Dopo un brutto incidente ha lasciato perdere.- s’intromise Mark.
Evelyn lo guardò storta.
-Non dovevi andare a raggiungere i tuoi compagni di squadra?-
Lui sembrò ricordarsene solo in quel momento e dopo un saluto frettoloso schizzò via.
-Senti senti, il nuoto…- Evelyn si avvolse pensierosa intorno al dito una ciocca di capelli che era sfuggita alla coda -Adesso capisco il perché di tutti quei muscoli pure dove tu non ce l’hai, Bruce.-
Il fidanzato la squadrò.
-Per esempio quali?-
-Non li conosco mica tutti per nome. Però sulla schiena ne ha una bella quantità.-
-Dov’è che avresti visto la schiena di Gentile?-
-Proprio stamattina. Jenny mi ha fatto il regalo più bello del mondo mostrandomi una foto di Salvatore Gentile completamente nudo. L’ho visto tutto. Di spalle purtroppo…-
Decine di occhi si fissarono su Evelyn. Amy addirittura arrossì.
-Stai scherzando?-
-E mi ha promesso anche quella di Mark.-
Philip riuscì a restare impassibile. Solo, sulla tempia, la pelle si contrasse in un minuscolo e impercettibile spasmo.
-Jenny mi ha mostrato la foto solo per pochi secondi.- sospirò afflitta -Non sono riuscita a mettere a fuoco nessun particolare.-
-Neppure uno, Evelyn?- rise Benji -Sicura, sicura?-
-Giuro, neppure uno. È stata solo una fugace visione…- sospirò affranta e tornò a guardare Rob -Come mai ha lasciato perdere il nuoto e ha scelto il calcio?-
-Perché guadagna di più, che dici?- la schernì Bruce infastidito da tutto l’interesse che la ragazza continuava imperterrita a mostrare nei confronti del calciatore italiano.

Nella pausa tra il primo e il secondo tempo Gentile uscì dagli spogliatoi e raggiunse le transenne che sbarravano metà del corridoio per impedire a chiunque di avvicinarsi. Si chiese, non vedendola, se Jenny si sarebbe affacciata come di consueto o sarebbe rimasta in tribuna insieme ai compagni e, inevitabilmente, a Callaghan. Quando ormai, stanco di aspettarla, stava per rientrare, lei arrivò di corsa.
-Non ero sicuro che saresti scesa.-
-Ho accompagnato Patty ed Evelyn al bar e ho fatto tardi.-
Mark sbucò dallo spogliatoio.
-Stiamo vincendo.-
-L’ho visto. Sono contenta per te.-
-Che dicono su?-
-Che se oggi perdi, venerdì ti lasciano in panchina.-
Jenny si trattenne ancora un poco, poi dovettero rientrare e lei si avviò per tornare sulle tribune. Svoltò un angolo e si fermò di colpo, incredula. Philip le era di fronte, appoggiato contro il muro. Teneva le braccia incrociate sul petto e la fissava. Jenny fu totalmente incapace di decifrare la sua espressione ma di una cosa fu certa: la stava aspettando e lei non poteva fuggire da nessuna parte. Respirò a fondo una volta, poi avanzò verso di lui, parlando per prima perché la miglior difesa era pur sempre l’attacco.
-Perché sei qui?-
Philip si staccò dal muro, si avvicinò e lei reagì indietreggiando. Non servì a nulla, lui le fu d’un tratto vicinissimo e la prese per mano.
-Vieni. Dobbiamo parlare.-
Tale prospettiva fece affiorare il panico dentro di lei. Ricordava perfettamente com’era andato a finire il loro ultimo colloquio nei corridoi di uno stadio.
-Parlare? E di cosa? Non abbiamo proprio nulla di cui parlare.-
Philip ignorò le sue proteste e la costrinse a seguirlo, continuando testardo ad allontanarsi dal percorso che avrebbero dovuto seguire per tornare ai propri posti. Mentre camminava svelto trascinando con sé la ragazza si guardava intorno, sperando di trovare in fretta un posto tranquillo e discreto dove fermarsi, prima che Jenny s’impuntasse davvero e gli sfuggisse ancora una volta. Quei corridoi erano un labirinto, non riusciva a raccapezzarsi. Anzi, dopo l’ennesima svolta, si rese conto di essersi appena perso in un dedalo di cunicoli tutti uguali.  
Sbucarono d’improvviso nel ristorante. Proprio lì Philip trovò ciò che cercava e la portò con sé dietro uno dei giganteschi pilastri neri che sorgevano tra i tavoli. Senza sapere come, Jenny si ritrovò con la schiena contro la colonna, Philip davanti e alle spalle di lui le vetrate che si aprivano sulla partita iniziata e sugli spalti ricolmi di tifosi. Il ristorante era praticamente semivuoto, i tavoli occupati erano forse cinque o sei e tutti nei pressi delle finestre. Nessuno guardava verso di loro, nessuno si era accorto del loro ingresso.
Gli occhi della ragazza tornarono a posarsi su Philip confusi, increduli e scontenti.
-Jenny…-
-Non ho niente da dirti, Philip.-
Lui esitò, poi annuì.
-Hai ragione. Parlare è inutile.-
E la baciò. Ma lei non voleva essere baciata soltanto perché anche Salvatore e Mark lo avevano fatto. Cercò di allontanarlo puntandogli le mani sul torace ma lui le afferrò i polsi.
-Lasciami.-
-No.-
-Allora mi metto a gridare.-
-Fallo, così finiremo su tutti i giornali.- tornò ad accostare il proprio viso al suo.
Lei si irrigidì e volse la testa da un lato. La bocca di Philip si posò non sulle sue labbra ma sulla pelle tra il collo e l’orecchio, quella parte del viso che lei involontariamente gli porgeva. Un brivido le percorse la schiena e serrò gli occhi, nell’ultimo silenzioso gesto di rifiuto che le restava. Dopodiché poteva soltanto mettersi a urlare, come aveva minacciato di fare. Lo sentì scendere lungo il collo e quasi per magia la tensione nel suo corpo si allentò. Così, quando Philip la lasciò per prenderle il viso tra le mani e sollevarlo verso di lui, non fece nulla per impedirglielo. Sospirò soltanto. Incoraggiato dalla sua mancanza di reazioni, lui tornò a baciarla, riuscendo finalmente ad impossessarsi delle sue labbra.
Jenny d’improvviso si sentì esattamente come nel sogno. Trovarsi finalmente e realmente tra le braccia di Philip tornò ad essere stupendo come lo era sempre stato. D’un tratto non provava più il desiderio di allontanarlo, voleva solo che continuasse, che quel momento fosse eterno.
Fu lui ad un certo punto a tirarsi indietro e a guardarla negli occhi.
-Voglio che torni in Giappone con me.-
La richiesta di Philip ruppe l’incanto, Jenny lo fissò sbigottita e si ritrasse prima ancora di poterci pensare, prima di cominciare a torturarsi fino a impazzire e distruggersi il cervello. Distolse gli occhi e abbassò il viso.
-Non cambierebbe nulla.-
-Non è vero, cambierebbe tutto. Non c’è niente che non va tra noi, dobbiamo tornare insieme.- dirlo significò accettarlo.
Gli occhi di Jenny lo fissarono con uno sguardo liquido, Philip riuscì a leggervi la sorpresa, la paura, l’indecisione. Assimilò quei sentimenti e anche gli altri, perché per la prima volta dopo mesi poteva starle così vicino per un tempo così lungo. I minuti si dilatavano, tanto erano intense le sensazioni che Philip stava provando. Poté toccare i suoi capelli lunghi, a cui non aveva smesso un attimo di pensare da quando li aveva sfiorati il giorno prima. Vi affondò le mani, lasciandoseli scorrere tra le dita, dandosi stavolta il tempo di meravigliarsi per quanto erano cresciuti, per quanto erano serici, morbidi e profumati. La sua mente notò i particolari di quel viso truccato, lei che non aveva bisogno di farlo perché era bella di una bellezza naturale. L’ombretto bianco faceva risplendere gli occhi, dalle labbra, dopo il bacio, era scomparsa ogni traccia di rossetto. Le sue dita le accarezzarono le spalle, scivolarono lungo la schiena, quasi a volersi rassicurare che Jenny fosse davvero lì con lui in carne e ossa. Le prese le mani e le stinse tra le sue, nonostante lei cercasse di ritirarle. Il momento magico era passato, svanito, e adesso Jenny voleva soltanto andarsene.
-Non possiamo stare qui.-
Dalla sua voce trasudò l’urgenza di nascondersi, di non farsi vedere insieme. Un desiderio così forte che Philip non poté impedirle di sgusciare di lato tra lui e la colonna e allontanarsi in direzione dell’uscita. Il ragazzo non la seguì e quando Jenny se ne accorse tornò indietro, incapace di abbandonarlo, seppur soltanto nel ristorante dello stadio. Lo prese per una manica, evitando accuratamente il contatto con la sua mano, la stretta delle sue dita. Senza dire una parola, senza neppure guardarlo, lo precedette nel corridoio da cui erano venuti, cercando di orientarsi e ritrovare presto le tribune degli ospiti. Procedettero rapidi e in silenzio, Philip si lasciò condurre senza tentare più nessun approccio, nella mente ad orbitare un unico chiodo fisso. C’era una cosa che voleva sapere, una domanda che lo torturava, a causa della quale da alcuni giorni non trovava pace. Una domanda che gli perforava il cervello, che gli spaccava il cuore. E allora, un istante prima di sbucare sugli spalti, le agguantò una mano e la trattenne. Jenny si volse, trovandosi inerme ad affrontare il suo sguardo tormentato.
-Ci sei andata a letto?-
-E tu? Tu ci sei andato a letto con la tua fotomodella?-
Si liberò dalla sua stretta e lo lasciò sulla soglia impietrito, sgomento, il cervello svuotato ma bloccato sulla consapevolezza che Jenny sapeva di Julie. Come aveva potuto credere che sarebbe bastato baciarla di nuovo, che sarebbe bastato chiederglielo perché tornasse con lui? Era un cretino fatto e finito! Non riusciva a capacitarsi di tanta ingenuità. A testa bassa uscì sugli spalti e tornò a sedersi accanto a Benji.
-Sei sporco di rossetto.-
Philip si passò d’istinto il dorso di una mano sulla bocca. Il portiere rise.
-Non era vero.-
-Vaffanculo, Price.-
-È andata meglio oggi?-
Philip scosse la testa. Nel campo sotto di loro la partita era in pieno svolgimento ma lui aveva la mente in subbuglio e non riusciva a seguire le azioni, non vedeva nulla se non il volto di Jenny vicinissimo al proprio, i suoi occhi truccati, le sue labbra dischiuse, i suoi capelli neri e lunghi tra cui aveva infilato le dita. Benji era un parolaio ma su una cosa aveva maledettamente ragione. E più Philip si avvicinava a Jenny e più iniziava a capirlo davvero. In nessun modo poteva permettere che Gentile o chiunque altro, gliela portasse via. Non aveva la certezza che lei lo amasse ancora, che lo amasse come prima dopo ciò che era successo tra loro. Ma non poteva non provare a riconquistarla. Come, non lo sapeva. Si era convinto di conoscerla, mentre ogni giorno che passava gli sembrava sempre più diversa. Non sapeva più come prenderla, cosa aspettarsi, cosa dirle e come agire. La Jenny che sedeva due file avanti a lui, che pochi minuti prima aveva baciato, gli era quasi del tutto sconosciuta e dire che partiva da zero era pure troppo. Forse anche lui era cambiato, chissà. Fu preso dallo sconforto, la situazione gli sembrò irrecuperabile.
-Sa di Julie Pilar.-
-Sì.-
-Gliel’hai detto tu?-
-Ha visto una foto su una rivista.-
Callaghan tornò a fissare il campo sempre più depresso. Sapeva benissimo di quale foto stava parlando. Solo una volta erano finiti sui giornali, lui e Julie, quell’unica maledetta volta in cui li avevano ripresi mentre si baciavano. Non poteva prendersela con nessuno, la colpa era soltanto sua e della sua stupidità.
-Non fare quella faccia, Philip. Anche se Jenny sa di Pilar, il risultato è sempre pari perché lei sta con Gentile.-
Anche Jenny teneva gli occhi sul campo e non riusciva a seguire la partita. Si torceva una mano nell’altra decisa, da quel momento in poi, di evitare a tutti i costi che Philip si avvicinasse a lei quando era sola. Non sarebbe riuscita ad affrontarlo di nuovo, non era sicura di averne la forza e non era neppure sicura di voler tornare con lui. Aveva sofferto troppo in quegli ultimi mesi e temeva di dover ricominciare a farlo se avesse accettato la sua proposta. E poi non doveva assolutamente dimenticare che a Sapporo Julie Pilar stava aspettando il suo ritorno.
La partita finì senza che lei se ne accorgesse, fu Amy a riscuoterla. Come un automa si mise in piedi e raggiunse le uscite seguendo il gruppo dei compagni a testa bassa. Più cercava di non pensarci e più sentiva sulle labbra la pressione della bocca di Philip, le sue braccia che la stringevano, la sua voce che le chiedeva di tornare a casa con lui e i suoi occhi addosso persino in quel momento. Non vide Philip, o meglio non volle vederlo e passò alla guida dei compagni solo quando uscirono nel parcheggio perché tra la ressa dei tifosi faticarono a raccapezzarsi per ritrovare la fermata dell’autobus. Li avrebbe riaccompagnati sani e salvi all’hotel, poi sarebbe fuggita a casa. Aveva una voglia matta di mollare tutto e tutti.
Mentre si strizzavano sull’autobus già strapieno, Patty le sfiorò un braccio.
-Jenny, c’era quel giornalista allo stadio. L’hai visto?-
Lei scosse la testa, incapace di scacciare la convinzione che la sua presenza a Torino non aveva fatto altro che ingarbugliare le vite della gente. A cominciare da Mark, che la sopportava a casa da due mesi. E Gentile, se non ci fosse stata lei, forse avrebbe già fatto pace con la sua ex. Per non parlare poi di Philip che frequentava un’altra e a cui, se non l’avesse rivista, non sarebbe mai passato per la testa di provare a riconquistarla. Indugiò su quell’ultima riflessione. Provare a riconquistarla? Era davvero questo ciò che stava facendo?
Il suo desiderio più grande da quando era alle medie era stato quello di rimanere con Philip per tutta la vita e invece si era andata a ficcare in un gran bel casino. Avrebbe voluto sparire, andarsene via e lasciare che tutto si risolvesse da sé. Si chiuse in un silenzio che la seguì fino in hotel.
-Non entri con noi?- le chiese Evelyn quando la vide fermarsi sul marciapiede ed esitare indecisa.
-E a far cosa? Ormai sono le undici e mezza, torno a casa.-
-Non sarebbe meglio che dicessi a Mark di passare a prenderti?-
-Eve ha ragione, Jenny. È tardi.- s’intromise Patty.
-Se sapesse che lo sto aspettando andrebbe via prima e gli rovinerei la serata. Non mi va di seccarlo.-
-Allora chiameremo un taxi.-
La giovane si lasciò convincere e rientrò con loro. Le porte automatiche dell’hotel si spalancarono e Bill Steiner le andò incontro mentre lei avanzava nella hall. Vedendolo, Jenny impallidì. Quell’uomo stava diventando un vero incubo. Si guardò intorno, chiedendosi come evitarlo. Benji le comparve accanto come per magia, mettendole un braccio sulle spalle.
-Ti devo una consumazione. Posso offrirti qualcosa al bar?-
-Se non mi lasci penserà che hai un debole per me. O viceversa.-
-Pensasse quello che vuole.-
Steiner li seguì e si sedette al loro stesso tavolo.
-Disturbo?-
-Se le dico di sì se ne va?-
Lui scosse la testa, divertito da quella che interpretò come una battuta. Appoggiò i gomiti al tavolino e li osservò entrambi con attenzione.
-Qualche giorno fa ho avuto un’interessante conversazione con l’ex manager di Landers, la signorina Farrell. -
La ragazza si agitò nervosamente sulla sedia mentre lui continuava.
-Volevo parlargliene stamattina, Jenny, ma lei aveva fretta di andarsene. Peccato che la Farrell sia tornata in Giappone, lei ed io avevamo trovato una certa sintonia… Raramente si trovano persone così disponibili a parlare.-
-Improrogabili impegni di lavoro.- s’intromise Benji.
Jenny immaginò Daisy spifferare con grande soddisfazione al giornalista ficcanaso tutto ciò che sapeva sul suo conto. Quella donna impossibile aveva chiuso in bellezza il suo soggiorno in Italia, finendo di metterla nei guai.
-Mi ha detto che lei abita con Landers da mesi.- Steiner tirò fuori un taccuino e una penna -E mi ha anche confidato che Landers le ha detto che lei, Jenny, è la sua fidanzata. Se è davvero così, complimenti davvero per la sua intraprendenza. Sa che sono parecchie le ragazze che vorrebbero essere al suo posto?-
Benji scoppiò a ridere.
-Lei dà retta a tutto quello che le dicono?-
-Signor Price, la foto di Landers che bacia la sua amica l’ho scattata io.-
-Davvero? Mi permetta di ringraziarla, allora. Ero girato e non li ho visti. I miei compagni ed io abbiamo chiesto varie volte a Landers di rifarlo ma non c’è stato verso.-
Jenny lo guardò con gli occhi spalancati mentre lui continuava, imperterrito e beffardo.
-Visto che ha la macchinetta fotografica con sé posso darle l’opportunità di aggiungere un’altra foto alla sua collezione? Io bacio Jenny mentre lei scatta. Che ne dice?-
Alla giovane la proposta non piacque minimamente e d’istinto mise più spazio tra sé e il portiere.
Steiner si irrigidì.
-Dico che sto lavorando e che non mi interessano le sue performance Benjamin Price. Quella che voglio è soltanto la verità.-
-La verità è relativa e lei sa già tutto quello che c’è da sapere. Ne sa addirittura più di noi. Anzi, sono sicuro che dopo questa conversazione avrà una valanga di nuove informazioni per i suoi articoli.-
Seguì un silenzio in cui Steiner e Benji si fissarono negli occhi, valutandosi a vicenda. Il fotografo distolse lo sguardo per primo e stenografò qualcosa di incomprensibile sul taccuino. Poi alzò il viso, si accorse che Philip li osservava e fu colto da un’ispirazione improvvisa.
-Callaghan sembra tenere ancora a lei, Jenny. Forse sarebbe anche disposto a lasciare Julie Pilar. L’ha preso in considerazione?-
-Oltre a Landers e Gentile vuole per forza attribuirmi un altro ragazzo? Che genere di persona crede che io sia?-
-Per sua sfortuna non mi invento niente. Stasera l’ho vista allontanarsi dalla tribuna e tornare sugli spalti solo dopo una ventina di minuti proprio insieme a Callaghan. Dove siete andati?-
-A salutare Gentile. Lo faccio sempre.-
-Gentile o Landers?-
-Che differenza fa?-
-Anche Callaghan è andato a salutare Gentile?-
-Non so dov’è andato Philip!- dichiarò esasperata -Ci siamo incontrati un attimo prima di tornare ai nostri posti! -
Benji intervenne.
-Non riesco a credere che la paghino per scrivere un articolo sul viavai di Jenny all’interno di uno stadio.-
Steiner chiuse di colpo il blocchetto notes e lo ripose nella tasca insieme alla penna. Il portiere era d’intralcio e lui voleva sorprendere Jenny da sola. Si alzò.
-La gente legge anche di peggio, Price. Lei è nel giro da anni e dovrebbe saperlo. Buona serata a entrambi.-
Mentre lo guardava uscire, la tensione abbandonò il corpo di Jenny. Spostò gli occhi su Benji.
-Grazie.-
-Mi devi un favore.-
-Non fai mai niente per niente?-
-Non sono abbastanza altruista.-
-Allora come posso ricambiare?-
-Rimettiti con Callaghan.-
Lei scostò bruscamente la sedia e si alzò nello stesso istante in cui il cellulare che teneva sul fondo della borsa cominciava a squillare.
“Jenny?”
-Non gridare Mark, ti sento…- Benji si mise in piedi e le tolse il telefonino dalle mani.
-Di nuovo ubriaco, Landers?-
“Price! Che ci fai a casa mia?”
-Jenny è ancora in hotel.-
“A fare cosa?”
-Doveva tornare a casa da sola a quest’ora?-
“Non farla muovere, stiamo passando a prenderla.”
Mark riagganciò e Benji le restituì il cellulare.
-Hai sentito?-
-Per forza, urlava.- lo guardò negli occhi -Non ricambierò il favore.-
-Sei più testarda di lui.-
   
 
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