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Autore: lightvmischief    12/05/2018    1 recensioni
Una ragazza.
Un gruppo.
La sopravvivenza e la libertà.
Le minacce e i pericoli della città, delle persone vive e dei morti.
Prova a sopravvivere.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO 11

CALUM

 

«Ho bisogno di ancora un po' di tempo.» risponde lei, muovendo la testa di lato.

Oh, lo so bene che ne hai bisogno, penso.

Sono rimasto sorpreso quando ha deciso di aprirsi con me e penso che lei lo sia rimasta quando io l'ho fatto con lei.

So che non si riferiva al fatto di aprirsi con qualcuno o di fidarsi di qualcuno – o almeno credo -, non è così semplice come sembra per lei.

«Ho capito.»

Due anni.

Scendo le scale.

Due anni da sola.

Percorro il corridoio.

Due anni che gli scheletri del passato, la sua famiglia, la rincorrono.

Entro in bagno.

Due anni a combattere quei mostri da sola.

Tiro un pugno al muro.

***

«Calum?»

«Sì?» Alzo lo sguardo dalla pistola che stavo caricando.

Wayne fa il giro del tavolo e si mette al mio fianco, copiando i miei movimenti.

«Tutto bene?»

«Come mai me lo chiedi?»

«Hai una faccia strana. E poi hai saltato il pranzo oggi.»

Appoggio l'arma sul tavolo.

«Non avevo fame» rispondo secco.

«Okay» ribatte, arrendendosi subito.

Sa come sono fatto e capisce che non ho voglia di parlarne. Wayne è stato il primo a cui mi sono legato di questo gruppo, forse perché era l'unico della mia età circa: Blaine e Lynton sono arrivati qualche mese dopo di me.

Travis è diventato come un padre dopo che il mio è morto una settimana dopo esserci uniti al suo gruppo.

«Settimana prossima usciamo» incalza il discorso Wayne, provando a tirarmi fuori qualche parola di bocca. Se c'è una cosa che non sopporta è troppo silenzio.

«Cosa dobbiamo prendere?»

«Cibo, sta finendo.»

Annuisco e passo a caricare i fucili.

«Credi che Travis lascerà venire anche Kayla?» riprende.

«Perché non dovrebbe?»

«Dopo quello che è successo l'ultima volta-»

«Non è stupida. Sa di aver sbagliato e poi Travis crede in lei, come ha fatto con tutti noi del resto» lo interrompo brusco. Non lo so perché, ma parlare di lei mi rende nervoso.

«Già.»

«Perché ti interessa così tanto di lei?» gli chiedo poi, curioso della sua risposta.

«Mi interesso di lei esattamente come fai tu, non negarlo» ribatte, lasciando cadere la pistola sul tavolo.

Ripeto il suo gesto e stringo la mano in pugno.

Serro la mascella e lo fisso per qualche istante negli occhi.

«Ho bisogno d'aria.»

Esco veloce dalla stanza.

Non so se abbia più bisogno d'aria o di una doccia fredda.

Non so cosa mi sia preso, non so perché me la sia presa così tanto per Wayne. In fondo, non ha detto niente di male. Ha solo detto la verità.

Eppure mi ha dato fastidio.

Alla fine, decido di entrare in bagno. Mi sciacquo la faccia con dell'acqua fredda, prendo un asciugamano e mi asciugo.

Mi guardo allo specchio: è da tanto che non lo faccio, un po' per questioni di tempo, un po' perché non ne sento più il bisogno come una volta.

Una volta mi curavo il viso molto di più di adesso, a partire dalla barba: ogni tre giorni mi radevo, mettevo il dopobarba per fare colpo sulle ragazze e funzionava sempre. C'è da dire che oltre al dopobarba faceva colpo anche il mio aspetto fisico e non posso dire che mi desse fastidio, alla fine era quello che cercavo anche io in una ragazza. Sono uscito con molte ragazze e la maggior parte non è durata per più di un mese. Sono state solo due le relazioni più lunghe che ho avuto.

Cerco di non pensarci troppo a come era la vita prima di tutto questo. Tutto era più facile, più tranquillo, più prevedibile. Non lo è più da quando i telegiornali hanno annunciato la “Fine del Mondo”. Da lì è iniziato il caos: gente che faceva i bagagli in fretta e furia, li buttava su una macchina e se ne andava in cerca di un posto più sicuro, gente che si barricava in casa dichiarando di essere pronta a tutto pur di non abbandonare la propria casa, gente che prendeva un filo e se lo legava attorno al collo.

Dopo la notizia, gran parte dei supermercati – quelli che ancora erano aperti e dove c'era ancora personale a lavorarci - hanno finito le scorte in poche ore e sono stati costretti a chiudere.

Il governo ha pensato bene di far dire un ultimo messaggio di incoraggiamento a tutti i cittadini, direttamente pronunciato dal presidente, prima di sparire completamente e ritirarsi in chissà quale bunker sotterraneo in chissà quale Paese.

A poco a poco la razza umana ha cominciato a dimezzarsi. La cosa spaventosa era che per le strade non c'erano cadaveri accasciati a terra: pochi minuti dopo il decesso riprendevano vita, ma con un aspetto diverso.

La prima volta che vidi uno dei Non-morti avevo diciotto anni, mi ricordo che era estate perché mi ero appena diplomato ed ero in giro a distribuire il mio curriculum a destra e a manca: non potevo permettermi di andare all'università, non avevo abbastanza soldi per pagarla e poi non avevo ancora le idee chiare sul cosa fare, allora decisi che la scelta più adeguata sarebbe stata quella di lavorare.

Era pomeriggio inoltrato, faceva caldo, decisamente. Entrai in un bar sulla quale porta c'era un foglio dove c'era scritto che cercavano personale. Andai al bancone: dietro c'era un uomo alto, avrà avuto trentacinque anni circa, aveva i capelli castani legati in un codino dietro alla testa. Stava servendo un ragazzo che era della mia età, lo vedevo spesso a scuola e poi l'ho visto alla cerimonia del diploma. Non sapevo come si chiamasse però.

Appena l'uomo mi vide mi salutò calorosamente e mi chiese cosa volevo da bere. Io gli mostrai il foglio che avevo tra le mani e, forse era proprio disperato, forse aveva visto qualcosa in me, mi disse che da lunedì avrei cominciato a lavorare. Io rimasi spiazzato e così cominciai a porgli mille domande sul perché mi avesse assunto senza aver fatto un colloquio; poi, però, capendo che non stava scherzando, cominciai a chiedergli le formalità sul lavoro. Lui, per tutta risposta, mi disse che il suo nome era Travis e che dovevo presentarmi lì il lunedì alle sette del mattino.

Incredulo, allora, lo ringraziai ed uscii dal suo bar.

Decisi di andare in spiaggia a fare una camminata, ci vivevo molto vicino e allora colsi l'occasione. Il sole splendeva forte in cielo, la sabbia era bollente e la temperatura dell'acqua era perfetta per una nuotata: tutto era perfetto, l'unica cosa era che non avevo indosso un costume.

Sulla via di casa notai che in mezzo alla strada c'era qualcuno: si muoveva come fosse percosso dalle convulsioni all'inizio, poi cominciò a trascinare i piedi sull'asfalto. Mi avvicinai, qualcuno doveva portarlo fuori dalla strada, altrimenti chissà che fine avrebbe fatto. Pensai fosse qualcuno che ci era andato pesante con l'alcool. Poi, però, riuscii a scorgere il suo viso: la pelle sembrava come bruciata però era di un colorito grigiastro come quella di un cadavere, gli occhi guardavano fissi davanti a sé e sembrava avessero come una patina addosso.

Doveva essere uno scherzo.

Non sapevo cosa fare, pensai che sicuramente ci doveva essere qualcuno dietro a questo, una qualche specie di troupe cinematografica, allora decisi di lasciar perdere e tornai a casa un po' scosso.

Feci appena in tempo a varcare la soglia di casa che subito mia sorella mi corse in contro, stava piangendo e mi stava urlando contro perché non rispondevo al cellulare, poi mi abbracciò. Mi disse che dovevamo andarcene.

Io non capivo. Cercai di tranquillizzarla ma non c'era modo. Corse su per le scale e mi disse di accendere la tv.

C'era il caos totale. Su qualsiasi canale girassi c'era un notiziario diverso, ma tutti con lo stesso titolo: “Stato di allarme”.

Presi qualche secondo per cercare di capire cosa stesse dicendo la giornalista e poi lo vidi: l'uomo in mezzo alla strada.

Non era uno scherzo.

La fine del mondo era iniziata.

La porta del bagno si apre con un leggero cigolio. Sbatto un paio di volte le palpebre e torno alla realtà.

«Oh, scusa, non volevo. Non mi sono ancora abituata, ho sbagliato porta.»

Kayla è già pronta ad andarsene, però esita qualche secondo prima di farlo.

«Va tutto bene?» mi chiede, il suo tono di voce un po' incerto.

È la seconda volta in una sola giornata che la vedo insicura e senza barriere.

È strano, fino ad ora ha sempre giocato la parte dell'insensibile con me, mi sembra quasi irreale parlarci senza che ci urliamo contro o che ci tiriamo frecciatine a vicenda.

Sta cominciando ad aprirsi, ma sono sorpreso che abbia scelto me per farlo.

«Cosa?» rispondo distratto, quasi dimenticandomi la domanda che mi ha appena fatto.

«Ti ho chiesto se andava tutto bene» ripete con un tono calmo, togliendo la mano dalla maniglia della porta e lasciandola cadere al fianco della sua gamba.

«Sì, diciamo di sì» rispondo dopo qualche istante.

Annuisce.

Apre la bocca per dire qualcosa, ma la richiude poco dopo. Comincia a giocare con le sue mani.

Non sa cosa fare.

Rimetto l'asciugamano al suo posto e mi avvicino a lei.

«Senti, so che io e te abbiamo iniziato con il piede sbagliato e non ci stiamo tanto simpatici, ma se hai bisogno di parlare o di altro sai dove trovarmi. Alcune volte è più facile farlo con persone che non si conoscono» dice tutto d'un fiato, quasi come se mi stesse rivelando un segreto.

Rimango spiazzato, esattamente come tre anni fa in quel bar.

Non so cosa dire, non me lo sarei mai aspettato da lei. O almeno non così presto.

«Grazie, ma non ho bisogno del tuo aiuto al momento.» Il mio tono esce più brusco e scontroso di quello che avrei voluto risultare.

La sua espressione si irrigidisce immediatamente.

«Suppongo di essermi sbagliata.»

Se ne va, chiudendomi la porta in faccia.

Grande.

   
 
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