Valentine
e Demelza riuscirono ad
arrivare al cancello che proteggeva l’antica casa dei Poldark
con estrema
difficoltà, tanto per lei quanto per lui, che non capiva a
cosa fosse dovuto il
dolore che la portava a stringere sempre più forte le redini
del calesse,
combinando quel gesto a delle urla soffocate, chiaramente trattenendosi
dal
lamentarsi ad alta voce per non farlo spaventare. Demelza
fermò il cavallo e
fece sì che il calesse si arrestasse proprio di fronte
all’elegante inferriata
dell’edificio, ma si accorse di avere le gambe bagnate
e dovette riconoscere
di essersi
cacciata davvero in un bel pasticcio.
“Valentine,
credo che tra poco potremmo
non essere più soltanto noi due qui
sopra…”
Il
bambino immaginò che si stesse
riferendo al piccolino che stava nella sua pancia, “Posso
chiamare la mia balia
e dirle di aiutarti oppure dimmi tu cosa posso fare. Ma non trattenerti
dal
voler urlare per me, se ti fa stare meglio fallo pure!”
Demelza
trovò la forza di sorridere,
“Grazie, tesoro. Credo che la cosa migliore da fare sia
avvisare qualcuno lì
dentro che c’è una donna che sta per partorire e
poi, se ti va, correre a
Nampara per ordinare a Prudie di alzarsi da quel maledetto letto e
avvisare
Dwight di venire immediatamente. Ti ricordi di lui, vero?”
Valentine
non se lo fece ripetere due
volte, si precipitò dentro casa spiegando tutto a Catherine,
la bambinaia
assunta da George per badare principalmente a Ursula, la quale corse
subito a
preparare la stanza degli ospiti per poter accogliere Demelza. Poi
dispose che
le cameriere preparassero acqua calda e asciugamani puliti e
successivamente si
fece accompagnare nel punto esatto in cui si trovava la partoriente da
un
Valentine sagacemente provvisto di torcia.
Demelza
fu lieta di vedere una donna
accorrere in suo aiuto e iniziò a tranquillizzarsi. Questo
era realmente l’ultimo
scenario che avrebbe mai potuto immaginarsi per la nascita del suo
quarto
figlio.
“Catherine
ti aiuterà, fidati di lei. E’
bravissima con noi, quindi ti lascio in mani sicure.
Vado…”
Tenendosi
appoggiata alla balia, Demelza
fece un passò in avanti verso di lui, “Non
lasciarti mai prendere dallo sconforto,
perché tu sei un bambino molto speciale e potrai contare
sempre su di me.
Grazie per tutto quello che stai facendo per noi, Valentine.”
Ross
si trovava ormai a metà strada
quando intravide davanti a sé una figura particolarmente
bassa avvicinarsi con in
mano una flebile luce per illuminare il suo cammino. Andava a passo
svelto,
come se scappasse da qualcosa o cercasse disperatamente qualcuno per
essere soccorso.
“Serve
aiuto?” Urlò per farsi sentire.
“Sì,
ma tu chi sei?”
“Piuttosto,
dimmi tu chi sei…” Ross
strinse gli occhi, cercando di capire se la voce che aveva sentito
appartenesse
davvero a quello che credeva un bambino.
Finalmente
arrivò il momento in cui furono
abbastanza vicini da riconoscersi a vicenda. Rimasero immobili a
fissarsi, poi
Valentine accennò un sorriso, “Ciao Ross, credevo
che non ti avrei mai più
rivisto…”
Ross
scese da cavallo e si avvicinò
ancora di più al piccolo, “Almeno ho trovato uno
dei due! Cosa ci fai qui da
solo e dov’è mia moglie?”
“Mi
ha mandato da Prudie per dirle di
avvertire il medico. Lei è una donna forte, ha anche provato
a resistere ma poi
ho dovuto chiamare Catherine perché stava troppo
male.”
“O
mio Dio! C’è per caso quell’imbecille
di Tom Harry a controllare Trenwith, questa sera?”
“No,
è ancora a Londra con mio
padre.”
Ross
soffiò sulla fiamma che Valentine
aveva con sé e, dopo avergli accarezzato la guancia, lo fece
montare sulla sella
e insieme corsero a Killewarren.
Demelza
era pronta a partorire suo
figlio, sdraiata sul letto di quella famosa stanza in cui lei e Ross
avevano
trascorso il primo Natale della loro vita coniugale. Nei momenti di
tregua il
ricordo della felicità di quel giorno, quando era incinta di
Julia e del
sollievo provato dopo aver annunciato a Ross la sua seconda gravidanza,
in
un’atmosfera natalizia tristemente più cupa della
precedente, contribuì a
ricaricare le sue energie in attesa di conoscere il nuovo bambino. Era
ai suoi
figli e a Ross che pensava durante le fasi più acute del
travaglio, all’amore
immenso che provava per loro.
Si
contorse nel letto e
afferrò con forza
le lenzuola, mentre la dolce Catherine faceva del suo meglio per
incoraggiarla
a non mollare, tenendole spesso la mano. Da lontano riusciva a sentire
il
pianto di Ursula, cui forse mancava la sua adorata tata, nonostante
qualcun altro la stesse accudendo nella sua cameretta. Sebbene le due
situazioni non
fossero paragonabili, Demelza ripensò alla notte in cui
Elizabeth morì dando
alla luce proprio quella piccolina che singhiozzava da lontano. La
storia del
parto prematuro di Elizabeth aveva delle falle piuttosto evidenti, ma
rimaneva
il fatto che la sua morte fosse un evento indicibilmente tragico e
immaginare
di poter subire la stessa sorte la fece spaventare parecchio.
“Signora,
mi da il permesso di
controllare a che punto siamo? Sono stata una levatrice in passato e ne
capisco
di queste cose. Lei mi sta dando l’impressione di voler
aspettare prima di iniziare
a spingere, ma se il bimbo vuole nascere…”
Demelza
scosse la testa, “Mi scusi, ma preferirei
aspettare che arrivi il mio amico. Avere un viso conosciuto mi
aiuterebbe di
più a calmarmi, però non pensi che non mi fidi di
lei, anzi la ringrazio
davvero…ahi, accidenti! Ma non so per quanto ancora posso
andare avanti così!”
Dwight
arrivò giusto in tempo perché la
scorta di sopportazione di Demelza non si esaurisse completamente. Il
medico fu
l’unico ad essere ammesso nella stanza, mentre Ross e
Valentine dovettero aspettare
nel corridoio. Pochi istanti dopo, il medico aprì la porta e
la socchiuse
nuovamente per parlare con Ross, “Hai sposato una donna
testarda, amico mio!”
Si rivoltò le maniche della camicia per poter procedere
più comodamente all’assistenza
della sua paziente.
“Lei
sa che sono qui?”
“Dai,
sbrigati ad entrare! Tra non molto
sarai di nuovo padre…”
Dwight
rimase con Valentine e lo esortò
ad andare nella camera di Ursula, ma lui protestò per
rimanere. Allora Ross gli
disse che sarebbe tornato da lui non appena avesse finito di parlare
con
Demelza. Anche lui fu sommerso da tanti ricordi, memorie dolorose di
un’ultima
notte trascorsa in quella stanza con il peso della
responsabilità di avere un
altro figlio da crescere e il dubbio di non aver ancora smesso di
desiderare la
moglie di suo cugino.
Inizialmente,
Demelza non lo vide perché
teneva gli occhi chiusi per rilassarsi. Catherine gli cedette il posto
e allora,
temendo di rimanere sola, aprì istantaneamente gli occhi
provando un incredulo
piacere nel riconoscere l’uomo che le stava accanto,
“Ross…lo so quello che
pensi. Hai tutto il diritto di essere furioso con me.” Si
inumidì le labbra
secche con la lingua e pregò l’anziana governante
di darle un bicchiere d’acqua.
Ross
le sistemò i capelli scompigliati e
la baciò intensamente sulla bocca, “Tu non
immagini quante cose spiacevoli
vorrei dirti, ma adesso hai una scusa più che sufficiente a
convincermi di
rimandare a un momento più opportuno.”
Demelza
cercò la sua mano e intrecciò le
dita nelle sue, “Ti amo, Ross.”
“Ci
credo, perché so di amarti allo
stesso identico modo. Coraggio, c’è una nuova vita
che freme di nascere e tu
glielo stai impedendo…”
Dwight
fu costretto a interrompere i loro
prolungati scambi di effusioni per evitare che il feto ne risentisse,
“Ora devi
andare. Ci penso io a questi due!”
Ross
e Demelza si guardarono per
un’ultima volta sorridendosi a vicenda, poi lui
tornò da Valentine e lei consentì
finalmente a Dwight di intervenire per aiutarla a partorire, dal
momento che le
spinte erano diventate ormai inevitabili.
Valentine
finse di non accorgersi che
Ross stava piangendo, mentre si accomodava accanto a lui su un
divanetto
attaccato alla parete del corridoio.
“Come
sta?” Chiese il piccolo.
“Meglio
di quanto mi aspettassi, grazie a
Dio! Dobbiamo tutto a te, Valentine.”
“Ho
semplicemente ricambiato il favore
che tu mi hai fatto e quindi adesso siamo pari. Se mio padre non ti ha
nemmeno
ringraziato per avermi salvato la vita, tocca a me rimediare ai suoi
errori.
Penso che anche la mia mamma lo avrebbe fatto.”
Elizabeth,
quel nome risuonava in continuazione
nella testa di Ross da quando aveva nuovamente messo piede nella casa
in cui l’aveva
vista per l’ultima volta. Tuttavia, l’immagine di
Elizabeth che custodiva ancora dentro
di sé non aveva niente a che vedere con il suo corpo inerme
adagiato su un
letto di morte, tutt’altro: era un’immagine senza
tempo e senza spazio, costruita
sul ricordo della freschezza indimenticabile del primo amore e della
bellezza che purtroppo aveva portato via con sé. Ross, come
Valentine, aveva
dovuto dire addio a sua madre quando era ancora un bambino e vivere
facendo a
meno di una delle figure più importanti della sua vita, ma
di certo non aveva
avuto anche la sfortuna di avere un padre come George.
Di
fatto, Valentine aveva già una vita
molto diversa da quella che lui aveva vissuto, eppure
l’esperienza di avere un
padre come Joshua gli era valsa tutto il prezzo della
povertà , se confrontata
a un’esistenza patinata e vuota di contenuti fondamentali,
come la generosità,
il rispetto, la clemenza e l’amore. Come sarebbe diventato da
grande quel
bambino? Se in lui scorreva il suo stesso sangue e quello di Elizabeth,
almeno
in teoria, non avrebbe dovuto preoccuparsi più di tanto, ma
la sensibilità dei
bambini risente dell’influenza degli adulti che stanno loro
accanto, non deriva
soltanto dalla genetica.
“Un
tempo io e tua madre eravamo molto
amici, poi siamo addirittura diventati parenti. Ti dico questo
perché se ti
interessa sapere qualcosa di più su di lei io potrei
raccontarti delle storie,
nelle rare occasioni che avremo di incontrarci in futuro. Penso che tu
abbia
capito che io e tuo padre non andiamo per niente
d’accordo…”
Il
bambino annuì, tenendo gli occhi
bassi, “Sì, lo so. Quando domani saprà
cosa ho fatto si arrabbierà moltissimo
con me e con Catherine.”
“Deve
proprio saperlo?” Gli fece
l’occhiolino.
Ci
fu un silenzio improvviso che allarmò
entrambi. In realtà Demelza era stata discreta nel
manifestare il dolore atroce
che stava affrontando, ma Ross sapeva precisamente quale significato
attribuire
a quella quiete. Dwight, infatti, apparse poco tempo dopo sereno e
felice, accompagnato
dalle urla del neonato che aveva aiutato a far nascere.
Ross
scattò in piedi, mordendosi le
labbra per trattenere l’emozione,
“Allora?”
“Credo
che Clowance non ne sarà
entusiasta. Posso congratularmi con il papà della bellissima
bambina che è
appena nata?”
Valentine
rimase seduto sul divanetto, con
un’espressione di sollievo enorme. Dwight si intrattenne di
nuovo con lui
intanto che il neo papà andava a conoscere la sua piccolina.
“Dwight
te l’ha detto?” Demelza si
illuminò in viso nel vederlo entrare lì dentro.
“Cosa
posso dire? E’ una vera Poldark, nata
casualmente nella più antica casa rappresentativa della mia
famiglia. Posso salutarla
oppure la vuoi tenere tutta per te?”
Demelza
aveva un’aria pacifica ed esausta
al tempo stesso, pur rimanendo incantevole come sempre.
Consegnò la bambina al
suo papà, invitandolo a sedersi vicino a lei.
“Mi dispiace che i bambini non possano vederla subito. Sarei molto felice se tu andassi a prenderli…”
"Valentine mi ha
detto che George dovrebbe tornare domani, quindi perchè no?"
Ross
sfiorò con un dito il nasino di sua
figlia, accorgendosi di quanto già gli somigliasse. Questa
analogia non sfuggì
neanche a Demelza, “Suppongo che tu stia godendo immensamente
in questo
momento. Dopo Clowance, bramavi una femminuccia identica a te, negalo
se ne hai
il coraggio!”
“Hai
detto bene, mi compiaccio
immensamente di questa cosa. Ma come faccio a non amare anche una
bambina che è
identica alla donna che amo oltre ogni cosa al mondo?”
“Ed
io un bambino che è spiccicato a suo
padre. Jeremy sarà sempre la mia gioia…”
Demelza
sospirò e appoggiò la testa sulla
sua spalla, “Valentine è straordinario, Ross.
Spero che tu lo riconosca, dopo
quello che è successo.”
“Sfortunatamente
è impossibile cambiare quello
che sarà il corso della sua vita, lo sai..”
Demelza
si lasciò sfuggire una lacrima
amara, “Non oso chiedere tanto, ma posso dirti che
cercherò in qualsiasi modo
di aiutarlo qualora ne avesse bisogno. Per quanto possa sembrarti
impossibile.”
Ross
sorrise sarcasticamente, “No, non ho
bisogno di garanzie per sapere che quando ti ostini a fare una cosa,
nemmeno la
ragione può farti cambiare idea...” La
baciò con intenso trasporto, dimenticandosi
di tutta l’angoscia che aveva provato una volta scoperto il
suo folle piano e
le conseguenze che ne erano scaturite.
“Ti
va che sia lui il primo a vedere nostra
figlia?” Come c'era da aspettarsi la sua risposta fu
affermativa, dunque Ross rimise
la neonata tra le braccia di Demelza, sforzandosi di staccarsi da lei,
ormai
perdutamente innamorato di quel pulcino.
“Aspetta,
non le abbiamo ancora dato un
nome!” Ross si fermò sull’uscio della
porta.
“Io
sono del parere che possa provarci
anche lui. Chiamalo, potrebbe proporre qualcosa di
inaspettato.”
Ross
lanciò un’occhiata nel corridoio, pur
rimanendo nella stanza. Vide che Valentine aveva cambiato completamente
il suo
stato d’animo e questo lo indusse a nutrire per lui un
affetto che non aveva
mai provato prima.
“A
Demelza farebbe piacere presentarti la
nostra bambina.” Gli fece segno di avvicinarsi e, quando il
piccolo si ritrovò
a un passo da lui, lo prese per mano per introdurlo nella stanza. Quel
semplice
gesto inondò Ross e Valentine di un’inaspettata
felicità.
“Ciao,
avvicinati ancora di più…da lì non
riesci a vederla bene.” Demelza allungò una mano
per convincerlo a sfidare la
sua paura e toccare la neonata, per dimostrargli che avrebbe superato
quella
prova egregiamente, senza forzature ma con la più ferma
convinzione che, in
pochi istanti, lei sarebbe riuscita a fargli cambiare idea su quanto
aveva
detto a Killewarren.
La
dolcezza con cui Demelza si rivolse a
lui lo spinse a fidarsi di lei e a sistemarsi sul letto per apprezzare
meglio l’incanto
del prodotto del loro amore, “Quindi ci è andata
bene, per fortuna!” Posò un bacio
sulla fronte della bambina, come se fosse sua sorella.
“Certo!
Soltanto per merito tuo,
Valentine. Sei ancora troppo piccolo per capire quanto sia importante
quello
che hai fatto in modo che accadesse oggi, in questa casa fonte di
ricordi
infelici e meravigiosi al tempo stesso…”
Valentine
si rivolse a Ross, “Spero di
avere la fortuna di incontrarvi di nuovo. Salutatemi Clowance e Jeremy
e dite
loro che mi hanno dato tanto nel poco tempo in cui ci siamo conosciuti
e che mi
piacerebbe che mantenessero una buona opinione di me, anche se non
dovessimo
vederci per mesi o addirittura per anni.” Fece per andarsene,
ma Ross lo fermò.
“Questa
piccola peste non ha ancora un
nome. A te come piacerebbe che si chiamasse?”
Valentine
si portò un dito alla bocca,
riflettendo attentamente su cosa dire, “Quando ho aperto il
libro che mi ha
dato Clowance, sono stato catturato subito dal titolo di una favola.
Magari è
un segno, non lo so, ma
ha
qualcosa a che vedere con il nome della mia mamma, in un certo
senso…”
Ross
sbiancò per l’eventuale reazione di
Demelza, sicuro che non avrebbe mai accettato di chiamare sua figlia
come
l’amante di suo marito. Tuttavia, Demelza non si scompose e
incoraggiò
Valentine a continuare.
“La
storia si intitola: ‘La rosa di
Isabella’ "
Demelza
contemplò
la creatura che aveva
in braccio e dichiarò con entusiasmo,
“Sì, Isabella
è una bellissima variante di Elizabeth e io amo le
rose, non è vero Ross? Mi ricordano una vecchia canzone che,
tanto tempo fa,
dedicai all’unica persona di cui mi sono davvero innamorata
nella
mia vita.”
“Isabella
Rose suona bene.” Disse Ross,
emozionato e quasi sul punto di piangere di nuovo.
Da
quello sguardo lucido, Demelza riuscì
a capire cosa stesse pensando e sentì il bisogno di dargli
una spiegazione, “Ross,
nella vita tutto si trasforma. Per te questo nome sarà
l’inizio di una definitiva
forma di accettazione e di evoluzione dell’amore che provavi
per lei, mentre
per noi sarà la conferma del sentimento che ci
legherà per sempre e che, grazie
alle tempeste più burrascose che abbiamo superato, si
è fortificato sempre di più.
Se ci pensi, Isabella Rose è la sintesi perfetta della
nostra storia d'amore.”