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Autore: Miss Dumbledore    21/05/2018    1 recensioni
“Più un cuore è vuoto e più pesa."
—Augusta Amiel-Lapeyre

Una ragazza ricca e tradita fin troppe volte, sfiduciata e arrabbiata nel profondo nei confronti degli uomini.
Un gigolò che si destreggia fra le donne più facoltose e sole della città usando il suo charme e il suo corpo come fonte di guadagno.
Lei che si sente un involucro vuoto.
Lui una cosiddetta “puttana di alto bordo”.
Come si incroceranno le loro strade? Cosa c'entrano i loro mondi l'uno con l'altro e cosa li ha portati a incrociarsi quando sono solo i soldi ad accomunarli?
Lei, non la classica bella ragazza, una bellezza discreta dai lineamenti particolari.
Lui affascinante, ferino e decisamente gettonato fra le signore; il classico uomo da ormone impazzito.
Lei con un carattere forte e un cuore che sembra essere stato asportato gli fa una proposta.
Superficialità e un viaggio interiore intrapreso dalla porta di servizio s'incrociano per arrivare alla stessa destinazione.
"Aprì gli occhi di scatto e incontrò i suoi, così blu da affogarvici dentro."
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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#07 – POWDER ;

Fantasmi e Orme.




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Questa è la vera natura della casa: il luogo della pace; il rifugio non soltanto da ogni torto, ma anche da ogni paura, dubbio e discordia."
John Ruskin, “Sesamo e gigli"

Avevano fatto sesso fino a tarda notte, con lei che gli affondava le unghie nella schiena, lo mordeva, lo stringeva. Aveva tenuto gli occhi chiusi per quasi tutto il tempo o aveva trovato altri modi per non incrociare il suo sguardo che in quei rari momenti la guardava come se potesse carpirle ogni più oscuro segreto.
L'aveva pagato e se n'era andato senza quasi aprire bocca, era la prima volta da che lei ricordasse in cui lui non le aveva domandato nulla. Non che la cosa la infastidisse, quella sera l'ultima cosa che le serviva era parlare si sé stessa.
Il giorno dopo, l'arrivo della governante con la spesa le ricordò quanto fosse imminente il ritorno della sua famiglia e, di conseguenza, la perdita di un luogo comodo per poter vedere Ian.
Di Hotel ―che fossero a ore o costosi― non se ne parlava nemmeno, giravano troppi coniugi infedeli della cerchia dei suoi genitori perché non la riconoscessero, in più lei era ancora minorenne avrebbe rischiato in ogni caso che qualcosa andasse storto. Mentre rifletteva sul da farsi la soluzione le si presentò davanti agli occhi, appesa ad un chiodo vicino allo specchio sopra il suo comò.
Ora non le restava che preparasi al fatto che di lì a poche ore la casa non sarebbe stata più vuota e silenziosa.


~*~


Domani sera, alle 23:30, a questo indirizzo."
Quando gli arrivò il messaggio della ragazza per un momento pensò che avesse sbagliato a dargli la via, per quando ne sapeva quel quartiere –per quanto fosse vicino al centro storico della città in cui un monolocale costava una fortuna– era abitato perlopiù da immigrati e gente con pochi mezzi. La loro città era il classico esempio di contrasto fra ricchezza e povertà, quei due quartieri in cui il panorama cambiava svoltando un angolo ancor prima che te ne accorgersi ne era la prova.
Nonostante questo la sera dopo si presento puntuale e suonò il campanello che gli era stato detto, che era l'unico con la targhetta bianca.
«Mel?»
«Ultimo piano, l'ascensore non funziona.» gli rispose la sua voce distorta dal vecchio citofono gracchiante.
Era un palazzo di quattro piani, scoprì arrivando ad un pianerottolo che dava su un'unica porta lasciata socchiusa
Entrò senza bussare e la trovò seduta sul davanzale di una finestra, aspettava rivolta verso la porta, con le ante aperte alle spalle da cui entrava l'aria fredda della notte.
«Non mi sarei mai aspettato un posto del genere da te.» esordì chiudendosi la porta alle spalle a cui era attaccato un mazzo che conteneva tre chiavi.
«Perchè?» inarcò un sopracciglio la ragazza dondolando leggermente i piedi.
«Bhe non sembra proprio il tuo stile dopo aver visto casa tua.» scrollò le spalle mentre la sua voce rimbombava nella stanza vuota. C'era solo un angolo cottura spoglio contro il muro alle sue spalle e parecchia polvere.
«Anche questa è casa mia.» il tono in cui lo disse, con semplicità disarmante uguale a quella di un bambino che pronuncia un'ovvietà che gli adulti si ostinano a negare lo lasciò ammutolito per qualche istante.
Lei scese dal davanzale con un piccolo balzo che rimbombò fra le mura vuote e si diresse verso il piccolo corridoio separato da quella stanza solo da una vecchia tenda di perline di legno
«Vieni, non abbiamo tutto il tempo del mondo.» lui la seguì fino a quella che sembrava una camera da letto che sembrava l'unica stanza abitata della casa, con un letto da una piazza e mezza rivestito con delle lenzuola evidentemente nuove di zecca. Le buste vuote che le avevano contenute spuntavano da un sacco nero in un angolo.
«Ci vieni spesso qua?» non si poté trattenere da chiederle
«No, sono venuta qua un po' prima per sistemare.» rispose distrattamente mentre si sedeva sul letto un po' scricchiolante. «Ora basta parlare.»
Con quella frase gli fece capire che altre domande non sarebbero state ben accette. Le si avvicinò mentre altri tasselli di lei, nuove sfumature gli turbinavano davanti agli occhi.
Se all'inizio si era presentata come una ragazzina ricca e viziata ogni cosa che scopriva di lei tendeva a cambiare quella versione così superficiale.
Capì che quello che intuiva mentre facevano sesso erano solo l'eco di una persona completamente diversa da quella che era ora, una ragazza viva.
Che lei era esattamente quella casa spogliata da ogni avere sulle cui pareti rimanevano indelebili le tracce dove una volta c'erano mobili e quadri. Tracce su cui nessuno si era dato la pena di passare una mano di vernice nuova, come se quel l'involucro vuoto non contasse più niente, come se, dopo tutto, andasse bene così.
Quando lei si accese una sigaretta guardando il soffitto silenziosa non poté frenarsi.
«Così questa casa è tua?»
«In realtà è di mia madre.» ermetica come sempre.
«Però ci hai vissuto anche tu?» insistette testardo come sempre.
«Sì.»
«A vederti non sembrerebbe proprio.» gli sfilò la sigaretta dalle mani tentando di velare sotto il tono leggero la malinconia che percepiva.
«Vero?» non capiva bene a cosa doveva quella nube di tristezza che lo aveva assalito tutto d'un tratto, pensando al passato di quella ragazza che con un'unica parola era riuscita a comunicare sentimenti contrastanti. Quel tono stanco con cui l'aveva detto, a cavallo fra l'ironico e il nostalgico.


~*~


Aveva dovuto vederlo anche quella sera, anche se per poco, perché quella casa la soffocava, così piena di voci e rumori da essere assordante. Rientrando riuscì quasi a sentire il respiro della sua famiglia attraverso le pareti, il peso di altre vite in quella casa.
Per sua fortuna erano arrivati sul tardo pomeriggio, devastati dal viaggio e poco reattivi. In poco tempo la casa era tornata silenziosa, non senza aver sentito prima i commenti di sua madre sul fatto che la vedeva deperita e che sperava avesse fatto ciò che doveva dato che la scuola era vicina.
Suo fratello era stato il primo a rinchiudersi in camera sua, probabilmente a riguardare e sistemare le foto al computer con le cuffie nelle orecchie.
Dopo un'oretta si erano dileguati anche sua madre e Francesco, dopo che avevano rischiato di addormentarsi più volte sul divano.
La loro sola presenza sonnacchiosa sul quel divano la disturbava, si era talmente abituata ad avere i propri spazi che ora impazziva a dividerli con le uniche persone per cui provava ancora qualcosa di più della pura indifferenza. Eppure era andata all'appuntamento con Ian, non aveva potuto fare a meno di dividere uno spazio ancora più angusto e intimo con lui per dimenticarsi di sé stessa per qualche istante in più.
Aveva riaperto la porta a vecchi fantasmi senza ripensamenti.
Non aveva degnato di uno sguardo le tacche sullo stipite della cameretta in cui rimaneva spoglio lo scheletro di un letto a castello dell'IKEA a cui era rimasto appeso un acchiappasogni spelacchiato e pieno di polvere preso ad un Tutto a un € 1,00 anni prima. Si era diretta veloce alla camera da letto che una volta era dei suoi genitori, il letto aveva le gambe tagliate perché da piccola lei aveva la brutta abitudine di lanciarsi per terra di faccia. Aveva sbattuto il vecchio materasso, facendogli prendere aria e poi rivestirlo con lenzuola nuove di zecca.
Alla fine non le restava che aspettare, seduta sul davanzale di quella che una volta era stata cucina, sala da pranzo e salotto senza poter fare a meno di paragonare quell'appartamento dalle mura spoglie a sé stessa. Quando Ian aveva suonato aveva tentennato, quasi per paura che fosse qualcuno delle sue vecchie conoscenze ad aver suonato vedendola entrare. Ma se c'era una cosa in cui era brava era tagliate i ponti senza guardarsi indietro, facendo in modo di farsi terra bruciata dietro di sé.
Ora che era di nuovo nel suo letto non poteva fare a meno di pensare che forse era stata anche fin troppo brava.



Il tempo passò anche troppo velocemente e le vacanze natalizie finirono, con il conseguente ritorno alla normale vita scolastica per rivedere le solite facce, alcune abbronzate nello stesso identico modo di suo fratello a causa della neve, altre perché erano state in qualche isola esotica. Ognuno aveva qualcosa da raccontare, qualcosa da dire di troppo importante per poterselo tenere per sé. In un attimo si ritrovò infastidita nella solita routine, circondata dalla solita gente.
La prima settimana passò senza che chiamasse Ian, troppo presa a riprendere il ritmo sia a scuola sia a casa. Doveva riabituarsi ai rapporti con la sua famiglia, con i compagni di classe.
Quando arrivò il week-end non poté fare a meno di uscire con Elisa che le aveva chiesto se avrebbe raggiunto lei, altre sue amiche ed il fratello ad un bar di universitari in centro. Non poteva farne a meno perché la sua vacanza in solitudine aveva messo in allarme la madre che stava sempre sull'attenti, pronta a cogliere ogni segno di malessere della figlia.
Così si era ritrovata in un bar in cui si stava svolgendo un torneo di birra-pong nella sala più grande, mentre nell'altra la musica era sparata a mille manco fosse stata una discoteca. Un miscuglio mal riuscito fra un locale fighetto e baretto di quartiere.
Era stata ventilata l'idea di andare ballare più tardi e si era ritrovata a sperare ardentemente che succedesse, piuttosto che rimanere lì con un drink in mano senza possibilità di allontanarsi facendo finta di capire cosa le stessero dicendo.
Il non fare sesso da una settimana forse l'aveva inacidita più del dovuto, pensò mentre si defilava fuori per fumare l'ennesima sigaretta. O forse era semplicemente il contatto umano non richiesto a cui si sottoponeva, torturandosi da sola per amor delle apparenze.
Appoggiata al muro, con il secondo o terzo drink annacquato in mano e i piedi che cominciavano a protestare costretti nelle scarpe alte si mise ad osservare i gruppi più disparati che passavano da quelle parti. Il centro era pieno di ragazzi: dai classici metallari, ai fattoni a quelli che giravano abbracciati già ubriachi a metà serata con una bottiglia in mano cantando in coro. Quelli erano tutti di passaggio da quella zona che costava troppo piena di figli di papà, che la circondavano. Lei era una di loro, anche se una volta aveva fatto parte di quelle compagnie di sbandati ora era in un giro diverso. Uno in cui all'erba si sostituiva la cocaina, ai jeans strappati vestiti firmati, ai cori le chiacchiere su qualcosa di costoso appena uscito che sarebbe stata presto loro. Quel mondo era così perfettamente vuoto e scintillante che sembrava esserle stato cucito addosso su misura, rifletté schiacciando la sigaretta e rientrando, decidendo che sarebbe andata a fare un po' il tifo per Luigi e i suoi amici ad uno dei tavoli.
Erano tutti già piuttosto ubriachi, Luigi aveva una cravatta legata attorno alla fronte che non aveva idea da dove fosse spuntata fuori e si preparava ad un lancio, concentrato al massimo delle sue capacità.
Quando centrò per miracolo il bicchiere degli avversari era più incredulo lui dei suoi amici che gli saltarono addosso esaltati.
«Hey Amelia, sei te che mi hai portato fortuna?» le si lanciò incontro appena la vide, mettendole un braccio attorno alle spalle.
«Non sei il primo a dirmelo.» fece un mezzo sorriso.
«Bene, allora prenditi una sedia e resta qua, o mia dea della fortuna!» fece un piccolo inchino dimostrandosi molto più sobrio di quanto sembrasse.
Prese una sedia che le era stata passata da un altro ragazzo e si sedette vicino a loro. Solo in quel momento posò lo sguardo sugli sfidanti trovandosi davanti quegli occhi blu che sfavillavano divertiti. Si bloccò all'istante, senza avere né il coraggio né la voglia di spezzare il contatto visivo. Non aveva nemmeno guardato con chi era, cosa stava facendo, era semplicemente stata pietrificata da quello sguardo blu così fuori luogo quando lei era in quelle vesti e lui nella sua vita normale. Lui ammiccò nella sua direzione con un sorrisino poi venne distratto da un ragazzo poco più alto di lui e con molta massa muscolare che gli posò una mano sulla spalla facendolo voltare dopo aver indugiato ancora una frazione di secondo nella sua direzione
La perdita di contatto visivo la fece riavere e cercò di lasciarsi coinvolgere quanto possibile dalla conversazione dei ragazzi, lanciando qualche occhiata ogni tanto dall'altro capo del tavolo quando pensava di non essere vista.
Non l'avrebbe mai ammesso, ma era curiosa. Curiosa di come trascorresse le sue serate quando non lavorava, chi frequentasse, chi fosse lui.
Rideva e scherzava allegramente con i suoi coetanei, beveva quando gli toccava. Era normale, un normale ragazzo in un normale sabato sera. Non capiva perché, ma quella cosa la infastidiva parecchio. Era come se la sottile connessione che non sapeva nemmeno di sentire con lui si fosse spezzata.
Si alzò di colpo e senza dire nulla a nessuno uscì di nuovo a fumare. La porta si aprì e si richiuse poco dopo che lei aveva acceso la Lucky Strike.
«Sai che se continui a fumare così tanto morirai a trent'anni?» la sua voce familiare era così fuori contesto.
«Amen.» rispose dura lanciandogli un'occhiata scocciata.
«Guarda che non ti sto stalkerando, il torneo di birra-pong attira parecchia gente.» le si parò davanti con disinvoltura. I vestiti erano gli stessi, i capelli spettinati, il viso, gli occhi brillanti— ma tutti nel contesto sbagliato. Non aveva mai notato quanta vita sgorgasse fuori da lui, quanta luce. Era lo stesso di sempre, ma era come se lo vedesse per la prima volta. Così diverso da lei da irritarla
«Infatti non l'ho pensato nemmeno per un istante.» non riuscì a nascondere l'irritazione.
«Mhm, sarà.. » inarcò un sopracciglio mentre la studiava per qualche istante. «Allora anche tu hai degli amici, se me l'avessero detto non ci avrei mai creduto.»
«E infatti avresti fatto bene, sono solo dei conoscenti.» fece un lungo tiro dalla sigaretta fissandolo di rimando.
«Allora sei fredda ed insensibile indiscriminatamente. Poveri loro, sono sicuro che pensino di aver creato un legame.» sorrise divertito.
«Io sono sempre io e nessuno gli ha detto di pensarlo.
«Mi correggo, stasera sei più gelida del solito.»
«Non so di che parli.»
«Invece io penso di sì» continuava a sorridere come se niente fosse, guardandola come se capisse tutto di lei. Gettò la sigaretta fumata per metà per terra con un po' troppa energia fulminandolo con lo sguardo.
«Tu pensi un po' troppo.» e con questo rientrò con passo deciso nel locale.
Lui la seguì come se niente fosse e raggiunse i suoi amici, un tizio muscoloso lo avvicinò dopo averle lanciato un'occhiata interessata e si mise a discutere con lui. Vide Ian scuotere la testa con un mezzo sorriso che sembrava un po' mesto.
Quando raggiunse Luigi e i suoi amici ne vide uno quasi collassato su una sedia.
«Ne avete perso uno vedo.» commentò non appena fu abbastanza vicina da essere sentita.
«Amy, dov'eri sparita?» le buttò un braccio attorno alle spalle Luigi vistosamente brillo. «Comunque sì, credo che Gio sia definitivamente KO. »
«A fumare.» indicò con il pollice l’uscita alle sue spalle. Lanciò un'occhiata all'altro capo del tavolo dove i ragazzi ridevano e Ian le lanciava qualche occhiata sottecchi studiandola. «Vi serve un cambio?» la proposta le scivolò fuori dalle labbra in un attimo, mentre non staccava gli occhi dal moro.
«Davvero? Non ti facevo una tipa da giochi!» le sorrise il ragazzo.
«Non lo sono infatti, arrivo subito.» rispose facendo una smorfia per poi scrollarselo di dosso ed andare a convincere l'arbitro che la sua entrata poco lecita in realtà lo era eccome.
Un attimo dopo aveva tirato su le maniche della giacca di pelle e si era appropriata di una pallina.
Si alzò qualche protesta dal gruppo di Ian quando la videro pronta a lanciare.
«Andiamo, se la principessina vuole giocare perché impedirglielo?» intervenne Ian lanciandole una strana occhiata.
«Perchè devi distruggere i miei sogni per farti bello?» protestò il ragazzone.
«Non l'ho detto per fare colpo, non ne ho bisogno. E poi il tuo sogno è davvero una fornitura di birra per un anno?»
Amelia si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo spazientita. Certo che non doveva fare colpo, lo pagava già per farci sesso.
«Non faresti colpo comunque, ora possiamo iniziare?» sentì i ragazzi alle sue spalle ridacchiare e Luigi esclamare sonoramente un apprezzamento che ignorò bellamente, intenta a fissare il moro con sfida.
«Se hai tanta fretta di perdere..» lasciò in sospeso la frase l'amico di Ian che non degnò nemmeno di una risposta lanciando con quanta più sicurezza potesse ostentare. Non aveva mai avuto una particolare mira, quindi era tutta una questione di culo e del tasso alcolico nel suo sangue decisamente più basso degli altri partecipanti. No, okay, era solo questione di culo, pensò quando vide la pallina di plastica centrare il bicchiere. Si sentì pervadere dalla soddisfazione mentre Ian non distoglieva lo sguardo da lei bevendo.
Luigi la prese da dietro abbracciandola e sollevandola esuberante facendola irrigidire come un pezzo di legno. Non aveva il permesso di toccarla, non doveva, non poteva. Si vide quasi specchiata negli occhi blu nella penombra che la osservavano infastiditi. In un attimo riprese il controllo di sé e con qualche colpetto alle braccia abbronzate che le circondavano la vita e un sorrisetto falsissimo lo incitò a metterla giù.
Continuarono fino a mezzanotte e mezza, quando la partita si concluse a favore degli avversari. Chi non era crollato era piacevolmente ubriaco o brillo, ma era impossibile trovarne uno sano. Le ragazze erano venute a fare il tifo poco dopo che lei aveva iniziato e ora si mettevano d'accordo coi ragazzi su quale discoteca sarebbe stata la loro successiva destinazione.
In quanto a lei era più occupata a lanciarsi occhiate con Ian, come avevano fatto per tutto il tempo, studiandosi, sfidandosi in continuazione. La tensione sessuale era palpabile e lei era abbastanza brilla per accettarlo.
Si allontanò di poco e scrisse un breve messaggio, poi sollevò lo sguardo dallo schermo trovando il suo, accompagnato da un ghignetto mentre tirava fuori il cellulare dalla tasca il cellulare, sbloccava lo schermo e poi lo sollevava sventolandolo come una prova che la inchiodava. Poi annuì e basta.
Quello bastò per farla ritornare alla sua compagnia e avvertire che sarebbe tornata con un taxi a casa prima. Quando uscì facendo finta di chiamarlo lui la raggiunse.
«Andiamo assieme, la mia macchina è di qua.» l'affiancò poggiandole una mano sulla schiena senza nemmeno fermarsi. Lei si lasciò guidare, comprendeva la sua fretta, era meglio che non li vedessero lasciare il bar assieme, un conto era che lo immaginassero, un conto era che li vedessero. Non sapeva quanto del suo lavoro sapessero i suoi amici e un po' era curiosa, a dire il vero, di che cosa dicesse in giro. Cosa sapessero di quel lato di lui che conosceva così bene.
Anche se, a dire il vero, agli occhi degli spettatori di quella sera sarebbero sembrati semplicemente due ragazzi che si erano incontrati in un bar e dopo qualche birra lo avevano lasciato assieme.
Due ragazzi normali, che facevano qualcosa di assolutamente normale.
Dopo pochi minuti in assoluto silenzio arrivarono alla macchina. Vide le luci dei fari sfarfallare stava per aprire la portiera quando si sentì prendere e spingere contro l'auto. Gli occhi blu sembravano quasi neri nella luce opaca dei lampioni, le pupille così dilatate da sembrare un gatto.
Rimase a qualche centimetro dalle sue labbra per una frazione di secondo, per poi attaccarle con violenza, mordendola mentre con le mani scorreva lungo i suoi fianchi alzandole il vestito di velluto corto che la fasciava. Di rimando lei non si accorse nemmeno di come fosse finita ad alzare la gamba destra per incastrarla con la sua. Quella passione che era scoppiata tutto d'un tratto la travolse scuotendo ogni sua terminazione nervosa, l'approccio di lui, i brividi non più dovuti alla fredda notte di Gennaio, ma al suo calore che la soffocava mentre lasciava una scia di baci e morsi umidi sulla sua giugulare.
«Fermati.» gli sospirò in un orecchio affondandogli le unghie nella spalla per recuperare la concentrazione.
«Cosa?» il tono perplesso la fece sorridere, sembrava la desiderasse davvero, a prescindere dai soldi, da tutto.
«La casa―» riprese fiato, « è qua dietro, ci arriviamo a piedi.» si spiegò guardandolo finalmente di nuovo negli occhi.
«Oh, vero.»
«Andiamo.» lo spostò con delicatezza sistemandosi il vestito e cominciando a camminare. Nonostante da lì la strada sarebbe stata brevissima, loro la allungarono di parecchio, perché si fermavano quasi ad ogni parete incapaci di trattenersi. Probabilmente era la settimana di astinenza per lei, l'alcol per lui, ma quando arrivarono finalmente alla casa consumarono il primo amplesso contro la porta d'entrata che avevano sbattuto con violenza dietro di loro. Sembravano divorati da una febbre incontenibile, mentre ancora per metà vestiti riprendevano fiato l'uno contro l'altro.
Sul letto si presero il loro tempo, assaporando ogni istante, ma spogliandosi con frenesia.
Solo quando sentiva la sua pelle contro la propria, le sue mani che la veneravano in una danza che uomini e donne fin dalla notte dei tempi, smetteva di sentirsi un ammasso di effetti collaterali e macerie, ma solo una ragazza. Anzi, una donna.
Smetteva di fingere, fingere che le importasse di qualcosa
La paura di essere feriti lentamente si era trasformata nel terrore di poter fare altrettanto male a chi provava ad amarla. E, così, lentamente era rimasta sempre più sola a lottare contro i suoi demoni. A guardare sé stessa, distruggersi pezzo dopo pezzo senza intervenire, come se fosse stata solo una spettatrice disinteressata.
Impotente.
E in realtà lo era, perché non le importava, perché sapeva che quello era l'unico modo, l'unico per smettere di soffrire. Smettere di esistere era la strada più facile e lei l'aveva percorsa senza indugi.
Sola.
Indifferente.
Con lui poteva non preoccuparsi dei suoi cari, di ciò che doveva dire e fare per sembrare una normale liceale. Che poi, chi aveva scritto i parametri di quella normalità che tutti cercavano e che i pochi che la provavano disprezzavano?
«A cosa pensi?»
Il fumo della sigaretta lentamente saliva formando una colonna traslucida.
«Alla normalità.»
«Tu?»
«Strano vero?»
«...»
«...»
«Penso che la normalità sia sopravvalutata.»
«Sai— anche io.»
Dissero la volpi all'uva.

note dell'autrice hey! Lo so che sono passati  mesi (?), ma sono successe molte cose che hanno ritardato la stesura della storia, anche se questo capitolo in realtà era pronto da un bel po'. 
La storia in realtà è in continua evoluzione e revisione, quindi ogni critica è ben accetta, anzi, quasi necessaria per rendere possibile la sua crescita e formazione.
Sono sempre stata una scrittrice incostante quindi vedere che certe persone anche da delle mie vecchie storie ricapitano qui mi fa enormemente piacere.
with love. :)

   
 
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