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Autore: Mladen Milik    14/06/2018    1 recensioni
2006
Harry Potter è ormai convinto che la sua vita non possa più riservargli avventure ed emozioni, si sente ormai stagnante e troppo adulto per desiderare una vita diversa e più avvincente, così come Hermione affronta le difficoltà della sua carriera ministeriale.
Howgarts accoglie un nuovo Torneo Tremaghi che si intreccia con le disavventure di una nuova generazione di studenti alla prese con le ragnatele dell’amore e della giovinezza, ma mentre i ciliegi fioriscono trame sempre più ardite serpeggiano nell’ombra.
Gilderoy Allock ritorna alla ribalta più seducente che mai, così come un gruppo estremista chiamato le Colombe Rosse semina il panico in Gran Bretagna con l’obiettivo di sterminare gli ex Mangiamorte fuggiti alla cattura o rilasciati.
Una vampira ungherese si risveglia dal suo sonno centenario per avere la sua vendetta e altri misteriosi avversari tramano dietro le tende come falene svolazzano nella notte, pronte a stravolgere le leggi di un mondo magico che non smette mai di stupire.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gilderoy Allock, Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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La Prima Prova (Parte 2)


Il raggio magico esplose dalla sua bacchetta per raggiungere l’avversario, ma questi, non si fece trovare impreparato e con un protego riuscì a deviare il getto, ritrovandosi faccia a faccia con il suo aggressore. Thomas capì che molto probabilmente aveva compiuto una mossa azzardata e si mise in posizione, pronto per duellare con il ragazzo di Bauxbatons che sembrava provato fisicamente. “Hai colto l’occasione migliore per attaccarmi” gli disse Thien respirando a fatica e posizionandosi a sua volta.
“Scontro impegnativo?” chiese quindi Thomas.
“Improvviso diciamo, come quello che ti sta per colpire” replicò l’altro, mentre la bacchetta del ragazzo di corvonero scivolava via dalla sua mano per raggiungere quella di Charlotte che lo fissava divertita alle sue spalle.
“Mi avevi detto che potevo stare tranquilla a lasciarti qui da solo, Thien, non ti sei ancora ripreso e la mia magia non funziona” disse quindi la ragazza al suo compagno di scuola, lanciandogli tre pesci legati insieme con un filo magico che caddero davanti a quello che sembrava l’inizio di un piccolo falò.
“Ehi biondina, tu da dove spunti? Perché non mi ridai la bacchetta e mi lasci iniziare il duello con il tuo amico?” chiese quindi Thomas girandosi verso di lei e fissandola con il sorriso più seducente che poteva mostrare. Charlotte arrossì vedendo gli occhi neri e limpidi di quello che in quel momento era il suo nemico, ma non si lasciò trasportare dalle emozioni e tenendo la bacchetta puntata su di lui si affiancò a Thien.
“Avanti, tiralo fuori” disse quindi lei e Thomas reagì alzando le sopracciglia e sorridendo divertito.
“Beh...mi aspettavo almeno una dichiarazione prima di passare al sodo, ma se proprio insisti”
“Demente…sporco...villano!” reagì con rabbia, ma sempre arrossendo, lei e scagliò una piccola scarica elettrica al ragazzo che tornò serio immediatamente.
“E poi chi prenderà il mio pezzo della scacchiera? Tu, biondina? O il testa lucida qui? Posso assistere al vostro scontro?” Charlotte avanzò con cattiveria e nervosismo, ma venne fermata con il braccio da Thien.
“Ha ragione” le disse lui “Io ti ho salvata e tu mi hai curato, ma entrambi dobbiamo portare a termine questa prova e c’è solo un pezzo, dobbiamo decidere ora chi di noi due lo prenderà e poi dividere le nostre strade” Charlotte lo guardò quasi dispiaciuta, ma consapevole che quelle parole erano la verità e che se voleva sperare di vincere, per quanto lui fosse un alleato, avrebbe dovuto prima o poi combattere con lui, tanto valeva farlo pacificamente.
“Prendilo...” iniziò a dire lei, ma Thomas fermò la sua voce.
“Tienilo, biondina, voglio darlo a te e solo a te, consideralo un pegno d’amore, ma voglio in cambio la mia bacchetta”
“Il tuo sarcasmo mi irrita e se non...” esordì lei tornando a fissare Thomas e vedendo che lui aveva già portato la mano con appoggiata su di essa la regina bianca verso di lei. La ragazza esitò, fissando la mano di lui, mentre Thomas sembrava confuso e non aveva ancora escogitato un modo per allontanarsi da lì, tra di loro cadde il silenzio più assoluto e nessuno dei tre riusciva a capire cosa passasse per la testa dell’altro, all’improvviso salì una palpabile tensione. Thomas che di solito riusciva sempre a cavarsela con delle parole, sentiva il suo palmo tremare leggermente, consapevole che se anche stava recitando la parte di chi aveva tutto sotto controllo, in realtà stava consegnando la sua vittoria nelle mani di un avversario senza avere una contro-offensiva valida e senza una bacchetta. Charlotte, invece, non sapeva come reagire e rimase nella stessa posizione di quando aveva visto nella mano di lui, il suo stesso pezzo, non riusciva a trovare un senso nel raccogliere un doppione.
“Posso darvi un consiglio?” chiese una voce morbida e femminile poco distante. I tre si girarono di scatto e videro che non erano soli.
“Marinette? Che sorpresa, ti facevo già addosso a qualche ragazzo” disse l’amica Charlotte sorridendo all’amica, ma leggermente confusa dall’espressione avida della ragazza.
“Di questi tempi mi rimangono un po’ sullo stomaco gli stupidi e poi vedo che non hai esitato a muoverti anche tu” replicò l’altra avvicinandosi e facendo un occhiolino a Thomas che si irrigidì, aveva un brutto presentimento. Marinette volteggiò sinuosamente verso Thien e dopo avergli dato una carezza si avvicinò a Charlotte, mostrandole senza nessuna paura il re nero. Thomas e Charlotte dilatarono subito le pupille alla vista del pezzo che per loro era mancante, mentre Thien si limitava a scrutare la scena un passo indietro, convinto che la situazione non si sarebbe conclusa senza un graffio.
“Perché mi mostri il tuo pezzo?” chiese Charlotte che ora era confusa rispetto al comportamento bizzarro dell’amica.
“Chi ha mai detto che fosse mio?” replicò l’altra, allontanandosi e avvicinandosi a Thomas che continuava a provare paura nei confronti di Marinette che sembrava l’unica che in quel gruppo sapesse cosa stava facendo, sembrava il burattinaio che muove i fili delle sue marionette che la fissavano vuote in attesa di ricevere un ordine.
“Marinette, dimmi che cosa stai macchinando. Potrai recitare la parte che vuoi con questo stoccafisso, non certo con me” disse Charlotte, molto irritata dal comportamento irriconoscibile della migliore amica che si limitò a volgere lo sguardo verso Thomas.
“Non lo vuoi? Charlotte? Allora lo consegnerò a lui, dato che a entrambi serve la pedina che ho tra le mani” chiese lei all’amica che digrignò i denti con rabbia.
“Tu. Vigliacca. Non sei degna di essere mia amica che se ti comporti in questo modo. Sono Charlotte! Non ti ho mai vista comportarti così, mi sembri un’altra persona. Che cosa ti gira per la testa?”
“Niente. Solo che possiedo un re che voglio consegnare a voi, tuttavia non so scegliere se darlo alla mia più cara amica, oppure a questo splendido fanciullo dai capelli neri, io lo trovo bellissimo e so che lo pensi anche tu” rispose Marinette e Charlotte scagliò uno schiantesimo verso di lei che si riparò con un protego.
“Non ho finito di parlare!” urlò Marinette. Thomas e Thien fissavano la scena confusi e attenti, pronti ad intervenire in caso le cose si mettessero male, una cosa era sicuramente certa, erano pronte a darsi battaglia, ma quella con il coltello dalla parte del manico era sicuramente Marinette.
“Io voglio che voi vi battiate per questo re, chiunque tra voi due vinca il duello, lo riceverà, in cambio mi aspetto di ricevere quella regina bianca. Mi sembra un giusto compromesso” spiegò lei sorridendo malignamente, mentre Thomas e Charlotte si scambiarono un’occhiata confusa. Proprio in quel momento Dominic si scagliò contro di lei, quasi a volerla placcare al suolo, ma Marinette riuscì con molta semplicità a schivare il corpo ancora ferito dell’avversario ed immobilizzarlo con un incantesimo incarcerante, lasciandolo legato contro l’albero alla loro destra. Tuttavia la forza fisica di Thien non si fece attendere e in men che non si dica spezzò le corde, pronto a scagliarsi verso di lei. Lui con velocità disarmante colpì la ragazza negli addominali, con il chiaro tentativo di stordirla a terra, ma lei continuò a fissarlo con occhi dolci e, mostrando la pancia che aveva appena trasfigurato in una lastra di acciaio e cogliendolo alla sprovvista lo baciò sulla bocca. In quel medesimo istante Thien, spaventato, iniziò a rantolare a terra dolorante, tenendosi la gola che gli bruciava dal dolore, come se Marinette gli avesse sputato qualcosa nella bocca, mentre si sentiva i muscoli irrigidire e tremare. Marinette reagì con inaspettato shock a questa scena, quasi non volesse che finisse così o non si spiegasse il motivo di questa situazione, rimanendo inerte al centro della scena. Thomas si gettò quindi su di lei, buttandola per terra e iniziando una piccola lotta sugli aghi caduti delle conifere per toglierle dalle mani il re che gli serviva.
“Non si toccano le signorine, maiale!” urlò Marinette, tirandogli una gomitata e alzandosi. Si ritrovò faccia a faccia con Charlotte. Le due si fissarono come se si fossero dimenticate di essere amiche, come se davanti a loro avessero velocemente perso anni di amicizia e li avessero senza pensarci due volte buttati in un cestino della spazzatura, tutto solamente perché una aveva nelle mani un pezzo scuro, mentre l’altra uno diverso chiaro, era bastata una scacchiera a incrinare il loro rapporto.
“Dammi quella merda di bacchetta e finiamola insieme, mi ha innervosito questa francesina” disse Thomas a Charlotte, alzandosi dolorante da terra, il gomito di Marinette era stato particolarmente doloroso e iniziò a toccarsi la zona dolorante con fatica, notando che perdeva sangue dallo stomaco.
“E da quando saremmo diventati alleati?” iniziò Charlotte con sarcasmo, tuttavia mentre spostò lo sguardo su di lui, sentì il desiderio di rimangiarsi le parole, vedendolo piegato in due dal dolore. Marinette alzò il mento con uno sguardo sadico e indicò con la mano destra il gomito che aveva trasfigurato poco prima in una punta di lancia.
“Sei un mostro” disse Charlotte.
“Ah. Non è carino darmi del mostro, sono sicura di essere più carina, avanti Charlotte che cosa ti frena dal colpirmi?”
“Magari il fatto che siamo amiche da quando abbiamo undici anni, demente? Che cosa ti salta in mente, Marinette? Davanti a me vedo una bestia assetata di sangue, non certo un amica, se credi che ti lascerò andare dopo quello che hai fatto” replicò l’altra con i denti tesi e le guance contratte.
“Mhm. Mi rimproveri per aver baciato Dominic o per aver colpito Thomas? Ci provavi con entrambi? Potevi dirmelo che ti piaceva anche Dominic, anche se è dal primo giorno che sbavi dietro a quel moro sanguinante” Charlotte trasalì, mentre Thomas le scambiò un sorriso dolorante.
“Ne riparleremo, ok? Dammi la bacchetta, sono ancora in condizione di combattere. I due si guardarono negli occhi con lei che aveva la pupille lucide e dilatate, mentre lui le sorrideva, sembravano estraniati dalla gara, poi con una dolcezza quasi inusuale lei aprì la bocca e disse: “Imperius”
Subito Thomas il suo sorriso convinto e sprezzante e, dopo aver preso con delicatezza dalla mano di lei la bacchetta, si avvicinò a Dominic, lo prese mantenendolo sopra la propria spalla e iniziò ad allontanarsi dalla scena, con il chiaro interesse di Charlotte che i due, feriti, si curassero in un luogo sicuro.
“Eh no che non andate via” disse Marinette che puntò la bacchetta verso il lento duo che procedeva, dandole le spalle, ma Charlotte si frappose sul colpo ed esclamò con orgoglio: “Expelliarmus!” Marinette evitò l’incantesimo e iniziò a scagliare dei piccoli incantesimi punzecchianti sull’amica che doveva reagire con velocità alle piccole scariche di energia magica che la stavano raggiungendo su tutto il corpo, quasi che l’altra stesse cercando di bersagliare ogni zona del suo corpo con il chiaro intento di evitare che lei parasse i colpi. Una scossa dolorosa la raggiunse sulla coscia, poi una seconda la colpì accanto al polso, poi al collo, allo stomaco, sul ginocchio, si sentì bersagliare da ogni direzione, tanto che non riuscì più a percepire il dolore dalla mitragliata di scosse che la stava raggiungendo. Iniziò a urlare, urlare di paura e di immenso dolore, i colpi continuavano con precisione sadica, sentiva ogni centimetro del suo corpo venire colpita dai colpi dell’amica, che faceva di tutto per martoriarla, cercando quasi di provocarle più agonia possibile. Le urla si fecero strazianti, tanto che con molta probabilità chiunque nei paraggi le stesse sentendo, sembrava davvero che potesse morire da un momento all’altro. La bacchetta le scivolò dalla mano, si lasciò cadere sulle ginocchia, piangeva e si era talmente tanto morsa il labbro da lasciarlo sanguinare lungo il mento. I colpi di mitraglia cessarono.
“Piaciuta la mia mitraglia? L’ho inventato io questo incantesimo, tutti che ci insegnano che i colpi devono essere precisi e potenti, quando bastano tanti colpi, ma veloci per abbattere un avversario, a volte mi stupisco che io riesca sempre a vincere, nonostante non sia lontanamente la migliore, poi mi ricordo che il vostro cervello è scimmiesco in confronto al mio e mi ricordo che io ho un passo in più rispetto al resto del mondo” disse Marinette e si avvicinò con delicatezza a Charlotte che straziata, piangeva e respirava affannosamente, con lo sguardo basso. L’amica la tastò senza che l’altra opponesse resistenza, fino a trovare la regina che cercava.
“Mi dispiace” le sussurrò nell’orecchio, anche se c’era solo scherno e non sincerità in quelle parole, prima di guardare l’amica agonizzante negli occhi e scambiandole un bacio quasi passionale, arrivando anche a morderle il labbro e lasciandola spaesate e ancora troppo dolorante per reagire.
“Dormi bene” concluse Marinette, voltandosi e abbandonando la scena.
“Crucio!” urlò Charlotte ripresasi per un momento dallo stato di shock, prima di cadere nel sonno più profondo, con gli occhi che già si richiudevano sulle sue deboli palpebre.
“Heavy Metal!” replicò l’altra e con la bacchetta punto a tutto il suo corpo che istantaneamente si ricoprì di metallo indistruttibile, tanto che la maledizione senza perdono si perse su quella impenetrabile corazza, svanendo nell’aria e lasciando un sorriso disperato sul viso di Charlotte che si perse nel suo sonno, cadendo sugli aghi di pino.

“Dovresti mangiare, Monica, è già passato un giorno e non hai toccato cibo” disse l’uomo alto fissandola appoggiato all’albero.
“Non sono certo io quella che sta con le mani in mano in questa situazione, Clopin e tu lo sai, come dovresti sapere che non dovresti trovarti qui, sono io il campione tremaghi non te, non sei nemmeno uno studente” replicò l’altra che si stava innaffiando la faccia stanca con l’acqua di un ruscello .
“Se non vuoi il mio aiuto, dillo e ti abbandono” disse l’altro quasi scocciato.
“Se ti rendessi utile magari, ti lamenti che non mangio e che sono troppo minuta, beh, vammi a recuperare un coniglio un cervo e poi potrò lodarti quando vuoi, old man” L’uomo fece per allontanarsi dall’albero sul quale era appoggiato, ma subito evitò di staccarsi di colpo, colpito nell’udito da un rumore che aveva colto la sua attenzione e il suo sospetto.
“C’è qualcuno” disse lui.
“Vattene allora” replicò lei e l’uomo scomparì in un lampo dalla scena, ormai era abituata alle sue entrate e uscite di scena sempre improvvise e imprevedibili. Monica alzò lo sguardo verso l’alto e quella che vide era l’ultima persona che avrebbe voluto incontrare in una gara come questa. Nadia si ergeva dura e stoica sulla cima del pendio scosceso sotto il quale c’era invece Monica che la fissava fredda e quasi brutale. Nadia i pantaloni completamente stracciati e le calze bianche che ricoprivano le sue gambe tese avevano graffi sanguinanti che circondavano ferite considerevoli e quasi spaventose. Il suo occhio sinistro era bendato con un pezzo della sua maglia bianca ora tinta di sangue e ora sul suo busto rimaneva solo il top rosso con il simbolo di Durmstrang, tuttavia, nonostante l’inverno, il freddo e il vento gelido che brinava tra quelle piante, lei non sembrava colpita dal clima e nemmeno dalle ferite, rimaneva ferrea e impassibile davanti alla sua nuova preda, la sua psiche era troppo aggressiva e violenta per potersi fare intrappolare da un patetico clima, sembrava quasi che la situazione le desse vantaggio. Ci fu silenzio tra le due, poi un immenso aracnide peloso fuoriuscì dai cespugli, arrancando con una zampa rossa e pronto ad azzannare Nadia che, tuttavia, gli staccò la testa con un calcio, solo allargando la gamba, facendo crollare il mostro lungo il pendio e quasi scagliandolo come regalo di benvenuto a Monica che non fissò nemmeno la carcassa, per niente colpita dalla scena, né intimidita, nessuna delle due aveva perso lo sguardo sull’altra.
“Parlavi da sola prima?” chiese Nadia con tono intimidatorio, faceva paura, faceva dannatamente paura, coperta di graffi e con le occhiaia viola attorno agli occhi. Monica la temeva, era l’unica che veramente temeva dei partecipanti, era misteriosa, fredda, violenta, la conosceva per il quidditch dove era un mostro da battaglia che non esitava a scagliare le cercatrici avversarie giù dalle scope e che distruggeva i bolidi con la sola forza delle braccia, inoltre la sua magie era un mistero ancora irrisolto, non frequentava le lezioni, non prendeva parte alle esercitazioni, ma in tutto questo era la prediletta del preside, era la migliore senza averlo mai dimostrato e la sua occasione era finalmente arrivata, non avrebbe perso nemmeno contro di lei, ma più che la sconfitta aveva paura della violenza di Nadia, aveva paura per la sua salute.
“Non ti deve interessare, e tu lo sai che esistono gli incantesimi per uccidere quei cosi?” chiese Monica che non perdeva mai il contatto con lei, non sapeva quando avrebbe colpito, ma sapeva sarebbe stato rapido e cinico.
“Sei una stupida se pensi che quel pezzo di legno ti potrebbe aiutare” replicò Nadia con Monica che aveva estratto la bacchetta. La ragazza sentì un frusciò di vento e prima di vedere i piedi di lei compiere un balzo mostruoso verso di lei ecco che la sua voce tuonò: “Impedimenta!” Nadia sembrò crollare sulla sue gambe quando il terreno di fece scosceso e iniziò a crollarle sotto i piedi, tuttavia lei si lasciò cadere sulle braccia e lungo il pendio iniziò a piroettare prima sulle braccia poi sulle gambe arrivando a sfiorare il viso di Monica con il ginocchio, colpo che l’altra riuscì a evitare con un tuffo, finendo bagnata nell’acqua. Monica capì che Nadia non aveva tutti i torti ad averla ammonita sull’inutilità della bacchetta, era troppo veloce, qualunque cosa fosse quella piccola bambina di quattordici anni, non era umano, era qualcosa di vorace. Il pugno di Nadia la raggiunse alla gamba e la sentì rompere da tanto provò dolore, prima di venire colpita anche allo stomaco, seguito dalla spalla e per finire bloccata a terra dalle cosce di lei che le si erano strette attorno al collo, con le ginocchia piantate duramente sul terreno. Prima che potesse anche solo provare a reagire ecco che Nadia aveva iniziato a stringere la presa sul suo collo, con il chiaro intento di strangolarla. Monica puntò la bacchetta, ma il braccio di Nadia la superò in rapidità e le schiacciò a terra il polso, rendendole impossibile spostare la mano o muovere le dita. I loro occhi si incrociarono e Monica vide nelle voragini scure dei suoi occhi qualcosa di davvero spaventoso, qualcosa che avrebbe potuto causarle incubi, vide dolore e non era dovuto alla stretta al collo, ma a quegli occhi voraci, sentiva come se davvero nella foresta fosse stato liberato un mostro che anelava alla vittoria come un lupo anela al cervo come cena.
“Clopin...ti prego..aiutami” sussurrò lei in preda alla paura più totale, sia perché la stretta si era fatta insopportabile e non sembrava intenzionata a diventare più morbida, sia perché sentiva davvero come se Nadia volesse e potesse veramente farla fuori, quello sguardo l’aveva già uccisa. In un improvviso schiocco di dita il braccio sinistro di Monica si scagliò con furia omicida verso il volto freddo e stoico di Nadia, con una potenza tale da sbattere la ragazza contro un albero, albero che si spezzo del tutto al contatto. Il fusto della pianta iniziò a cadere addosso a Nadia, che con forza e lucidità mostruose, lo sollevò con la sola forza del braccio destro, prima di scagliarlo contro Monica che, in piedi e in una posizione furiosa e inconsueta, fissava l’avversaria con rabbia, prima di schivare il colpo. Le sue spalle erano meno rilassate, più ingobbite quasi a seguire le braccia nude con i muscoli quasi gonfi e tesi che si chiudevano nei pugni chiusi e stretti, mentre il suo volto era contratto in un espressione di vendetta. Monica lanciò la bacchetta contro un albero e si scagliò contro Nadia che iniziò a schivare con confusione, sorpresa e quasi fatica, i pugni veloci e rapidi di Monica che sembrava anch’essa posseduta da qualcosa di innaturale, i pugni avevano una potenza superiore a quella di qualunque donna, superiore a quella di qualunque ragazzo maschio della sua età, sembravano sullo stesso livello. Monica incassò un calciò in pieno petto e tossì un grumo di sangue, prima di evitare il secondo pugno di Nadia e arrivando a centrarla con una testata in piena fronte, aprendole un taglio dal quale iniziò a scendere copioso liquido scarlatto. Nadia non riuscì a capacitarsi di questa mutazione violenta e potente di Monica che un gancio selvaggio la raggiunse in piena guancia, così potente da buttarla con forza a sbattere contro il pendio scosceso. Nadia batté la schiena con durezza contro una roccia, rimanendo con la faccia a terra e il corpo accasciato al suolo. Monica però non sembrava volersi fermare, sembrava veramente un’altra persona e si avvicinò a Nadia con il chiaro intento di rubarle il pezzo della scacchiera, tuttavia senza che lei potesse prevederlo Nadia la colpì con il tacco del piede sul mento facendola barcollare all’indietro. Poi, con gli occhi che avevano fisicamente assunto un colorito giallo ecco che Nadia si tolse i polsini che teneva sulle braccia e le fasce che teneva sulle tibie, lanciandole a terra. Al contatto con il terreno quegli indumenti lasciarono dei solchi profondi quanto le impronte di un drago e causando un grave e rumoroso tonfo, la ragazza si era appena liberata dei pesi che le impedivano di colpire con troppa forza gli avversari o gli animali, ma questa volta Monica ritornò in sé, quasi fosse stata colpita da un tornado per tutto il duello e fece in tempo a capire che il duello era terminato in quel momento. Non vide nemmeno la ragazza partire, aveva ancor davanti a sé, l’immagine dell’ultimo peso che dalla mano di lei cadeva pesante al suolo che si sentì girare la spalla, se non staccare, prima di perdere conoscenza nel ruscello.
“Che scarsa, Clopin, non trovi?”

La notte scese cupa e fredda sulla foresta, sancendo che anche il secondo giorno della prova stava per giungere al suo termine. La luna piena illuminava la poca neve che era riuscita a penetrare le fitte fronde delle conifere, rendendo il sottobosco uno spettrale campo santo, con fuochi fatui gelati che sembravano fungere da piccoli lumini di un sentiero. La bacchetta di Steven continuava a non funzionare e all’ennesimo “Lumus” fallito, la gettò per terra con noia, trattenendo la volgarità perché Rarity stava riposando accanto a lui. In due giorni non era riuscito a scagliare nemmeno un incantesimo, nessuna fattura l’aveva protetto dall’unicorno che senza l’intervento di Rarity l’avrebbe ucciso ed era stata sempre lei a proteggerlo dall’attacco di un gruppo di centauri teppisti lungo il torrente, mentre lui non aveva fatto altro che guardare, tremare di paura e venire colpito da uno zoccolo sul braccio, il livido cominciava a diventare viola, inoltre, un leggero mal di testa, che lo colpiva da giorni, iniziava a dargli sempre più fastidio e la cosa lo faceva arrabbiare sempre di più. Non sapeva cosa fosse successo alla bacchetta, non sapeva se fosse un suo problema, magari perché stressato per la storia con Annie o la per la presenza invadente della francese, o se magari fosse un problema della sua bacchetta, tuttavia, si sentiva inutile, senza speranza e il fatto di dipendere da lei lo metteva in soggezione, avrebbe sicuramente chiesto un tornaconto. In quel momento Rarity gli comparì davanti alla vista e andò ad alimentare un fuoco con degli arbusti proprio davanti a loro.
“Avevamo deciso che avrei fatto io la guardia” disse lui, troppo infreddolito e avvilito per prendere sonno.
“Non per essere villana, ma nelle tue condizioni non credo riusciresti a proteggermi” rispose lei, voltandosi verso di lui e cercando di mostrarsi cordiale.
“Io non ho nessun problema e so badare a me stesso, sto solo preservando le energie per i duelli finali” disse quindi lui.
“Fammi vedere la bacchetta” disse quindi lei e lui la fissò sgranando gli occhi, con il battito che aveva accelerato all’improvviso.
“Che c’è?” La mente deviata di lui iniziò un impercettibile viaggio nell’immaginazione, prima di tornare sulla terra con una sonora risata.
“Intendevi quella bacchetta, d’accordo”
“E di quale bacchetta pensavi? Ne hai solo una no? Non credo esistano maghi con più bacchette, o forse sì?” Steven scosse la testa confuso e consegnò la sua arma alla ragazza. Rarity agitò il polso e delle scintille fiammeggianti fuoriuscirono da essa, alimentando il timido fuocherello che li proteggeva, insieme a pesanti cappotti di lana, dal gelo.
“Credi che si possano dimenticare cinque anni di incantesimi in due giorni?” chiese lui, notando che effettivamente la bacchetta funzionava.
“E’ possibile? Non lo so mica io, darling, però ho sentito che ci sono incantesimi che fanno perdere la memoria, mi chiedo perché tu voglia dimenticare tutto però”
“Qui un incantesimo servirebbe per potenziare la tua memoria” mugugnò lui senza farsi sentire, notando quanto la ragazza fosse ottusa e di scarso aiuto, per quanto fosse una talentuosa maga, si chiese come avesse imparato la sua magia così elevata, iniziando a credere che fosse tutto per una ragione casuale.
“Dovremmo fare un piano per domani, il centro della foresta è poco più avanti, oltre il villaggio dei centauri che abbiamo costeggiato questa mattina, probabilmente saremo accolti da una ressa, una battaglia campale per gli ultimi pezzi, visto che servono a entrambi, sarebbe utile essere preparati” disse quindi lui e Rarity si sedette davanti a lui, con gli ampi occhi blu che lo fissavano come al solito, a metà tra il dispiaciuto e l’innamorato, anche se Steven li trovava soltanto incantevoli.
“Sai com’è fatto quel posto, io non sono di Hogwarts?” chiese quindi lei attenta.
“Al centro c’è un tempio celtico, in passato si facevano gare per chi fosse il primo a raggiungerlo, per quanto questa foresta sia proibita Harry di tassorosso l’ha setacciata tutta nei suoi sei anni qui e grazie a lui, siamo riusciti ad arrivare fin qui per primi, tuttavia il posto è un prato aperto ampio in cui tutti vedono tutti, quando arriveremo ci saranno altre persone e se uno entra nella zona, subito tutti lo vedrebbero” spiegò quindi lui, abbozzando un disegno sulla neve con un bastone.
“Per questo io credo che sarebbe utile muoversi nella notte, in modo da essere i primi a castare sulla zona incantesimi di protezione, in modo da conoscere chi e in che modo può avvicinarsi” Rarity annuì, ma subito dopo, scattò in piedi velocemente schiantando con un incantesimo una serpe immensa che scomparì come cenere. In un attimo si ritrovarono circondati da quattro enormi rettili lunghi più di sette metri, che strisciavano minacciosi verso di loro. Steven provò a lanciare una magia, ma ancora una volta fallì e la testa subì un’altra fitta dolorosa, sintomo che c’era veramente qualcosa che non andava
“Vipera Evanesca!” urlò Rarity verso un pitone, ma l’essere sembrò sbalzare l’incantesimo, emettendo un soffio sinistro verso la ragazza che reagì con terrore, portandosi schiena contro schiena con Steven.
“Hanno qualche incantesimo che protegge il loro corpo, sono sicuramente frutto di una magia” disse lei e alzò un potente incantesimo di fuoco che incenerì i due mostri all’istante. Steven schivò il morso violento di un serpente, ma venne colpito dall’altro con un testata allo stomaco, così potente da farlo cadere addosso a Rarity. La ragazza pietrificò il primo rettile, ma il secondo con silenzio disarmante le salì lungo la gamba, arrivando a stritolargliela velocemente.
“Expelliarmus!” esclamò una voce e la bacchetta della ragazza cadde qualche metro indietro. Il pitone bloccò la ragazza in una morsa mostruosa, tanto che il suo viso iniziava già a diventare viola per la pressione, mentre il rettile puntava a stringerle mortalmente il collo. Steven si alzò di scatto, correndo verso Rarity, ma si ritrovò subito dopo a terra, con il volto nella neve.
“Non pensavo che l’idea di scambio culturale tra nazionalità venisse tradotta così, ma a quanto pare non avete perso tempo, Accio pezzo della scacchiera!” disse Nikolay che comparve dall’oscurità con un sorriso sardonico sul viso e una grande nota di soddisfazione.
“Sono fatti in modo che quell’incantesimo non funzioni, microcefalo” replicò quindi Steven, subendo una sottile scossa di ripicca che il ragazzo russo gli scagliò contro.
“Taci, idiota, e dammi subito il pezzo che mi serve, altrimenti, spremo la ragazza, anche se sarebbe uno spreco, non mi faccio intenerire da una inutile donna” disse quindi lui e il pitone iniziò a stringersi con più forte, Rarity iniziò a piangere, mentre la voce iniziava ad andarle via. Steven si alzò nuovamente e un altro schiantesimo lo scagliò contro un albero, con Nikolay che rinnovava la minaccia, soddisfatto della sua vittoria. Il ragazzo di grifondoro sfruttò l’oscurità della notte per prendere dalla tasca una fiala dal liquido trasparente che bevve tutto d’un fiato senza pensarci. In quel momento le parole di Nikolay svanirono dal suo campo uditivo, così come l’immagine di Rarity, si trovò seduto su un trono dorato, intorno a lui nuvole rosee fluttuavano nel cielo, una musica angelica proveniva alle sue spalle e notò di stare indossando un abito greco con filamenti in oro e lino.
“Vuole altro vino, padrone?” chiese una voce femminile che ricordava molto fastidiosa e che invece ora sembrava soave e dolce come una tisana benedetta. Steven si voltò e vide Trixie che vestiva un chitone candido, con ampi occhi verdi e capelli biondo acceso e che gli sorrideva sincera, non sembrava lei.
“Vuole che le sistemi il cuscino, padrone?” Alla sua sinistra Rarity non meno angelica di Trixie teneva un morbido cuscino tra le mani, mentre i suoi occhi facevano fremere e tremare il suo corpo, per quanto fossero seducenti. Davanti ai suoi occhi comparve un grappolo d’uva e d’istinto ne mangiò un acino, dietro di lui Annie che non aveva mai visto in abiti così femminili gli porgeva il frutto con intervalli regolari. Il suo cuore iniziò a palpitare, il suo viso si inarcò in un sorriso eccitato ed esaltato allo stesso tempo, mentre i suoi occhi spalancati ruotavano tra ognuna di quelle quatto figure angeliche e il suo corpo provava un vigore mai visto prima, poi una schiera di donne comparve al di sotto del suo trono, come un harem paradisiaco e lui riconobbe tutte le ragazze più belle della scuola. Persino Pam risultava meravigliosa tra quella schiera, con i capelli pettinati, qualche linea di trucco e sopratutto con qualche dose in più di sapone, sentì il suo ego volare in alto come su un razzo spaziale, quelle donne volevano lui, si sentiva invincibile, imbattibile, si sentiva fortissimo, non era mai stato così potente, regale e maestoso allo stesso tempo.
“Hai visto che la pozione che hai imparato ti sarebbe servita, Steven?” chiese una voce di donna così sensuale da farlo diventare rosso istantaneamente.
“Sì! Sono io Steven” replicò lui con voce sommessa e vide Samantha Indoh, la professoressa di pozioni che gli massaggiava la schiena. Poi Rarity comparve tra loro e gli diede una sberla.
“Ehi! Ma che ho fatto di male?!”
“Dio, mi fai paura, ti prego svegliati, oh mio dio! Non voglio che tu muoia” replicò lei e la vide in lacrime, coperta di fango e vestita di un pesante cappotto, ritornò alla realtà e si trovò di nuovo nella foresta proibita, sembrava come se avesse perso conoscenza per diversi minuti.
“Io...Rarity? Che cosa mi è successo? Dove sono le succubi? Come hai osato svegliarmi da quel mondo lussurioso e...”
“Wow! E che mondo era? Posso venire anche io?” Steven si guardò intorno e vide la carcassa di un rettile accanto a loro, con Nikolay che giaceva svenuto contro un albero con il naso rotte e un rivolo di sangue che gli scendeva dalla narice, era davvero ritornato alla realtà e quello di prima era stato solo un sogno ad occhi aperti. Si portò la mano alla tasca e si ricordò che era ricorso alla sua arma segreta, sfruttando la sua innata abilità per le pozioni, unica materia sufficiente a causa della presenza di Samantha che riusciva a motivare il suo studio.
“Non preoccuparti, Rarity, ho sole bevuto della Felix Felicis e credo che la mia mente si leggermente andata a viole” disse lui, imbarazzato.
“A viole? Wow e dove si trova questa città? E’ bella?”
“Sì...meravigliosa, che cosa ho fatto?”
“Ti sei alzato e ti sei scagliato contro di lui, tirandogli un pugno sul naso, prima di liberarmi dal serpente, è stato magnifico e il tuo corpo ha resistito a ben tre schiantesimi” rispose lei estatica e con gli occhi a forma di cuore.
“Felix Felicis...Una pozione che esalta la mente, proiettando abilità istintive ed esaltando i riflessi, probabilmente ho schivato gli incantesimi, pazzesco” disse lui fra sé e sé. Rarity tirò quindi fuori la regina bianca di Nikolay ed esclamò gioiosa:
“Ce l’hai fatta, mi hai portato una regina, ora sarà mio compito trovare un re per te, così potrò davvero sdebitarmi” disse lei, abbracciando il ragazzo, prima di tornare con imbarazzo indietro, arrossendo e vergognandosi.
“Mi hai salvato la vita, tre volte con oggi, non credo che una regina basti a sdebitarmi”
“Sono io che ho fatto infuriare, Annie, finché non tornerete insieme io non potrò che vergognarmi di me stessa, almeno però potrò aiutarti nel torneo, non trovi che sia giusto?” disse quindi lei e il suo morale le crollò addosso, era una cosa che non avrebbe mai voluto dire, ma che ora sentiva davvero fosse la cosa giusta da fare. Rarity aveva gli occhi chiusi e si sentì baciare le labbra, un bacio leggero e fugace, Steven l’aveva baciata e si sentì sciogliersi dentro. Lui si alzò di scatto, completamente in mano al proprio istinto che l’aveva baciata, senza lasciarle il tempo di replicare e senza lasciare il tempo a lui di pensarci su. Rarity spalancò gli occhi.
“Sei ancora sotto effetto di quella pozione, vero?”
“Oh...beh...sì! Non mi è ancora passato e ti conviene starmi lontana in questo caso” mentì lui, ben consapevole che quanto successo, non fosse certo colpa della pozione. Rarity si voltò e tra le lacrime spalancò un sorriso di felicità immensa, si sentì anche lei sotto l’effetto della felix felicis.

“Pensavo che i vampiri fossero ben più forti di questo patetica scena che sto osservando” esclamò Trixie ridendo di gusto e tirando un calcio alla neve che raggiunse Elspeth in pieno volto, cosa che le fece assumere uno sguardo furibondo. La vampira barcollò su sé stessa, prima di mettersi in una corretta posizione, fissando la ragazza dagli occhi completamente neri che aveva davanti.
“Tra tutti quelli che potevo trovare qui, ho beccato l’unico insetto che non conosco, ma ci tengo a farti sapere che non voglio guai, quindi sparisci, prima di costringermi a farti fuori” disse quindi Trixie mostrando il suo classico aspetto scontroso e allo stesso tempo arrogante.
“Bambina, modera il tono, stai parlando con una vampira ultra-centenaria, perciò vacci piano, perché potresti pentirtene, nonostante sia parecchio stanca in questo momento” replicò Elspeth boccheggiando assetata, non era riuscita a trovare fonte di sangue umano per tutto il giorno e proprio mentre era riuscita a stanare un unicorno era stata fermata da questa spocchiosa ragazzina, in questo modo non sarebbe riuscita a riprendere le forze dallo scontro che aveva avuto nel pomeriggio, che aveva provato il suo fisico arrugginito fino al limite.
“Una vecchia? E’ questo che sei? No, penso che tu sia un secchio dell’immondizia, uno scarto da buttare, ti conviene implorarmi in ginocchio se desideri sopravvivere” disse quindi Trixie che aveva la bacchetta in pugno e uno sguardo quasi sadico con gli occhi neri che non ricordavano lontanamente le sue belle pupille smeraldine, nei suoi occhi era riflesso il male puro, persino un mostro come Elspeth si sentiva condizionata e pensò seriamente che fosse necessario smorzare il tono della discussione, quella Trixie non era affatto male e la trovava pericolosa.
“Perdonami se ho provato a morderti” disse quindi Elspeth mostrando un sorriso finto teatralmente orribile.
“Risparmia la tragedia greca, sei un pipistrello succhia-sangue è naturale. Ma ti dirò che non intendo ucciderti questa notte, dato che, qualsiasi sia il motivo per cui tu sia qui, non mi dispiacerebbe sapere che un mostro del tuo calibro si aggira nella foresta, insieme a schifezze come di Steven Lineker o Gienah Pheles” disse quindi lei e Elspeth la fissò attenta e concentrata. Le due avevano combattuto per qualche minuto, fino a quando Trixie non aveva sradicato una abete con la magia di levitazione, rompendole la caviglia e rendendo difficili i movimenti della vampira, già compromessi dalla tremenda stanchezza e dalla sete.
“Forse però, il motivo che mi porta qui potrebbe interessarti” disse quindi Elspeth.
“Quali affari schifosi può avere in Scozia uno schifo vivente come te?” “Affari che riguardano la pietra della resurrezione forse?” Trixie sbiancò e si sentì cadere, il suo volto venne impossessato dalla rabbia e si ritrovò a dover forse condividere la stessa missione di Elspeth, la situazione iniziò a spaventarla e odiava perdere il controllo, era una cosa che l’abitudine non le aveva insegnato a sopportare, in più il suo padrone le aveva chiesto di trovarla, ed era stato molto chiaro sul suo compito, ma non poteva setacciare tutto il bosco, stava fallendo il suo compito.
“E tu che ne sai, pezzente?” chiese Trixie con voce rabbiosa e nevrotica. Elspeth si schiarì la voce e iniziò a imitare la serpeverde con tono stridulo e fastidioso: “Dannazione! Che idiota che sei, Trixie! Di questo passo non troverò mai la pietra della resurrezione. Parli da sola, lo sai?”
“Lo faccio per concentrarmi meglio” replicò Trixie imbarazzata e contrariata dal fatto che questa sconosciuta sapesse il suo segreto.
“E comunque, in che modo potresti mai aiutarmi? Non so chi tu sia e tu non sai chi sono, né perché mi trovi qui, perché mai dovrei fare un patto con te, sei ferita, disgustosa e potrei semplicemente voltarmi e andarmene” continuò la ragazza bionda che sudava di nervosismo, con la bacchetta puntata verso Elspeth che, invece, sembrava a proprio agio.
“Perché si dà il caso che anche io stia cercando uno dei doni della morte” disse quindi la donna, ma Trixie reagì con confusione.
“Non sai di cosa parlo?”
“Certo che so di cosa parli! Io so qualsiasi cosa, non per questo sono la migliore studente di Hogwarts, non prendermi per una perdente e mostrami rispetto, biscia!” Elspeth roteò le iridi.
“I doni della morte sono tre: Bacchetta di sambuco, mantello dell’invisibilità e pietra della resurrezione e, per fartela breve, un tempo tutti volevano possederli, diventando il signore della morte, il mago imbattibile che avrebbe ottenuto il potere necessario persino per sfuggire alla morte stessa, entrando nella leggenda”
“Tutte cose che sapevo già...” mentì l’altra.
“Io voglio solo recuperare la bacchetta di sambuco, che so trovarsi nella tomba di un certo Albus Silente, ma si dà il caso che in passato io abbia posseduto non solo la bacchetta, ma anche la pietra e che quindi io sia indissolubilmente legata ad essa, riesco a percepire la sua presenza” Trixie spalancò gli occhi confusa e si fece attenta rispetto a quello che Elspeth stava per dirle, non accorgendosi che da sotto la gonna la bacchetta di Elspeth iniziava ad emanare un alone verdastro acceso e i suoi occhi rossi si tingevano di sangue. Trixie sentì come un frusciò scuoterle la testa e i capelli, poi una figura minuta e più bassa di lei le comparve alle spalle e colpì con un violento calcio Elspeth, che volò oltre un cespuglio nel folto della foresta. Una ragazza con i vestiti stracciati, le gambe e le braccia piene di graffi e i capelli raccolti in una coda si ergeva davanti a lei, piccola, sottile, ma con intorno un’aura minacciosa. Nadia non si voltò nemmeno.
“Non dovresti essere qui” le disse la ragazza rumena, con tono freddo e superiore.
“C-c-c-come ha-a-a-ai fatto?” balbettò Trixie terrorizzata.
“E’ tutto il giorno che mi sfuggi, mostro, ma adesso ti farò pentire di aver scelto questo bosco per ammazzare ragazzine. Non credere che fosse così debole perché tu la battessi, lotto con lei da questa mattina” disse quindi Nadia e aggiunse: “Qualche chilometro a est c’è il lago, da lì forse non ti vedranno uscire e non sarai espulsa, la prossima volta che ti vedo, ti porto via con me” Nadia scattò verso la coltre ombrosa dei cespugli, lasciando Trixie tremante e spaventata come un cervo illuminato dai fari, ringraziò il fato di non aver ricevuto in pieno lei quel calcio.


   
 
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