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Autore: Just_Charlie    15/06/2018    3 recensioni
Clexa fencing (più o meno) AU
Clarke Griffin è una madre single che si destreggia tra lavoro, amici e le fantasie della sua piccola Madi. Quando una storia della buonanotte diventa molto più reale di quanto avesse mai potuto immaginare, Clarke conosce Lexa Woods, la bellissima (e terribile) insegnante di scherma di Madi.
Tra colpi di fioretto e lingue taglienti come spade, riuscirà Clarke ad aprire il suo cuore all'amore?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera a tutti! Scusatemi immensamente per il ritardo con cui pubblico questa seconda parte del terzo capitolo, ma la sessione estiva mi ha travolta come un treno in corsa. Inutile dire che sono mezza morta. Ma una volta finiti gli esami tornerò attiva come prima!

Buona lettura :)

                     

                      

CAPITOLO TRE: CENERENTOLA (PARTE DUE)

                                                

                                 

Clarke si era appena messa il pigiama ed era pronta per andare a letto – dopo una giornata che l’aveva lasciata allo stremo delle forze, tra lavoro, Madi e di nuovo lavoro – quando il suo telefono cominciò a squillare. Uno squillo, due squilli, tre squilli. Clarke grugnì e afferrò il telefono. Era Raven.

Clarke alzò gli occhi al cielo, esausta, ma accettò comunque la chiamata.

«No, Rae, non ti racconterò cosa è successo sabato notte» disse Clarke senza aspettare neanche una parola da parte della sua amica.

«Oh, avanti, Clarke! Siamo come sorelle! Non puoi non dirmelo» protestò Raven. La sua voce era quasi sovrastata dal rumore di musica a palla. Clarke allontanò il telefono dall’orecchio. Che diavolo ci fa in un locale di mercoledì sera?

«Invece sì che posso» replicò Clarke «Ed è esattamente quello che ho intenzione di fare» In effetti, lei e Raven si comportavano un po’ come delle sorelle; bisticciavano dalla mattina alla sera, punzecchiandosi e lanciandosi frecciatine e occhiatacce e ciabatte – ma quella era stata solo una mattina molto difficile per Clarke – ma alla fine dei conti, si volevano un bene dell’anima.

Clarke avrebbe ceduto, prima o poi.

(Più prima che poi, gote rosse e gambe che tremano e labbra che non hanno ancora dimenticato baci, carezze, denti, gemiti.

Ma questo dovevano ancora scoprirlo.)

«Buonanotte, Raven» Clarke le chiuse il telefono in faccia e affondò la testa nel cuscino. Aveva seriamente bisogno di una settimana di ferie dalla sua vita. O meglio, un mese intero. Un mese per dimenticare, un mese per finalmente smettere di pensare, pensare, pensare.

La verità era che non ci riusciva. Non riusciva a non pensarci. Si lavava i denti guardandosi allo specchio ancora mezza addormentata, e ci pensava. Rispondeva educatamente all’ennesima bastardata di Cage Wallace, e ci pensava. Andava a prendere Madi da scuola, e ci pensava. Cercava con tutte le sue forze di evitare il pensiero, e quello si ripresentava ancora più prepotentemente a invaderle la mente, lasciandole a stento la forza di respirare.

Quella donna.

Le stava rovinando la vita.

Okay, forse era una dolce rovina. Ma da quando l’aveva incontrata – in maniera alquanto improvvisa e alquanto infuocata – la sua vita era diventata molto più complicata. Si distraeva al lavoro, non ascoltava Finn quando parlavano al telefono, aveva persino fatto bruciare di nuovo le uova a colazione, scatenando una risata da parte di Madi mentre una stringa di imprecazioni (mormorate sottovoce per non farsi sentire dalla bambina) le usciva dalle labbra.

Le stesse labbra che avevano assaggiato una pelle così dolce, pronunciato parole che avevano fatto partire una scia di brividi lungo quelle gambe bellissime, le stesse labbra che avevano forzato gemiti fuori da altre labbra, labbra piene e rosse e martoriate da baci più caldi dell’estate più afosa che–

«BASTA»

«Mami?» Clarke sussultò sul letto, trattenne un grido e si voltò verso la porta. C’era la sua bambina con un vecchio coniglietto di peluche che la guardava con i suoi occhi grandi, velati dal sonno e dalla confusione «Che succede?»

Clarke sorrise e scosse la testa «Niente, piccola mia» Batté un paio di volte sul materasso (sul lato sinistro, quello di Madi) per indicarle di venire a stendersi accanto a lei. Madi sorrise e si accoccolò accanto a Clarke, il coniglio schiacciato tra loro.

«Brutti sogni?» chiese Clarke, baciando la sua bambina sulla fronte e stringendola forte a sé.

«No» disse Madi, e si allontanò un pochino per guardare sua madre negli occhi «Mamma?» chiese, fronte corrucciata come se qualcosa la stesse mettendo in difficoltà «Ma secondo te io posso davvero diventare una principessa guerriera?»

«Certo!» esclamò Clarke con un sorriso. Perché Madi era così indecisa? Clarke assottigliò gli occhi e alzò un po’ la testa «Non è che qualcuno ti ha detto che non puoi diventarlo? Chi è stato? Voglio nomi e cognomi, Madi»

Madi distolse lo sguardo e arricciò le labbra, evitando gli occhi di Clarke. Clarke la guardò attentamente, confusa. Sta veramente arrossendo?

«Nessuno-nessuno mi ha detto che non posso diventarlo» disse Madi, occhi sul suo coniglietto di peluche «È solo che Lexa è così brava e alta e b-bella e quando combatte sembra una vera principessa e ha sconfitto Anya in due mosse e io voglio essere come lei ma non so-non so se ci riesco mamma»

Clarke si morse il labbro. «Madi» la chiamò, e le mise due dita sotto il mento per spingerla a guardarla «Madi, guardami» Con riluttanza, la bambina alzò lo sguardo e incrociò con timidezza quello di sua madre. Cielo, è ancora così piccola, pensò Clarke. Ma al tempo stesso stava crescendo, vero? La sua piccola Madi stava diventando una ragazzina intelligente e matura e bellissima «Lo sai che tu sei bellissima?» le disse infatti con un sorriso «Con questi occhioni e questo nasino» Clarke fece finta di infilarlo tra due dita e rubarglielo, facendola scoppiare a ridere «Ma soprattutto, con questo cuore grande grande grande» Madi sorrise timidamente e strinse il suo coniglietto, avvicinandosi ancora di più a Clarke «Sei la cosa più bella che i miei occhi abbiano mai visto, Madi» disse Clarke, dandole un bacio sulla testa e passando le dita tra i suoi lunghi capelli castani «E niente né nessuno dovrebbe convincerti del contrario. Capito?»

«Hmm-mmm» Madi mimò un sì e si strinse a Clarke.

«Mi vuoi parlare di questa Lexa?» Clarke guardò Madi nascondere la testa sotto le coperte, le punte delle orecchie rosse rosse come un pomodoro. Clarke scoppiò a ridere, estasiata, e diede una sbirciatina sotto le lenzuola «Non è che qualcuno ha una cottarella?»

«NO» mugolò Madi, e si nascose ancora più sotto. Clarke sorrise, un sorriso caldo e grande che le riempì il cuore di gioia.

«Avanti, piccina, a me puoi dirlo! Giuro che non ti prenderò in giro» promise Clarke, mano sul cuore.

Madi sbucò da sotto le coperte con il mignolo della mano puntato dritto verso Clarke. «Giurin giurello?»

Clarke le prese prontamente il mignolo con il suo «Giurin giurello, amore»

«Okay» Madi saltò fuori dalle coperte e si sedette a gambe incrociate, sguardo eccitato e coniglietto stretto tra le braccia «È la mia maestra di scherma ed è bellissima» disse, e si lanciò in un’accuratissima descrizione di questa principessa guerriera che le aveva rubato il cuore. Capelli castani con riflessi di miele, occhi verdi verdi come le più belle giornate di primavera, gambe lunghe e pronte a scattare per un attacco improvviso – e ZAM ZAM ZAM!, l’avversario era già a terra sconfitto.

Più Madi parlava, però, più forte diventava una vocina nella testa di Clarke che le diceva che c’era qualcosa di tremendamente sbagliato, in tutto questo, e che quel qualcosa avrebbe portato alla sua rovina.

Oh, che dolce rovina–

Ma Clarke le diede un calcio mentale e la rispedì nella nebulosa parte del suo cervello da cui era venuta.

Andava tutto bene.

Non c’era nulla di cui preoccuparsi.

Proprio nulla.

***

Erano le cinque e un quarto di mercoledì pomeriggio e Clarke era appena uscita dal lavoro. Finalmente i doppi turni alla galleria erano finiti: quelle due prime settimane della nuova esposizione l’avevano sfiancata, riducendola a uno straccio. A stento aveva avuto le forze per preparare da mangiare e mettere Madi a letto.

Clarke salì in macchina e, come prima cosa, si tolse le décolleté che portava ai piedi con un sospiro di sollievo; stare tutto il giorno sui tacchi era una faticaccia, anche se ci era ormai abituata. Prese la borsa dietro al sedile e tirò fuori le scarpe basse di salvataggio – così le chiamava lei – che teneva sempre in macchina. Quindi accese il motore e si avviò verso la palestra in centro città dove Madi aveva lezione di scherma.

Inutile dire che Clarke fosse curiosa: non vedeva l’ora di conoscere di prima mano il nuovo ambiente dove la sua bambina si stava inserendo; i resoconti di Finn erano esaustivi e positivi, certo, ma una mamma doveva sempre controllare di persona. E poi, Clarke era ancora più eccitata all’idea di incontrare questa famosa Lexa, spadaccina provetta, principessa guerriera e prima cotta di Madi. Il solo pensiero le mise sul viso un sorriso idiota che Clarke faticò a togliersi di dosso.

Arrivata a destinazione, parcheggiò la macchina e scese con calma, sistemandosi i capelli nel riflesso del finestrino. Era in anticipo di quindici minuti. Clarke entrò nella palestra e chiese indicazioni alla signora che era seduta in quella che doveva essere una specie di segreteria. La ringraziò con un sorriso e si avviò lungo un corridoio illuminato con prepotenti luci al neon, poi ne attraversò un altro, e un altro ancora. Ma è una palestra o un labirinto? pensò, le luci al soffitto che la accecavano e il male ai piedi che la tormentava. Se mi tocca girare in un altro corridoio quasi quasi chiamo Finn e mi faccio indicare la strada, perché è una cosa assolutamente ridic-

Clarke andò quasi a sbattere contro lo stipite di una porta aperta. Si bloccò all’ultimo momento, la testa a un pelo dallo stipite. Strizzò un paio di volte gli occhi, ringraziando la sua buona stella, e volse lo sguardo verso l’interno della stanza.

Ciò che vide le fece perdere il fiato.

C’era una ragazza, una donna, mezza accovacciata a terra, una spada – che Clarke sperò con tutta se stessa fosse di scena – tra le mani, che sembrava pronta ad attaccare un’altra donna a qualche metro da lei. Entrambe erano vestite con l’equipaggiamento completo da scherma, maschera compresa, ma anche se Clarke non poteva vederle in faccia, i loro gesti tradivano l’eccitazione e la competitività dello scontro. Clarke sentì un brivido salirle lungo la schiena, e si strinse tra le braccia, in attesa dell’attacco imminente.

Attacco che non si fece aspettare.

La donna scattò contro il suo avversario e mollò un fendente che non centrò il bersaglio per un soffio. L’altra donna scartò all’ultimo momento, bloccando l’attacco con la sua arma, e si allontanò di qualche metro. Avevano entrambe il fiatone, e si guardavano attraverso le maschere camminando in cerchio, come se stessero cercando di individuare eventuali punti deboli l’una dell’altra. La prima donna – che Clarke aveva soprannominato nella sua testa Codina per la lunga coda castana che le usciva dalla maschera – provò una finta all’improvviso, ma l’altra donna riuscì a pararla e a mettersi a distanza di sicurezza. Clarke sentì Codina ridere; sembrava un felino che giocava con la sua preda, non abbastanza affamata da terminare la caccia per mangiare, ancora in forze per tormentare la sua preda un altro po’.

Che sia lei Lexa?

Clarke si guardò un po’ intorno. Quella palestra era gigantesca: il soffitto era altissimo e sembravano starci due campi da pallavolo in orizzontale. Non le fu difficile individuare Madi; era la prima della fila di bambini che assistevano alla sfida, e guardava le due donne combattere con la bocca aperta e i grandi occhi spalancati, accesi di una luce che Clarke non aveva mai visto. Clarke sorrise, e vide che c’erano anche altri adulti – presumibilmente genitori dei bambini – seduti sugli spalti della palestra, tutti intenti ad osservare il combattimento.

Clarke si rigirò verso le due donne, e si pentì di essersi distratta: adesso stavano combattendo con una ferocia e una velocità che Clarke non si sarebbe mai immaginata. Roteavano le spade all’impazzata e il rumore delle lame che si scontravano schioccava nel silenzio estasiato della stanza. A Clarke tornò in mente quello che aveva pensato la prima volta in cui aveva visto il volantino della scuola di scherma: sembrava stessero danzando; si muovevano con una precisione e una coordinazione tale da far apparire lo scontro come un’elaborata coreografia.

E all’improvviso accadde: con una sequenza di rapidissimi affondi Codina disarmò l’altra donna, la fece inciampare e cadere a terra, e le puntò la spada alla gola. I bambini proruppero in urla divertite e applaudirono, seguiti a ruota dai loro genitori. Clarke si portò una mano al petto: aveva il cuore che batteva all’impazzata. Non aveva mai visto nulla del genere.

Ne voleva ancora.

Adesso capiva alla perfezione perché Madi si fosse presa una cotta per la sua insegnante.

La donna a terra grugnì delusa e batté una mano inguantata sul pavimento, ma poi si fece aiutare da Codina a rialzarsi. Le due donne si strinsero la mano e si abbracciarono, per poi inchinarsi davanti ai bambini che ancora applaudivano.

«E con questo, ragazzi» disse la donna che era stata sconfitta togliendosi la maschera «La lezione è finita, potete andare a cambiarvi» Tutti i bambini esultarono e corsero alla porta dove c’era Clarke per andare negli spogliatoi.

Madi incrociò lo sguardo di Clarke e le saltò addosso, facendola quasi cadere a terra. Si strinse forte a lei e la riempì di bacini «Mamma!» esclamò tra un bacino all’altro «Oggi sei venuta tu!»

Clarke sorrise e accarezzò la testa della sua bambina «Certo amore mio, non potevo mica non venire a conoscere la donna che ha rubato il cuore a mia figlia!»

A quelle parole, Madi le coprì la bocca con le mani e diventò rossa rossa «Shhh, mamma!» la rimproverò.

«Scusa, scusa» disse Clarke ridendo. Rimise Madi per terra e con un buffetto sulla spalla le disse di andare a cambiarsi, mentre lei andava «a parlare con questa famosa e bellissima Lexa». Madi le indicò con un sorriso timido timido che Lexa era effettivamente la donna con la lunga coda castana. Clarke annuì e lanciò a Madi un bacino, che la bambina prese al volo con un sorriso. Quindi Clarke si girò e si avvicinò alla donna.

Lexa aveva ancora la maschera addosso, e alcuni genitori, scesi dagli spalti, stavano parlando con lei e l’altra donna, che doveva essere per forza Anya. Lexa quindi si tolse la maschera e, con un fluido movimento come nei film, si sciolse la coda e scosse i suoi lunghi capelli castani. Clarke deglutì a vuoto – doveva ammetterlo, aveva un debole per le brune – e si avvicinò un po’ di più.

Un cattivo gioco del destino le fece realizzare troppo tardi di chi si trattasse.

Clarke era ormai quasi arrivata dietro di lei, quando Lexa si voltò.

E non ci fu modo per Clarke di nascondersi.

Incrociò i suoi meravigliosi occhi verdi e si bloccò all’istante, il sangue che le si ghiacciava nelle vene.

Perché quella, oh, quella non era semplicemente l’insegnante di scherma di Madi per la quale la bambina aveva una cotta assurda.

Quella era la donna che aveva tormentato le notti di Clarke da due settimane a questa parte. Era la donna che aveva irretito anche le sue giornate, la donna che non riusciva a togliersi dalla testa, la donna che le aveva fatto vedere le stelle tra le lenzuola del letto quella notte indimenticabile.

Clarke la vide irrigidirsi e riconoscerla immediatamente.

E Clarke… beh.

Clarke impanicò.

                   

                      

               

   
 
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