Buonasera a tutti! Scusatemi immensamente per il ritardo con cui pubblico questa seconda parte del terzo capitolo, ma la sessione estiva mi ha travolta come un treno in corsa. Inutile dire che sono mezza morta. Ma una volta finiti gli esami tornerò attiva come prima!
Buona lettura :)
CAPITOLO TRE: CENERENTOLA (PARTE DUE)
Clarke si
era appena messa il pigiama ed era pronta per andare a letto
– dopo una giornata
che l’aveva lasciata allo stremo delle forze, tra lavoro,
Madi e di nuovo
lavoro – quando il suo telefono cominciò a
squillare. Uno squillo, due squilli,
tre squilli. Clarke grugnì e afferrò il telefono.
Era Raven.
Clarke
alzò
gli occhi al cielo, esausta, ma accettò comunque la chiamata.
«No,
Rae,
non ti racconterò cosa è successo sabato
notte» disse Clarke senza aspettare
neanche una parola da parte della sua amica.
«Oh,
avanti, Clarke! Siamo come
sorelle! Non puoi non dirmelo» protestò
Raven. La sua voce era quasi sovrastata dal rumore
di musica a palla. Clarke allontanò il telefono
dall’orecchio. Che diavolo ci fa in
un locale di mercoledì
sera?
«Invece
sì
che posso» replicò Clarke «Ed
è esattamente quello che ho intenzione di fare»
In effetti, lei e Raven si comportavano un po’ come delle
sorelle;
bisticciavano dalla mattina alla sera, punzecchiandosi e lanciandosi
frecciatine e occhiatacce e ciabatte
– ma quella era stata solo una mattina molto difficile per
Clarke – ma alla fine
dei conti, si volevano un bene dell’anima.
Clarke
avrebbe ceduto, prima o poi.
(Più
prima che poi, gote rosse e
gambe che tremano e labbra che non hanno ancora dimenticato baci,
carezze,
denti, gemiti.
Ma
questo dovevano ancora scoprirlo.)
«Buonanotte,
Raven» Clarke le chiuse il telefono in faccia e
affondò la testa nel cuscino.
Aveva seriamente bisogno di una settimana di ferie dalla sua vita. O
meglio, un
mese intero. Un mese per dimenticare, un mese per finalmente smettere
di
pensare, pensare, pensare.
La
verità
era che non ci riusciva. Non riusciva a non pensarci. Si lavava i denti
guardandosi allo specchio ancora mezza addormentata, e ci pensava.
Rispondeva
educatamente all’ennesima bastardata di Cage Wallace, e ci
pensava. Andava a
prendere Madi da scuola, e ci pensava. Cercava con tutte le sue forze
di
evitare il pensiero, e quello si ripresentava ancora più
prepotentemente a
invaderle la mente, lasciandole a stento la forza di respirare.
Quella
donna.
Le stava
rovinando la vita.
Okay, forse era una dolce rovina. Ma da quando
l’aveva incontrata – in maniera alquanto improvvisa
e alquanto infuocata – la
sua vita era diventata molto più
complicata. Si distraeva al lavoro, non ascoltava Finn quando parlavano
al
telefono, aveva persino fatto bruciare di nuovo le uova a colazione,
scatenando
una risata da parte di Madi mentre una stringa di imprecazioni
(mormorate
sottovoce per non farsi sentire dalla bambina) le usciva dalle labbra.
Le
stesse labbra che avevano
assaggiato una pelle così dolce, pronunciato parole che
avevano fatto partire
una scia di brividi lungo quelle gambe bellissime, le stesse labbra che
avevano
forzato gemiti fuori da altre labbra, labbra piene e rosse e martoriate
da baci
più caldi dell’estate più afosa
che–
«BASTA»
«Mami?» Clarke
sussultò sul letto,
trattenne un grido e si voltò verso la porta.
C’era la sua bambina con un vecchio
coniglietto di peluche che la guardava con i suoi occhi grandi, velati
dal
sonno e dalla confusione «Che succede?»
Clarke
sorrise e scosse la testa «Niente, piccola mia»
Batté un paio di volte sul
materasso (sul lato sinistro, quello di
Madi) per indicarle di venire a stendersi accanto a lei. Madi
sorrise e si
accoccolò accanto a Clarke, il coniglio schiacciato tra loro.
«Brutti
sogni?» chiese Clarke, baciando la sua bambina sulla fronte e
stringendola
forte a sé.
«No»
disse
Madi, e si allontanò un pochino per guardare sua madre negli
occhi «Mamma?»
chiese, fronte corrucciata come se qualcosa la stesse mettendo in
difficoltà
«Ma secondo te io posso davvero diventare una principessa
guerriera?»
«Certo!»
esclamò Clarke con un sorriso. Perché Madi era
così indecisa? Clarke
assottigliò gli occhi e alzò un po’ la
testa «Non è che qualcuno ti ha detto
che non puoi diventarlo? Chi è stato? Voglio nomi e cognomi,
Madi»
Madi
distolse lo sguardo e arricciò le labbra, evitando gli occhi
di Clarke. Clarke
la guardò attentamente, confusa. Sta
veramente arrossendo?
«Nessuno-nessuno
mi ha detto che non posso diventarlo» disse Madi, occhi sul
suo coniglietto di
peluche «È solo che Lexa è
così brava e alta e b-bella
e quando combatte sembra una vera principessa e ha sconfitto
Anya in due mosse e io voglio essere come lei ma non so-non so se ci
riesco
mamma»
Clarke si
morse il labbro. «Madi» la chiamò, e le
mise due dita sotto il mento per
spingerla a guardarla «Madi, guardami» Con
riluttanza, la bambina alzò lo
sguardo e incrociò con timidezza quello di sua madre. Cielo, è ancora così piccola,
pensò Clarke. Ma al tempo stesso
stava crescendo, vero? La sua piccola Madi stava diventando una
ragazzina
intelligente e matura e bellissima «Lo sai che tu sei
bellissima?» le disse infatti
con un sorriso «Con questi occhioni e questo
nasino» Clarke fece finta di
infilarlo tra due dita e rubarglielo, facendola scoppiare a ridere
«Ma
soprattutto, con questo cuore grande grande grande» Madi
sorrise timidamente e
strinse il suo coniglietto, avvicinandosi ancora di più a
Clarke «Sei la cosa
più bella che i miei occhi abbiano mai visto,
Madi» disse Clarke, dandole un
bacio sulla testa e passando le dita tra i suoi lunghi capelli castani
«E
niente né nessuno dovrebbe convincerti del contrario.
Capito?»
«Hmm-mmm»
Madi mimò un sì e si strinse a Clarke.
«Mi
vuoi
parlare di questa Lexa?» Clarke guardò Madi
nascondere la testa sotto le
coperte, le punte delle orecchie rosse rosse come un pomodoro. Clarke
scoppiò a
ridere, estasiata, e diede una sbirciatina sotto le lenzuola
«Non è che
qualcuno ha una cottarella?»
«NO»
mugolò
Madi, e si nascose ancora più sotto. Clarke sorrise, un
sorriso caldo e grande
che le riempì il cuore di gioia.
«Avanti,
piccina, a me puoi dirlo! Giuro che non ti prenderò in
giro» promise Clarke,
mano sul cuore.
Madi
sbucò
da sotto le coperte con il mignolo della mano puntato dritto verso
Clarke.
«Giurin giurello?»
Clarke le
prese prontamente il mignolo con il suo «Giurin giurello,
amore»
«Okay»
Madi
saltò fuori dalle coperte e si sedette a gambe incrociate,
sguardo eccitato e
coniglietto stretto tra le braccia «È la mia
maestra di scherma ed è bellissima»
disse, e si lanciò in
un’accuratissima descrizione di questa principessa guerriera
che le aveva
rubato il cuore. Capelli castani con riflessi di miele, occhi verdi
verdi come
le più belle giornate di primavera, gambe lunghe e pronte a
scattare per un
attacco improvviso – e ZAM ZAM ZAM!,
l’avversario era già a terra sconfitto.
Più
Madi parlava,
però, più forte diventava una vocina nella testa
di Clarke che le diceva che
c’era qualcosa di tremendamente sbagliato, in tutto questo, e
che quel qualcosa
avrebbe portato alla sua rovina.
Oh,
che dolce rovina–
Ma Clarke le
diede un calcio mentale e la rispedì nella nebulosa parte
del suo cervello da
cui era venuta.
Andava tutto
bene.
Non
c’era
nulla di cui preoccuparsi.
Proprio
nulla.
***
Erano le
cinque e un quarto di mercoledì pomeriggio e Clarke era
appena uscita dal
lavoro. Finalmente i doppi turni alla galleria erano finiti: quelle due
prime
settimane della nuova esposizione l’avevano sfiancata,
riducendola a uno
straccio. A stento aveva avuto le forze per preparare da mangiare e
mettere
Madi a letto.
Clarke
salì
in macchina e, come prima cosa, si tolse le
décolleté che portava ai piedi con
un sospiro di sollievo; stare tutto il giorno sui tacchi era una
faticaccia,
anche se ci era ormai abituata. Prese la borsa dietro al sedile e
tirò fuori le
scarpe basse di salvataggio –
così le
chiamava lei – che teneva sempre in macchina. Quindi accese
il motore e si
avviò verso la palestra in centro città dove Madi
aveva lezione di scherma.
Inutile dire
che Clarke fosse curiosa: non vedeva l’ora di conoscere di
prima mano il nuovo
ambiente dove la sua bambina si stava inserendo; i resoconti di Finn
erano
esaustivi e positivi, certo, ma una mamma doveva sempre controllare di
persona.
E poi, Clarke era ancora più eccitata all’idea di
incontrare questa famosa
Lexa, spadaccina provetta, principessa guerriera e prima cotta di Madi.
Il solo
pensiero le mise sul viso un sorriso idiota che Clarke
faticò a togliersi di
dosso.
Arrivata a
destinazione, parcheggiò la macchina e scese con calma,
sistemandosi i capelli
nel riflesso del finestrino. Era in anticipo di quindici minuti. Clarke
entrò
nella palestra e chiese indicazioni alla signora che era seduta in
quella che
doveva essere una specie di segreteria. La ringraziò con un
sorriso e si avviò
lungo un corridoio illuminato con prepotenti luci al neon, poi ne
attraversò un
altro, e un altro ancora. Ma è una
palestra o un labirinto? pensò, le luci al
soffitto che la accecavano e il
male ai piedi che la tormentava. Se mi
tocca girare in un altro corridoio quasi quasi chiamo Finn e mi faccio
indicare
la strada, perché è una cosa assolutamente ridic-
Clarke
andò
quasi a sbattere contro lo stipite di una porta aperta. Si
bloccò all’ultimo
momento, la testa a un pelo dallo stipite. Strizzò un paio
di volte gli occhi,
ringraziando la sua buona stella, e volse lo sguardo verso
l’interno della
stanza.
Ciò
che vide
le fece perdere il fiato.
C’era
una
ragazza, una donna, mezza accovacciata a terra, una spada –
che Clarke sperò
con tutta se stessa fosse di scena – tra le mani, che
sembrava pronta ad
attaccare un’altra donna a qualche metro da lei. Entrambe
erano vestite con
l’equipaggiamento completo da scherma, maschera compresa, ma
anche se Clarke
non poteva vederle in faccia, i loro gesti tradivano
l’eccitazione e la
competitività dello scontro. Clarke sentì un
brivido salirle lungo la schiena,
e si strinse tra le braccia, in attesa dell’attacco imminente.
Attacco che
non si fece aspettare.
La donna
scattò contro il suo avversario e mollò un
fendente che non centrò il bersaglio
per un soffio. L’altra donna scartò
all’ultimo momento, bloccando l’attacco con
la sua arma, e si allontanò di qualche metro. Avevano
entrambe il fiatone, e si
guardavano attraverso le maschere camminando in cerchio, come se
stessero
cercando di individuare eventuali punti deboli l’una
dell’altra. La prima donna
– che Clarke aveva soprannominato nella sua testa Codina per la lunga coda castana che le
usciva dalla maschera –
provò una finta all’improvviso, ma
l’altra donna riuscì a pararla e a mettersi
a distanza di sicurezza. Clarke sentì Codina ridere;
sembrava un felino che
giocava con la sua preda, non abbastanza affamata da terminare la
caccia per
mangiare, ancora in forze per tormentare la sua preda un altro
po’.
Che
sia lei Lexa?
Clarke si
guardò un po’ intorno. Quella palestra era
gigantesca: il soffitto era
altissimo e sembravano starci due campi da pallavolo in orizzontale.
Non le fu
difficile individuare Madi; era la prima della fila di bambini che
assistevano
alla sfida, e guardava le due donne combattere con la bocca aperta e i
grandi
occhi spalancati, accesi di una luce che Clarke non aveva mai visto.
Clarke
sorrise, e vide che c’erano anche altri adulti –
presumibilmente genitori dei
bambini – seduti sugli spalti della palestra, tutti intenti
ad osservare il
combattimento.
Clarke si
rigirò verso le due donne, e si pentì di essersi
distratta: adesso stavano
combattendo con una ferocia e una velocità che Clarke non si
sarebbe mai
immaginata. Roteavano le spade all’impazzata e il rumore
delle lame che si
scontravano schioccava nel silenzio estasiato della stanza. A Clarke
tornò in
mente quello che aveva pensato la prima volta in cui aveva visto il
volantino
della scuola di scherma: sembrava stessero danzando; si muovevano con
una
precisione e una coordinazione tale da far apparire lo scontro come
un’elaborata coreografia.
E
all’improvviso accadde: con una sequenza di rapidissimi
affondi Codina disarmò
l’altra donna, la fece inciampare e cadere a terra, e le
puntò la spada alla
gola. I bambini proruppero in urla divertite e applaudirono, seguiti a
ruota
dai loro genitori. Clarke si portò una mano al petto: aveva
il cuore che
batteva all’impazzata. Non aveva mai visto nulla del genere.
Ne voleva
ancora.
Adesso
capiva alla perfezione perché Madi si fosse presa una cotta
per la sua
insegnante.
La donna a
terra grugnì delusa e batté una mano inguantata
sul pavimento, ma poi si fece
aiutare da Codina a rialzarsi. Le due donne si strinsero la mano e si
abbracciarono, per poi inchinarsi davanti ai bambini che ancora
applaudivano.
«E con
questo, ragazzi» disse la donna che era stata sconfitta
togliendosi la maschera
«La lezione è finita, potete andare a
cambiarvi» Tutti i bambini esultarono e
corsero alla porta dove c’era Clarke per andare negli
spogliatoi.
Madi
incrociò lo sguardo di Clarke e le saltò addosso,
facendola quasi cadere a
terra. Si strinse forte a lei e la riempì di bacini
«Mamma!» esclamò tra un
bacino all’altro «Oggi sei venuta tu!»
Clarke
sorrise e accarezzò la testa della sua bambina
«Certo amore mio, non potevo
mica non venire a conoscere la donna che ha rubato il cuore a mia
figlia!»
A quelle
parole, Madi le coprì la bocca con le mani e
diventò rossa rossa «Shhh, mamma!»
la rimproverò.
«Scusa,
scusa» disse Clarke ridendo. Rimise Madi per terra e con un
buffetto sulla
spalla le disse di andare a cambiarsi, mentre lei andava «a
parlare con questa famosa e bellissima Lexa». Madi
le indicò con
un sorriso timido timido che Lexa era effettivamente la donna con la
lunga coda
castana. Clarke annuì e lanciò a Madi un bacino,
che la bambina prese al volo
con un sorriso. Quindi Clarke si girò e si
avvicinò alla donna.
Lexa aveva
ancora la maschera addosso, e alcuni genitori, scesi dagli spalti,
stavano
parlando con lei e l’altra donna, che doveva essere per forza
Anya. Lexa quindi
si tolse la maschera e, con un fluido movimento come nei film, si
sciolse la
coda e scosse i suoi lunghi capelli castani. Clarke deglutì
a vuoto – doveva
ammetterlo, aveva un debole per le brune – e si
avvicinò un po’ di più.
Un cattivo
gioco del destino le fece realizzare troppo tardi di chi si trattasse.
Clarke era
ormai quasi arrivata dietro di lei, quando Lexa si voltò.
E non ci fu
modo per Clarke di nascondersi.
Incrociò
i
suoi meravigliosi occhi verdi e si bloccò
all’istante, il sangue che le si
ghiacciava nelle vene.
Perché
quella, oh, quella non era semplicemente l’insegnante di
scherma di Madi per la
quale la bambina aveva una cotta assurda.
Quella era
la donna che aveva tormentato le notti di Clarke da due settimane a
questa
parte. Era la donna che aveva irretito anche le sue giornate, la donna
che non
riusciva a togliersi dalla testa, la donna che le aveva fatto vedere le
stelle
tra le lenzuola del letto quella notte indimenticabile.
Clarke la
vide irrigidirsi e riconoscerla immediatamente.
E
Clarke…
beh.
Clarke impanicò.