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Autore: alessandroago_94    18/06/2018    13 recensioni
Isabella è una ragazza come tante altre, senza alcuna pretesa di troppo dalla vita.
Tuttavia, da quando la relazione con il suo ragazzo è entrata in crisi, la felicità ha lasciato spazio alla più profonda tristezza.
Quello che non sa è che, a volte, la vita sa donarci piacevoli sorprese. E l’amore può annidarsi dove neppure lei avrebbe mai creduto di poterlo trovare.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo cinque

CAPITOLO CINQUE

 

 

 

 

 

 

Tornai a casa a pezzi, non mi sentivo quasi più le gambe, ed anche guidare e percorrere il tragitto che mi avrebbe riportato da mia madre era stato in un certo senso sfiancante, ma anche molto malinconico.

Mi tornava continuamente alla mente che, solo la sera prima, in quel medesimo momento stavo sfrecciando dalla parte opposta, diretta verso l’appartamento in cui convivevo. E di Marco ancora nessuna notizia.

Ci stavo troppo male, era come se la mia realtà si fosse scombussolata, talmente tanto da rendere sbiadito anche il ricordo del confronto che avevo avuto solo otto ore abbondanti prima con il genitore del mio ragazzo. Ecco, mi sentivo debole, fragile; rivolevo Marco, rivolevo le sue labbra, e, in un certo senso, anche il suo egoismo.

Solo quando la mia provata auto, acquistata l’anno precedente in una concessionaria che vendeva anche dei mezzi usati, fece un brusco rumore strano, riuscii a ritornare alla realtà, e a comprendere che dovevo essere più forte, e non crollare per un nonnulla.

Non badai ai problemi del mio vecchiotto veicolo di seconda mano, siccome ormai ero abituata ai rumorini strani che di tanto in tanto produceva, e ripensai alle frasi che mi aveva riservato Piergiorgio, l’originale cliente amico di Virginia. Questo mi rassicurò, in fondo le sue parole erano davvero rinfrancanti.

Una volta aver parcheggiato nel piccolo garage di mia madre, balzai subito in casa, sfiancata e provata sotto ogni punto di vista. Desideravo solo una doccia, come mio solito e come ogni sera, ma logicamente, in quei giorni in cui tutto pareva che dovesse andare per il verso sbagliato, mi ritrovai di fronte mia madre, avvolta dal profumo di un arrosto che di sicuro mi stava attendendo nella vicinissima cucina, a pochi passi da me.

“Ben tornata”, mi accolse la mamma, venendo a darmi un bacio sulla guancia come suo solito. La mia brusca partenza di metà giornata sembrava già esser stata dimenticata.

“Grazie, mamma”.

“Cara, ti ho preparato un po’ di cena…”.

“Ma dai… ti dico e ti ripeto sempre di non preoccuparti per me! Devi comportarti come se non ci fossi”, le dissi, fingendomi irritata, quella volta.

Oh, l’odore che stuzzicava il mio naso era divino, un vero e proprio profumino invitante, e non vedevo l’ora di fiondarmi ad affrontarlo. La doccia poteva aspettare anche per quella sera, in fondo.

“E io ti ripeto che lo faccio con immenso piacere”, mi rassicurò come suo solito, “e serviti pure, eh! Prendi tutto quello che vuoi”, m’invitò poi, mentre io ero già in cucina e al cospetto del cibo, sistemato per bene in un tegame grande e spazioso.

Non riuscii più a trattenermi, e fu più forte che mai; mi fiondai a scegliere i pezzetti di pollo già tagliati dalla cuoca provetto che li aveva cucinati, e feci razzia del petto, siccome il resto non mi faceva impazzire. Ma restava il fatto che quando mia madre si metteva seriamente ai fornelli, come quella volta, tutto era gustoso e non c’era nulla da lasciare da parte o di meno gustoso.

Mangiai di gusto, e lei con me, dopo aver atteso che mi fossi servita in modo molto egoista, ma davvero, non ci vedevo più dalla fame, e messa di fronte a quel ben di Dio nulla era riuscito a trattenermi dal gozzovigliare maleducatamente.

Notai con la coda dell’occhio, comunque, che di tanto in tanto mi lanciava un’occhiatina furtiva, come se avesse qualcosa da dirmi, ma stesse attendendo il momento più propizio per farlo, come a non voler rovinare quella ritrovata e tranquilla pace tra noi.

“C’è qualcosa che devi dirmi?”, le chiesi, tuttavia, non appena mi ritrovai ad un passo da concludere la mia porzione, con lo stomaco già praticamente pieno e senza più provare quel famelico bisogno di nutrirmi.

“Uhm… ehm… perché?”, borbottò la mia interlocutrice, che aveva già concluso il suo pasto serale.

“Beh, è solo mezz’ora abbondante che mi fissi di nascosto in modo strano…”, le dissi, cortesemente, finendo poi di masticare l’ultimo boccone di pollo che era rimasto nel mio piatto.

“In realtà, sì”, ammise, in modo tranquillo.

“Ah”.

Allontanai il piatto, debolmente, mentre lei lo raccoglieva per metterlo nel lavabo.

“Sono andata ad avvisare il signor Mauro della vostra pausa”.

Sobbalzai sulla sedia. Il signor Mauro era il clemente proprietario dell’appartamento in cui convivevo, e non riuscii a comprendere la mossa della mamma, effettuata a mia insaputa.

“Perché?!”, mi venne così spontaneo da chiedere, ancora ingenuamente.

Ero una ragazza piuttosto incapace di nascondere le mie emozioni e di trattenermi, e questo mi rendeva molto prevedibile agli occhi di chi mi conosceva bene. Infatti, mia madre mi rivolse l’ennesima occhiata contrariata.

“Ti sembra educato scappar via dall’appartamento in affitto in quel modo? Mauro si stava chiedendo che fine aveste fatto. Ha detto che ha udito del trambusto per buona parte della notte, e poi basta. Al mattino, le vostre finestre non sono state aperte, era tutto chiuso e nessuno di voi è uscito di casa. Era molto preoccupato, non riusciva a capire cosa vi fosse successo, per lasciare così in fretta tutto quanto ed andarvene”, mi disse, a voce moderata, lasciando trapelare un po’ di nervosismo.

“Ma come… Marco…”.

“Marco ha fatto le valigie poco dopo di te e se n’è tornato definitivamente a casa dei suoi genitori”, sancì mia madre, spiaccicandomi la cruda verità in faccia.

Non sapevo che dire o cosa pensare; avevo creduto che lui, anche se si era rivolto alla sua famiglia, avesse continuato ad attendermi lì, in quello che era diventato il nostro nido d’amore, dove avevamo passato tanti bei momenti di piacere condiviso. Mi rendevo conto che se ciò era vero, lui aveva deciso non solo di non tentare di abbandonare il suo egoismo, ma anche di gettare totalmente la spugna e rinnegare anche il nostro più piccolo sogno d’indipendenza.

“Non temere, Mauro mi ha detto che l’appartamento lo terrà sfitto per un po’, siccome immagina che tra di voi le cose si sistemeranno, e allora potrete tornare a occuparlo quando volete”, proseguì la mamma, dopo qualche istante di profondo silenzio da parte mia. Ma io continuavo a non sapere proprio cosa poter aggiungere.

Sembrava che tutto fosse davvero precipitato, e all’improvviso mi ritrovavo ad immaginare il nostro appartamento ormai vuoto, e nonostante fosse stato un luogo angusto che avevo tante volte maledetto mentalmente, si trattava pur sempre di un luogo che ormai mi era caro, una sorta di tempio. E quel tempio, senza le nostre presenze e le nostre cose, era come se fosse stato razziato.

Mi chiedevo il motivo per cui Marco non mi avesse atteso, e perché avesse preferito darsi alla macchia fin da subito, e… capii. Un debole. O l’aveva fatto per ripicca. Mi aveva ripagato con una mossa che doveva essere pane per i miei denti, siccome sapeva bene come la pensavo su tutto e sul nostro rapporto di coppia.

Mi venne improvvisamente da piangere, e trattenni un singhiozzo, mentre la disperazione crescente ed improvvisa si fondeva con un senso di nausea che non mi sarei mai aspettata di poter provare in modo così intenso.

Lasciai la cucina quasi di corsa, senza aprir bocca, e salii le scale in fretta, per chiudermi a chiave in bagno, a lasciar sfogare le mie lacrime, solo per qualche istante, per poi tornare a indossare la mia maschera che comunque ormai avevo calato di fronte a quasi tutti coloro che avevano avuto contatti con me durante quella mesta giornata. La prima senza di lui, e la prima in cui lui mi aveva fatto soffrire in quel modo barbaro, seppur indirettamente.

Mi soffiai rumorosamente il naso, incapace di gestirmi, e sentii qualcosa di caldo e viscoso che mi colava improvvisamente fino alle labbra, per poi cadere nel lavandino; era sangue. Sangue dal naso, come ogni volta che vivevo un periodo altamente stressante, e mi ritrovavo a piangere e ad utilizzare molto di frequente i fazzoletti.

“Isa? Isa, apri questa porta. Non volevo, non credevo di ferirti in questo modo!”, urlò mia madre al di là della porta, dopo avermi raggiunto al piano superiore.

Soffocai un singhiozzo ed affogai il mio respiro affannoso aprendo il rubinetto dell’acqua fredda, lavando così anche le gocce di sangue che mi erano ruscellate giù dal mio sempre più provato naso. Anche i miei capillari avevano dato tutto, per quella giornata.

“Non è colpa tua! Non preoccuparti, tra un attimo torno giù”, riuscii a dire, dopo aver cercato di ammansire la mia voce, che voleva uscire dalle mie labbra in modo stridulo e comprensibilmente disperato.

Mia madre non insistette oltre, ed io lasciai che la mia fronte finisse ad appoggiarsi contro il rubinetto, mentre ancora qualche goccia di sangue vermiglio lasciava il mio corpo, per finire ingurgitata nelle fognature. Per fortuna, smisi in fretta di sanguinare.

Ancora singhiozzando, mi lavai delicatamente il viso, e trattenendo il pianto, strofinai accuratamente gli occhi, e poi le parti del volto rimaste intaccate dalla piccolissima emorragia nervosa. Ma quando ebbi finito, mi resi conto che non ero dell’umore giusto per tornare a rivedere mia madre, e per scendere di nuovo a parlare con lei.

Scelsi quindi di compiere una mossa più elementare, ovvero di provare a farmi una doccia, intanto che ero già in bagno, e poi di andare direttamente in camera mia, siccome ciò di cui più necessitavo era il riposo delle mie membra e della mia mente. I genitori quel giorno mi avevano sfiancato, primo tra tutti il padre di Marco, che nonostante non mi sopportasse più di tanto aveva cercato di comprarmi con una cifra folle, pur di farmi ritornare da suo figlio, come se fossi stata solo un giocattolo, mentre mia madre tentava in tutti i modi di buttarmi in faccia quanto il mio convivente fosse un inetto e non mi meritasse affatto.

Mi sentivo oppressa da ogni parte e, per carità, la mia mamma era stata buonissima e gentilissima nei miei confronti, comportandosi proprio come un genitore amabile sotto ogni aspetto, preparandomi i pasti e permettendomi di alloggiare in casa sua, ma un po’ mi angustiava quando affrontava il tema che più mi feriva al momento.

Feci una doccia molto frettolosa, e poi, asciugandomi a malapena e raccogliendo i miei abiti in mano, scivolai ancora nuda nella mia stanza, senza far rumore, e notando che le luci al piano inferiore erano ancora accese. Mia madre mi avrebbe aspettato invano. Presi il cellulare e lo controllai avidamente; da Marco, ancora nessun segnale.

Avvilita, e di nuovo in procinto di riprendere a piangere, decisi di fare una scelta che mi venne spontanea, cioè di contattare la mia cara amica Irene. Lei la conoscevo da una vita, e nonostante la frequentassi molto meno di quando non ero ancora fidanzata, restava pur sempre una buona confidente, e fin dal tempo delle scuole elementari avevamo condiviso emozioni e gioie reciproche.

Avevo bisogno di una spalla disinteressata su cui appoggiare il mio viso e lasciarmi andare, e sapevo che di quella mia coetanea potevo fidarmi ciecamente, e le scrissi, d’impeto, chiedendole di poterci vedere, possibilmente a breve.

Poi, dopo aver messo in silenzioso il cellulare ed averlo appoggiato sul minuscolo comodino a fianco del letto, mi lasciai scivolare, sfinita, sul mio giaciglio, e una volta giunta a contatto con il materasso, mi sentii quasi come rinata e risollevata.

Ebbi un sospiro di sollievo, e, senza neppure accorgermene, poco dopo aver appoggiato il mio viso sul cuscino, mi lasciai andare e mi donai al sonno ristoratore che più avevo bramato e desiderato fin da quell’inconsueta mattina.

 

Altrettanto in fretta fu mattina di nuovo; mi risvegliai, infatti, col sottofondo formato dai dolcissimi cinguettii degli uccellini che popolavano il tetto e gli alberi circostanti alla dimora. Fu così che tornai a prepararmi alla nuova giornata, e andando a controllare il cellulare, scoprii che ancora Marco non si era fatto vivo, a due giorni dall’inizio della nostra pausa, ma in compenso Irene mi aveva scritto, per propormi una simpatica iniziativa che prontamente accettai.

Mi vestii in fretta, e solo quando mi accinsi ad andare al piano inferiore ricordai quanto avessi lasciato in sospeso mia madre, la sera prima. Scelsi in prima istanza di provare a far finta di nulla, ma sapevo che non ci sarei mai riuscita fino in fondo.

Infine mi decisi a scendere le scale, e ad andare in cucina; ma con quale faccia tosta potevo ripresentarmi alla mamma, dopo la scenata di ieri sera e dopo averle dato buca? Sapevo che lei era lì, nella stanza di casa che pareva il suo regno, e non mi andava di tornare a violarlo con la mia solita emotività estrema.

Per fortuna, avevo lasciato che fosse il caso a facilitarmi le cose, che si era personificato con Irene, la mia amica, che di lì a meno di mezz’ora sarebbe passata a prendermi per fare un giretto e scambiare quattro chiacchiere, prima di tornare nuovamente al lavoro, come mi aveva già preavvisato.

Avendo accettato quella via di fuga, decisi di cercare di sgattaiolare fuori, e di mettermi placidamente in attesa. Ma, come al solito, a mia madre non si poteva proprio sfuggire.

“Isa, buongiorno! Come stai?”, la udii dire, mentre io ancora dovevo muovere il primo passo verso l’uscita.

A quel punto, tanto valeva mostrarmi a lei e evitare di fare ulteriormente la maleducata in casa degli altri.

“Bene, mamma. Scusa per ieri sera, ma avevo davvero un bisogno urgente di farmi una doccia, e poi… e poi avevo un gran sonno, e mi sono addormentata di colpo…”.

Se doveva funzionare come scusa, il mio discorso, non mi uscì come tale dalle mie labbra timide e tremolanti.

“Oh, immaginavo! Però mi hai fatto preoccupare molto. Mi dispiace per quello che è successo, io non volevo…”.

“Puoi fare ciò che vuoi. Sei in casa tua, puoi dire ciò che ti pare liberamente, e cercare di condizionarmi quanto vuoi”, le dissi, interrompendola dolcemente.

“No, non devo più ficcanasare nei vostri affari di coppia! Mi sono vergognata per tutta la notte. Non dovevo permettermi di andare da Mauro”.

“Prima o poi, qualcuno ci sarebbe dovuto andare comunque, per avvisarlo”, la rassicurai, tornando torva.

Non mi riusciva di fingermi gioviale o sollevata, siccome ero ancora a pezzi, come durante il giorno precedente. Volevo solo che quello che stavo vivendo finisse in fretta, e che io e il mio ragazzo riuscissimo a chiarirci e a riprendere la nostra vita come se nulla fosse.

Quasi mi veniva da tornare ad accettare anche l’inerzia sua, e di essere di nuovo l’unica che sgobbava senza un domani e senza sosta. Tutto, tutto pur di tornare con lui; ma ad un solo patto, ovvero che fosse lui a fare la prima mossa gentile, siccome l’intervento diretto di suo padre, anche molto sgarbato per il mio onore, aveva leso ulteriormente la situazione.

“Uff, lo so. Però, mi è dispiaciuto lo stesso, sai? Non voglio più vederti soffrire così, vorrei solo che tu fossi felice”, tornò a dire la mamma, dopo aver riflettuto per un attimo, ancora in piedi nel mezzo della porta della cucina.

“Immagino che per essere felice, secondo te, dovrei rompere con Marco e dimenticarlo per sempre, giusto?”, mi venne spontaneo da chiederle, a quel punto. Mi resi conto di averla stuzzicata, e di averla pizzicata con una domanda troppo diretta e fredda, e quasi me ne vergognai.

Per fortuna lei fu educata e, nonostante si fosse imbronciata lievemente, si limitò a scuotere il capo con un cenno di diniego e a ritrarsi dentro la cucina.

“Non ti nascondo che vorrei che tu meritassi di meglio! Un uomo che le spalle larghe, una persona in grado di amarti e di capirti, ed ho l’impressione che Marco, nel suo egoismo infantile, non lo faccia fino in fondo. Ma ti giuro che non voglio parlare più del tuo ragazzo! D’ora in poi, fintanto che resterai qui in casa con me, non farò mai più alcun giudizio…”.

“Ma ti chiedo io di farmeli conoscere. Magari, se solo tu fossi più imparziale nei giudizi…”, le sorrisi, rompendo quello strato di ghiaccio sottile che stava per separarci ancora un po’.

“Lo so, ma non ci riesco. Per questo, non interferirò più, com’è giusto che sia, e spererò solo che tutto vada a finire per il meglio, e che questo periodo molto ansioso per te possa finire molto in fretta”, concluse la mamma, tirando le somme.

Non mi sentii di dire altro; una parola in più sarebbe stata poca, e due troppe, siccome conoscevo la sua cocciutaggine e sapevo perfettamente che quando prometteva una cosa, poi manteneva la promessa fatta.

“Ma ora, mangia qualcosa! Guarda, ti ho preparato un po’ di colazione”, continuò a dirmi, cambiando discorso e passando da sopra a tutto quello che ci stava facendo discutere amabilmente.

“Bevo solo un sorso di latte, poi devo scappare. Irene passa a prendermi tra dieci minuti, andiamo a fare un giretto prima che io debba andare al lavoro”, aggiunsi, afferrando a due mani la mia tazza e portandomela alle labbra, appena riempita dal latte appena riscaldato.

“Oh, ottima idea! Vedrai, stare un po’ in compagnia di un’amica ti farà risollevare di sicuro il morale”, mi strizzò l’occhio la mamma, ed io, prima di accingermi ad andare ad attendere Irene, le diedi un bel bacione sulla guancia destra, come facevo fin da quando ero bambina. Era il mio simbolo di pace, affetto e rispetto.

C’eravamo chiarite, ed uscii di casa col cuore molto alleggerito, avendo evitato ogni sorta di maligna discussione con l’unica figura genitoriale che mi aveva sempre supportato. Ed ero così pronta ad affrontare più serenamente quella furia di ragazza che era Irene.

 

La mia amica fu puntualissima; spaccò davvero il secondo.

La sua auto, una bella Seat Leon bianca, sfrecciò rapidamente fino di fronte a me, mentre mi sfuggiva già una risata divertita.

“Cos’è questa storia, che tu e Marco vi siete presi una pausa?!”, gridò a voce altissima, abbassando il finestrino ed accostando per farmi salire. Come sempre, la mia amica era dotata di una curiosità estrema, e nonostante le avessi promesso che le avrei spiegato tutto a tempo debito, non era riuscita affatto a trattenersi. Continuavo a sorridere.

Entrai in macchina, e lei ancora mi fissava a bocca semi socchiusa, con un fare che lasciava comprendere che voleva subito accecare la sua curiosità e scoprire tutti i retroscena di ciò che le avevo accennato la sera prima tramite messaggio scritto.

“Puntuale come un orologio svizzero, eh! E non mi guardare così…”, le dissi, allacciando la cintura.

Irene, i capelli ricci e neri come la notte al vento, ingranò la marcia e partì a tutta velocitò, col vento che le scompigliava la capigliatura di cui andava fiera. La pelle abbronzatissima mi faceva capire che doveva aver passato molto tempo al mare, e il suo visetto rotondeggiante aveva, come sempre, un che di furfantesco e di scaltro.

“No, infatti non ti guardo più, fintanto che non mi dici cos’è accaduto”, mi disse, divorata dalla sua voglia di gossip.

Non mi sentivo di deluderla, e vuotai il sacco fin da subito, sapendo che lei era sì così estremamente vogliosa di conoscere tutto della vicenda, ma che non saprebbe mai andata a spargere pettegolezzi in giro e che tutto quanto sarebbe rimasto tra noi.

Lo feci proprio rapidamente, e con poche parole, siccome non c’era molto di importante da narrare, a parte il succo e il fulcro della questione.

“Beh, e ti pare poco?! Io un tipo così lo mollerei subito, non appena avessi avuto la possibilità di conoscerlo per bene”, replicò con la sua solita veemenza Irene, non appena ebbe finito di ascoltare il racconto.

“Non ti ci mettere anche tu. Pure mia madre la pensa così”.

“Ma stiamo scherzando? Perdonami, cara, ma a me Marco era sempre sembrato un ragazzo solare e sociale. Veniva a tutte le feste, si comportava come tutti… magari se la tirava un po’ più di altri, ecco, un po’ egoista, ma proprio poco. Non avrei mai pensato che fosse così vigliacco, a non volersi neppure rimboccare le maniche e a correre dietro alla sottana della mamma e ai calzoni del papà! E poi il padre che interviene, come per comprarti, alla stessa maniera di un oggetto in vendita al mercato… che schifo di situazione! No, io non ci sarei stata con lui per tutto questo tempo. Hai fatto bene a prenderti una pausa, e adesso aspetta che faccia lui la prima mossa, se non rovina tutto prima e per sempre”, si spiegò la mia amica, continuando a spingere sull’acceleratore. 

“E’… complicato da spiegare. Io poi gli voglio ancora bene…”, replicai, a bassa voce e con ingenuità, ormai smorzata dall’ennesima persona lanciata contro Marco. Irene mi lanciò un’occhiata scettica.

“Dai, su col morale… questo era solo un mio parere. Ma adesso ci fermiamo a fare colazione, ed ovviamente offro io, e parliamo di altro, così ti distrai un po’. Non pensare sempre a quella sanguisuga”, mi tornò a dire la mia interlocutrice, parcheggiando all’improvviso e in tutta fretta.

Guardai fuori dal finestrino, e non appena scesi dall’auto, riconobbi che ci trovavamo dall’altra parte della città, molto lontano da tutto ciò che avrebbe potuto ricordarmi i momenti vissuti col mio ragazzo, e quindi rattristarmi. Mi sentivo a mio agio.

“Avanti! Un po’ di caffè farà passare tutto. In questo bar lo fanno fantastico”, m’incitò Irene, grintosa come sempre, mentre si dirigeva verso un locale vicino, stringendo tra le mani la sua bella borsa firmata Gucci.

Io le trotterellai dietro, già in affanno; non ero più abituata alla frenesia costante della mia amica.

“Non vorrei essere la guastafeste di turno, ma in realtà un po’ di colazione l’ho già fatta…”.

“Non preoccuparti. Una doppia colazione ti farà stare meglio!”.

Di fronte alla sua risoluta gentilezza, non potei far a meno che cedere.

Entrammo nel piccolo bar e ci sedemmo, per poi ordinare in tutta fretta due caffè. Per una volta, ero io a ordinare e ad essere servita.

Mi sfuggì un altro sorriso, a quel pensiero.

Irene si mise a guardare il cellulare, per qualche istante; un magnifico Samsung Galaxy di ultimissima generazione, e mi venne da chiedermi cosa facesse nella vita reale per potersi permettere simili lussi. Era da tempo che non ci incontravamo, ma un anno prima ancora non aveva alcun lavoro e nessuna forma di sussistenza.

Forse, era riuscita ad ottenere un posto da qualche parte, con tanto di stipendio ben corposo, e me lo auguravo per lei.

“Sai, io li odio questi ragazzi buoni a nulla. Vorrei tanto trovarmene uno ricco, così dovrei smettere anch’io di faticare”, mi disse, tutt’a un tratto, e mi fece quasi sobbalzare di fronte alle sue parole.

“Non siamo più bambine! Non possiamo più credere che un giorno arriverà il principe azzurro e ci porterà nel suo castello dalle pareti d’oro”, mi venne da dire, lasciandomi poi sfuggire un sorriso sarcastico. Ma quanto sarebbe stato bello se ciò non fosse solo stata una sciocca favola, bensì una realtà?

“Beh, perché non è giusto crederci? Hai ragione quando dici che i principi azzurri non esistono, ma di ricchi ce ne sono in giro”, replicò Irene, mentre ci veniva portato il caffè, e la cameriera ci metteva davanti a noi le tazzine colme di liquido scuro fumante e dall’aroma limpido e inconfondibile.

“Sì, ma sono quasi tutti vecchi e usati”.

Mi era scappata una mezza battuta, a metà tra la verità e il dato di fatto, e ci lasciamo sfuggire una risata condivisa, per poi gustarci la nostra colazione in pace.

Avevo avuto ragione; alla fine, passare anche solo un’oretta scarsa in compagnia di un’amica mi stava facendo davvero bene.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Sorpresa! ^^

Ma che fatica… questo capitolo l’ho rispolverato. L’ho estratto direttamente dal cassetto, dov’era sommerso ormai dalla polvere di un anno… un anno da quando l’ho scritto. Rileggendolo, ho trovato la punteggiatura non di certo al top della forma, ma vi chiedo scusa; ho risistemato dove potevo, per il resto chiedo di perdonarmi e di godervi la trama.

Grazie di tutto! Non so quel che riuscirò a scrivere, quel che farò… ma proverò a portare avanti questo testo.

Grazie e a presto ^^

   
 
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