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Autore: alessandroago_94    25/06/2018    12 recensioni
Isabella è una ragazza come tante altre, senza alcuna pretesa di troppo dalla vita.
Tuttavia, da quando la relazione con il suo ragazzo è entrata in crisi, la felicità ha lasciato spazio alla più profonda tristezza.
Quello che non sa è che, a volte, la vita sa donarci piacevoli sorprese. E l’amore può annidarsi dove neppure lei avrebbe mai creduto di poterlo trovare.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo sei

CAPITOLO SEI

 

 

 

 

 

 

 

Purtroppo, però, dopo l’ora di svago, venne di nuovo il momento di recarmi al mio calvario quotidiano, che andava in onda quotidianamente presso L’angolo della bontà.

Mi feci portare lì da Irene, non volendo farla scomodare per riportarmi a casa di mia madre. Anche se così persi il vantaggio dell’auto, e sapevo che mi attendevano oltre tre quarti d’ora di scarpinata a piedi per ritornare alla base.

A quel punto tuttavia avevo deciso che a mezzogiorno non mi sarei lasciata andare ad un’avventura di tale portata, e quindi sarei rimasta nel locale fino alle quattordici, per affrontare la snervante ma inevitabile scocciatura solo a fine giornata, dopo le venti e alla fine del mio turno pomeridiano. Cioè quando anche il caldo, che già alle nove e mezzo era asfissiante, si sarebbe calmato un po’, essendo consapevole di non poter affrontare il nemico nel bel mezzo del suo regno, ovvero quella lunga estate.

Tornai quindi alla mia vita quotidiana, anche se con qualche angustiante pensiero che di tanto in tanto mi frullava per la mente, come accadeva di solito in quegli ultimi giorni.

Non feci in tempo ad entrare a L’angolo della bontà che Virginia già mi salutava.

“Buongiorno, Isabella cara!”.

Che dolce. Peccato che non conoscevo il motivo di tale di tale premura.

La padrona mi salutava ogni mattina, ma mai così grintosamente; mi venne da chiedermi se, dal giorno prima, le parole dello sconosciuto avessero davvero influito così tanto su di lei, da renderla amabile nei miei confronti. Forse era davvero innamorata di quel suo coetaneo, e tutto quello che diceva era per lei oro colato. O, forse, era solo un qualcosa di passeggero.

“Buongiorno, signora Virginia”, replicai, superato lo sbigottimento iniziale per tale calore.

“Tutto bene?”.

“Insomma”.

Andai a prepararmi, e prontamente incappai in Ilenia, che mi quasi mi finì addosso, distratta come sempre.

“Oh, scusa Isa, ma vado di fretta! Scusa ancora!”. E si volatilizzò in un battito di ciglia, portando con sé la scopa di saggina con cui si spazzava ogni mattina l’esterno, lasciandomi a scuotere la testa. Quella ragazza era un tornado.

Sistemai nel mio piccolo armadietto e sotto chiave la mia valigia, e indossai la divisa; ero ufficialmente pronta. Il bar mi attendeva, così come le mie solite mansioni.

 

Giunsi alle undici e trenta senza particolari ostacoli, dopo aver affrontato una mattinata normalissima, senza nulla di troppo impegnativo.

Pian piano il locale cominciava ad adibirsi per il pranzo, e già alcuni avventori si sistemavano ai tavoli con fare pensieroso, e gli occhi puntati sulla ristretta lista della piccola consumazione che L’angolo della bontà era in grado di offrire.

Immersa nel vociare della gente, persi un po’ di tempo nel prendere le prime ordinazioni, tra signore indecise e muratori mezzi sordi, e quando tornai a volgermi verso la signora Virginia, vidi che era di nuovo occupata a parlare con quell’affascinante e maturo signore del pomeriggio precedente. Da come flirtavano già animatamente, tornai a pensare che tra i due doveva essere davvero scattato una sorta di colpo di fulmine. Oppure, c’era sempre stato qualcosa tra loro, ed era riemerso solo nelle ultime ore… non ne avevo idea.

Continuai a fare il mio lavoro, e di tanto in tanto mi affacciavo sulla porta della cucina, per passare le varie ordinazioni a Massimo, il cuoco provetto sempre immerso nella preparazione dei suoi semplici ma gustosi manicaretti.

Quando si fece mezzogiorno, finalmente, mi ritrovai a realizzare che di fronte a me si prospettava un pranzo molto più scialbo in confronto a quello che mi avrebbe aspettato a casa, ma mi consolai pensando che, in fondo, anche il mio collega chef avrebbe sfornato per me qualcosa di delizioso.

Mi diressi verso Virginia, incurante del fatto che stesse ancora dedicando attenzione a Piergiorgio, e attesi che mi rivolgesse uno sguardo, prima di parlarle.

“Dimmi tutto, cara”.

“Ho concluso momentaneamente il mio turno. Credo che resterò… oh, mi scusi un attimo”.

Ad avermi interrotto era stata la vibrazione incessante del mio cellulare, che dalla tasca dei soliti jeans mi faceva quasi formicolare la gamba intera. Erano già passate le ore dodici da cinque minuti, quindi potevo rispondere, e poi, involontariamente, mi venne da pensare che fosse Marco.

Non so cosa mi prese, ma per qualche istante lo credetti, e per quello interruppi bruscamente quel mio minuscolo dibattito appena iniziato.

Rimasi mortificata quando notai che a chiamare era mia madre, e comunque risposi in fretta, siccome non potevo più tirarmi indietro, mentre Virginia e il suo ipotetico e originale spasimante mi stavano fissando con curiosità.

“Sì, mamma?”.

“Non ti ho chiesto se torni per pranzo… la tua auto è qui fuori, ancora, e non sapevo come comportarmi. Comunque, ti ho preparato un bel piatto di gnocchi di patate col ragù al pomodoro fresco, e ti sto cuocendo tutto adesso, così appena torni a piedi non si è raffreddato nulla”.

Bene, bel pasticcio.

Ero mortificata, per l’ennesima volta. Mia madre non sapeva, nella sua premura, che non avevo alcuna intenzione, né alcuna forza, dopo quattro ore di lavoro, di affrontare il sole di metà giornata e la sua afa per tornare a casa.

Sospirai rumorosamente, conscia comunque di avere due persone che mi stavano ascoltando e che aspettavano solo che riattaccassi e mi chiarissi per poi tornare a flirtare, e ricolma di dispiacere, siccome ci avrei tenuto molto a gustarmi i suoi manicaretti, mi accinsi a dirle la verità.

“Mi dispiace, non riesco a tornare a piedi, oggi. Giuro, sono stanca e se parto ora rischio di avere un collasso per strada, come minimo. Lasciali in padella gli gnocchi, questa sera li riscaldiamo”, le dissi, quasi a voler riparare parte della mia negligenza. Era vero che avrei anche potuto avvisarla in qualche modo, della mia scelta, ma non ero più abituata ad avere un qualcuno di così premuroso che mi attendesse a casa.

“Ah, va bene, capisco. Dispiace anche a me! A questa sera, allora”, sospirò alla fine la mia mortificata mamma, per poi riattaccare. Riconobbi che aveva sperato fino all’ultimo di convincermi a ritornare da lei, e che era rimasta un po’ ferita per il fatto che avevo lasciato perdere. Ma non potevo proprio fare altrimenti.

Rimisi via il cellulare e affrontai di nuovo Virginia, rimasta in attesa durante i sessanta secondi della telefonata.

“Ecco, stavo per dire che…”.

M’imbrogliai per un attimo, e dovetti ricollegare quello che stavo per dire prima che il cellulare squillasse, poiché la voce di mia madre, assieme al suo amabile e gentilissimo invito, continuava a ronzarmi nella mente, come un sottofondo spiacevole.

“C’è qualche problema, Isabella?”, mi chiese Piergiorgio, intervenendo a sorpresa.

Lo guardai in viso per la prima volta, quella giornata, e mi parve di scorgere un po’ di apprensione nei suoi lineamenti.

“No, no”, lo rassicurai, non bene, con la mia solita voce tremolante quando mentivo.

“Hai bisogno di tornare a casa? Non hai la macchina?”, chiese allora Virginia, incuriosita, gettando un’occhiata al di fuori della vetrata del locale, verso il posteggio che in genere occupava la mia auto, quel giorno però occupato da un’altra.

“Non ho la macchina, perché sono andata con una mia amica a fare un giro, questa mattina, e poi mi ha lasciato qui davanti. Mia mamma ci teneva che tornassi a casa, e mi aspettava per pranzo, poiché mi ero scordata di avvisarla che non sarei riuscita a tornare a piedi con questo caldo, ed ora… ora niente, mi fermo qui fino alle quattordici”, risposi, tranquillamente ed esaudiente, in modo da concludere le domande dei curiosi, e cercando di sorridere in modo disinvolto, ma mi venne da mostrare solo un sorrisino tremolante e insicuro.

“Va bene. Vuoi che ti faccia portare qualcosa dalla cucina?”, m’interloquì di nuovo Virginia, facendo cenno a distanza alla ragazza del part-time appena arrivata, che aveva appena preso il mio posto.

“Sì, grazie. Se c’è un tavolino non ancora occupato, mi siederei volentieri… e magari mi mangerei anche un bel trancio di pizza”.

“Perfetto. Accomodati pure dove vuoi, al resto ci pensiamo noi”.

Mi diressi verso il tavolino che faceva angolo, tra il bancone e il bagno, quello che di solito non veniva mai scelto da nessuno, e dopo aver recuperato la mia borsetta, mi misi a trafugarci dentro. Avrei avuto molto tempo da ammazzare, dovendo passare due ore di attesa, e almeno mezz’ora per avere quel misero trancio di pizza appena ordinato.

Estrassi il cellulare dalla tasca, e mi misi a paciugarci, irritata; ero nervosissima, desideravo tanto tornare a casa, ed invece ero rimasta ingabbiata in quel posto che sembrava volermi risucchiare anche l’anima. Ma in fondo era meglio dannarmi lì, che andare a sciogliermi nell’asfalto rovente del percorso pedonale che mi avrebbe riportato a casa.

Ero già così rassegnata e concentrata nei miei pensieri che non mi accorsi che qualcuno non aveva perso tempo a seguirmi e a venirmi dietro.

“Non dovresti dar buca alla mamma”.

Piergiorgio, il distinto signore che fino a poco prima era stato a cinguettare con Virginia, si sedette di fronte a me, dopo avermi parlato.

Per un istante, a prima vista, mi parve di rivivere l’incontro con il padre di Marco, ma quando fissai lo sguardo gentile che avevo di fronte, senza segni d’ipocrisia, mi rasserenai. Anche se mi sentii in dovere di replicare a modo.

“Non sono più una bambina; se ne farà una ragione”.

“Ma tu ci tenevi a pranzare con lei, giusto?”.

Guardai di nuovo il mio interlocutore, non capendo il reale motivo per cui mi aveva seguito e mi stava turlupinando con le sue domande. Mi stava mandando in confusione, seppure fossi certa che non fosse quello il suo scopo.

“Certo che ci tenevo, è una cuoca perfetta. Ma mi dovrò proprio accontentare della pizza, quest’oggi…”.

“No, che non devi accontentarti per forza. Vieni, che ti do un passaggio”, aggiunse a sorpresa il distinto signore.

Ero esterrefatta, e in un istante fui sicura del motivo per cui si era avvicinato a me; ci teneva a volermi portare a casa. Sorrisi sinceramente di fronte alla sua bontà, e smisi di paciugare col cellulare.

“Non si preoccupi, davvero”, lo rassicurai, ma Piergiorgio pareva irremovibile.

“Dai, guarda che ti porto a casa volentieri!”.

“Non voglio esserle di alcun disturbo. Comunque, la ringrazio per la sua infinita gentilezza”, ringraziai, preferendo non fidarmi. La sua era una proposta molto gentile, come gli avevo riconosciuto, ma restava pur sempre uno sconosciuto. Uno sconosciuto che avevo visto per la prima volta il giorno prima, e di cui non sapevo nulla.

Mia madre mi aveva sempre insegnato, fin da bambina, che una delle regole principali per restare nella sicurezza era quella di non salire mai in auto con degli sconosciuti, e anche quel ricordo che riemergeva così nitidamente in quel momento quasi mi fece tornare a sorridere. No, non potevo accettare la proposta allettante.

“Mi offendo, eh”, quasi mi minacciò, bonariamente, il mio interlocutore.

“Non se la prenda, ma non voglio davvero e per niente al mondo essere un disturbo, anche minimo, per qualcuno. Si rilassi, lei è stato davvero gentilissimo, ma non posso accettare”, replicai, a quel punto, in un tono abbastanza secco.

Piergiorgio rimase fermo a guardarmi per un attimo, probabilmente senza più sapere che dire, ed indeciso tra l’alzarsi e salutarmi o continuare a starmi di fronte a parlare.

“Isabella cara, puoi fidarti, il nostro Piergiorgio è un uomo d’oro, non temere! Con lui sei al sicuro, garantisco io! Se vuoi andare a casa, visto che qualcuno è stato così gentile da proporti uno strappo, vai pure, e non preoccuparti della prenotazione che hai appena fatto… non è un problema, parlo io a Massimo”, intervenne anche Virginia, sempre seduta alla sua postazione dietro la cassa, dopo aver udito qualche spazzo della nostra conversazione. Riconobbi che era diventata davvero molto gentile, anche eccessivamente, nei miei confronti.

“Va bene… va bene…”, cedetti, alla fine, però senza pesi sul cuore. Non mi dispiaceva più di tanto lasciare il locale.

“Oh! Seguimi pure…”, m’invitò Piergiorgio, tornando improvvisamente raggiante, dopo aver ricevuto il mio consenso. Il suo visino rotondetto sembrava essersi tramutato in un sole sprizzante di felicità.

“Ma, mi scusi se sono indiscreta… lei non deve pranzare qui?”, gli chiesi, mentre mi alzavo dalla sedia. Non mi attendevo che l’uomo fosse lì solo per flirtare con la proprietaria del locale, che nel frattempo stava contando i contanti ed estraendo lo scontrino dalla sua macchina, per l’ennesimo frettoloso cliente che le si stagliava di fronte, ma anche per mangiare qualcosa… d’altronde, la gente veniva a L’angolo del gusto perlopiù per quello.

“Beh, il mio pasto può tranquillamente aspettare per un po’!”, affermò bonariamente Piergiorgio, che sembrava così risoluto nel voler portare a termine quella che ai suoi occhi doveva sembrare una sorta di azione in grado di assicurare un soggiorno eterno in paradiso che era pure disposto a sacrificare qualcosa di sé.

Sospirai di nuovo, pensierosa e ancora un po’ incerta, mentre un’indaffaratissima Virginia ci faceva cenno che potevamo andare senza problemi, se volevamo. Perfetto.

Non riuscivo più ad arginare l’energico e vitale ometto, e quest’ultimo sembrava inarrestabile, convinto com’era nel volermi aiutare, e con Virginia schierata dalla parte di quel cavaliere all’antica che sembrava di una gentilezza formidabile, non potevo far altro che abbandonare il locale e seguire il mio inatteso benefattore al di fuori di esso, dove il caldo e l’afa di metà giornata erano opprimenti, così come i raggi solari, roventi e impalcabili.

“Prego, la mia auto è quella”, m’indicò poi, estraendo la chiave e facendo scattare a distanza la serratura.

Mi aveva indicato un bel modello di Land Rover dalla carrozzeria verde cespuglio ben linda e splendente, come se fosse nuova.

Non dovetti, per fortuna, neppure attraversare la strada. Presi posizione sul sedile del passeggero, mentre Piergiorgio era già salito a bordo e si stava allacciando la cintura. Mi trovavo quasi scomoda, seduta in quel macchinone rialzato e spazioso, oltreché profumato e dalla tappezzeria nuovissima,  in grado di far sfigurare la mia povera bazzecola usata.

“Abiti lontano da qui?”.

“Non molto”.

“Mi dici il tuo indirizzo, per favore?”, mi sollecitò allora Piergiorgio, lanciandomi un’occhiatina sfuggevole e divertita.

Glielo dissi, e in meno di un attimo la voluminosa automobile era in marcia verso casa di mia madre. Ci attendevano venti minuti di viaggio, a causa del traffico che sembrava congestionato, e allora il conducente chiuse i finestrini ed accese l’aria condizionata, guidando con grande prudenza.

“Come va col tuo ragazzo, poi? Siete riusciti a chiarirvi?”, tornò alla carica il mio interlocutore, premuroso nel voler fare conversazione e non lasciare che un silenzio nervoso calasse tra noi, spegnendo del tutto la radio, che di sottofondo ed a bassissimo volume stava trasmettendo l’ennesima canzoncina rap del momento.

Gli dedicai l’ennesimo sguardo, anche se sfuggevole.

“Assolutamente no. Quando ho deciso di prenderci una pausa, non mi sarei mai aspettata che tutto sarebbe degenerato in questo modo”.

Mi morsi l’interno della guancia destra, con il mio solito tic che m’infastidiva quando ero tesa. Il solo pensiero di Marco mi faceva provare così tante emozioni contrastanti, eppure travolgenti, che riuscivano a farmi soffrire in ogni caso.

“Ti manca molto, noto”.

“Sì, è così”.

“Un passo avanti non lo farai tu?”.

“Lei non conosce tutta la storia. Le posso solo dire che io lo amo, anche molto, ma ho scelto di interrompere momentaneamente la nostra convivenza solo per spingerlo a rimboccarsi le maniche e a lavorare, in modo da poter costruire una famiglia sicura.

“Invece, lui desidera solo tornare dai suoi genitori, e senza far nulla per garantirci la forza di costruire un rapporto sereno e duraturo, e non ha neanche avuto il coraggio di parlarmi; ha mandato suo padre ad importunarmi e a comprarmi con la promessa di soldi che non voglio. Io il denaro voglio guadagnarmelo, voglio essere indipendente e sogno di vivere con un uomo intraprendente e capace, non con un mammone”, gli spiegai con fare professionale, abituata ormai com’ero a narrare in sintesi l’epopea della nostra frattura di coppia, che rischiava di diventare una voragine.

“Oh, ti vedo molto sicura di te. Sei una persona molto onesta, dotata di una grande forza di volontà”.

“Lo so. Ma non so se questo è un bene”.

Eravamo ancora bloccati al semaforo a trenta metri dal nostro punto di partenza. Ed io che speravo solo di poter giungere a casa il più in fretta possibile; eppure, sembrava che la sorte volesse che noi due ci impiegassimo molto più tempo del normale per compiere il tragitto, siccome un tal ingorgo non l’avevo mai incontrato in vita mia in quel punto della città.

“Mi complimento con te per questo, invece. Ora vedo solo giovani… come si può dire… spompati, flaccidi, con difficoltà anche solo a pensare al loro futuro e a impegnarsi nei loro progetti. Tu, invece, sei piuttosto decisa, e questo ti fa senz’altro onore”, replicò il mio maturo interlocutore, quella volta lanciandomi lui un altro sguardo, dalla parvenza distratta. Sul viso, aveva sempre impresso il suo solito sorriso bonario.

Nonostante le sue insistenze, che a tratti sembravano volersi rivelare asfissianti, non riusciva ad irritarmi mai sul serio.

“Non è colpa nostra, ma del mondo che dobbiamo affrontare. Crede che io mi diverta a sgobbare tutto il giorno in quel locale? A pulire dei gabinetti, a servire clienti maleducati… ma io lo faccio per il mio onore e per la mia indipendenza, perché non voglio essere un peso per nessuno”.

Cercai, all’improvviso, di riprendere fiato e di cambiare delicatamente discorso, siccome mi ero lasciata sfuggire un po’ di quella rabbia che a volte il mio lavoro riesce a farmi provare, e nonostante tutto, quel cortese signore restava pur sempre un amico di Virginia e non desideravo che alle sue orecchie potesse giungere un minimo pettegolezzo.

“Per me lavorare è importante. Non voglio i soldi dei suoi, né i suoi; voglio solo che Marco, il mio ragazzo, mi dimostri che ha le palle e la testa sulle spalle, e che non è ancora un bambino egoista, che chiede agli altri di sacrificarsi anche per lui, limitandosi ad aspettare la pappa pronta. Solo questo. E non lo sta facendo, anzi… sembra che voglia sfidarmi”, conclusi, candidamente, dopo aver sviato il discorso dalle mie mansioni quotidiane, ma allo stesso tempo lasciandomi andare ad affermazioni abbastanza pesanti, che per fortuna non sconcertarono Piergiorgio, che anzi, si lasciò sfuggire una risatina.

“Hai ragione. E poi si vede che sei una ragazza a posto. Mi piace il tuo approccio alla vita”.

Incassai il complimento esplicito e me ne stessi in silenzio, a guardare finalmente mentre attraversavamo il fatidico incrocio, con il provvidenziale e necessario aiuto del semaforo, in quel momento verde.

“E adesso, quindi, sei tornata da tua madre?”.

“Sì”, risposi, distrattamente.

“Hai un buon rapporto con lei, allora”.

“Abbastanza buono, per fortuna”.

“E tuo padre non vive con voi?”.

Se il mio interlocutore, e potenziale benefattore, si stava impegnando in quel modo per non lasciare morire il tempo in un silenzio imbarazzato, ebbene, ci stava riuscendo nel migliore dei modi. Ma anche in quello più duro, toccando sempre tasti dolenti.

“No, lui ora vive a Milano, da quel che sappiamo. È lì che è andato a vivere con una donna straniera che ha sposato dopo il divorzio con mia madre, e dove lavora per una catena di industrie, come camionista”, gli dissi, senza peli sulla lingua. Non avevo problemi ad affrontare il discorso riguardante mio padre… o, almeno, ne avevo molti di meno che a riguardo di quello su Marco.

Mio padre aveva fatto le sue scelte, e a me non era mai mancato, d’altronde non era neppure mai a casa quand’ero una bambina. L’avevo sempre visto pochissimo, e il fatto che se ne fosse andato lontano e con un’altra donna non mi faceva né caldo né freddo. Poco importava, forse addirittura era stato meglio così, siccome con mia madre non poteva funzionare oltre.

“Mi dispiace. Non volevo…”.

“Si figuri, non fa nulla”.

Non dissi altro, così come Piergiorgio non ebbe più la forza di chiedere qualcosa, forse nel timore di voler tirare troppo la corda e di ferirmi. La sua fu una scelta giusta ed appropriata, a mio avviso.

Dopo altri dieci minuti, giungemmo davanti all’abitazione di mia madre, dieci minuti in cui mi ero limitata a guardare fuori dal finestrino, e in cui avevo sentito di tanto in tanto il suo sguardo sfuggevole su di me. Ma non m’importava.

“Si fermi, per favore. Siamo arrivati”, gli accennai, a quel punto.

Piergiorgio accostò e si fermò per farmi scendere.

“Bella casetta, complimenti”, si limitò a dirmi, cercando di mostrarsi rilassato. Invece, non capivo il perché, mi era parso tutt’altro dal tono di voce che aveva appena utilizzato.

“Riporterò le sue gentili parole a mia madre, senza dubbio. Grazie per il passaggio! Spero di rivederla presto”, lo salutai, scendendo goffamente dal fuoristrada verde ed accingendomi a richiudere lo sportello. Il mio interlocutore mi rivolse un sorriso tremolante.

“Lo spero anch’io. Grazie a te per esserti fidata di uno sconosciuto”, mi disse, mentre lo sportello si richiudeva con un tonfo sordo.

Improvvisamente, mi venne da non staccare lo sguardo dal mezzo che, rapidamente, tornava in corsia, di sicuro nuovamente diretto a L’angolo del gusto, e notai lo sguardo del gentile signore che mi osservava, riflesso per un attimo nello specchietto retrovisore, per poi allontanarsi in fretta.

Scrollai il capo e, pensierosa, estrassi le chiavi dalla mia borsetta ed entrai in casa.

 

“Oh mio Dio, Isa! Avevi detto che non tornavi, e invece…”.

“Invece sono qui, mamma. E mi sa che ti toccherà sopportarmi… anzi, sfamarmi!”, le dissi, ironica, di fronte al suo lieto sbigottimento.

“Ma, dimmi un po’, ti sei lasciata portare a casa…”.

Non proseguì la frase; preferì interromperla con dolcezza, aspettando che parlassi io.

“Da quel fuoristrada verde, sì”, conclusi, per l’appunto, prendendo posto su una sedia della cucina.

“Certo, l’ho notato, ma il fuoristrada verde non si sarà guidato da solo, giusto?”.

Risi forte.

“Ah, no, quello no. Mi ha dato un passaggio un gentilissimo signore, che ha udito la nostra telefonata, al locale”.

“Ora sali in auto anche con gli sconosciuti?”.

A quel punto mi feci seria. Che non credesse di farmi la ramanzina, mi sentivo ormai grande e vaccinata per sopportarla.

“Piergiorgio è un cortesissimo e distinto signore, amico fidato della signora Virginia, la proprietaria de L’angolo del gusto. Non c’era nulla da temere, ed infatti si è comportato da persona corretta e buona, come di certo è”, replicai, e non seppi il perché, ma m’infastidì quell’insinuazione neppure tanto velata di mia madre.

Ero sicura che quell’uomo aveva agito solo perché mi aveva visto in affanno, e non per altri motivi; si era comportato da galantuomo, e per questo non andava messo alla berlina. Ma, purtroppo, coi tempi che correvano riuscivo pure marginalmente a capire le preoccupazioni del mio genitore.

“Oh, meglio così”.

“Sì, meglio così. Se no, se la vedeva con la mia borsa. Con quella tra le mani, meno come pochi”, aggiunsi, di fronte alla ritrovata serenità di mia madre, che rise con me.

Poi, chiuso il capitolo, potei godere in santa pace di quell’infinita bontà di gnocchi con la pasta di patate; mia madre, come sempre, si superava ai fornelli, ed era la cuoca più brava che conoscessi. Anche se mi dispiaceva un po’ ammetterlo dentro di me e come se lo facessi alle sue spalle, superava pure Massimo. Non mi dispiaceva di aver abbandonato il suo trancio di pizza da cinque euro.

Mentre mangiavo, non risparmiai una valanga di complimenti a mia madre, e il buon gusto ristoratore del cibo sembrò farmi estraniare dalla realtà per un po’, cioè fin quando non conclusi il pasto, e… fu la realtà stessa a bussare alla mia porta. O, più correttamente, a quella d’ingresso di mia madre. Suonando anche il campanello.

Lei mi guardò come per dire che non aspettava visite, e con una scrollatina curiosa di spalle si allontanò verso la porta, andando ad aprire, mentre io me ne restavo seduta, satolla come non mai.

E quando la porta si fu aperta, giunse alle mie orecchie quella voce. Proprio quella, eh.

Mi parve per un istante di essere sul punto di svenire; capii inconsciamente e in modo immediato che il momento tanto agognato negli ultimi giorni, quello di affrontare una prova decisiva, di confronto, era giunto finalmente al mio cospetto.

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Rieccomi qui ad aggiornare ^^ proverò a farlo con grande regolarità, come mio solito. Nel frattempo, si prospettano altre piccole e brevi pubblicazioni.

Grazie come sempre per essere qui a leggere e a sostenere il racconto ^^ grazie davvero.

   
 
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