CAPITOLO SEI
Purtroppo, però, dopo l’ora di svago, venne di nuovo il
momento di recarmi al mio calvario quotidiano, che andava in onda
quotidianamente presso L’angolo della
bontà.
Mi feci portare lì da Irene, non volendo farla scomodare per
riportarmi a casa di mia madre. Anche se così persi il vantaggio dell’auto, e
sapevo che mi attendevano oltre tre quarti d’ora di scarpinata a piedi per
ritornare alla base.
A quel punto tuttavia avevo deciso che a mezzogiorno non mi
sarei lasciata andare ad un’avventura di tale portata, e quindi sarei rimasta
nel locale fino alle quattordici, per affrontare la snervante ma inevitabile
scocciatura solo a fine giornata, dopo le venti e alla fine del mio turno
pomeridiano. Cioè quando anche il caldo, che già alle nove e mezzo era
asfissiante, si sarebbe calmato un po’, essendo consapevole di non poter
affrontare il nemico nel bel mezzo del suo regno, ovvero quella lunga estate.
Tornai quindi alla mia vita quotidiana, anche se con qualche
angustiante pensiero che di tanto in tanto mi frullava per la mente, come
accadeva di solito in quegli ultimi giorni.
Non feci in tempo ad entrare a L’angolo della bontà che Virginia già mi salutava.
“Buongiorno, Isabella cara!”.
Che dolce. Peccato che non conoscevo il motivo di tale di
tale premura.
La padrona mi salutava ogni mattina, ma mai così
grintosamente; mi venne da chiedermi se, dal giorno prima, le parole dello
sconosciuto avessero davvero influito così tanto su di lei, da renderla amabile
nei miei confronti. Forse era davvero innamorata di quel suo coetaneo, e tutto
quello che diceva era per lei oro colato. O, forse, era solo un qualcosa di
passeggero.
“Buongiorno, signora Virginia”, replicai, superato lo sbigottimento
iniziale per tale calore.
“Tutto bene?”.
“Insomma”.
Andai a prepararmi, e prontamente incappai in Ilenia, che mi
quasi mi finì addosso, distratta come sempre.
“Oh, scusa Isa, ma vado di fretta! Scusa ancora!”. E si
volatilizzò in un battito di ciglia, portando con sé la scopa di saggina con
cui si spazzava ogni mattina l’esterno, lasciandomi a scuotere la testa. Quella
ragazza era un tornado.
Sistemai nel mio piccolo armadietto e sotto chiave la mia
valigia, e indossai la divisa; ero ufficialmente pronta. Il bar mi attendeva,
così come le mie solite mansioni.
Giunsi alle undici e trenta senza particolari ostacoli, dopo
aver affrontato una mattinata normalissima, senza nulla di troppo impegnativo.
Pian piano il locale cominciava ad adibirsi per il pranzo, e
già alcuni avventori si sistemavano ai tavoli con fare pensieroso, e gli occhi
puntati sulla ristretta lista della piccola consumazione che L’angolo della bontà era in grado di
offrire.
Immersa nel vociare della gente, persi un po’ di tempo nel
prendere le prime ordinazioni, tra signore indecise e muratori mezzi sordi, e
quando tornai a volgermi verso la signora Virginia, vidi che era di nuovo
occupata a parlare con quell’affascinante e maturo signore del pomeriggio
precedente. Da come flirtavano già animatamente, tornai a pensare che tra i due
doveva essere davvero scattato una sorta di colpo di fulmine. Oppure, c’era
sempre stato qualcosa tra loro, ed era riemerso solo nelle ultime ore… non ne
avevo idea.
Continuai a fare il mio lavoro, e di tanto in tanto mi
affacciavo sulla porta della cucina, per passare le varie ordinazioni a
Massimo, il cuoco provetto sempre immerso nella preparazione dei suoi semplici
ma gustosi manicaretti.
Quando si fece mezzogiorno, finalmente, mi ritrovai a
realizzare che di fronte a me si prospettava un pranzo molto più scialbo in
confronto a quello che mi avrebbe aspettato a casa, ma mi consolai pensando
che, in fondo, anche il mio collega chef avrebbe sfornato per me qualcosa di
delizioso.
Mi diressi verso Virginia, incurante del fatto che stesse
ancora dedicando attenzione a Piergiorgio, e attesi che mi rivolgesse uno
sguardo, prima di parlarle.
“Dimmi tutto, cara”.
“Ho concluso momentaneamente il mio turno. Credo che resterò…
oh, mi scusi un attimo”.
Ad avermi interrotto era stata la vibrazione incessante del
mio cellulare, che dalla tasca dei soliti jeans mi faceva quasi formicolare la
gamba intera. Erano già passate le ore dodici da cinque minuti, quindi potevo
rispondere, e poi, involontariamente, mi venne da pensare che fosse Marco.
Non so cosa mi prese, ma per qualche istante lo credetti, e
per quello interruppi bruscamente quel mio minuscolo dibattito appena iniziato.
Rimasi mortificata quando notai che a chiamare era mia madre,
e comunque risposi in fretta, siccome non potevo più tirarmi indietro, mentre
Virginia e il suo ipotetico e originale spasimante mi stavano fissando con
curiosità.
“Sì, mamma?”.
“Non ti ho chiesto se torni per pranzo… la tua auto è qui
fuori, ancora, e non sapevo come comportarmi. Comunque, ti ho preparato un bel
piatto di gnocchi di patate col ragù al pomodoro fresco, e ti sto cuocendo
tutto adesso, così appena torni a piedi non si è raffreddato nulla”.
Bene, bel pasticcio.
Ero mortificata, per l’ennesima volta. Mia madre non sapeva,
nella sua premura, che non avevo alcuna intenzione, né alcuna forza, dopo
quattro ore di lavoro, di affrontare il sole di metà giornata e la sua afa per
tornare a casa.
Sospirai rumorosamente, conscia comunque di avere due persone
che mi stavano ascoltando e che aspettavano solo che riattaccassi e mi chiarissi
per poi tornare a flirtare, e ricolma di dispiacere, siccome ci avrei tenuto
molto a gustarmi i suoi manicaretti, mi accinsi a dirle la verità.
“Mi dispiace, non riesco a tornare a piedi, oggi. Giuro, sono
stanca e se parto ora rischio di avere un collasso per strada, come minimo.
Lasciali in padella gli gnocchi, questa sera li riscaldiamo”, le dissi, quasi a
voler riparare parte della mia negligenza. Era vero che avrei anche potuto
avvisarla in qualche modo, della mia scelta, ma non ero più abituata ad avere
un qualcuno di così premuroso che mi attendesse a casa.
“Ah, va bene, capisco. Dispiace anche a me! A questa sera,
allora”, sospirò alla fine la mia mortificata mamma, per poi riattaccare.
Riconobbi che aveva sperato fino all’ultimo di convincermi a ritornare da lei,
e che era rimasta un po’ ferita per il fatto che avevo lasciato perdere. Ma non
potevo proprio fare altrimenti.
Rimisi via il cellulare e affrontai di nuovo Virginia,
rimasta in attesa durante i sessanta secondi della telefonata.
“Ecco, stavo per dire che…”.
M’imbrogliai per un attimo, e dovetti ricollegare quello che
stavo per dire prima che il cellulare squillasse, poiché la voce di mia madre,
assieme al suo amabile e gentilissimo invito, continuava a ronzarmi nella
mente, come un sottofondo spiacevole.
“C’è qualche problema, Isabella?”, mi chiese Piergiorgio,
intervenendo a sorpresa.
Lo guardai in viso per la prima volta, quella giornata, e mi
parve di scorgere un po’ di apprensione nei suoi lineamenti.
“No, no”, lo rassicurai, non bene, con la mia solita voce
tremolante quando mentivo.
“Hai bisogno di tornare a casa? Non hai la macchina?”, chiese
allora Virginia, incuriosita, gettando un’occhiata al di fuori della vetrata
del locale, verso il posteggio che in genere occupava la mia auto, quel giorno
però occupato da un’altra.
“Non ho la macchina, perché sono andata con una mia amica a
fare un giro, questa mattina, e poi mi ha lasciato qui davanti. Mia mamma ci
teneva che tornassi a casa, e mi aspettava per pranzo, poiché mi ero scordata
di avvisarla che non sarei riuscita a tornare a piedi con questo caldo, ed ora…
ora niente, mi fermo qui fino alle quattordici”, risposi, tranquillamente ed
esaudiente, in modo da concludere le domande dei curiosi, e cercando di
sorridere in modo disinvolto, ma mi venne da mostrare solo un sorrisino
tremolante e insicuro.
“Va bene. Vuoi che ti faccia portare qualcosa dalla cucina?”,
m’interloquì di nuovo Virginia, facendo cenno a distanza alla ragazza del
part-time appena arrivata, che aveva appena preso il mio posto.
“Sì, grazie. Se c’è un tavolino non ancora occupato, mi
siederei volentieri… e magari mi mangerei anche un bel trancio di pizza”.
“Perfetto. Accomodati pure dove vuoi, al resto ci pensiamo
noi”.
Mi diressi verso il tavolino che faceva angolo, tra il
bancone e il bagno, quello che di solito non veniva mai scelto da nessuno, e
dopo aver recuperato la mia borsetta, mi misi a trafugarci dentro. Avrei avuto
molto tempo da ammazzare, dovendo passare due ore di attesa, e almeno mezz’ora
per avere quel misero trancio di pizza appena ordinato.
Estrassi il cellulare dalla tasca, e mi misi a paciugarci,
irritata; ero nervosissima, desideravo tanto tornare a casa, ed invece ero
rimasta ingabbiata in quel posto che sembrava volermi risucchiare anche
l’anima. Ma in fondo era meglio dannarmi lì, che andare a sciogliermi nell’asfalto
rovente del percorso pedonale che mi avrebbe riportato a casa.
Ero già così rassegnata e concentrata nei miei pensieri che
non mi accorsi che qualcuno non aveva perso tempo a seguirmi e a venirmi
dietro.
“Non dovresti dar buca alla mamma”.
Piergiorgio, il distinto signore che fino a poco prima era
stato a cinguettare con Virginia, si sedette di fronte a me, dopo avermi
parlato.
Per un istante, a prima vista, mi parve di rivivere
l’incontro con il padre di Marco, ma quando fissai lo sguardo gentile che avevo
di fronte, senza segni d’ipocrisia, mi rasserenai. Anche se mi sentii in dovere
di replicare a modo.
“Non sono più una bambina; se ne farà una ragione”.
“Ma tu ci tenevi a pranzare con lei, giusto?”.
Guardai di nuovo il mio interlocutore, non capendo il reale
motivo per cui mi aveva seguito e mi stava turlupinando con le sue domande. Mi
stava mandando in confusione, seppure fossi certa che non fosse quello il suo
scopo.
“Certo che ci tenevo, è una cuoca perfetta. Ma mi dovrò proprio
accontentare della pizza, quest’oggi…”.
“No, che non devi accontentarti per forza. Vieni, che ti do
un passaggio”, aggiunse a sorpresa il distinto signore.
Ero esterrefatta, e in un istante fui sicura del motivo per
cui si era avvicinato a me; ci teneva a volermi portare a casa. Sorrisi
sinceramente di fronte alla sua bontà, e smisi di paciugare col cellulare.
“Non si preoccupi, davvero”, lo rassicurai, ma Piergiorgio
pareva irremovibile.
“Dai, guarda che ti porto a casa volentieri!”.
“Non voglio esserle di alcun disturbo. Comunque, la ringrazio
per la sua infinita gentilezza”, ringraziai, preferendo non fidarmi. La sua era
una proposta molto gentile, come gli avevo riconosciuto, ma restava pur sempre
uno sconosciuto. Uno sconosciuto che avevo visto per la prima volta il giorno
prima, e di cui non sapevo nulla.
Mia madre mi aveva sempre insegnato, fin da bambina, che una
delle regole principali per restare nella sicurezza era quella di non salire
mai in auto con degli sconosciuti, e anche quel ricordo che riemergeva così
nitidamente in quel momento quasi mi fece tornare a sorridere. No, non potevo
accettare la proposta allettante.
“Mi offendo, eh”, quasi mi minacciò, bonariamente, il mio
interlocutore.
“Non se la prenda, ma non voglio davvero e per niente al
mondo essere un disturbo, anche minimo, per qualcuno. Si rilassi, lei è stato
davvero gentilissimo, ma non posso accettare”, replicai, a quel punto, in un
tono abbastanza secco.
Piergiorgio rimase fermo a guardarmi per un attimo,
probabilmente senza più sapere che dire, ed indeciso tra l’alzarsi e salutarmi
o continuare a starmi di fronte a parlare.
“Isabella cara, puoi fidarti, il nostro Piergiorgio è un uomo
d’oro, non temere! Con lui sei al sicuro, garantisco io! Se vuoi andare a casa,
visto che qualcuno è stato così gentile da proporti uno strappo, vai pure, e
non preoccuparti della prenotazione che hai appena fatto… non è un problema,
parlo io a Massimo”, intervenne anche Virginia, sempre seduta alla sua
postazione dietro la cassa, dopo aver udito qualche spazzo della nostra
conversazione. Riconobbi che era diventata davvero molto gentile, anche eccessivamente,
nei miei confronti.
“Va bene… va bene…”, cedetti, alla fine, però senza pesi sul
cuore. Non mi dispiaceva più di tanto lasciare il locale.
“Oh! Seguimi pure…”, m’invitò Piergiorgio, tornando
improvvisamente raggiante, dopo aver ricevuto il mio consenso. Il suo visino
rotondetto sembrava essersi tramutato in un sole sprizzante di felicità.
“Ma, mi scusi se sono indiscreta… lei non deve pranzare qui?”,
gli chiesi, mentre mi alzavo dalla sedia. Non mi attendevo che l’uomo fosse lì
solo per flirtare con la proprietaria del locale, che nel frattempo stava
contando i contanti ed estraendo lo scontrino dalla sua macchina, per
l’ennesimo frettoloso cliente che le si stagliava di fronte, ma anche per
mangiare qualcosa… d’altronde, la gente veniva a L’angolo del gusto perlopiù per quello.
“Beh, il mio pasto può tranquillamente aspettare per un po’!”,
affermò bonariamente Piergiorgio, che sembrava così risoluto nel voler portare
a termine quella che ai suoi occhi doveva sembrare una sorta di azione in grado
di assicurare un soggiorno eterno in paradiso che era pure disposto a
sacrificare qualcosa di sé.
Sospirai di nuovo, pensierosa e ancora un po’ incerta, mentre
un’indaffaratissima Virginia ci faceva cenno che potevamo andare senza
problemi, se volevamo. Perfetto.
Non riuscivo più ad arginare l’energico e vitale ometto, e
quest’ultimo sembrava inarrestabile, convinto com’era nel volermi aiutare, e
con Virginia schierata dalla parte di quel cavaliere all’antica che sembrava di
una gentilezza formidabile, non potevo far altro che abbandonare il locale e
seguire il mio inatteso benefattore al di fuori di esso, dove il caldo e l’afa
di metà giornata erano opprimenti, così come i raggi solari, roventi e
impalcabili.
“Prego, la mia auto è quella”, m’indicò poi, estraendo la
chiave e facendo scattare a distanza la serratura.
Mi aveva indicato un bel modello di Land Rover dalla
carrozzeria verde cespuglio ben linda e splendente, come se fosse nuova.
Non dovetti, per fortuna, neppure attraversare la strada. Presi
posizione sul sedile del passeggero, mentre Piergiorgio era già salito a bordo
e si stava allacciando la cintura. Mi trovavo quasi scomoda, seduta in quel
macchinone rialzato e spazioso, oltreché profumato e dalla tappezzeria
nuovissima, in grado di far sfigurare la
mia povera bazzecola usata.
“Abiti lontano da qui?”.
“Non molto”.
“Mi dici il tuo indirizzo, per favore?”, mi sollecitò allora
Piergiorgio, lanciandomi un’occhiatina sfuggevole e divertita.
Glielo dissi, e in meno di un attimo la voluminosa automobile
era in marcia verso casa di mia madre. Ci attendevano venti minuti di viaggio,
a causa del traffico che sembrava congestionato, e allora il conducente chiuse
i finestrini ed accese l’aria condizionata, guidando con grande prudenza.
“Come va col tuo ragazzo, poi? Siete riusciti a chiarirvi?”,
tornò alla carica il mio interlocutore, premuroso nel voler fare conversazione
e non lasciare che un silenzio nervoso calasse tra noi, spegnendo del tutto la
radio, che di sottofondo ed a bassissimo volume stava trasmettendo l’ennesima
canzoncina rap del momento.
Gli dedicai l’ennesimo sguardo, anche se sfuggevole.
“Assolutamente no. Quando ho deciso di prenderci una pausa,
non mi sarei mai aspettata che tutto sarebbe degenerato in questo modo”.
Mi morsi l’interno della guancia destra, con il mio solito
tic che m’infastidiva quando ero tesa. Il solo pensiero di Marco mi faceva
provare così tante emozioni contrastanti, eppure travolgenti, che riuscivano a
farmi soffrire in ogni caso.
“Ti manca molto, noto”.
“Sì, è così”.
“Un passo avanti non lo farai tu?”.
“Lei non conosce tutta la storia. Le posso solo dire che io
lo amo, anche molto, ma ho scelto di interrompere momentaneamente la nostra
convivenza solo per spingerlo a rimboccarsi le maniche e a lavorare, in modo da
poter costruire una famiglia sicura.
“Invece, lui desidera solo tornare dai suoi genitori, e senza
far nulla per garantirci la forza di costruire un rapporto sereno e duraturo, e
non ha neanche avuto il coraggio di parlarmi; ha mandato suo padre ad
importunarmi e a comprarmi con la promessa di soldi che non voglio. Io il
denaro voglio guadagnarmelo, voglio essere indipendente e sogno di vivere con
un uomo intraprendente e capace, non con un mammone”, gli spiegai con fare
professionale, abituata ormai com’ero a narrare in sintesi l’epopea della
nostra frattura di coppia, che rischiava di diventare una voragine.
“Oh, ti vedo molto sicura di te. Sei una persona molto
onesta, dotata di una grande forza di volontà”.
“Lo so. Ma non so se questo è un bene”.
Eravamo ancora bloccati al semaforo a trenta metri dal nostro
punto di partenza. Ed io che speravo solo di poter giungere a casa il più in
fretta possibile; eppure, sembrava che la sorte volesse che noi due ci
impiegassimo molto più tempo del normale per compiere il tragitto, siccome un
tal ingorgo non l’avevo mai incontrato in vita mia in quel punto della città.
“Mi complimento con te per questo, invece. Ora vedo solo
giovani… come si può dire… spompati, flaccidi, con difficoltà anche solo a
pensare al loro futuro e a impegnarsi nei loro progetti. Tu, invece, sei
piuttosto decisa, e questo ti fa senz’altro onore”, replicò il mio maturo
interlocutore, quella volta lanciandomi lui un altro sguardo, dalla parvenza
distratta. Sul viso, aveva sempre impresso il suo solito sorriso bonario.
Nonostante le sue insistenze, che a tratti sembravano volersi
rivelare asfissianti, non riusciva ad irritarmi mai sul serio.
“Non è colpa nostra, ma del mondo che dobbiamo affrontare.
Crede che io mi diverta a sgobbare tutto il giorno in quel locale? A pulire dei
gabinetti, a servire clienti maleducati… ma io lo faccio per il mio onore e per
la mia indipendenza, perché non voglio essere un peso per nessuno”.
Cercai, all’improvviso, di riprendere fiato e di cambiare
delicatamente discorso, siccome mi ero lasciata sfuggire un po’ di quella
rabbia che a volte il mio lavoro riesce a farmi provare, e nonostante tutto,
quel cortese signore restava pur sempre un amico di Virginia e non desideravo
che alle sue orecchie potesse giungere un minimo pettegolezzo.
“Per me lavorare è importante. Non voglio i soldi dei suoi,
né i suoi; voglio solo che Marco, il mio ragazzo, mi dimostri che ha le palle e
la testa sulle spalle, e che non è ancora un bambino egoista, che chiede agli
altri di sacrificarsi anche per lui, limitandosi ad aspettare la pappa pronta.
Solo questo. E non lo sta facendo, anzi… sembra che voglia sfidarmi”, conclusi,
candidamente, dopo aver sviato il discorso dalle mie mansioni quotidiane, ma
allo stesso tempo lasciandomi andare ad affermazioni abbastanza pesanti, che
per fortuna non sconcertarono Piergiorgio, che anzi, si lasciò sfuggire una
risatina.
“Hai ragione. E poi si vede che sei una ragazza a posto. Mi
piace il tuo approccio alla vita”.
Incassai il complimento esplicito e me ne stessi in silenzio,
a guardare finalmente mentre attraversavamo il fatidico incrocio, con il
provvidenziale e necessario aiuto del semaforo, in quel momento verde.
“E adesso, quindi, sei tornata da tua madre?”.
“Sì”, risposi, distrattamente.
“Hai un buon rapporto con lei, allora”.
“Abbastanza buono, per fortuna”.
“E tuo padre non vive con voi?”.
Se il mio interlocutore, e potenziale benefattore, si stava
impegnando in quel modo per non lasciare morire il tempo in un silenzio
imbarazzato, ebbene, ci stava riuscendo nel migliore dei modi. Ma anche in
quello più duro, toccando sempre tasti dolenti.
“No, lui ora vive a Milano, da quel che sappiamo. È lì che è
andato a vivere con una donna straniera che ha sposato dopo il divorzio con mia
madre, e dove lavora per una catena di industrie, come camionista”, gli dissi,
senza peli sulla lingua. Non avevo problemi ad affrontare il discorso
riguardante mio padre… o, almeno, ne avevo molti di meno che a riguardo di
quello su Marco.
Mio padre aveva fatto le sue scelte, e a me non era mai
mancato, d’altronde non era neppure mai a casa quand’ero una bambina. L’avevo
sempre visto pochissimo, e il fatto che se ne fosse andato lontano e con
un’altra donna non mi faceva né caldo né freddo. Poco importava, forse addirittura
era stato meglio così, siccome con mia madre non poteva funzionare oltre.
“Mi dispiace. Non volevo…”.
“Si figuri, non fa nulla”.
Non dissi altro, così come Piergiorgio non ebbe più la forza
di chiedere qualcosa, forse nel timore di voler tirare troppo la corda e di
ferirmi. La sua fu una scelta giusta ed appropriata, a mio avviso.
Dopo altri dieci minuti, giungemmo davanti all’abitazione di
mia madre, dieci minuti in cui mi ero limitata a guardare fuori dal finestrino,
e in cui avevo sentito di tanto in tanto il suo sguardo sfuggevole su di me. Ma
non m’importava.
“Si fermi, per favore. Siamo arrivati”, gli accennai, a quel
punto.
Piergiorgio accostò e si fermò per farmi scendere.
“Bella casetta, complimenti”, si limitò a dirmi, cercando di
mostrarsi rilassato. Invece, non capivo il perché, mi era parso tutt’altro dal
tono di voce che aveva appena utilizzato.
“Riporterò le sue gentili parole a mia madre, senza dubbio.
Grazie per il passaggio! Spero di rivederla presto”, lo salutai, scendendo
goffamente dal fuoristrada verde ed accingendomi a richiudere lo sportello. Il
mio interlocutore mi rivolse un sorriso tremolante.
“Lo spero anch’io. Grazie a te per esserti fidata di uno
sconosciuto”, mi disse, mentre lo sportello si richiudeva con un tonfo sordo.
Improvvisamente, mi venne da non staccare lo sguardo dal
mezzo che, rapidamente, tornava in corsia, di sicuro nuovamente diretto a L’angolo del gusto, e notai lo sguardo
del gentile signore che mi osservava, riflesso per un attimo nello specchietto
retrovisore, per poi allontanarsi in fretta.
Scrollai il capo e, pensierosa, estrassi le chiavi dalla mia
borsetta ed entrai in casa.
“Oh mio Dio, Isa! Avevi detto che non tornavi, e invece…”.
“Invece sono qui, mamma. E mi sa che ti toccherà sopportarmi…
anzi, sfamarmi!”, le dissi, ironica, di fronte al suo lieto sbigottimento.
“Ma, dimmi un po’, ti sei lasciata portare a casa…”.
Non proseguì la frase; preferì interromperla con dolcezza,
aspettando che parlassi io.
“Da quel fuoristrada verde, sì”, conclusi, per l’appunto,
prendendo posto su una sedia della cucina.
“Certo, l’ho notato, ma il fuoristrada verde non si sarà
guidato da solo, giusto?”.
Risi forte.
“Ah, no, quello no. Mi ha dato un passaggio un gentilissimo
signore, che ha udito la nostra telefonata, al locale”.
“Ora sali in auto anche con gli sconosciuti?”.
A quel punto mi feci seria. Che non credesse di farmi la
ramanzina, mi sentivo ormai grande e vaccinata per sopportarla.
“Piergiorgio è un cortesissimo e distinto signore, amico
fidato della signora Virginia, la proprietaria de L’angolo del gusto. Non c’era nulla da temere, ed infatti si è
comportato da persona corretta e buona, come di certo è”, replicai, e non seppi
il perché, ma m’infastidì quell’insinuazione neppure tanto velata di mia madre.
Ero sicura che quell’uomo aveva agito solo perché mi aveva
visto in affanno, e non per altri motivi; si era comportato da galantuomo, e
per questo non andava messo alla berlina. Ma, purtroppo, coi tempi che
correvano riuscivo pure marginalmente a capire le preoccupazioni del mio
genitore.
“Oh, meglio così”.
“Sì, meglio così. Se no, se la vedeva con la mia borsa. Con
quella tra le mani, meno come pochi”, aggiunsi, di fronte alla ritrovata
serenità di mia madre, che rise con me.
Poi, chiuso il capitolo, potei godere in santa pace di
quell’infinita bontà di gnocchi con la pasta di patate; mia madre, come sempre,
si superava ai fornelli, ed era la cuoca più brava che conoscessi. Anche se mi
dispiaceva un po’ ammetterlo dentro di me e come se lo facessi alle sue spalle,
superava pure Massimo. Non mi dispiaceva di aver abbandonato il suo trancio di
pizza da cinque euro.
Mentre mangiavo, non risparmiai una valanga di complimenti a
mia madre, e il buon gusto ristoratore del cibo sembrò farmi estraniare dalla
realtà per un po’, cioè fin quando non conclusi il pasto, e… fu la realtà
stessa a bussare alla mia porta. O, più correttamente, a quella d’ingresso di
mia madre. Suonando anche il campanello.
Lei mi guardò come per dire che non aspettava visite, e con
una scrollatina curiosa di spalle si allontanò verso la porta, andando ad
aprire, mentre io me ne restavo seduta, satolla come non mai.
E quando la porta si fu aperta, giunse alle mie orecchie
quella voce. Proprio quella, eh.
Mi parve per un istante di essere sul punto di svenire; capii
inconsciamente e in modo immediato che il momento tanto agognato negli ultimi
giorni, quello di affrontare una prova decisiva, di confronto, era giunto
finalmente al mio cospetto.
NOTA DELL’AUTORE
Rieccomi qui ad aggiornare ^^ proverò a farlo con grande
regolarità, come mio solito. Nel frattempo, si prospettano altre piccole e
brevi pubblicazioni.
Grazie come sempre per essere qui a leggere e a sostenere il
racconto ^^ grazie davvero.