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Autore: l y r a _    28/06/2018    3 recensioni
Il secondo anno di liceo di Tooru Oikawa è un gran macello. Lo dice Hajime Iwaizumi, il suo migliore amico da una vita, e precisa che lo sarebbe stato un po’ meno se non avessero incontrato Sakurai e subìto tutte le sue complicazioni patologiche.
Il primo anno di liceo di Megumi Sakurai è un fallimento annunciato e lei è arrogante, ambiziosa e ha scrupoli quanti gli spiccioli nel suo portafogli: nessuno. Lo dice tutta Sendai ed è tutta la verità.
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[Oikawa/OC | UshiShira | Accenni OC/Ushijima | Perpetrato reato di canon/OC ]
Genere: Generale, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Kenjiro Shirabu, Nuovo personaggio, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 10

Naomi Kato
 

Ricordate quando ho detto che avrei pubblicato con più costanza? Bene, mentivo, o forse sono semplicemente costante nella mia incostanza. Spero possiate perdonarmi anche se non sto rispondendo alle recensioni! Sappiate che le leggo tutte e mi fa molto piacere riceverle, anche se sono una pseudo-autrice ingrata!
Le prime due parti di questo capitolo sono un flashback e si svolgono all'incirca all'altezza dei fatti raccontati nei capitoli 7,8 e 9.
Vi lascio libere di odiarmi e proseguire nella lettura di questo disastro.

Buona lettura!


 
 
Tre settimane prima.
 
Naomi Kato era sempre stata una che si prendeva tutto quello che voleva, che fosse l’ultimo pacchetto di patatine nel distributore, la convocazione in nazionale o il bel fisioterapista già fidanzato che la seguiva durante la riabilitazione. A scuola era sempre stata una peste, così suo padre l’aveva spedita all’accademia Shiratorizawa dalle medie, sperando che il prestigio dell’istituto potesse contribuire a placarne l’esuberanza. Ovviamente non era servito a nulla e lei era diventata contemporaneamente l’incubo e l’orgoglio dei professori. Se era vero infatti che era stata terribilmente vivace ed irriverente, altrettanto indubbia era stata la sua straordinarietà dietro la rete: era sempre stata la più alta della propria classe, per merito della parte californiana del suo patrimonio genetico, e sua madre l’aveva iscritta molto presto ad un corso di pallavolo. Da lì, non s’era più fermata, le scuole qualche anno dopo avrebbero fatto a gara per assicurarsela, prima che suo padre decidesse che affidarla all’accademia fosse la scelta più conveniente.
Per quanto sui banchi non rendesse affatto, eccelleva invece in ogni aspetto della pallavolo: la sua elevazione era quasi disumana, i suoi attacchi inarrestabili, le sue difese ineccepibili. I suoi muri insuperabili le erano da sempre valsi il ruolo di centrale ma, oltre alla velocità ed ai riflessi, possedeva un palleggio così preciso e pulito che alle volte serviva le altre schiacciatrici meglio di quanto facesse la sua compagna alzatrice. Di quella peculitarità aveva fatto il suo punto di forza, fingeva di attaccare quando meno ci si aspettava ed invece passava la palla ad un’altra attaccante, sbaragliando tutte le difese avversarie. Anche in nazionale, dove aveva giocato per ben otto anni, era diventata celebre per la sua versatilità.
In seguito si era rotta un malleolo durante una finale, pensava che non fosse nulla di cui preoccuparsi, che avrebbe ricominciato dopo l’intervento, quando le avrebbero tolto il gesso. Invece aveva scoperto che non avrebbe più potuto sopportare la fatica della carriera sportiva, ed aveva dovuto ritirarsi.
I primi dodici mesi li aveva trascorsi nella depressione più assoluta, oltre che nello spaesamento: cosa avrebbe potuto fare della propria vita, adesso? Con cosa si sarebbe mantenuta, una volta persa la pallavolo? Aveva convissuto con l’angoscia alle spalle finché non aveva conosciuto il suo nuovo fisioterapista ed aveva perso la testa per lui, tanto da fargli mollare la fidanzata. Con Takao aveva iniziato a considerare la possibilità di una laurea in scienze delle attività sportive, ad accarezzare l’idea di allenare e, per quanto si sforzasse di ampliare i propri orizzonti, finiva sempre a fantasticarsi nel suo vecchio liceo, seduta sulla sedia che un tempo era spettata al professor Washijou, dispensando consigli e direttive alle proprie studentesse. Fatto era che l’accademia Shiratorizawa si era rivelata sorda alle sue autocandidature, e si era ritrovata invece ad allenare bambini di una scuola elementare di provincia.
«Schifoso, viscido, pezzo di merda…» borbottò gettando con violenza nel carrello un sacchetto di spinaci surgelati. Takao si guardò attorno con prudenza e la rimise nel banco frigo, estraendone in cambio una in condizioni ancora accettabili.
«Naomi, non dovresti maltrattare le verdure surgelate: non hanno colpa.» l’ammonì riponendo con delicatezza la nuova confezione nel carrello.
«Quello lì invece maltrattava una ragazza, ti pare? Meglio gli spinaci!» sbraitò nervosa.
«Davvero, amore, dovresti smettere di pensarci! Non è affar tuo, in tutta franchezza.»
«Se avessero preso me, anziché quel porco rognoso di Isao…» ripeté per l’ennesima volta in quella mattinata «Ma poi come si fa a scegliere Isao, dico? Con tutte le squalifiche per cattiva condotta che ha collezionato quando giocava ancora? Era chiaro come il sole che fosse un violento, anche se non ti nascondo che mai avrei potuto pensare che fosse anche maniaco.»
«Questa è la settima volta che lo dici da quando hai visto il servizio in tv stamattina.»
«Non mi stancherò mai di ribadirlo. Che schifo… spero lo sbattano in carcere per il resto della vita!»
«Sei troppo ottimista, farà sì o no un paio d’anni.»
«Di certo nessuno avrà il coraggio di riassumerlo. L’accademia sta facendo proprio una magra figura, dopo anni di sconfitte penose il club femminile di pallavolo finisce coinvolto anche in uno scandalo. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa il professor Washijou…»
«Non avrai intenzione di autocandidarti di nuovo? Tesoro, lo sai che poi ci stai male ogni volta…»
«Ho spedito il mio curriculum poco prima di venire qui, troppo tardi!»
«Poi non demoralizzarti se scelgono altri!»
«E chi altri dovrebbero scegliere? Dopo tutto questo scalpore, proprio nessuno vorrà occuparsi di quel club, dovranno necessariamente accettare la mia candidatura.»
La settimana successiva le aspettative di Naomi si compirono: il preside Kurihara, dopo aver atteso invano altre candidature, s’era visto costretto ad incaricare la segreteria di mettersi in contatto con l’ex-allieva; non diffidava affatto della sua bravura – nessuno sano di mente avrebbe mai potuto – ma nutriva dei seri dubbi sulla sua capacità di mantenere la disciplina della squadra.
Quando il lunedì successivo Naomi Kato comparve nel suo ufficio alle otto esatte del mattino, i capelli ricci e scuri che le incorniciavano il viso abbronzato come la criniera della Leonessa che era stata, Kurihara s’era già pentito; Naomi lo lesse con una certa soddisfazione sul viso rugoso dell’ex-insegnante ed allora gli rivolse un sorriso radioso.
«Cosa ho fatto?» sospirò allora quello passandosi una mano stanca sui capelli radi.
«È invecchiato male, professore!» osservò lei ignorando la sua lamentela.
«Signor preside, Naomi devi chiamarmi così!»
«D’accordo, signor preside!» cantilenò allora «Ma per me rimarrà sempre il professore. E sorvolerò sul fatto che lei abbia ignorato il mio curriculum tutte le volte, nonostante mi conoscesse bene.»
«Francamente non penso che tu possa essere una buona insegnante.»
«I miei allievi delle elementari adorano la maestra Naomi, provi a parlarne con loro.»
Kurihara sbatté le palpebre con perplessità.
«Alleni bambini delle elementari?»
«Certo, lo saprebbe se si fosse degnato di leggere il mio curriculum.»
Il preside si fece rosso in viso, contraddetto.
«A proposito» si affrettò ad aggiungere lei «Ho bisogno di incastrare gli orari, non ho intenzione di lasciarli per nessun motivo.»
«Ma se hai già un lavoro» domandò Kurihara incrociando le mani sulla scrivania «per quale motivo hai insistito tanto per ottenerne un altro?»
«Questa è la mia scuola, professore.» spiegò, ma per lei era la cosa più ovvia del mondo «Dieci anni fa camminavo per questi corridoi, sedevo in queste aule, giocavo nella palestra B con il professor Washijou, ed eravamo fenomeni. Da quando ci siamo diplomate noi e lui ha iniziato ad allenare i ragazzi, la squadra femminile si è a stento qualificata per i play-off e nessuno ha mosso un dito per aiutarla, perfino un bambino capirebbe in che modo barbaro avete tagliato i finanziamenti. È terribile per chi ne ha fatto la storia vedere la propria squadra ridotta in condizioni simili, io voglio salvare queste ragazze.»
«Il punto è» obiettò Kurihara «che voi avevate il talento ci cui questa generazione è priva.»
«Io le ho viste giocare contro il liceo Gensai questa primavera, e mi permetto di dissentire.»
«Devi sapere che le studentesse del terzo anno hanno lasciato il club.»
«Non mi riferivo solo al terzo anno.»
«Non sono nemmeno in numero apprezzabile.»
«Mi conceda il resto dell’anno e triplicherò le iscrizioni.»
«Non fare promesse che non puoi mantenere.» la frenò Kurihara con tono greve «Non si può recuperare una squadra in sei mesi.»
«Io non ho mai fatto promesse che non ho poi mantenuto.»
«Infrangeresti il suo primato, allora. Ascolta, Naomi…» sospirò poi spingendo verso di lei il contratto che biancheggiava sulla superficie vitrea della scrivania, lucida e priva di impronte «Questo lavoro da oggi è tuo, ma non avanzare proposte che non posso soddisfare. Non mi chiedere di cercarti nuovi sponsor, né di credere nell’impossibile, né di chiudere un occhio sulle regole. Il tuo compito è tenere insieme la squadra almeno fino alla fine dell’anno, nessuno s’aspetta altro da te.»
«Non conta quanto io m’aspetti da me?» protestò contrariata.
«Non per noi.» precisò il preside con serietà «Adesso ci sono da mettere un paio di firme.»
«Chi è la ragazza?» lo interruppe invece Naomi prima di afferrare la penna che le porgeva.
«Ah no… non fare questo giochetto, mia cara. Tu non puoi vedere la ragazza. C’è di mezzo una causa, sai? Un passo falso e potrebbe finirci anche l’Accademia, francamente preferisco che rimanga un problema fra la sua famiglia ed Hattori.»
«Le ho solo chiesto chi sia» borbottò scrivendo il proprio nome sulla prima riga segnalata dal preside, quanto più chiaro e gradevole potesse permetterle la sua grafia «Non le ho chiesto di vederla.»
«Ma è ciò che farai se io dovessi dirtelo.»
«Perché, è tornata a scuola?» chiese più entusiasta di quanto sarebbe dovuta essere.
Kurihara non se lo lasciò sfuggire.
«Questo ad esempio non avrei dovuto dirtelo.»
«Sa che scoprirò ugualmente chi sia la ragazza?»
«Se scopro che l’hai avvicinata, considera pure questo contratto carta straccia.»
«L’età l’ha resa crudele, professore. Una volta lei era quello che mi salvava dalla bocciatura.»
«Soltanto perché Washijou si lamentava che non sarebbe riuscito a sopportarti un anno in più.»
«In realtà gli manco. Lo sento, proprio qui.» annunciò con una mano sul petto.
Su sollecitazione del preside si sbrigò ad apporre le altre firme, una più diversa e brutta dell’altra, sulle varie parti del foglio. Kurihara non si espresse oltre sui suoi reclami, si limitò a chiederle di segnare le fasce orarie in cui era libera su un promemoria e a consegnarlo in segreteria, assicurandole che nella stessa settimana avrebbe preso servizio.
«In segreteria» ribadì con tono ammonitorio «e poi dritta a casa. Non voglio che ti metta a curiosare in giro e – per l’amor del cielo – non cercare la ragazza, fatti i fatti tuoi.»
Dopo il breve colloquio con la stessa acida segretaria che infestava l’ufficio dai tempi in cui era ancora al liceo, interrotto bruscamente da una telefonata che l’aveva mandata su tutte le furie, Naomi non poté astenersi dal pensare che Kurihara avrebbe fatto meglio ad incoraggiarla a farsi due passi nell’Accademia, se proprio avesse desiderato tenerla lontana. Non era nella sua natura obbedire, così si diresse a grandi passi verso l’edificio che un tempo era stata la sua palestra, speranzosa di trovare quello che stava cercando.

 
~
 
Una settimana prima.
 
La vita dell’allenatrice non era bella come l’aveva immaginata. Lo spiegava svogliatamente a Takao una sera mentre sfogliava il fitto dossier che le manager del club le avevano diligentemente preparato su sua richiesta. Non avevano abbastanza membri per permettersi un numero adeguato di riserve, in allenamento erano sempre dispari e la manciata di ragazze che le erano rimaste non sembravano poi così motivate.
«A parte qualcuna, è ovvio.» precisò separando dagli altri alcuni fascicoli e mostrandoli al fidanzato «Yoshida, Hoshino, ed il libero, Hiromi… Hanno la testa e lo stomaco che serve. Hiromi è il libero più talentuoso che abbia mai visto in una squadra femminile, Yoshida è stata convocata nella nazionale juniores e questo parla da sé, Hoshino non è particolarmente intelligente, ma ha potenziale.»
Era ammirevole, tra le tante cose, la solidarietà che tutte dimostravano nei confronti della misteriosa ragazza molestata da Hattori: era impossibile cavar loro di bocca anche una sola parola sulla sua identità, eppure era certa che le sarebbe bastato passeggiare nel cortile all’intervallo per scoprirne il nome.
«Non riesco, davvero, a creare una formazione titolare che mi soddisfi.» si lamentò «Ho una sola palleggiatrice, ti rendi conto? L’alzatrice che avevano prima è al terzo anno, ovviamente ha lasciato il club e non posso sottrarre tempo agli studi di chi è prossimo al diploma.» continuò indicando la pila di fascicoli a sinistra, dove aveva raccolto quelli sulle studentesse del terzo anno che avevano lasciato.
«E quella che hai adesso è tanto male?»
«La nipotina di Kurihara? Direi che raggiunge la sufficienza.»
«Allora cosa c’è che non va?»
«Tu proprio non capisci, no? Se non posso cambiare il palleggio, non posso cambiare il gioco.» spiegò esasperata «E poi se la signorina si fa male? Con chi la sostituisco?»
«Non puoi insegnare il palleggio ad una delle altre?»
«Bisogna vedere quanto siano predisposte. Non è esattamente il ruolo più semplice da ricoprire.»
«Qualcuna di loro dovrà farlo, penso che dovrai importi.»
«E poi c’è questa questione…» sospirò rattristata occhieggiando i dossier rimasti «Volevo potenziare l’attacco, era questa la mia idea, con lo schema dell’opposto che non riceve.»
«Se non sbaglio è tipico delle squadre maschili.» osservò Takao con calma «In una squadra femminile…»
«Tipico, non esclusivo.» obiettò lei tamburellando i polpastrelli sul tavolo «Peccato che io non abbia l’attaccante giusta proprio per quel ruolo.»
«Be’, c’è un’opposta.» le fece notare l’altro, indicando il profilo di Hamasaki.
«Certo, nemmeno un metro e settanta e ti assicuro che la palla non la colpisce… l’accarezza. Brava, eccellente in difesa, buona tecnica e tutto… ma per quel ruolo lì, inteso come lo intendo io, è la candidata peggiore. Io ho bisogno del braccio più… ignorante – ecco, non c’è termine migliore – che una ragazza possa avere. Capisci? Buona altezza e forza bruta, ho bisogno di una che mi faccia incazzare quando le faccio notare che poteva fare un pallonetto perché conosce solo gli avverbi forte e fortissimo. E buona difesa, perché sta qui dietro.»
«Quindi ti serve un maschio.»
A quel punto dispose sul tavolo gli ultimi due fascicoli rimasti da parte, quelli delle due ragazze del primo anno che avevano rinunciato alle attività del club. Naomi lo sapeva con certezza, che una delle due era quella che si era compromessa per Hattori, anche se non avrebbe saputo dire quale. Fatto stava che, per lo stesso motivo, non poteva cercare di persuadere nessuna delle due a tornare al club, o avrebbe perso il posto.
«No, con tutta probabilità mi sarebbe bastata questa qui.» annunciò porgendo a Takao il fascicolo di Sakurai, che doveva essere la ragazza che aveva segnato i pochi ma decisivi punti contro il liceo Gensai e che ad un certo punto aveva sbagliato un servizio ed aveva smesso di giocare decentemente. Eppure la sua scheda parlava chiaro, così come i video del torneo scolastico under-16 dell’anno precedente che Naomi s’era fatta prestare da una sua collega di una scuola limitrofa: Sakurai era tutt’altro che l’agnellino distratto che era stata in quell’incontro, piuttosto era una sorta di lupo vorace, segnava così tanti punti che dubitava che sui referti di quel torneo un nome comparisse più del suo. Perché fosse peggiorata tanto, non avrebbe saputo dirlo: forse aveva lasciato proprio perché aveva perso lo smalto, oppure aveva subito un calo d’interesse, o forse era la stessa ragazza che le sue compagne continuavano a proteggere.
«L’altra è una centrale.» si affrettò a spiegare al fidanzato «Una delle due è quella delle molestie.»
«Perciò, non sapendo quale delle due, hai le mani legate per entrambe.» concluse dispiaciuto.
«Sono arrabbiata, perché se Kurihara mi avesse convocata da subito al posto di quell’animale, avrei potuto fare grandi cose con la formazione originaria. La ragazza molestata non avrebbe avuto bisogno di andar via e forse anche l’altra avrebbe avuto dei motivi per restare!»
«Poi non dirmi che non ti avevo avvisata che ti saresti innervosita.»
«Per favore, tesoro, non ti ci mettere anche tu.»
«Non voglio che tu te la prenda tanto, è solo un club scolastico.» mormorò con un sorriso premuroso.
«Ma è il mio club scolastico.»

 
~
 
«Avrei voluto portarti un pensierino, ma c’erano solo alberi e pietre, ed ho passato l’ultimo giorno in punizione perciò…»
«La sola idea che tu abbia considerato di farmi un pensierino vale tutto per me, Gumi-chan.» gongolò Tooru appoggiandosi ora con più entusiasmo sulle stampelle. L’ingombrante tutore che indossava la settimana precedente, e che era stato causa del più imbarazzante dei fraintendimenti, era stato sostituito da un modello meno rigido che gli permetteva di osare qualche passo nel corridoio. In genere lo trovava deprimente, ma era la prima “passeggiata” con Megumi che riusciva ad ottenere dai tempi in cui l’accompagnava al dormitorio dopo gli allenamenti del Galaxy, e l’atmosfera era del tutto cambiata. La vide arrossire a causa della sua affermazione, stringere le labbra imbarazzata e subito dopo schiuderle per sibilare qualcosa di velenoso, ma fu pronto ad intervenire.
«No! Non dire niente!» aggiunse scuotendo la testa «Voglio ricordarmi questo momento così com’è: ambiguamente romantico.»
«Non c’è niente di romantico.» biascicò contrariata «Quindi vola basso. Avrei fatto bene a portarti la montagna di escrementi d’uccello che c’era sul davanzale della mia finestra, probabilmente l’avresti trovato meno ambiguo.»
«Gumi-chan, ti avevo chiesto di non dire altro!» pigolò insoddisfatto «Adesso hai reso volgare un momento bellissimo!»
«Perfetto, perché era precisamente ciò che intendevo fare.»
Tooru era lieto che a separarlo dalle sue dimissioni fossero solo un paio di giorni, perché la routine quotidiana in clinica l’aveva definitivamente scocciato; Hanamaki lo rimproverava che suonava secchione, ma per un certo verso non vedeva l’ora di tornare a scuola, anche arrancando sulle stampelle. Si chiedeva però, con un certo rammarico, se Megumi avrebbe continuato a cercare la sua compagnia anche quando fosse uscito: non poteva zoppicare in posti molto diversi da casa propria e dalla scuola, ed era piuttosto sicuro che nessuna delle due opzioni lusingasse particolarmente la ragazza. Prima che potesse controllarsi, le parole gli erano già sfuggite fra le labbra:
«Non ci vedremo più così da vicino quando sarò fuori di qui.»
Megumi assunse un’aria perplessa e si fermò accanto alla vetrata più vicina. Incrociò le braccia e si appoggiò con le spalle alla parete.
«Questa è bella. E sentiamo, di grazia, perché?»
Tooru mugugnò quel che aveva pensato, che mai lei se la sarebbe sentita di recarsi a casa sua o nei pressi della propria scuola.
«E quindi? Fra le due non c’è nemmeno un pezzetto di strada?»
«Mi accompagnerà mio fratello in macchina.»
«Capisco, ma troveremo un modo.»
«Gumi-chan, non ti sembra di iniziare a tenerci di più?» propose con tono speranzoso.
«Ovvio, siamo amici.» lo spense lei con una certa urgenza. «Non farti idee strane.»
Per quanto fosse divertente stuzzicarla, Tooru preferì non tirare ulteriormente la corda per non bruciarsi ogni opportunità di rivederla. Deviò spontaneamente il discorso sulle notizie che aveva sul proprio club e sul suo desiderio di assistere agli allenamenti, anche seduto in tribuna come un semplice spettatore. A quel punto Megumi borbottò un’osservazione stizzita che gli fece battere il cuore.
«Certo, così le tue fan verranno a farti compagnia. Immagino che muoiano dalla voglia di consolarti.»
«Cosa hai detto?»
La ragazza arrossì nuovamente, poi scosse il capo di fretta.
«Niente che sia importante.» replicò guardando altrove «Sono certa che il tuo allenatore ti permetterà di assistere addirittura dalla panchina, dopotutto rimani il capitano.»
«Ancora per poco, temo. Iwa-chan mi sta facendo una buona concorrenza, non mi stupirei se l’anno prossimo scegliessero lui. Voglio dire, io sceglierei lui anche ad occhi chiusi.»
«Essere capitano deve essere una bella scocciatura ed io non vorrei mai trovarmi nei tuoi panni. Però va osservato che anche tu sei una bella scocciatura, perciò credo che il ruolo si addica a te più di chiunque altro.»
«Un modo contorto per farmi un complimento.» commentò lusingato.
«Non è mia abitudine elargire complimenti, sono solo oggettiva.»
«Allora ti ringrazio due volte. Quando ti offrirò quel gelato mochi, te ne prenderò due!»
Megumi rise. «Non è che siccome tu sei ingrassato devo farlo anche io!»
«Hai perso molto peso nelle ultime settimane, Gumi-chan, non sarebbe male se lo riprendessi.»
«Saltare è più semplice.» affermò con un sorriso, poi si morse un labbro. «Non che ora mi serva a qualcosa.» aggiunse amareggiata.
«È nostalgia quella che sento nella tua voce?»
«Può darsi, non lo so.»
«Andiamo, non è qualcosa che puoi non sapere…»
«Lo è.» rispose allora inaspettatamente «In gita sono successe molte cose, ed ho avuto il tempo di riflettere. Sono giunta alla conclusione che sarebbe bello ricominciare daccapo.»
Tooru le rivolse il più raggiante dei sorrisi, felice che fosse finalmente riuscita a tornare sui suoi passi.
«Gumi-chan, è magnifico! Se ricomincerai, verrò a vedere tutte le vostre partite, perfino le amichevoli in trasferta! Ti garantisco che sarò il più grande dei tuoi fan!»
«Non voglio fan, non sono mica te!» contestò contrariata. «E comunque è stato solo un pensiero di un momento, non è detto che sia realizzabile. Con tutto quello che si dice di me a scuola…»
«Ma che t’importa? Da’ loro qualcosa di bello e di cui essere fieri e dimenticheranno le tue presunte colpe, il mondo è volubile! Se hai bisogno di qualcuno con cui esercitarti prima di riprendere posso…» il suo ginocchio protestò come se avesse potuto comprendere le sue intenzioni «Ah no, non posso.»
«Si può sapere perché ne sei tanto contento?» sospirò Megumi piuttosto divertita dal suo entusiasmo «Non è una cosa che riguarda te.»
«Ma io sono un tuo fan.»
«Grazie, mio unico fan. Hai proprio del cattivo gusto.»
«Scommetto che non sono l’unico.»
«Ad aver cattivo gusto? Su quello non ci piove…»
«Ad essere tuo fan.»
Megumi scosse il capo, le guance appena più rosa, forse segretamente lusingata. Ribadì docilmente che non le risultava di conoscere qualcuno che l’ammirasse in quel modo a livello sportivo, al di fuori – s’intendeva – della propria famiglia.
«Davvero?» commentò Tooru «A me pare che tu ne abbia almeno un altro.»
La ragazza fu inizialmente perplessa, poi riuscì a sciogliere la sua dichiarazione enigmatica e ad attivare tutt’una serie di collegamenti sopiti, ed infine inarcò un sopracciglio.
«Lo stai davvero mettendo in mezzo di tua spontanea volontà?»
«È un mio rivale, ma io sono una persona sportiva.» spiegò, non senza una incontrollabile punta di gelosia.
«Se anche lo fosse stato in passato, di certo ora non è più un mio fan.»

 
~
 
Naomi salutò frettolosamente le manager della squadra, pregandole di comunicare quanto prima in segreteria i nuovi orari del club. Liberatasi di questa ulteriore incombenza, fece tutta la strada indietro verso la stanza del club, di dimensioni ridicole rispetto a quelle che erano state un tempo, riaprì il proprio armadietto e si riprese la propria borsa. Constatato che mancava una buona oretta al suo turno nella scuola elementare, decise di trattenersi lì per qualche altro minuto e fare magari una telefonata al proprio fidanzato. Aveva separato i due banchi che Hattori aveva unito, perché non le piacevano né le cattedre né le formalità e finiva sempre per non usare le sedie. In questa posizione imbarazzante, seduta sul banco con le gambe incrociate, la sorprese lo studente che bussò alla porta.
«Coach Kato?» aveva una voce baritonale che all’inizio credette potesse piuttosto appartenere ad un professore «È già andata via?»
Balzò in piedi in tutta fretta e cercò di assumere una postura quanto più disinvolta e professionale le venisse in mente, con scarsi risultati. Nel mentre balbettò che poteva entrare e si ritrovò davanti l’adolescente più alto e ben piazzato che lei avesse mai visto in vita sua, con indosso la tuta del club di pallavolo maschile. Con quell’aria seriosa, lo avrebbe scambiato per un padre di famiglia invece che per un liceale.
«Ciao! Credo che tu ti sia sbagliato» lo avvertì preoccupata «Io alleno le ragazze.»
«Lo so.» la rassicurò senza scomporsi.
«Be’ non mi sembri una ragazza.» cercò di scherzare, ma sulle labbra del ragazzo non apparve nemmeno il minimo segno di un sorriso, piuttosto corrugò le sopracciglia folte in un cipiglio confuso.
«No, non lo sono.» considerò infine con serietà.
«Ecco… sì, è ovvio che non lo sei!» si sforzò di sorridere ma il ragazzo restò impassibile. «Allora, entra pure!» lo invitò «Come posso aiutarti?»
«Sono venuto a parlare con lei di una mia amica.»
«Fa parte del club?»
«Al momento non più.»
Naomi si chiese, su questi presupposti, cosa potesse mai volere un tizio del genere da lei.
«Si chiama Sakurai.»
Il cognome familiare ricondusse l’allenatrice ai dossier che aveva sfogliato più e più volte nella penombra del proprio appartamento, rosicchiandosi le unghie per il nervosismo. Com’era da interpretarsi l’improvvisa apparizione di qualcuno che intendeva parlare con lei proprio di quella schiacciatrice che con tanta bramosia aveva desiderato riavere in squadra? Forse qualche divinità misteriosa sosteneva la sua causa ed aveva deciso di aiutarla?
Fu il ragazzo stesso a sciogliere le sue riserve.
«Tutta la scuola sa che le è stato vietato avvicinarsi alla ragazza dello scandalo e perciò non può permettersi di fare troppe domande in giro sulla sua identità. Mi è stato riferito da una delle sue ragazze che è in dubbio su due nomi e che non osa interessarsi per prudenza a nessuna delle due.»
Naomi era sorpresa, annuì silenziosamente al preambolo del ragazzo.
«Io sono venuto qui per dirle che la ragazza dello scandalo è la mia amica.»
Che la giocatrice che più bramava fosse proprio quella intoccabile era davvero un brutto tiro. Se qualche istante prima aveva creduto nella divina collaborazione di qualche essere trascendente, adesso dovette trattenersi per dare il buon esempio e non imprecare.
«Non avresti dovuto dirmelo: le sue compagne di squadra si stanno impegnando moltissimo per proteggerla.»
«Non è una a cui piace essere protetta, in linea di massima. Io invece spero che lei possa darle una bella scrollata e convincerla a riprendere gli allenamenti.»
«Vuoi farmi rischiare il posto? Forse ti manda Washijou-sensei per farmi cacciare…»
«Non mi manda nessuno, è stata una mia scelta. Posso dirle come trovarla senza che nessuno lo sappia o vi veda, fuori dalla scuola.»
L’occasione era tanto ghiotta che Naomi non fu in grado di pensarci una seconda volta. Avrebbe voluto possedere la compostezza di quel ragazzo, immaginava che Washijou lo adorasse.
«Com’è che ti chiami?»
«Ushijima.»
«Ah! Il nostro prodigio! È un piacere conoscerti di persona, però ho l’abitudine di chiamare gli studenti con il loro nome di battesimo, usare il cognome è troppo formale e mi fa sentire più vecchia di quanto io sia.»
«Wakatoshi.» rispose, poi aggiunse «E lei non è affatto vecchia.»
Naomi arrossì. «Grazie Wakatoshi! E ti ringrazio anche per aver condiviso con me quello che sai.»
«Quindi cercherà Megumi?»
«Sì.» gli garantì con un sorriso «Non ti nascondo che in questi giorni mi sono resa conto di aver bisogno di un elemento come la tua amica. Il tuo intervento è provvidenziale.»
«Se vuole parlare con lei fuori dalla scuola deve approfittare del lunedì mattina, scende dall’autobus alle sette meno un quarto, davanti all’ufficio postale.»
«Come puoi darmi così tanti dettagli con tutta questa precisione?» domandò sospettosa.
«Siamo vicini di casa, in genere prendiamo lo stesso autobus.»
Il ragazzo fece per accomiatarsi, ma Naomi lo richiamò prima che sparisse oltre la porta.
«Wakatoshi, perché credi che la tua amica si lascerà convincere da me? Se tu, che sei suo amico, non ci sei riuscito, allora…»
Wakatoshi rispose con tutta la calma e la disinvoltura del mondo, dando per scontato che la risposta fosse ovvia.
«Perché lei è stata una leggenda, coach.»
Naomi non era certa che bastasse la propria buona fama a persuadere una ragazza molestata a tornare nello stesso campo che era stato lo sfondo delle sue disavventure, eppure il lunedì mattina uscì di casa di buon’ora e si sedette alla fermata, stringendosi impaziente nella propria giacca a vento mentre la pioggia picchiava senza sosta sulla superficie della pensilina. Contò ben quattro autobus, e cominciò a dubitare della buona fede di Wakatoshi, prima di individuarne uno proveniente dal sud della prefettura. I dubbi si dissiparono nel momento stesso in cui ne uscì una ragazza alta e coi capelli scuri, con indosso l’uniforme scolastica dell’Accademia ed una borsa pesante.
Megumi non doveva essere abituata a trovare qualcuno che aspettasse un autobus a quell’ora, perché le rivolse un’occhiata sorpresa. Tuttavia si limitò ad aprire l’ombrello e a voltarle le spalle.
«Aspetta!» la chiamò balzando in piedi «Tu sei Megumi, non è così?»
La ragazza tornò ad osservarla meglio e Naomi fece altrettanto. In confronto alla foto che le manager avevano appiccicato con zelo sul suo fascicolo del dossier, la persona che aveva davanti sarebbe potuta essere solo lo spettro di Megumi Sakurai: il viso era più sottile e malaticcio, gli occhi scavati, le labbra screpolate. Considerò che quelle conseguenze dovevano essere abbastanza ovvie visto quanto le era accaduto. Le sorrise con garbo e le si presentò.
«Io sono Naomi Kato. Non so se lo sai, ma alleno il tuo club adesso.»
Megumi non parve affatto contenta dell’approccio, anzi le sembrò fin troppo spaventata.
«Lei… le altre non mi avevano detto niente… sono certa che stia facendo un ottimo lavoro!» balbettò fin troppo energicamente e chinandosi appena in avanti in segno di rispetto.
«Hai un po’ di tempo Megumi?»
«Kato-san, io non voglio tornare al club.» si affrettò a chiarire in risposta.
«Sarebbe una brutta batosta per me, Megumi.» spiegò allora lei con dolcezza «Ho bisogno di qualcuno come te e mi piacerebbe raccontarti il perché. Cosa ti costa concedermi un po’ di tempo? Le lezioni non cominciano che fra un’ora.»
«In realtà in genere utilizzo l’anticipo per passare dalla mensa e fare colazione.» dissentì immediatamente.
«Che coincidenza! Neanch’io ho fatto colazione, la faremo insieme. C’è un posto molto carino qui vicino, mi fermavo sempre lì con le mie compagne di squadra. Sarà come tornare ai vecchi tempi!»
Evidentemente la povera ragazza non riuscì più a trovare scuse da opporle, perché si limitò a sollevare le spalle e si arrese a seguirla. Lungo il tragitto sotto la pioggia, Naomi tentò di tener accese le ceneri della conversazione, ma la più giovane si era chiusa in uno stato di assenza totale. Avrebbe davvero voluto sapere cosa le passasse per la testa in quel momento.
Il luogo di cui le aveva parlato era rimasto esattamente come l’aveva lasciato da studentessa, riposero gli ombrelli fradici all’ingresso e Naomi la condusse verso il tavolo più isolato e che riuscì a trovare. Gli avventori di mattina erano pochi e – con sollievo – constatò che fra loro non era incluso nessuno che potesse essere al corrente del divieto che le era stato imposto dal preside.
«Chiariamo una cosa: io non sono Isao Hattori.» esordì non appena la cameriera si allontanò lasciando sul tavolo le loro ordinazioni.
Megumi lasciò immediatamente perdere la tazza che stava sorseggiando con ben poco appetito e le rivolse uno sguardo inorridito.
«Lei… lo sa?» bisbigliò improvvisamente pallida in viso.
«Sì. Ma non me l’hanno detto le tue compagne di squadra, loro sono state estremamente solidali con te. Me l’ha detto un tuo amico.»
«Io non ho tutti questi amici.»
«Ha detto di chiamarsi Wakatoshi, è stato lui a dirmi dove trovarti.»
La ragazza apparentemente non riuscì più a reggere il contatto visivo, perciò rivolse di scatto l’attenzione a ciò che stava oltre la finestra alla sua sinistra, gli occhi marroni le si fecero più lucidi.
«Non ha ancora imparato che deve farsi i fatti propri, quello stupido.»
«Mi è sembrato preoccupato per te.» lo difese Naomi.
«Lo è veramente, ma non me lo merito.» ribatté inquieta.
Poiché non le era piaciuto né il suo tono di voce acuto, né il tremolio delle sue mani, cercò di andare dritta al punto e di precisare la propria posizione prima che la più giovane fosse colta da una qualche irreversibile crisi di pianto. Cominciava a capire perché il professor Kurihara aveva insistito tanto che avrebbe potuto aggravare le cose: non aveva nemmeno iniziato a trattare con lei che già aveva toccato delle corde troppo sensibili.
«Ascolta, Megumi, a me non importa che cosa sia successo con Hattori.»
«È successo che gliel’ho permesso io, ho rovinato la mia vita per colpa di uno stupido sport, ho imbrogliato per ottenere il posto da titolare che desideravo ma non meritavo, ho fatto sì che un… uno che avrebbe potuto essere mio padre…» Megumi non riuscì più a continuare, la voce le morì in gola, piegata dai singhiozzi, e nascose il volto arrossato dietro le mani.
Non c’era davvero niente di tutto quello nei manuali del buon allenatore, nulla che potesse aiutarla. Si guardò intorno preoccupata, pregando che nessuno si fosse accorto di quanto stava succedendo, poi cercò di arginare i danni. Tentò di rincuorarla prendendole una mano, ma l’altra la ritrasse di scatto appena l’ebbe sfiorata, fissandola con gli occhi sgranati per lo spavento. Riprese lucidità un attimo dopo, quando le mormorò delle scuse affrettate.
«Io non sono Isao Hattori, Megumi.» ripeté con fermezza «Io non alzerò le mani su di te quando commetti un errore o ti presenti in ritardo all’allenamento. Non alzerei un dito su di te nemmeno se dovessi sbagliare più della metà dei servizi di una partita!»
«Non ho bisogno di altri privilegi…»
«Non sono privilegi, è il mio modo di agire, lo farei con ognuna di voi.» spiegò determinata «Non c’è moina o comando che regga con me: il preside mi ha chiaramente annunciato che avrei perso il posto se ti fossi venuta a cercare, io oggi sono qui con te a rischiare di perdere il lavoro che desidero da quando ho preso il brevetto da allenatrice. E se lo sto rischiando non è per beneficienza o perché tu mi sia simpatica, ma perché io e la tua squadra abbiamo bisogno di te.»
Inaspettatamente, la sua tirata sembrò calmare Megumi ed arginarne il pianto, sebbene il tremore alle mani non fosse svanito.
«Se avete bisogno di altri membri per raggiungere il numero…»
«Non abbiamo bisogno di altri membri, ho bisogno di te.» la interruppe con impazienza. Aprì la propria borsa, che aveva abbandonato mezza bagnata sulla sedia accanto, e ne estrasse il taccuino su cui aveva abbozzato il suo schema di posizioni ideali. «Guarda!» disse porgendoglielo.
La ragazza lo accetto con circospezione, si asciugò gli occhi con un fazzoletto ed esaminò la pagina a cui Naomi l’aveva aperto. Dal repentino cambio d’espressione sul suo viso, fu certa che avesse compreso al primo sguardo le sue intenzioni.
«Questa…» mormorò confusa prima di alzare gli occhi dalla pagina e tenderle nuovamente il suo taccuino «Deve essere la pagina sbagliata, signorina. È lo schema di una formazione maschile, ha scritto che l’opposto non partecipa alla ricezione.»
«Nient’affatto. È il vostro.» le garantì con un sorriso d’incoraggiamento «E qui» picchiettò con urgenza sul pallino del posto 1 «è dove sei tu.»
«Io non sono un’opposta, ho sempre giocato a sinistra.» obiettò scettica, poi tirò su con il naso.
«Imparerai ad esserlo. Ti aiuterò io, non devi avere paura.»
«Con questo schema, sarei chiamata a chiudere la maggior parte degli attacchi.» considerò Megumi a mezza voce, più a sé stessa che a Naomi «È lo stesso ruolo di Wakatoshi… Non sono abbastanza brava per fare una cosa del genere…»
«Ora come ora fra le tue compagne non c’è nessun’altra che possa fare una cosa del genere.»
«C’è Yoshida…»
«Non mi privo della migliore e della più alta delle mie centrali. E poi se una è brava in prima linea non è necessariamente vero che lo sia anche in seconda. Tu, invece, tiri in modo particolarmente vigoroso e preciso anche dalla seconda linea, l’ho visto quando avete giocato contro il Gensai.»
«Ma salto meno di Yoshida, e mi stanco presto.» contestò scuotendo il capo.
«A tutto questo farò in modo di rimediare personalmente, puoi fidarti.»
«Lei… desidera veramente che io torni?» domandò come se solamente in quel momento stesse cogliendo il senso delle sue proposte, o forse – considerò Naomi – le cose stavano realmente così.
«Non sprecherei tanto fiato se non lo volessi. realmente E qualcosa mi dice che in qualche parte remota della tua testolina lo desideri ardentemente anche tu.»
Megumi finì di asciugarsi gli occhi e scosse il capo.
«Come posso rifarmi viva con le altre? Non ho veramente il coraggio di farmi rivedere da loro, soprattutto da Kurihara e da Hoshino, a cui ho rubato il ruolo. E poi non sono abbastanza brava per fare tutto quello che lei mi ha proposto, signorina. Le ricordo che sono una che ha dovuto barare per giocare nella formazione titolare, non sono evidentemente sufficientemente dotata per farcela con le mie forze.»
«Le altre non provano alcun risentimento per te, e lo sapresti se non le evitassi come fai.» l’ammonì «E non sei tu che parli, è la tua paura a farlo. La tua coach delle medie dice che non eri così autocritica fino allo scorso anno.»
«Perché nessuno mi aveva aperto gli occhi. Hattori si è premurato di farlo nel peggiore dei modi.» spiegò con amarezza, poi diede una rapida occhiata all’orologio. «S’è fatto tardi, signorina. Devo andare.»
«Aspetta!» la prese per un braccio, questa volta Megumi trasalì ma non si ritrasse dalla presa. «Lascia che ti aiuti, la tua borsa sembra molto pesante.»
«Nulla che non sia alla mia portata.» rispose imbracciandola con una scioltezza spiazzante. Naomi avrebbe voluto mangiarsi le mani per quanto bramasse avere quella prestanza fisica a disposizione.
«Temo di essere costretta a declinare il suo invito, signorina Kato.» annunciò ancora scossa.
Non aveva fatto tutta quella fatica per nulla, ormai era una questione di principio: non avrebbe permesso che le malefatte di Hattori annullassero completamente la personalità e la carriera di un’atleta che le era sembrata tanto promettente.
«Io vorrei che tu ci pensassi ancora, Megumi.» insistette con tono quasi supplice «Gli allenamenti oggi pomeriggio iniziano alle cinque. Io ti aspetterò e se non verrai… insomma capirò.»
«Signorina, io…» iniziò nuovamente a schermirsi ma Naomi la interruppe.
«Promettimi che ci penserai meglio.»
«Ci proverò.» si arrese «Ma farà bene a mettersi l’anima in pace.»

 
~
 
La settimana di Megumi non sarebbe potuta iniziare in modo peggiore: il temporale, la nuova allenatrice del suo club che si appostava alla fermata dell’autobus, una bella crisi di panico e – per concludere in bellezza – Waka-nii che l’aspettava a braccia incrociate all’ingresso della sua classe.
«Togliti» mormorò a testa bassa, senza guardarlo negli occhi «Devo entrare.»
Alcuni dei suoi compagni di classe rizzarono il capo per non perdersi nemmeno un secondo del loro imminente scambio di battute. Dal suo banco, Shirabu scattò in piedi colto da un’improvvisa indole solidale, ma alla fine restò fermo sul suo posto, incapace di decidere da quale parte schierarsi.
«Non mi sposto se non mi guardi in faccia.» rispose con la stessa serietà che le era familiare. Non le riusciva di opporsi alle sue richieste, così alzò timidamente il capo, quanto bastava perché i suoi occhi – che sapeva essere ancora gonfi e arrossati – non fossero più nascosti alla vista dell’amico.
Wakatoshi ne fu immediatamente turbato. La prese per mano, nonostante le sue resistenze, e la condusse fuori dal corridoio, su una rampa delle scale che nessuno prendeva mai.
«Stai bene?» le domandò allarmato, tenendola per le spalle con una dolcezza che Megumi aveva dimenticato e che non sentiva appartenerle più.
Annuì, incapace com’era di rivolgergli la parola.
«Non pensavo che ti avrebbe fatta piangere.» si giustificò «Ti ha detto qualcosa di cattivo?»
Scosse la testa.
«Sono io quello di poche parole.» le fece notare per sollecitarla a dire qualcosa, ma Megumi non osò rivolgergli la parola.
Si vergognava così tanto, dopo che lui aveva scoperto tutta la verità, a stargli troppo vicino. Wakatoshi non aveva fatto nulla per meritare tutte quelle bugie, nulla che gli valesse un’amica tanto infame. Cosa poteva pensare di tutte le sue dichiarazioni di amore incondizionato, ora che aveva scoperto che si era venduta in cambio di un posto? Lui detestava i sotterfugi, era uno strenuo sostenitore della sportività, e – davvero – non aveva bisogno di una come lei. Anzi, avrebbe dovuto provar disagio a farsi vedere in giro con una poco di buono, qualcuno avrebbe potuto mettere in giro delle voci affatto piacevoli anche su di lui.
Wakatoshi sospirò spazientito.
«Perché continui ad evitarmi?»
«Ti ho detto un sacco di bugie…» sussurrò con un filo di voce.
«E allora? Non sarebbe la prima volta, in ogni caso.»
«Avrei dovuto essere sincera con te, e poi mi fa schifo ciò che ho fatto. Non sono più alla tua…»
Wakatoshi schioccò la lingua prima che avesse tempo di finire «Tu non devi essere all’altezza di nessun altro, solo di te stessa.»
Megumi strinse le labbra e chinò il capo, le mancavano le parole per replicare.
«Sei cambiata, Megumi-chan. Non parlo di questi ultimi mesi, è successo molto prima: non sei più la stessa. Una volta eri una ragazza allegra e altruista, avevi una parlantina tale da riuscire a farti amico chiunque, poi ti sei trasformata in una presuntuosa ed hai cominciato ad avere fretta di bruciare tutte le tappe. È stato questo a metterti nei guai.»
Megumi non si era mai fermata a riflettere su cosa aveva sacrificato quando aveva iniziato a votarsi anima e corpo allo sport, perciò la rivelazione di Wakatoshi le giunse inaspettata, ma allo stesso tempo necessaria. Aveva ragione quando sosteneva che fosse cambiata e negarlo sarebbe stato inutile. Una volta Arisu non avrebbe dovuto faticare tanto per guadagnarsi la sua simpatia, le sarebbero bastati un paio di giorni per conquistarla. Lo stesso valeva per Kaori, Shirabu e tutti quelli che si erano dovuti sforzare continuamente per stabilire con lei una certa familiarità. Collocò inconsapevolmente Oikawa in una categoria di conoscenze riservata poiché aveva la sensazione fastidiosa che la natura del loro legame fosse appena diversa da quello che condivideva con gli altri.
Sì, era stato questo a metterla nei guai: se non fosse stata irritata con Kurihara, con Arisu e con il resto delle ragazze, se avesse avuto dalla sua una manciata di amici, se non si fosse affannata ansiosamente per accorciare i tempi, avrebbe denunciato ben presto quello che le stava accadendo, o forse avrebbe potuto addirittura scansarselo.
«Non posso più tornare indietro.»
«Certo che puoi, ti conosco abbastanza per sapere che la mia Megumi-chan esiste ancora.»
«Ed è per questo che mi hai messo alle costole la signorina Kato?» lo rimproverò.
«Sono stato scorretto, lo riconosco. Ma non pensavo che ti avrebbe ferita.»
«Non l’ha fatto, non volontariamente almeno. Ho solo perso il controllo.»
«E succede spesso?»
«Più di quanto vorrei. Che sia accaduto davanti a lei è piuttosto umiliante, ma non è nei miei piani rivederla ancora, perciò sto provando a scrollarmi l’imbarazzo di dosso e dimenticare la figuraccia.»
«Capisco, quindi non ci è riuscita.» osservò amareggiato. «Ma nessuno può obbligarti, in fin dei conti. Posso almeno sapere per quale motivo non hai voglia di tornare anche ora che Hattori non c’è più?»
Per la seconda volta in quella mattina, il nome del suo persecutore le procurò un brivido lungo la spina dorsale, ma questa volta si sforzò di non cedere. Ripeté all’amico le stesse ragioni che poco prima aveva riferito alla signorina Kato, che si vergognava delle sue compagne e che non si riteneva più abbastanza brava per proseguire con le proprie forze e lui la lasciò continuare fino all’ultimo.
«Sono sciocchezze.» commentò però alla fine, non era mai stato un campione di sensibilità. «Le tue compagne non ti odiano affatto, ti riaccoglierebbero a braccia aperte. Hanno più bisogno di te che mai, sono poche e senza speranza in qualsiasi competizione ufficiale.»
«Resterebbero deluse, perché non sarei di nessun aiuto.»
«Tu no, ma la mia Megumi-chan sì.»
«Sono sempre io, Waka-nii… non si può tornare indietro nel tempo. Immagina se tornassi a giocare in un campionato ufficiale, nessuno verrebbe a tifare per una disonesta. L’intera scuola mi disprezza.»
«Ma le persone sono volubili, da’ loro un motivo per essere fieri di te e metteranno da parte i pregiudizi.»
Megumi fu sorpresa di riconoscere nelle parole dell’amico le stesse che solo qualche giorno prima le aveva rivolto Oikawa. Che i due fossero d’accordo su qualcosa era totalmente impensabile e lei non aveva mai conosciuto due persone più diverse. Ma che due persone così profondamente differenti concordassero su qualcosa poteva significare che avessero oggettivamente ragione.
«Vorrei che mi perdonassi, per tutto.» mormorò allora rammaricata.
Per la prima volta dopo mesi, le riuscì di rivedere il sorriso di Wakatoshi. Le era mancato così tanto che si era dimenticata quanto potesse farle battere il cuore.
«Ed io vorrei che perdonassi me per non essermene accorto.»
«Non volevo che lui se la prendesse con te. Ti prometto che non ti dirò mai più bugie.»
«Facciamo che puoi raccontare bugie a tutti, anche a te stessa se ti va. Ma non ne dirai più a me. Voglio che parli con me quando qualcosa ti preoccupa.»
Quando più tardi sedette al proprio banco, Megumi si accorse di sentirsi alleggerita. Il peso sullo stomaco non voleva saperne di lasciarla andare, ma adesso combatteva con quel sentimento caldo e positivo che soltanto Wakatoshi sapeva ravvivare. Scosse il capo quando Shirabu le chiese se fosse accaduto qualcosa di grave, gli spiegò in breve che era avvenuta una sorta di riconciliazione. L’altro tirò le labbra in un sorriso colmo di tensione, che Megumi non fu in grado di interpretare.

 
~
 
Gli occhi delle ragazze radunate a cerchio attorno a Naomi tradivano avvilimento, ma lei non era affatto il tipo che si risparmiava le critiche. Gli occhioni da cucciolo bastonato non l’avevano mai ingannata, né mai avrebbero iniziato a farlo. Dopo quanto era accaduto con Sakurai quella mattina, alle cinque passate aveva deciso di metterci una pietra sopra e tentare di sistemare la formazione con quel poco che aveva in mano, rassegnandosi a rinunciare alle sue velleità innovative.
«Io non dico che dobbiate eccellere in ogni azione, ma se c’è una cosa che proprio non tollero sono gli errori di rotazione. Ragazze, i bambini delle elementari le conoscono meglio di voi! Se aveste iniziato a giocare soltanto quest’anno potrei anche passarci sopra, ma ognuna di voi ha alle spalle almeno tre anni di esperienza! Vi ho portato una fotocopia per ciascuna, e fareste bene a studiarla in questi giorni se volete arrivare al campionato della prefettura in condizioni accettabili. Dalla prossima volta chi sbaglia la rotazione farà un minuto di plank sui gomiti.»
«Un minuto intero?» ripeté Horie sbigottita «Signorina, io reggo a malapena trenta secondi.»
«Io soltanto quindici secondi.» ammise preoccupata Kaori.
«Riproverete finché non raggiungerete il minuto intero.» tagliò corto «E per ogni allenamento a cui sarete assenti senza motivazioni valide, raddoppierò la durata degli esercizi di punizione. Significa che se non vi presentate per andare a fare shopping o se mi dite di aver portato il gatto dal veterinario per due volte di seguito, farete due serie da un minuto.»
«È un bel problema, perché io di gatti ne ho parecchi.» osservò una ragazza alta e magra appena spuntata all’ingresso della palestra. Riconobbe nei capelli scuri e lisci e negli occhi allungati la fototessera del fascicolo di Mikoto Ikeda. La salutò chiamandola per nome e lei sembrò quasi più sorpresa di quanto lo era stata Kaori quando l’aveva vista apparire sulla soglia. La invitò ad accomodarsi insieme alle altre, lieta di avere una recluta in più, anche se non era quella che desiderava.
«Manco agli allenamenti da un bel pezzo, immagino che mi spettino almeno cento minuti di plank
«Non se hai una giustificazione accettabile.»
«Il mio ragazzo mi ha lasciata. Ed ho portato tre volte i miei gatti dal veterinario, che è mio padre.»
«Kato-san, Mikoto-chan è stata male realmente per colpa del suo ex-ragazzo, per favore non moltiplichi le durate delle sue punizioni!» intervenne Kaori ansiosa.
«Non lo farò, Kaori, stai serena.» la rassicurò «Non intendo farla scappare via. Bentornata, Mikoto.»
Mikoto la ringraziò e prese posto fra Kaori e Arisu, poi si ricordò di aggiungere: «Signorina, c’è ancora un’altra persona nello spogliatoio.»
Stava per chiedere di chi si trattasse quando Megumi irruppe di corsa nella palestra.
«Mi dispiace per il ritardo» ansimò mortificata «Ma sono stata trattenuta dalla professoressa Fukuda in sala professori. Sono corsa qui più veloce che potevo!»
Che ragazza incostante! Eppure Naomi non riuscì a fare a meno di rivolgerle un sorriso d’incoraggiamento e farle cenno di entrare con la mano.
«Bentornata, Megumi.»
«Bentornata!» le fecero eco le altre, prima di rompere le righe e andare incontro alla compagna. Naomi non aveva alcuna intenzione di placare il loro chiacchiericcio, sembravano così felici di riaccoglierla, e Arisu le pareva sull’orlo delle lacrime. Noriko, la nipote di Kurihara, se ne stava un po’ in disparte, ma rivolse qualche parola di scusa a Megumi, per qualcosa che doveva essere accaduto prima che lei fosse assunta.
«Signorina, le faccia fare dieci serie di plank da cinque minuti!» scherzò Mikoto, che intanto aveva già preso sotto braccio la nuova arrivata.
«In che senso… cinque minuti?» balbettò preoccupata «Signorina, io riesco a resistere solo due minuti e mezzo in quella posizione…»
«Mikoto sta scherzando, Megumi.» la tranquillizzò «Caspita, però… due minuti e mezzo? Proprio brava, qualcuno poco fa mi ha detto di resistere a stento per quindici secondi…»
Kaori si fece rossa in volto, ma Naomi le strizzò l’occhio.
«Ma adesso possiamo migliorare, tutte insieme. Cambio di programma, ragazze! Lasciate che vi spieghi come muterà da oggi il nostro schema di gioco, ci sono tante questioni da affrontare e tante proposte da fare!»
Mentre le ragazze tornavano ai loro posti – Arisu saldamente appiccicata a Megumi, a cui stava riassumendo estaticamente cosa si erano dette poco prima del suo arrivo – Naomi replicò a memoria sulla lavagnetta lo schema che aveva disegnato sul suo taccuino. Hamasaki osservò, come quella mattina aveva già fatto Megumi, che quello era lo schema di una formazione maschile.
«Chi ve l’ha messa in testa questa cosa, vorrei proprio saperlo.» ridacchiò scuotendo il capo «Anche le ragazze possono giocare prevalentemente in attacco, e voi dovreste imparare a farlo. In ricezione e difesa ci siamo, siete abbastanza in gamba, a parte qualcuna di voi che conto di poter esaminare nei prossimi giorni.» indugiò con lo sguardo su Mikoto, che fece finta di guardare da un’altra parte. Quello che non va bene è il modo in cui attaccate: Asami è molto brava, ma non possiamo far fare tutto a lei, non è giusto. Il palleggio è… Noriko, sul palleggio bisogna lavorare. Ci sono alcuni passaggi che non sei in grado di fare, ed hai sempre troppa fretta. Oltretutto dobbiamo risolvere un problema affatto indifferente, ovvero che non abbiamo una seconda palleggiatrice, ed è importantissimo averne una per variare il ritmo di gioco. Vorrei che tutte quante rifletteste su questa contingenza nei prossimi giorni: se c’è qualcuna di voi interessata a cambiare ruolo e giocare da alzatrice può venire a dirmelo, mi solleverà dall’incombenza di scegliere personalmente.»
Si levò un mormorio nervoso.
«Lo so, non è facile cambiare ruolo. Ma forse a qualcuna di voi potrebbe stare stretto quello che ha adesso, specialmente fra le riserve. Vi chiedo di pensarci e farmelo presente, anche se non vi sentite pratiche, ci lavoreremo insieme finché non prenderemo dimestichezza.»
Le ragazze si scambiarono qualche sguardo dubbioso, ma poi parvero rassegnarsi.
«Altri cambiamenti di ruolo saranno invece obbligatori: Megumi lascerà a Furumi e a Horie il loro posto a sinistra ed imparerà a giocare a destra, al posto di Satsuki.» si rivolse poi alla ragazza in questione «Satsuki, mi dispiace sottrarti l’opportunità di essere finalmente titolare, ma spero che tu capisca che non lo faccio perché tu non sia valida. Ritornerai in campo ogni volta che servirai, o quando Megumi avrà bisogno di riposare.»
Megumi alzò la mano per obiettare qualcosa, ma Naomi chiarì subito:
«Ovviamente per i primi tempi Megumi riscalderà un po’ la panchina, e la farò entrare solo quando sarà necessario e la riterrò pronta. Come già le ho già fatto presente stamattina, io non concedo privilegi e non faccio preferenze, dunque se intendete tenervi il vostro ruolo dovrete impegnarvi. Vi ricordo che si sono fatte avanti alcune ragazze del primo e del secondo anno per rimpolpare il numero delle iscritte al club, perciò io al vostro posto non mi adagerei sugli allori credendo di non poter essere sostituita. Ci sono altre domande?»
Forse troppo intimorite per parlare, le ragazze rimasero in silenzio. Qualcuna scosse la testa.
«D’accordo, prima di iniziare con il riscaldamento ho bisogno di verificare un dettaglio importante che è venuto fuori dai dossier che Mami e Nagisa hanno preparato per me: quante di voi allo stato attuale sono in grado di eseguire correttamente un servizio in salto?»
Solo la mano di Asami Yoshida si levò prontamente in alto, le altre invece assunsero il comportamento tipico dello studente impreparato negli istanti immediatamente precedenti all’interrogazione: qualcuna guardava altrove, qualcun’altra si nascondeva dietro la schiena di quella davanti, qualcun’altra ancora fingeva di aggiustarsi le ginocchiere.
«Solo una, davvero?» obiettò delusa «Speravo che i dossier si basassero su informazioni datate! Mikoto, Megumi… neanche voi?»
Le due fecero spallucce.
«Ragazze, è inconcepibile! Dobbiamo sistemare anche questo, è essenziale! Esigo che almeno tre di voi siano in grado di farlo, quindi dovranno impararlo almeno altre due ed inizieremo oggi stesso.»
Naomi era consapevole di aver fetta, eppure riteneva che fosse giusto così. Se intendevano giocare in maniera dignitosa i campionati autunnali di Miyagi, era necessario che la squadra si facesse una reputazione. Non sperava certo che le avversarie potessero mettersi a tremare davanti ad una formazione ancora tanto instabile, ma desiderava che almeno fossero conosciute per qualcosa di speciale già prima di iniziare il torneo. Negli ultimi giorni aveva fissato così tante amichevoli che s’era lasciata prendere la mano e non trovava il coraggio di comunicarlo alle ragazze che sicuramente non si sarebbero sentite abbastanza pronte per cimentarsi quasi ogni fine settimana in una sfida nuova. Iniziare ad allenare a metà anno non era un’impresa semplice, il tutto era stato ulteriormente aggravato dal completo disinteresse di Hattori, che non s’era curato per niente della preparazione fisica delle sue giocatrici, né di favorire la coesione fra di loro.
Il tempo era davvero agli sgoccioli.

 
~

Tooru era appena sceso dall’auto di suo fratello quando il suo cellulare trillò. Sullo schermo apparve la notifica di un messaggio da parte di Megumi, a cui era allegata una foto. Incapace di resistere alla curiosità indugiò sulla soglia della propria casa, dove pure aveva desiderato a lungo di tornare al più presto, e si puntellò su una sola stampella per leggere meglio. Nella foto figurava quella che certamente doveva essere la palestra di una scuola, anche piuttosto grande, nella quale si muovevano una decina di ragazze in t-shirt rosa pastello.
Il messaggio che la seguiva annunciava:
“News esclusive per il mio unico fan: hai vinto tu.”
   
 
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