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Autore: luciusxxx    10/07/2018    0 recensioni
L'ennesima fanfiction sull'universo Dolce Flirt.
Una versione più dark e mature del franchise dolceflirtiano, una dark romance novel ambientata nel famoso liceo "Dolce Amoris"
Cosa succede se una nuova ragazza arriva in un liceo dove tutti nascondono un segreto, che non vogliono, o meglio non possono rivelare?
Spero vi piaccia!!
XO!XO!
-L
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Allora, potremmo partire da storia? No, aspetta! Meglio se partiamo da scienze. Il programma è davvero tosto quest'anno. Rischiamo di restare indietro."

Iris si era infilata una matita dietro l'orecchio e girava forsennatamente le pagine del libro di chimica, alla ricerca del capitolo assegnato dalla prof, quella mattina. Erano le diciotto e mezzo di quello che era stato un primo giorno di scuola terrificante ed erano sedute entrambe alla scrivania della camera della rossa. Para non capiva come facesse la sua compagna ad essere così ansiosa riguardo lo studio: era appena il primo giorno di scuola! Significava che era praticamente impossibile che lo studio e i compiti si accavallassero fin da subito. Ciononostante sembrava che Iris avesse fatto del proverbio "Non rimandare a domani quello che puoi fare oggi" il suo motto di vita. Para si era recata lì nella speranza che lo studio fosse solo una scusa per i genitori di Iris affinchè non le disturbassero, mentre passavano la serata chiacchierando del più e del meno. Invece i genitori dell'amica si trovavano ancora a lavoro e, secondo le parole di Iris, avrebbero impiegato un pò di tempo per tornare. Desiderava davvero sapere qualcosa di più dei suoi nuovi compagni di classe e della politica del Dolce Amoris. Tuttavia, Iris era seria quando le aveva riferito di voler studiare. Ora, Para non dubitava delle buone intenzioni di Iris, ma non si sarebbe immaginata mai e poi mai di trascorrere quel pomeriggio tra ragazze tentando di comprendere complesse reazioni chimiche,  mentre la sua collega studiava la tavola periodica, in equilibrio sulle gambe accavallate, come se fosse l'oroscopo. Pochi minuti dopo l'attenzione di Para stava già scemando via. Le gambe fremevano, supplicandole di muoversi. Succedeva sempre così quando sfogliava i libri di scuola, cercando di focalizzare l'attenzione sulle parole scritte all'interno. Era irrequieta quando arrivava il momento di dedicarsi allo studio. A causa di questo credeva di non essere portata per lo studio, semplicemente. Nella sua vecchia scuola, quest'ultimo occupava una minima parte della sua routine quotidiana. Non solo gli alunni cadevano ai suoi piedi, ma anche i professori. Non aveva mai dovuto prepararsi realmente per un test, dal momento che o le veniva passato dal compagno di banco casuale o conosceva già le risposte grazie a una soffiata di qualche professore particolarmente generoso, nel secondo.

"Quindi secondo gli appunti, cosa accadrebbe, se aggiungessimo dell'ossido di zinco alla nostra reazione?"

Probabilmente salteremmo in aria, pregava silenziosamente Para. Tutto, pur di distogliere l'attenzione da quella trappola mortale per adolescenti chiamata "chimica".  Sentì i neuroni implorare pietà a gran voce nella camera del cervello. Non resistette più.

"Iris, posso usare il bagno?"

"Certamente. Ultima porta, in fondo al corridoio." Iris la guardò sconsolata dirigersi verso la porta tappezzata di poster di varie band coreane. A Para dispiaceva di lasciarla ad affrontare l'esercizio di scienze da sola, ma sentiva la necessità di alzarsi e sgranchirsi le gambe. Non ne poteva più di tutti quei numeri e quelle lettere, così fuggì immediatamente dalla cameretta di Iris.
Si chiuse cautamente la porta alle spalle. Il corridoio era illuminato dalla luce soffusa che proveniva da un set di lampade appese al soffitto. Non era ancora calato il sole, ma quella parte della casa sarebbe stata buia come una caverna, senza la luce rassicurante delle lampade. A discapito dell'ambientazione da film dell'orrore, il corridoio non era molto esteso. Diverse porte si affacciavano sul pavimento in parquet. Para ne contò cinque; sei compresa la camera di Iris. Para emise un sospiro: si sentiva già molto meglio, lontano dai libri di scuola.

"Mia sorella ti dà il tormento, vero?", disse una voce nella penombra.. La ragazza ebbe un sussulto. Non distingueva molto bene le forme, ma riconobbe una voce maschile, infantile. La porta di fronte quella della camera Iris si aprì lentamente verso l'esterno. Para credette di udirla cigolare, lugubramente. Dall'uscio fece capolino una testa di quello che doveva essere un bambino. "Ehi, non avere paura. Sono solo io!" Come se Para sapesse di chi si trattasse ovviamente. Il ragazzino accese la luce nella sua stanza, che investì in pieno la sua figura che sbucava dalla porta, permettendo a Para di vedere meglio la sua faccia. La testa era ricoperata da folti ricci rossi. Aveva occhi grandi e verdi, come quelli di Iris. Beh più grandi di quelli di Iris, ma sicuramente verdi come i suoi. Arrivò alla brillante deduzione che il bambino che si stagliava davanti a lei e che aveva rischiato di spedirla all'altro mondo, doveva essere il fratellino di Iris. "Ehm, ciao..." Para fece per alzare la mano destra a mo' di saluto. All'improvviso Iris sbucò da dietro le sue spalle, rivolgendosi con tono perentorio al fratello: "Thomas, non disturbare i miei amici. Ritorna subito in camera!". Il cuore di Para probabilmente aveva saltato qualche battito. Questi due sono decisamente fratello e sorella, senza alcun dubbio. La ragazza compiva dei grandi respiri, lentamente, stabilizzando il battito cardiaco.

Il ragazzino, Thomas, se ne stava in piedi, dondolandosi sui piedi avanti e indietro, con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni, guardando la sorella con il mento alzato: "Sorellona, non mi avevi presentato la tua amica, poco fa". Para, cercò di spegnere quella lite tra fratelli, presentandosi al ragazzino. "Comunque io sono Para. Lieta di fare la tua conoscenza, Thomas". Poichè era più basso di lei, tese una mano in alto, verso Para. "Piacere Para, io sono Thomas, il fratello di Iris, da come puoi aver capito." Strinse la mano al ragazzino, cercando di abbozzare almeno un sorriso. "Ciao, come va?". Dopodichè, Thomas diede loro le spalle tornandosene in camera, dicendo:  "Iris, dovresti abbassare la voce quando rifletti. Non ci credo che non riesci a risolvere un esercizio di cotale semplicità". "Cotale"? Mi sbaglio o Thomas ha appena pronunciato la parola "cotale"? Chi usa la parola "cotale" al giorno d'oggi? Ora capiva perchè Iris non le aveva fatto conoscere Thomas, appena messo piedi in casa sua. Era senza alcun'ombra di dubbio più sveglio di Iris, molto più arguto di lei. Dal suo volto traspariva costantemente, man mano che Para lo aveva fissato, un'intelligenza che poteva spiazzare qualunque persona non lo conoscesse. E come se la leggesse nella mente, Iris spiegò, un po' mesta nel parlare: "Devi sapere che Thomas è un bambino molto particolare per la sua età. E' più intelligente della media dei ragazzini della sua età. Questo porta gli altri compagni ad escluderlo, talvolta. Dicono che non vogliono assolutamente giocare con un saputello del suo calibro... Scusa, ti sto distraendo. Non avevi bisogno del bagno?"

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Chiudendosi la porta del bagno dietro di lei, Para decise che Thomas le stava simpatico. Non solo aveva tenuto testa ad Iris, ma aveva dato voce a ciò che Para desiderava dirle per tutto il tempo che studivano scienze insieme. Inoltre era un tipo fuori dagli schemi, tutto chiuso nel suo mondo. Poteva quasi rispecchiarsi in quel bambino di nove anni, adesso che aveva perso tutta la sua popolarità. Però... Davvero quel ragazzino sa come svolgere un esercizio di chimica?  Para lo prese come parte della sua piccola vendetta personale contro la sorella, per non averli presentati prima. Che strano senso dell'umorismo! Accesa la luce, Para non poteva credere ai suoi occhi. Il bagno di Iris non era un bagno. O meglio, era un bagno solo a metà. Conteneva tutti gli elementi che ci si aspetterebbe da un normale bagno: lavandino, water, specchio, diverse asciugamani e Para notò anche un'enorme vasca da bagno. Tuttavia, l'ambiente era ricco di piante. L'abbondanza di verde contratsava con il bianco delle mattonelle, che erano così lucide da riflettere l'immagine della ragazza. Para si avvicinò al lavandino e si sciacquò le mani. Tirò un sospiro di sollievo. Per la prima volta quella giornata, non era più al centro dell'attenzione. Aveva bramato quella tranquillità tutto il giorno. Tornata da scuola, i suoi genitori le avevano fatto il quarto grado, desiderosi di conoscere tutto della sua nuova vita da liceale al Dolce Amoris. Normalmente, avrebbe adorato che gli altri prestassero attenzione solo a lei. Ma ora no. Tutto quello che voleva era lasciare la sua vecchia vita alle spalle, tutte le sue qualità che l'avevano resa la strega che era prima d'allora. A partire dalla costante ricerca dell'interesse di coloro intorno a lei.
Adesso che era finalmente sola, nel bagno di Iris, sentiva la mancanza delle sue amiche. Le mancava comunque il vecchio liceo: l'appuntamento giornaliero con Leti e Catarina nella caffetteria della scuola; i baci scambiati con il ragazzo di turno sotto le gradinate del campo di football; le barrette energetiche rubate alla grassottella del primo anno... Sì, era decisamente una strega! Non capiva come mai nessuno le avesse mai spalancato gli occhi sul suo comportamento scorretto e riportata con i piedi per terra. Probabilmente avevano tutti timore della sua personalità capricciosa. Forse, sotto sotto, anche le uniche persone che reputava sue vere amiche non vedevano l'ora di distaccarsi da lei. Chissà? Magari in quello stesso istante stavano ridendo di lei davanti una tazza di cioccolata calda. Alle sue spalle.

Catarina! 

 Il nome della  migliore amica risuonò nella sua mente come il suono armonico prodotto da un gong tibetano. Proprio come le vibrazioni di un gong, il ricordo dell'amica stimolava nel profondo della sua anima una sensazione di pace e tranquillità al termine di una giornata faticosa come quella. Chissà se è tornata dal viaggio con la famiglia? Se fosse così, non mi avrebbe chiamata subito dopo aver messo piede in città? Aspetta! Siamo ancora migliori amiche?
Dopo aver asciugato le mani con l'asciugamano più vicino a lei, cacciò il cellulare dalla tasca posteriore così velocemente che quasi cadde sul pavimento. Compose rapidamente il numero di Catarina, che era messo in evidenza nella rubrica, e aspettò. Inspirò ed espirò lentamente, contando i secondi, così come i battiti del cuore. Ti prego, rispondi! Aveva davvero bisogno di udire la voce della sua migliore amica.
Magari la sua famiglia ha deciso di trasferirsi proprio lì, in Norvegia. Poi pensò a tutte le volte che Catarina si lamentava della pioggia o del clima rigido nei mesi invernali. Non ce la vedo proprio in giro per le strade di Oslo, tutta imbacuccata in sciarpe e cappelli. Un lieve sorriso fece la sua comparsa sul volto rigido e serio della ragazza, al ricordo dei drammi dell'amica. Era una ragazza molto difficile da accontentare, ma aveva un cuore grande come una capanna. Un cuore decisamente molto più grande del suo. Erano cresciute insieme, Para e lei. Non averla in quel momento al suo fianco, le faceva uno strano effetto. Come una melodia mai sentita prima. E sebbene l'orecchio prima o poi si abitui ad ogni tipo di suono, Para non credeva che si sarebbe mai abituata alla distanza che le aveva separate tutta l'estate... Stava per riagganciare, sconfitta, quando finalmente qualcuno rispose.   
                                               
"Ehm.. pronto?", una voce maschile, decisamente non quella di Catarina, o meglio non che Para la ricordasse così, rispose all'altro capo. Ecco! E' in compagnia di un ragazzo, come sempre d'altronde. Se non erano insieme da qualche parte a fare baldoria, Catarina amava passare il tempo con i ragazzi. Non poteva biasimarla. Ormai era abituata ai ragazzi che facevano da segretari in vece della sua amica. Poteva elencare tutti i loro nomi come una filastrocca: Martin, Derrick, Jonas... Tuttavia, non riusciva ad associare la voce all'altro capo del telefono con un ragazzo che conoscesse.

"Pronto? Sono Para, posso parlare con Catarina?"...Silenzio dall'altra parte. Poi il tipo si decise a parlare.

"Para? Non posso crederci... Come stai, ragazza? Sembra passato un secolo". Il ragazzo sembrava conoscerla e trovare buffo udire la sua voce dopo tutto quel tempo, dal momento che scoppiò in una risata fragorosa. Bene! Chi è quest'idiota ora? Para passò in rassegna tutti i nomi dell'elenco dei fidanzati, quando...
Un momento! Ma io conosco questa voce! Non può essere...
"Kentin? Kentin sei tu?". La ragazza non poteva crederci. Cosa ci faceva Kentin, il suo ragazzo, con Catarina? Catarina le aveva forse rubato il fidanzato? Significava che stavano insieme ora? Aspetta ancora un momento! Catarina era tornata dalla sua vacanza interminabile, finalmente! Era stata troppo impegnata per avvisarla, forse. Già, doveva essere andata proprio così.

"E chi altri, raggio di sole? Dimmi, come va la vita nel liceo degli sfigati?", disse Kentin, riprendendosi dall'eccesso di risa.

Para si sentì afferrare da una rabbia insolita, anche per la vecchia lei dei giorni di gloria nell'ex liceo. Doveva andare a fondo di quella storia. "Senti brutto stronzo, a partire da questa mattina ho avuto a che fare con la regina dei deficienti e le sue scagnozze, con una giornalista da strapazzo e ora sono tenuta prigioniera da una che legge troppo "Focus Junior". Quindi non chiedermi come va, perchè non va proprio. E ora passami Catarina, ti va?!". Para stava quasi urlando, soffocata dalle lacrime, che si ammassavano davanti i suoi occhi e rischiavano di strabordare come un fiume in piena.

"Okei, okei, ragazza, calma! Ok?". Para ignorò totalmente le sue parole, tentando comunque di riprendere il controllo di se stessa. Non doveva rischiare di cadere nella trappola come quella mattina. La vecchia lei era sempre in agguato dietro l'angolo. Si trattò solo di pochi secondi.

"Pronto? Para, sei tu? Non posso crederci, sei viva dopotutto!"

Catarina! La voce della sua amica la distrasse dai suoi pensieri. Era sollevata di poter finalmente scambiare quattro parole con la sua amica d'infanzia. Però a giudicare dal tono, Catarina non era così emozionata come sperava.

"Già, sono ancora in piedi...- trasse un profondo respiro-"Allora, bitch is back in town, eh?". Era il loro linguaggio tra amiche. Pronunciò quella frase, sperando che riaccendesse in Catarina i ricordi dei bei tempi trascorsi insieme, come era accaduto a lei all'udire la sua voce, dopo un' estate di silenzio.

Ma tutto quello che Catarina disse fu: "Già... Allora? Perchè mi hai chiamata?". Fredda, la sua amica era fredda nel parlare. Come se non si conoscessero da ben diciassette anni.

"Non mi avevi avvertita del tuo ritorno..."

"Beh, tu non mi hai informata del tuo trasferimento."
Le corse un brivido lungo la spina dorsale. Temeva di sapere dove Catarina voleva andare a parare.

"Senti Cat, mi dispiace. E' successo tutto così velocemente. Tra la nuova città, la nuova scuola, i nuovi compagni..." Merda!  Aveva toccato un tasto dolente per l'amica.
"Bene! Spero ti diverta con i tuoi nuovi amichetti dovunque diavolo tu stia ora!", e riattaccò.
Para rimase in quella posizione, con il telefono all'orecchio destro, non sapendo cosa pensare. Era davvero avvenuta quella chiamata o si era immaginata completamente quello che era successo nei minuti precedenti? Non ne poteva più. Sentiva la testa che le vorticava incessantemente. Doveva uscire da quella casa. Avvertiva il bisogno di respirare aria fresca prima di realizzare l'intera situazione, prima di approdare ad una soluzione valida. Si fiondò dentro la camera di Iris."Iris devo rientrare a casa. I miei genitori mi hanno appena chiamata." Afferrò la borsa appoggiata sulla sedia che occupava prima e le sue cose sparpagliate sulla scrivania di Iris.

"Tutto bene Para? Ti ho sentita parlare ad alta voce." Il cielo benedica l'udito poco sviluppato di Iris! Se solo avesse sentito del suo monologo nel bagno di casa sua!
"Sì, è solo... I miei genitori devono uscire e saranno fuori tutta la sera. Ci vediamo domani, ok?"
Uscì dalla cameretta della ragazza quasi correndo. "Ciao Thomas!" Si ricordò di salutare il fratello di Thomas, prima di chiudersi la porta dell'appartamento di Iris alle spalle.

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Erano quasi le nove di sera. Para si aggirava come un' anima solitaria tra i viali del parco. Il parco era completamente deserto, tranne che per qualche coppietta appartata, sotto i rami frondosi dei molti alberi che costituivano la flora del parco, o per qualche vagabondo in cerca della cena, nei vari cestini dei rifiuti, posti all'incrocio dei viali, in prossimità di una grande quercia dal tronco nodoso. Nonostante non si fosse ancora abituata del tutto, poteva affermare di adorare quella solitudine, che aveva agognato fin troppo quel giorno. Una coppia di scoiattoli sbucò all'improvviso da un cespuglio e si fiondò sui rami dell'albero più vicino, portando le noci che avevano scovato durante il freddo pomeriggio al caldo rifugio della loro tana. Come quelle bestioline, anche la natura intorno a lei si preparava per la notte: gli uccellini tornavano al loro nido; le civette,invece, si accingevano ad intonare il canto corale insieme ai loro fratelli. Dopo il temporale di quella mattina, si era alzato un venticello che ora le scompigliava i capelli, i quali fluttuavano nell'aria serale come spettri nell'etere. Il vento le colpiva le guance e la nuca, ma lei percepiva il suo tocco come una carezza, come se fosse l'unico a comprendere cosa provasse la ragazza. Condivideva con lei le emozioni. Le suggeriva varie soluzioni man mano che le alzava i capelli in ciocche scomposte. Para si fermò sul viale che stava percorrendo per inspirare tutta l'aria fresca della notte, che faceva certamente bene non solo ai suoi polmoni, ma anche al cervello. Adesso vedeva le cose più chiaramente. Mise insieme i pezzi del puzzle: Catarina era ritornata dal suo lungo viaggio, era venuta a conoscenza del suo trasloco, si era sentita tradita per non esserne stata messa al corrente fin da subito e per vendicarsi aveva deciso di rubarle il fidanzato. Wow! Molto maturo da parte sua. Ma era solo Catarina a non comportarsi come una ragazza della sua età? Para avrebbe potuto scriverle un messaggio, lasciare una nota da qualche parte...ma non l'aveva fatto. Perchè? In tutta sincerità se lo chiedeva pure lei. E adesso, come se niente fosse accaduto, voleva anche che lei e Catarina tornassero a vedersi da migliori amiche, quale erano prima? Para si vergognava di se stessa. Come poteva solo aspettarsi una cosa simile da lei, dopo aver violato il rapporto che le legava in questo modo? Voleva solo piangere. Per la rabbia, non per altro, sia messo in chiaroE poi c'era la questione di Kentin. Para aveva sempre saputo che era un idiota patentato, soprattutto dopo essere rientrato dalla scuola militare. Kentin era tornato diverso, trasformato; insomma non era più il perdente che lei conosceva. Anzi il nuovo Kentin la attraeva, per così dire. Trovava un certo fascino nel suo nuovo look da "duro" che il ragazzo si era imposto. Non che lui fosse davvero così: Kentin restava comunque lo sfigato occhialuto delle scuole medie. Tuttavia all'epoca non lo aveva riconosciuto e aveva trovato il nuovo Kentin molto fico e dannatamente sexy. Così tra un caffè e una sigaretta, erano finiti per baciarsi nella sala professori, mentre ne combinava una della sue, curiosando tra i fascicoli del professore di tecnica. Lo aveva convinto ad unirsi a lei nell'impresa. Entrambi amavano il pericolo all'epoca. E adesso si vedeva con Catarina.
E adesso frequentava Catarina. Dannazione!

"Ma guarda chi si vede! Ciao, pazza!". Immersa nei suoi pensieri, Para non si era accorta del ragazzo  che camminava verso la sua direzione, se non quando era troppo tardi. Sarebbe finita addosso a lui, se l'altro non la avesse afferrata per la spalle e trattenuta, mentre Para riacquistava l'equilibrio. Wow! Che presa salda. Cercò il volto del suo salvatore, per ringraziarlo.

"Ehm, grazie... - Oh no!- Castiel?"
Il ragazzo dai capelli rossi sogghignò, in risposta alla faccia sorpresa di Para. "Eh si, da quanto tempo!", disse, per poi aggiungere brusco "Attenta a dove metti i piedi la prossima volta." BAU!!! Ad accompagnare le parole del ragazzo, un grosso cane nero abbaiò verso di lei. Era legato al guinzaglio, fortunatamente. Para ringraziò mentalmente Castiel per questo. Aveva una fifa nera dei cani, specialmente quelli grandi e minacciosi, come il cane di Castiel. Adesso mentre il padrone gli grattava dietro le orecchie, l'enorme bestia le annusava le scarpe e le calze. Para trattenne il fiato, immobile come una statua.
"Sta' traquilla. Non morde mica, cretina!"
"Simpatico", commentò lei, calmandosi quanto bastava per riprendere fiato e parlare.
Castiel stava già tirando il cane dall'altra parte per andarsene.
"Ehi, aspetta!", Castiel si voltò verso di lei, alquanto infastidito. "Volevo scusarmi per questa mattina. Non intendevo...cioè non volevo, io....". Para non trovava le parole giuste e quello che doveva essere un discorso di scuse risultò essere una serie di balbettii indistinti.
"Tu non ci sei proprio con la testa, eh?", Castiel tornò indietro sui suoi passi.
"Ma sei sempre così scorbutico?", disse la ragazza, stizzita.
"Sempre con quelle come te!". Castiel non si girò nemmeno.
Quelle come me? Perchè io come sono?  
"Perchè io come sono?"
"Fatti un esame di coscienza e poi ne riparliamo, psicopatica", Castiel era davvero troppo lontano. Para non sapeva cosa dire, nemmeno se lui avesse afferrato le sue parole, così distante. Ripensò alle parole di Iris nel cortile, mentre si dirigevano in classe: "Castiel si comporta così dalla morte di quel ragazzo". Ancora una volta Para si chiese chi fosse il ragazzo morte e che relazione avesse con Castiel. Lo avrebbe chiesto ad Iris il giorno dopo. 
E tornò ai suoi pensieri, o meglio ai suoi problemi, dove nè Castiel, nè Iris, nè alcun ragazzo morto avevano importanza. C'erano solo lei e Catarina.Vide di sfuggita il volto di Catarina nella sua mente, mentre una luce intensa illuminò completamente la sua figura, all'improvviso. Si trovava in mezzo alla strada. Come ci era arrivata lì? Piccole stelline rosse si libravano in alto ed esplodevano. Tutto il suo mondo si fece subito buio. La voce di Castiel le risuonava chiara e distinta nella sua mente, burbero come sempre: "Attenta a dove metti i piedi la prossima volta!". L'ultima cosa che pensò fu: "Oh no, sto morendo?"
Poi l'oscurità la inghiottì.
 
  
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